IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento n. 9890/91 a carico da Cavagnuolo Raffaele + 5. Premesso che in data 11 novembre 1991 veniva emesso dal g.i.p. di Napoli, sezione tredicesima, nei confronti degli indagati decreto di giudizio immediato, come da richiesta del p.m., e che gia' precedentemente ad esso venivano depositate istanze di rito abbreviato con consenso del p.m., questa sezione dovrebbe ora trasmettere il procedimento al capo dell'ufficio per la nuova assegnazione del procedimento ad altra sezione da designarsi per l'ammissione e la trattazione del giudizio abbreviato, a seguito della posizione assunta dalla Corte costituzionale con sentenza n. 401/1991, la quale, nel dichiarare infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del c.p.p., affermava che la norma in questione gia' prevede l'ipotesi di incompatibilita' rilevata dal giudice a quo. Osserva, pero', questo giudice: la norma contenuta nell'art. 34, secondo comma, del c.p.p., interpretata secondo i canoni enunciati nella citata sentenza della Corte costituzionale, appare contrastare con: A) gli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione in quanto nella direttiva contenuta nell'art. 2, n. 67, della legge n. 81/1987 il legislatore delegante nella fissazione dei principi e criteri direttivi in materia di incompatibilita' ha stabilito che quest'ultima si possa profilare solo nei confronti del giudice del dibattimento, mentre il legislatore delegato nel tradurre in norma tali criteri ha fatto riferimento all'art. 34, secondo comma, del c.p.p. al "giudizio" e non al "dibattimento". Sotto tale profilo e per la discrasia evidenziata si ritiene che lo stesso legislatore delegato sia incorso in eccesso di delega, poiche' nell'attuale sistema normativo la nozione di "dibattimento" assume una pregnanza di significato tale da differenziarsi concettualmente e, soprattutto, giuridicamente dalla nozione di "giudizio". Infatti punto centrale della riforma del codice di procedura penale e' che la raccolta delle prove debba avvenire in presenza di un giudice ignaro del risulato delle indagini: da cio' deriva soprattutto la distinzione tra il fascicolo del p.m. e quello dibattimentale, che e' tesa, appunto, ad evitare il contatto del giudice del dibattimento con le risultanze delle indagini preliminari, si' da assicurare che il giudizio venga formulato esclusivamente sulla base dell'istruttoria dibattimentale. Identica esigenza non sussiste, evidentemente, per il giudice che si trovi a deliberare in sede di rito abbreviato, dove, invece, il giudizio si definisce proprio sulla base degli atti contenuti nel fascicolo del p.m., cioe' atti delle indagini preliminari. Se questa e' la ratio della direttiva richiamata (e non v'e' dubbio che questa sia), il termine adottato dal legislatore delegato "giudizio" non permette la delimitazione precisa, circoscritta e puntuale voluta, in quanto risulta "giudizio" anche quello che si svolge presupponendo la conoscenza degli atti compiuti dalle parti nel corso della fase di indagine: verrebbe cosi' meno l'impermeabilita' tra il concetto di dibattimento contenuto nella legge delega e quello di giudizio adottato dal legislatore delegato e, quindi, anche la terminologia e la concettualizzazione del nostro processo, dove tutto cio' che e' dibattimento puo' essere definito giudizio, mentre tutto cio' che e' giudizio non puo' essere identificato tout-court nel termine di dibattimento. Ne' vale ad assimilare sotto la medesima dizione il giudizio abbreviato e quello ordinario la considerazione che in entrambi si pervenga ad una deliberazione nel merito, poiche' la norma contenuta nell'art. 34, secondo comma, del c.p.p., interpretata nei sensi sopra indicati, non tiene affatto conto che entrambi i procedimenti si concludano con una decisione nel merito, ma esclusivamente della circostanza che nel dibattimento il giudice pronuncia sulla scorta dell'istruttoria dibattimentale ignorando gli atti delle indagini preliminari. Non va taciuto, al fine di valutare la questione in esame, che le norme inerenti la incompatibilita' si pongono nel sistema processuale penale come norme eccezionali, in quanto prevedono deroghe al principio del "giudice naturale", sicche' l'uso del termine "giudizio", usato dal legislatore delegato, in luogo di quello "dibattimento" previsto dal legislatore delegante, appare vieppiu' illegittimo. Occorre adesso soffermarsi su di un altro aspetto del problema che emerge dall'argomentazione della Corte. Ques'ultima ritiene che l'incompatibilita' di cui si discute risulta anche logicamente dal fatto che il giudice che dispone il giudizio immediato, avendo gia' effettuato un giudizio sull'evidenza probatoria ex art. 453 del c.p.p., vedrebbe pregiudicata la sua posizione di terzieta' e di imparzialita' dal "fatto che il giudizio abbreviato sia reso sulla base degli stessi atti valutate al momento disporre il giudizio immediato". La preoccupazione della Corte, se pure tesa alla salvaguardia della garanzia costituzionale dell'imparzialita' del giudice, non ci sembra condivisibile per una serie di argomenti logici e testuali. In primo luogo, infatti, il pronunciarsi sull'evidenza della prova non significa pre-giudicare sulla colpevolezza o meno, ma formulare un giudizio su base probabilistica circa gli elementi di prova raccolti, ossia sulla loro idoneita' a fondare un giudizio, ovvero la loro sufficienza sul piano qualitativo e quantitativo ad integrare una piattaforma da cui il giudice del dibattimento, potra' attingere nei limiti ovviamente previsti dal combinato disposto degli artt. 431 e 457 del c.p.p., elementi di giudizio che, tramutatisi in prova, potranno portare alla formazione del verdetto. Infatti, nella relazione al progetto preliminare si parla di evidenza non come "dato oggettivo presupposto all'istaurazione del giudizio", ma come "possibile risultato di un'acquisizione probatoria protrattasi per un tempo non superiore a novanta giorni", con la conseguenza che le acquisizioni sulle quali si fonda la valutazione di "evidenza" non esprimono un giudizio o meglio un pre-giudizio circa la fondatezza della tesi dell'accusa, ma solo circa la loro idoneita' a sostenere tale tesi in giudizio. La stessa assenza del contraddittorio, voluta dal legislatore, nel momento dell'emissione del provvedimento e' indicativa della "superficialita'", o meglio del fine, con cui il giudice deve esaminare l'indicazione delle fonti di prova a sostegno della richiesta del p.m. In tal senso sembra opportuno richiamare la sentenza della Cass. pen., sezione prima, pres. Carnevale n. 1937 del 22 maggio 1991 con la quale si e' esclusa l'automatica definibilita' allo stato degli atti del procedimento per il quale sia stato emesso decreto di giudizio immediato. Con cio' si vuole dire che la valutazione in ordine alla richiesta di giudizio immediato ha efficacia unicamente in ordine alla scelta del rito e sostanzialmente si risolve in un giudizio di inutilita' dell'udienza preliminare nel caso in cui le indagini siano state cosi' rapide da essere completate nel termine di novanta giorni; B) con l'art. 97 della Costituzione, il quale sancisce quale obiettivo imprescindibile delle disposizioni di legge inerenti l'organizzazione degli uffici pubblici (cioe' gli uffici giudiziari) quello del buon andamento dell'amministrazione: principio che sembra pienamente accolto dalla direttiva n. 40 della legge n. 81/1987, la quale ha previsto la concentrazione davanti ad un unico giudice di tutti gli atti relativi al medesimo procedimento, in tal modo prediligendo la progressiva conoscenza degli atti dell'unico giudice incaricato del processo e, grazie ad essa, assicurare il piu' rapido svolgimento degli atti stessi. Conforme a tale intendimento appare anche il dettato normativo che stabilisce termini perentori molto brevi per la tramutazione del giudizio immediato in abbreviato, che mal si conciliano con la necessita' di procedere ad una nuova assegnazione e che diventano poi del tutto incompatibili in procedimenti a carico di piu' indagati solo alcuni dei quali abbiano formulato istanza di giudizio abbreviato: in tali procedimenti, infatti, permane la competenza del giudice che ha pronunciato il decreto di giudizio immediato (ad es. per i provvedimenti in ordine allo stato di detenzione fino alla materiale trasmissione degli atti alla sezione del tribunale e per la formazione del fascicolo per il dibattimento) per quanto concerne le posizioni che saranno definite con questo rito e contestualmente nasce la competenza del giudice che decidera' in ordine alla ammissibilita' del rito abbreviato e tutto cio' che ne consegue per quelle posizioni per le quali v'e' istanza di rito abbreviato. Tale concomitanza non giova certo alla celerita' della trattazione del procedimento nelle due diverse sedi e, per giunta, rende piu' oneroso il lavoro di cancelleria che resta gravata anche del compito di approntare in brevissimi tempi fotocopie dell'intero fascicolo. Peraltro proprio il tenore letterale del dettato normativo dell'art. 458 del c.p.p., lungi dall'evidenziare la necessita' di una differenziazione tra i giudici competenti per i due diversi riti, sembra riferirsi, invece, all'identita' del giudice. Per cui si ha materia per ritenere che laddove per "giudizio" debba intendersi, nell'interpretare l'art. 34, secondo comma, del c.p.p., anche quello abbreviato, si violerebbero anche C) gli artt. 25 e 101 della Costituzione in combinato disposto, in quanto si avrebbe l'effetto di distogliere il giudice naturale precostituito per legge (cioe' quello designato per la valutazione della richiesta del giudizio immediato). In altri termini, proprio perche' l'art. 458 del c.p.p. non offre argomento alcuno per ritenere che debba procedersi a nuova assegnazione del procedimento quando sia stato emesso decreto di giudizio immediato, ne' formula altre prescrizioni in caso di procedimento a carico di piu' indagati solo alcuni dei quali abbiano richiesto il giudizio abbreviato, mentre impone tempi brevissimi per la definizione di quest'ultimo rito, il giudice precostituito per legge per il giudizio abbreviato sembra essere proprio il medesimo che ha emesso il decreto di giudizio immediato. Pertanto, mentre conforme a tale principio era stata la legge delega che limitava l'incompatibilita' tra il giudice che aveva emesso il decreto di giudizio immediato e quello componente il collegio del dibattimento, in contraddizione con esso e, comunque contraddittoria rispetto alla norma contenuta nell'art. 458 del c.p.p., e', invece, l'art. 34, secondo comma, del c.p.p. nella misura in cui si discosta dalla legge delega per aver sostituito alla parola "dibattimento" quella di "giudizio". Un'ultima osservazione conviene fare per completare l'argomento in questione sotto il profilo sistematico: non appare, ritiene chi scrive, che le argomentazioni fin qui svolte contrastino con altre pronunciate della Corte costituzionale ed inerenti, in particolare, l'affermata illegittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del c.p.p. nella parte in cui non prevede incompatibilita' tra il g.i.p. che abbia pronunciato ordinanza ex art. 409, quinto comma, del c.p.p. e quello designato per il giudizio abbreviato eventualmente susseguente alla formulazione del capo d'imputazione da parte del p.m. A parte la considerazione che anche tale orientamento poggia su di una interpretazione della direttiva n. 67 che postula l'identita' tra il "dibattimento" ed il "giudizio" (e su tale orientamento ci siamo soffermati nella sede piu' propria), occorre sottolineare ora che, mentre il mancato accoglimento della richiesta di archiviazione ai sensi del quinto comma dell'art. 409 del c.p.p. costituisce, rispetto al giudizio abbreviato, il logico ed inevitabile presupposto di una sentenza di condanna (di talche' deve concludersi che entrambe le pronunce ineriscono esclusivamente ed immediatamente al merito del processo), il decreto che dispone il giudizio immediato, come abbiano visto, presuppone valutazioni che hanno ad oggetto esclusivamente aspetti processuali ed, in quanto tale, non possono costituire in alcun modo anticipazione del giudizio di responsabilita' ne' "pregiudicare il giudicante": un procedimento definibile come giudizio immediato potrebbe non esser definibile allo stato degli atti, viceversa e' possibile che sia definibile allo stato degli atti un procedimento per il quale l'evidenza della prova non sia tale da non richiedere l'udienza preliminare ovvero non vi sia l'interrogatorio dell'indagato ovvero si sia ormai fuori del termine di novanta giorni. A ben vedere, l'affermata incompatibilita' tra il g.i.p. che ha pronunciato ordinanza ex art. 409, quinto comma, del c.p.p. e quello delegato per l'eventuale successivo giudizio abbreviato tradisce il fine di evitare anticipazioni di giudizio piu' che il pregiudizio del secondo giudicante tenuto conto che questo, come il primo, decide esclusivamente sulla base degli atti delle indagini preliminari e non altro. Quale pregiudizio, allora, occorre stornare?