IL TRIBUNALE
    Ha  pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento iscritto al
 n. 201/91 r.g. contro Nocita Francesco nato a Crotone  il  12  agosto
 1937,  imputato  dei  reati  di cui agli artt. 113/449 cpv. e 113/589
 cpv., del c.p.;
    Premesso che l'imputato, tratto all'odierna udienza a giudizio  di
 questo tribunale per rispondere dei reati sopra indicati, prima della
 dichiarazione  di apertura del dibattimento, chiedeva personalmente a
 norma dell'art. 444 del c.p.p., applicazione della pena di anni uno e
 mesi otto di reclusione determinata cosi' come indicato in verbale;
      che il p.m. non  prestava  il  proprio  consenso  ritenendo  non
 congrua la pena richiesta;
      che  a  norma  dell'art.  448,  primo comma, del c.p.p., dato il
 suddetto  dissenso,  il  tribunale  dovrebbe  procedere   oltre   nel
 dibattimento  e  solo  all'esito  dello  stesso  dovrebbe valutare la
 giustificatezza o meno del dissenso del p.m. e quindi la congruita' o
 meno della pena richiesta dall'imputato, provvedendo poi, in caso  di
 ritenuta  ingiustificatezza  del  dissenso e di congruita' della pena
 richiesta, a decidere con sentenza allo stesso modo di cui  al  primo
 periodo   dell'art.  448  del  c.p.p.  applicando  la  pena  indicata
 dall'imputato;
    Ritenuto che tale norma, ad  avviso  di  questo  Tribunale  appare
 illegittima con riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione;
      che,  invero,  ricordato  che  gia'  la  Corte costituzionale in
 precedenti pronunce ha sostanzialmente  ravvisato,  tra  l'altro,  la
 causa  giustificatrice  dei riti speciali nell'effetto deflattivo dei
 processi,  esigenza  che  ragionevolmente  aveva  potuto  indurre  il
 legislatore a prevedere l'effetto premiale della riduzione della pena
 per l'imputato che a quei riti ricorreva;
      che,  con  la normativa di cui trattasi, verrebbe invece meno il
 concreto perseguimento ed  ottenimento  dell'effetto  predetto,  solo
 residuando  e privilegiandosi il beneficio in termini di riduzione di
 pena per l'imputato e dei relativi effetti ex art. 445 del c.p.p.;
      che cio' appare ora vieppiu' irragionevole, sia sotto il profilo
 di uguale trattamento sanzionatorio in parita' di situazioni  ove  in
 concreto  il  rito seguito sia quello ordinario, sia sotto il profilo
 del buon andamento della  amministrazione  della  giustizia  e  della
 esigenza deflattiva sopra ricordata, dopo che la Corte costituzionale
 con  sentenza  n.  313/1990  ha dichiarato l'illegittimita' dell'art.
 444, secondo comma, del c.p.p.  nella  parte  in  cui  non  prevedeva
 l'obbligo  per  il  giudice  di  valutare  la  congruita'  della pena
 concordata  tra le parti, cosi' di fatto imponendo al giudice stesso,
 anche in caso di accordo tra imputato e p.m., di valutare e stabilire
 sulla congruita' della pena richiesta;
      che tale giudizio sulla congruita', che  quindi  ormai  in  ogni
 caso  deve  essere  adottato  dal giudice, non si vede la ragione ne'
 pratica ne' di diritto per cui solo nel caso del  dissenso  del  p.m.
 debba essere spostato all'esito del dibattimento quando ormai saranno
 persi,  ed  anzi  aggravati,  per  la  problematica  in piu', tutti i
 benefici che in termini di esigenza deflattiva hanno  consigliato  il
 legislatore a tale forma di definzione del processo;
      che  al  contrario  tutte  le  esigenze,  in uno con la concreta
 possibilita'  pratica,  depongono  per  la  anticipazione  alla  fase
 preliminare,  del  giudizio  sulla  congruita'  della pena richiesta,
 anche quando vi sia dissenso sul punto espresso dal p.m.;
    Ritenuto, infine, che la questione  e'  rilevante  ai  fini  della
 decisione  sull'ulteriore  corso o meno del dibattimento e quindi del
 giudizio;