LA COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE
    Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso proposto  dall'ufficio
 del  registro  di  Pisa  c/Maestroni  Maria contro la decisione della
 commissione di secondo grado di Pisa n. 791 in data  del  30  ottobre
 1984.
    Premesso  che  in  seguito  alla  registrazione, in data 5 ottobre
 1979, di una scrittura privata relativa alla cessione della quota  di
 (1/2)   dell'azienda,   l'ufficio   del  registro  di  Pisa  rilevava
 l'enunciazione della societa' di fatto esistente tra Maestroni  Maria
 e Pontremolesi M. Grazia, con una base imponibile di lire 16 milioni.
    Veniva  quindi  notificato  avviso di liquidazione per il recupero
 dell'imposta dovuta.
    Avverso tale avviso la signora Maestroni  proponeva  ricorso  alla
 commissione    tributaria    di    primo    grado    sostenendo   che
 l'amministrazione   finanziaria   era   decaduta    dall'azione    di
 accertamento   dell'esistenza   della  societa'  di  fatto  enunciata
 nell'atto  in  questione  perche'   l'enunciazione   della   medesima
 risultava  dall'atto di cessione dell'azienda registrato il 14 aprile
 1977 al n. 5445. Non  essendo  essa  stata  rilevata  tempestivamente
 dall'ufficio  si  era  verificata  -  assumeva  la  ricorrente  -  la
 decadenza.
    L'ufficio  resisteva  eccependo  che deroghe alla decadenza e alla
 prescrizione sono state introdotte dalle  norme  che  hanno  previsto
 sospensioni o proroghe dei termini.
    La  commissione  di primo grado di Pisa, con decisione n. 1162 del
 19 gennaio 1984,  accoglieva  il  ricorso  ritenendo  intervenuta  la
 decadenza  ai  sensi dell'art. 74, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre
 1972, n. 634.
    Ricorreva in appello l'ufficio facendo presente che, in virtu' del
 d.-l. 21 giugno  1961,  n.  498,  i  termini  di  prescrizione  e  di
 decadenza  sono stati prorogati fino al decimo giorno successivo alla
 data  di  pubblicazione  nella   Gazzetta   Ufficiale   del   decreto
 ministeriale ivi previsto.
    L'appello   dell'ufficio  veniva  respinto  dalla  commissione  di
 secondo grado di Pisa per la considerazione che la legge che  proroga
 termini  perentori,  prescrizionali  o  di  decadenza, non puo' avere
 effetto retroattivo e non  potrebbe  quindi  -  secondo  la  suddetta
 commissione - essere applicata quando, come nella specie, il rapporto
 tributario  non  sia  piu' pendente, essendo trascorso il termine del
 quinquennio stabilito  dall'art.  74,  primo  comma,  del  d.P.R.  n.
 634/1972, sopra citato.
    Ricorre  in  questa sede l'ufficio del registro rilevando "come il
 termine ultimo per la notifica dell'avviso  di  liquidazione  sarebbe
 scaduto il 14 aprile 1982, ex art. 74 del d.P.R. n. 634/1972, per cui
 la  notifica  avvenuta  il 15 maggio 1982 risulterebbe fuori termine,
 con conseguente decadenza per la finanza, mentre  per  effetto  della
 citata  legge  n. 770/1961 tale termine risulta prorogato. Infatti lo
 sciopero del 12 febbraio 1982 e' stato sanato con decreto  pubblicato
 nella  Gazzetta  Ufficiale  n.  145  del  28  maggio 1982, per cui il
 termine ultimo per la notifica del suddetto  avviso  di  liquidazione
 scadeva  il  7  giugno 1982, ed essendo stato notificato il 15 maggio
 1982 esso era pienamente nei termini".
    Resiste la contribuente sostenendo l'illegittimita' e chiedendo la
 disapplicazione del d.m. che ha prorogato i termini.
                              CONSIDERATO
    Il d.-l. 21 giugno 1961, n. 498,  convertito,  con  modificazioni,
 dalla  legge  28  luglio  1961, n. 770, ha stabilito che "qualora gli
 uffici finanziari non siano in grado  di  funzionare  regolarmente  a
 causa di eventi di carattere eccezionale, i termini di prescrizione e
 di  decadenza  nonche'  quelli  di  adempimento  di obbligazioni e di
 formalita' previsti dalle norme riguardanti  le  imposte  e  tasse  a
 favore   dell'erario,  scadenti  durante  il  periodo  di  mancato  o
 irregolare funzionamento degli uffici stessi, sono prorogati fino  al
 decimo  giorno  successivo  alla  data  in cui viene pubblicato nella
 Gazzetta Ufficiale il decreto di cui all'art. 3" dello  stesso  d.-l.
 Quest'ultimo articolo dispone semplicemente: "Il periodo di mancato o
 irregolare  funzionamento  degli  uffici  finanziari e' accertato con
 decreto del Ministro per le finanze  da  pubblicarsi  nella  Gazzetta
 Ufficiale".
    Nessun  termine  e'  fissato  in  tale  norma per l'emanazione del
 decreto e per la sua pubblicazione.
    La norma e' stata poi corretta dalla legge  25  ottobre  1985,  n.
 592,  la quale, all'art. 2, ha stabilito che "il periodo di mancato o
 irregolare funzionamento degli uffici  finanziari  e'  accertato  con
 decreto  del  Ministro  delle  finanze  da pubblicarsi nella Gazzetta
 Ufficiale entro e non oltre il sessantesimo giorno della scadenza del
 periodo di mancato o irregolare funzionamento".
    E'  stata  cosi'  ripristinata in qualche modo la determinatezza e
 l'obiettiva perentorieta' (con un  margine  di  oscillazione  fino  a
 sessanta   giorni)   dei   termini  per  l'esercizio  dei  poteri  di
 accertamento e di riscossione del fisco  nonche'  per  l'assolvimento
 delle obbligazioni tributarie e per i relativi adempimenti formali da
 parte dei contribuenti.
    Per  la  decisione della presente controversia, peraltro, la norma
 viene in rilievo nella sua formulazione precedente.
    In base a questa, all'amministrazione veniva lasciato ampio spazio
 nel prolungare i termini in scadenza  (e  anche  quelli  scaduti,  in
 forza  dell'art.  18  della  legge  2 dicembre 1965, n. 576) e veniva
 quindi rimessa alla sua discrezionalita' una materia, qual'e', quella
 del regime dei termini, che va invece per  sua  natura  regolata  con
 precisione  dalla  legge.  Alla  relativa  regolazione  si  connette,
 infatti, la certezza  delle  situazioni  giuridiche,  con  importanti
 risvolti  sull'uguaglianza  di  trattamento delle medesime e sul buon
 andamento dell'amministrazione.
    Non sono sufficienti a garantire tali esigenze i limiti intrinseci
 al  retto  esercizio  del   potere   discrezionale   della   pubblica
 amministrazione, sindacabili dal giudice amministrativo. V'e' infatti
 da  tener presente che il giudice tributario non dispone dello stesso
 tipo di giurisdizione per cui, o il contribuente dovrebbe  perseguire
 per  vie  diverse  la  tutela  della  sua posizione ovvero il giudice
 tributario dovrebbe disapplicare l'atto amministrativo che proroga  i
 termini.  Senonche'  non  solo  questo  potere  e'  in qualche misura
 controverso, ma v'e' - soprattutto - da considerare che, nel caso  di
 asserito vizio nell'esercizio di un potere discrezionale, (ad esempio
 di denuncia di eccesso di potere), la pretesa illegittimita' puo' non
 risultare   evidente   quando,   come  nella  specie,  si  sia  fatta
 applicazione di un potere attribuito dalla legge senza determinazione
 di termini.
    La norma  di  regime  che,  nella  materia  in  esame,  regola  la
 "decadenza  dell'azione finanza" e' quella dell'art. 74, primo comma,
 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634: essa  stabilisce,  chiaramente  e
 insuperabilmente,  il  termine  del  quinquennio,  in  aderenza e nel
 rispetto delle esigenze sopra ricordate. La disposizione del d.-l. 21
 giugno 1961, n. 498, nella sua formulazione anteriore al temperamento
 apportato con la legge 25  ottobre  1985,  n.  592,  mette  invece  a
 rischio    quelle    stesse   esigenze,   per   la   sua   intrinseca
 indeterminatezza.
    E si tratta di  esigenze  costituzionalmente  garantite:  art.  3,
 primo comma, e art. 97, primo comma, della Costituzione.
    E  invece, in concreto, in relazione a uno sciopero durato un solo
 giorno e verificatosi il 12 febbraio 1982, i termini, sulla base e in
 applicazione della norma di legge in questione, sono stati  prorogati
 al  7 giugno 1982, cioe' di quasi quattro mesi (anche se, nel caso in
 esame, l'amministrazione si  e'  effettivamente  avvantaggiata  della
 proroga per un periodo meno esteso: dal 14 aprile al 15 maggio 1982).
    Ma,  tanto  rimarcato  sul  piano della rilevanza, sul piano della
 legittimita' costituzionale quel che  conta  e'  la  inaccettabilita'
 della     remissione     tuot     court     alla     discrezionalita'
 dell'amministrazionedel  potere  di  elasticizzare  una   disciplina,
 qual'e'  quella  dei  termini,  che  deve  essere  invero quanto piu'
 possibile rigida e predeterminata, a garanzia di tutti.
    Tali  notazioni  non abilitano certo questo giudice a disapplicare
 la norma di legge in  questione,  come  erroneamente  ritenuto  dalla
 commissione  tributaria  di secondo grado, ma palesano l'immanenza al
 presente giudizio e la non manifesta infondatezza  del  dubbio  sulla
 costituzionalita'    della   norma   suddetta,   che   ha   accordato
 all'amministrazione un cosi' indeterminato e privilegiato potere, con
 possibili riflessi su posizioni soggettive sostanzialmente uguali che
 vengano a subire sorte diversa.
    Per le considerazioni sopra esposte appare dunque rilevante e  non
 manifestamente  infondata,  in riferimento all'art. 3, primo comma, e
 all'art.  97,  primo  comma,  della  Costituzione,  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  degli  artt.  1 e 3 del d.-l. 21 giugno
 1961, n. 498 (convertito, con modificazioni, nella  legge  28  luglio
 1961,  n.  770),  nel  testo  in  vigore  prima  delle  modificazioni
 apportate con la legge 25 ottobre 1985, n. 592.
    Gli atti vanno conseguentemente rimessi alla Corte costituzionale,
 previa sospensione del presente giudizio.