ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi 4› e
 5›, della legge della Regione Abruzzo 3 marzo 1988,  n.25  (Norme  in
 materia  di  usi civici e gestione delle terre civiche), promosso con
 ordinanza emessa il 9 novembre 1991 dal Commissario regionale per  la
 liquidazione  degli  usi  civici negli Abruzzi, nella causa demaniale
 vertente tra il Comune di Cocullo e la Societa' S.I.P.,  iscritta  al
 n.  744  del  registro  ordinanze  1991  e  pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n.  4,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1992;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  della Giunta della
 Regione Abruzzo;
    Udito nell'udienza pubblica del 14 aprile 1992 il Giudice relatore
 Luigi Mengoni;
    Udito l'avv. Vincenzo Cerulli Irelli per la Regione Abruzzo;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con rogito in data 24  giugno  1982  il  Comune  di  Cocullo,
 autorizzato  dal  Consiglio regionale dell'Abruzzo con delibera del 6
 luglio 1979, vendeva alla s.p.a. S.I.P. un appezzamento di  1400  mq.
 avente  natura  demaniale  civica,  situato  sulla sommita' del Monte
 della Selva, per la  costruzione  di  una  torre  radio-''telefonica.
 Poiche'  l'autorizzazione - per la quale il Commissario regionale per
 la liquidazione degli usi  civici  e  l'Ispettorato  regionale  delle
 foreste  dell'Aquila  avevano  espresso parere favorevole - era stata
 concessa senza previa assegnazione del terreno a categoria  ai  sensi
 dell'art.  11  della  legge  16  giugno  1927,  n. 1766, la S.I.P. ha
 sollecitato il Comune di Cocullo a promuoverne la convalida da  parte
 del  Consiglio regionale, a norma dell'art. 7, quarto e quinto comma,
 della legge della Regione Abruzzo 3 marzo 1988, n. 25.
    Di queste disposizioni della legge regionale il Commissario per il
 riordinamento degli usi  civici  in  Abruzzo,  con  ordinanza  del  9
 novembre  1991, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale
 nel corso di un giudizio civile da lui avviato  d'ufficio  contro  il
 Comune  e  la S.I.P. nove anni dopo il perfezionamento della vendita,
 inizialmente sul presupposto errato della mancanza di autorizzazione,
 e  quindi  del  carattere  abusivo  dell'occupazione   del   terreno,
 successivamente  -  riconosciuto  l'errore  - per la dichiarazione di
 nullita' della  vendita,  previa  disapplicazione  del  provvedimento
 autorizzativo.
    Ad avviso del giudice remittente, le norme impugnate violerebbero:
 a)  gli  artt. 76 e 77 Cost., perche' eccedono la delega alle regioni
 disposta nell'art.  66  del  d.P.R.  24  luglio  1977,  n.  616,  non
 rientrando  in essa il potere che la Regione Abruzzo si e' attribuita
 di "provvedere alla convalida delle autorizzazioni ad alienare  terre
 civiche  non previamente assegnate a categoria"; b) l'art. 117 Cost.,
 perche' contrastano col principio di insanabilita' della nullita' del
 contratto sancito dall'art. 1423 cod.  civ.,  nonche'  col  principio
 della  definitivita'  delle  sentenze  commissariali  passate in cosa
 giudicata dichiarative della nullita'; c) l'art. 118  Cost.,  perche'
 la  convalida di atti affetti da nullita' assoluta e insanabile esula
 dalle funzioni amministrative spettanti alle  regioni  nelle  materie
 indicate nel precedente art. 117.
    2.  - Nel giudizio davanti alla Corte e' intervenuto il Presidente
 della Regione Abruzzo  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata
 inammissibile o comunque infondata.
    Inammissibile  perche'  irrilevante  ai fini della definizione del
 giudizio principale, atteso che le norme impugnate non avevano e  non
 hanno   ancora   avuto   alcuna  applicazione  nel  caso  di  cui  si
 controverte. Infondata perche' - a parte la  manifesta  inconsistenza
 della  pretesa violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione - la
 vendita di una terra civica autorizzata senza previa  assegnazione  a
 categoria  non  e'  nulla, come afferma una giurisprudenza tralatizia
 meritevole  di  revisione,  ma  soltanto  annullabile,  e   comunque,
 indipendentemente  da  questo  primo rilievo, perche' le disposizioni
 impugnate   prevedono   soltanto   una   procedura    di    sanatoria
 dell'autorizzazione   all'alienazione,  lasciando  impregiudicata  la
 questione dei limiti in  cui  la  convalida  potra'  riflettersi  sul
 negozio autorizzato.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  Commissario  regionale  per  il riordinamento degli usi
 civici  in   Abruzzo   ha   sollevato   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art. 7, quarto e quinto comma, della legge della
 Regione Abruzzo 3 marzo 1988, n. 25, per contrasto con gli artt.  76,
 77, 117 e 118 Cost.
    2.  -  La  Regione,  costituitasi  in giudizio, ha eccepito che il
 consiglio regionale non  aveva  e  non  ha  ancora  deliberato  sulla
 proposta  della  giunta  di  convalidare,  ai sensi del citato art. 7
 della legge n. 25 del 1988, l'autorizzazione  ad  alienare  la  terra
 civica  di  cui  e'  causa,  concessa  nel 1979 al Comune di Cocullo.
 Pertanto la questione sarebbe inammissibile per difetto di rilevanza:
 non avendo  la  norma  impugnata  ricevuto  alcuna  applicazione,  il
 Commissario  avrebbe  potuto  pronunciarsi senz'altro sulla validita'
 dell'alienazione.
    L'eccezione non puo' essere accolta. Il giudice a quo ha  ritenuto
 la  rilevanza  della  questione  in  base  a  un criterio di economia
 processuale,  sul  presupposto  che,  data  la  retroattivita'  della
 convalida,  "la decisione del giudizio a quo e' subordinata all'esito
 della risoluzione che la Regione Abruzzo  adottera'  in  merito  alla
 richiesta  della resistente societa' e del Comune". Invero, il limite
 alla retroattivita' della convalida, che in linea di massima potrebbe
 ritenersi costituito dalla pendenza di un giudizio di impugnativa del
 negozio autorizzato, non e' prospettabile nel giudizio  a  quo.  Esso
 sarebbe fondato sul principio per cui la durata del processo non deve
 ritorcersi  a  danno della parte che ha ragione, mentre qui si tratta
 di un giudizio di nullita' promosso d'ufficio dal commissario-giudice
 contro le parti del contratto di vendita, ai sensi dell'art. 29 della
 legge n. 1766 del 1927.
    3. - In riferimento agli artt. 76 e  77  Cost.,  la  questione  e'
 manifestamente inammissibile, non essendo tali norme applicabili alla
 legislazione regionale.
    La  giurisprudenza  di  questa  Corte  ha ripetutamente escluso la
 possibilita' di estendere alle regioni  le  disposizioni  ora  citate
 della   Costituzione,   le   quali,  a  ragione  del  loro  carattere
 eccezionale, non possono trovare applicazione fuori  dell'ordinamento
 dello  Stato  (sentenze  nn.  69  del  1983  e 37 del 1961). La norma
 impugnata  non  e'  stata  emanata  in  attuazione  di   una   delega
 legislativa  da  parte  del Parlamento nazionale, ne' contiene, a sua
 volta, alcuna delega di funzioni legislative, ma  prevede  il  potere
 del   consiglio   regionale   di   porre   in  essere  atti  di  mera
 amministrazione  al  fine  di  regolarizzare  le  autorizzazioni   ad
 alienare   terre   civiche   precedentemente  concesse  dal  ministro
 dell'agricoltura e, dopo il 1977, dallo  stesso  consiglio  regionale
 senza  l'atto-presupposto di cui agli artt. 11 e 14 della legge sugli
 usi civici.
    4.1. - In riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., la questione non
 e' fondata.
    L'art. 7, quarto e quinto comma, della legge abruzzese n.  25  del
 1988   dispone  una  procedura,  imperniata  sul  massimo  organo  di
 rappresentanza  politica  della  regione,  per  la  "convalida  delle
 autorizzazioni  all'alienazione  di  terre  civiche  non  previamente
 assegnate a categoria, rilasciate dall'autorita'  competente,  sempre
 che i relativi atti di alienazione siano stati stipulati e registrati
 anteriormente  all'entrata  in vigore della presente legge". La norma
 viene  incontro  all'esigenza   di   regolarizzazione   di   numerose
 autorizzazioni  non  precedute  -  secondo  una  prassi  seguita  dal
 ministero dell'agricoltura negli anni '60 e '70 - dal formale atto di
 assegnazione  a  categoria  dei  terreni:  prassi  che   la   Regione
 interveniente ha spiegato per il fatto che le terre civiche esistenti
 in  Abruzzo  sono  tutte  sicuramente  classificabili come terreni di
 categoria a), cioe' boschivi o pascolivi, dei quali l'art.  12  della
 legge  n.  1766  del 1927 permette l'alienazione con l'autorizzazione
 del ministro dell'agricoltura, ed ora  della  regione  (art.  66  del
 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616).
   Dal  giudice a quo la norma e' reputata contrastante con i principi
 dell'ordinamento dello  Stato  alla  stregua  di  una  giurisprudenza
 tralatizia,  secondo cui "in mancanza della preventiva individuazione
 della categoria di appartenenza di terre di uso  civico,  la  vendita
 delle   stesse,   disposta   dal   comune   dopo   il   conseguimento
 dell'autorizzazione ministeriale, e',  al  pari  di  questa,  nulla":
 massima   che,   per   quanto   concerne   l'atto  amministrativo  di
 autorizzazione, deve intendersi nel senso  di  inesistenza  giuridica
 dell'atto. Tale giurisprudenza muove dalla premessa, non condivisa da
 questa  Corte  (sent.  n. 391 del 1989), che equipara il regime delle
 terre civiche o di uso civico  alla  condizione  giuridica  dei  beni
 demaniali  in senso proprio, di cui agli artt. 823 e 824 cod. civ. Ma
 la legge del 1927  non  lascia  argomentare  che  l'atto  formale  di
 assegnazione  a  categoria  ai  sensi dell'art. 11 abbia il valore di
 provvedimento costitutivo della condizione  di  commerciabilita'  del
 bene,  ai  sensi  dell'art.  12,  pur  quando  si  tratta  di terreni
 certamente da classificare come boschivi o pascolivi. In questo  caso
 si  argomenta  piuttosto  dall'art.  37 del regolamento di esecuzione
 (r.d.  26  febbraio  1928,  n.  332)  che,   non   occorrendo   alcun
 accertamento  tecnico e non essendovi materia per il bilanciamento di
 interessi  previsto  dall'art.  14  della  legge,  l'assegnazione   a
 categoria  e'  un  mero  atto  di  accertamento  dichiarativo  la cui
 mancanza produce soltanto un  vizio  formale  dell'autorizzazione  ad
 alienare.
    Fuori da questo caso, il provvedimento di assegnazione a categoria
 ha  efficacia costitutiva della condizione giuridica del terreno come
 bene disponibile o  no  perche'  e'  esso  stesso  che  determina  il
 presupposto  di  tale  condizione,  cioe' la destinazione del terreno
 all'utilizzazione come bosco o pascolo oppure  per  cultura  agraria,
 mediante    una   valutazione   tecnico-discrezionale   di   maggiore
 convenienza dell'una o dell'altra,  "contemperando  i  bisogni  della
 popolazione  con quelli della conservazione del patrimonio boschivo e
 pascolivo nazionale".
    4.2. - La richiamata  massima  giurisprudenziale  e'  condizionata
 anche dalla ripartizione originaria delle competenze secondo la legge
 del    1927,    per   cui   l'autorita'   competente   a   rilasciare
 l'autorizzazione (ministro dell'agricoltura) era  diversa  da  quella
 competente   a  provvedere  all'identificazione  della  categoria  di
 appartenenza delle terre civiche  (commissario  regionale).  Dopo  il
 trasferimento  alle  regioni delle funzioni amministrative in materia
 di usi civici, entrambi gli atti appartengono alla  competenza  della
 regione,  e  quindi  almeno  nel  caso  sopra  indicato - il solo che
 interessi l'Abruzzo e al quale, pertanto, e' limitata  la  previsione
 della  norma  impugnata - l'autorizzazione ad alienare e' sicuramente
 convalidabile  dal  consiglio  regionale,  previo   adempimento   del
 requisito formale dell'assegnazione a categoria del terreno.
    La  norma  impugnata  non  attribuisce  al  consiglio regionale il
 potere  di  convalida,  ma  si  limita  a  regolarne  l'esercizio  in
 relazione  alle  autorizzazioni concesse prima dell'entrata in vigore
 della legge regionale  n.  25,  prescrivendo  il  parere  del  comune
 territorialmente   interessato   e   specificando  la  condizione  di
 rispondenza della convalida a un interesse pubblico.
    L'art. 1423 cod. civ. non e' toccato, neppure  indirettamente.  La
 convalida  dell'autorizzazione  non  tanto determina la convalida del
 negozio autorizzato, quanto rimuove retroattivamente  la  ragione  di
 invalidita'  del  negozio,  il  quale  risulta  non gia' convalidato,
 bensi' stipulato validamente fin dall'origine. Ne' vale obiettare che
 "in  tal  modo  si e' travolto il principio della definitivita' delle
 sentenze commissariali per l'avvenuto passaggio in  cosa  giudicata":
 anzitutto  perche' nella specie non e' stata pronunziata, prima della
 deliberazione di convalida, alcuna sentenza in merito alla  validita'
 della  vendita,  in  secondo luogo perche' la norma denunciata lascia
 affatto impregiudicata la  questione  dei  limiti  di  retroattivita'
 della  convalida  nei rapporti tra le parti e nei confronti dei terzi
 acquirenti medio tempore.