IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nelle cause previdenziali
 riunite promosse dall'I.N.P.S. in persona del  legale  rappresentante
 pro-tempore,  elettivamente  domiciliato in Genova, via XX Settembre,
 8/21, presso avv. M. Girotti che lo difende  e  rappresenta  come  da
 mandato  in  atti,  appellante, contro Banchero Luigia, elettivamente
 domiciliata in Genova, gall. Mazzini, 7/10, presso l'avv. M. Caniglia
 che la rappresenta, appellata,  e  contro  Canepa  Cristina,  Mondino
 Luciana  e  Motzo  Maria,  elettivamente domiciliate in Genova, gall.
 Mazzini, 7/10, presso l'avv. M. Caniglia che le  rappresenta,  appel-
 late;
    Premesso  che  nelle cause riunite, di contenuto identico a quello
 del presente giudizio, promosse in  grado  di  appello  dall'I.N.P.S.
 contro   Selvatici   Argia  ed  altri,  questo  stesso  tribunale  ha
 pronunciato in data 19 febbraio 1992  ordinanza  di  rimessione  alla
 Corte  costituzionale  della questione di legittimita' costituzionale
 relativa all'art. 4, primo comma, del d.-l. 21 gennaio 1992,  n.  14,
 al  momento  vigente,  per  contrasto con gli artt. 77, 101, 104 e 38
 della Costituzione, con la seguente motivazione:
    "Premesso in fatto: titolari di pensione diretta gia' integrata al
 minimo e di pensione SO di reversibilita'  non  integrata,  all'esito
 sfavorevole  delle domande amministrative chiedevano, in applicazione
 degli effetti della sentenza n. 314/1985 della  Corte  costituzionale
 (declaratoria  d'incostituzionalita'  degli  artt. 2.2 della legge n.
 1338/1962 e 23 della legge n. 153/1969) dichiararsi il  loro  diritto
 al   trattamento   d'integrazione  al  minimo  sulla  pensione  SO  e
 condannarsi l'I.N.P.S. al relativo pagamento con i ratei arretrati ed
 accessori in conformita' al  disposto  dell'art.  6,  settimo  comma,
 della legge n. 463/1983 (sulla c.d. cristallizzazione del trattamento
 d'integrazione   sulla   seconda   pensione   fino  al  suo  graduale
 assorbimento nella perequazione della pensione-base).
    Si costituiva l'I.N.P.S. resistendo sull'unica considerazione  che
 detta  cristallizzazione  riguardava  la  sola  causa  di  cessazione
 dell'integrazione conseguente al superamento del requisito reddituale
 di cui all'art. 6, primo comma.
    Il pretore accoglieva  le  domande  dei  ricorrenti  con  sentenza
 appellata  davanti  a  questo  tribunale  dall'I.N.P.S. con le stesse
 difese svolte in primo grado.
    Nelle more del  giudizio  e'  peraltro  intervenuto  il  d.-l.  21
 gennaio   1992  che  all'art.  4,  primo  comma  (titolato  Norme  di
 interpretazione  autentica  e  in  materia  di  personale)  ha  cosi'
 disposto:  'l'art.  6,  quinto,  sesto  e settimo comma, del d.-l. n.
 463/1983, convertito con modificazioni dalla legge 12 settembre 1983,
 n. 463, si interpreta nel senso che, nel caso di concorso  di  due  o
 piu'  pensioni  integrate  al  trattamento  minimo  e  liquidate  con
 decorrenza anteriore alla data di  entrata  in  vigore  del  predetto
 decreto,  l'importo  del  trattamento  minimo  vigente a tale data e'
 conservato su una sola delle pensioni come individuata con i  criteri
 previsti dal terzo comma dello stesso articolo'.
    All'odierna  udienza,  all'esito  della  discussione  della  causa
 ritiene il tribunale di dover  sollevare  questione  di  legittimita'
 costituzionale di detto art. 4, primo comma, del d.-l. n. 14/1992.
    All'esame  della non manifesta infondatezza della questione, vanno
 tuttavia premessi alcuni cenni  sulle  vicende  della  norma  oggetto
 della  'interpretazione  autentica' a significazione del consolidarsi
 di  una  giurisprudenza  conforme  dei  giudici  di   merito,   della
 Cassazione  e  della stessa Corte costituzionale, basata sulla chiara
 comprensione del testo del visto, settimo comma,  dell'art.  6  della
 legge n. 563/1983 e della sottesa ratio legis.
   L'art.  6  in questione, e' stato emanato a seguito di una serie di
 pronunce d'incostituzionalita' (Corte  costituzionale  nn.  230/1974,
 263/1976,   34/1981,  102/1982  e  seguite  dopo  il  1983  da  Corte
 costituzionale nn. 314/1985, 184, 1086 e 1144 del 1988, 81, 142,  179
 e  250  del  1989)  che  hanno  espunto,  per incompatibilita' con il
 principio  generale  d'uguaglianza,  tutti  i   divieti   particolari
 d'integrazione  al  minimo  delle  pensioni,  auspicando  (cfr. Corte
 costituzionale   n.   148/1988)   un   intervento   legislativo    di
 razionalizzazione  che disciplinasse 'sul piano generale, ispirandosi
 ai principi contenuti negli  artt.  3  e  38  della  Costituzione  la
 materia relativa al diritto all'integrazione al minimo': l'art. 6 del
 d.-l.  n.  463/1983 ha quindi espresso una valutazione bilanciata del
 rapporto tra esigenze di vita dei pensionati  (riguardanti  non  solo
 bisogni  elementari  e  vitali,  ma  anche  del  tenore  di vita e la
 posizione sociale raggiunta  per  effetto  dell'attivita'  lavorativa
 svolta:  Corte  costituzionale  n. 173/1986) e la predisposizione dei
 mezzi idonei  a  soddisfarle;  in  questo  senso,  il  settimo  comma
 dell'art.   6   e'   stato  introdotto,  come  si  legge  nei  Lavori
 parlamentari, 'al fine di evitare l'istantaneo ridimensionamento  del
 reddito  previdenziale  in  pregiudizio  dell'assistito  che perda il
 diritto all'integrazione al minimo".  Su  tale  ultimo  comma  si  e'
 quindi formata una solida opinione della Cassazione (cfr. ex pluribus
 Cass.  n. 7315/90 e 841/91) secondo cui 'in ipotesi di cumulo di piu'
 pensioni, l'assicurato, ai sensi dell'art. 6 del d.-l.  n.  463/1983,
 convertito  in  legge  n.  638/1983 ha diritto ad un solo trattamento
 d'integrazione al minimo sulla pensione d'importo piu' alto .. ma  la
 cessazione  del  diritto  all'integrazione  sull'altra  pensione  non
 implica la perdita del relativo trattamento economico essendo  questo
 conservato,  ai  sensi  del settimo comma, fino al riassorbimento del
 detto trattamento per effetto della  rivalutazione  automatica  della
 pensione-base'. Tale lettura del chiaro disposto dell'art. 6, settimo
 comma,  ha  trovato  da  ultimo  conforto,  diventando cosi' 'diritto
 vivente'  nella  motivazione  della  recente  pronuncia  della  Corte
 costituzionale    (n.    418/1991),    interpretativa    di   rigetto
 dell'eccezione   d'incostituzionalita'   della   stessa   norma    da
 interpretarsi  nel  senso  che 'la misura della integrazione .. resta
 ferma all'importo percepito alla data del 30  settembre  1983  ed  e'
 destinata ad essere gradatamente sostituita per riassorbimento .. per
 effetto della perequazione automatica'.
    Cio' premesso, osserva il tribunale che l'art. 4, primo comma, del
 d.-l.  n.  14/1992  riproduce  esattamente la tesi difensiva da lungo
 tempo  sostenuta  dall'I.N.P.S.  peraltro  in  netto  contrasto   con
 l'orientamento  giurisprudenziale  sopra  illustrato;  detto  decreto
 d'urgenza ricalca inoltre un identico disegno  di  legge  poco  tempo
 prima  bocciato dalle Camere e quindi non inserito nel contesto della
 legge finanziaria, a  differenza  di  altre  norme  d'interpretazione
 autentica prontamente approvate in materia previdenziale.
    Dubita  quindi  il tribunale della legittimita' costituzionale del
 visto d.-l. per un profilo di contrasto con  l'art.  77  cpv.,  della
 Costituzione,  in  relazione alla palese assenza nella fattispecie di
 una situazione di straordinaria necessita' ed urgenza a provvedere in
 una materia sulla quale il Parlamento aveva  appena  manifestato  una
 volonta'  di  segno  opposto,  ex  se  evidenziante l'assenza di ogni
 necessita'  ed  urgenza  sottesa   al   disegno   governativo,   come
 argomentabile  a  contrariis dalla pronta approvazione di altre norme
 d'interpretazione autentica d'iniziativa governativa.
    Ma l'esame della vicenda formativa ed interpretativa dell'art.  6,
 settimo comma, oggetto del criticato d.-l. n. 14/1992 consente di far
 intravedere  un  altro  profilo  d'illegittimita'  costituzionale per
 contrasto con gli artt. 101 e 104 della Costituzione.
    E' stato autorevolmente ritenuto  (cfr.  Corte  costituzionale  n.
 187/1981)  che 'non faccia buon uso della sua potesta' il legislatore
 che  si  sostituisca  al  potere  cui   e'   riservato   il   compito
 istituzionale  di interpretare la legge, dichiarandone mediante altra
 legge  l'autentico  significato  obbligatorio  per  tutti,  e  quindi
 vincolante  anche  per  il giudice, quando non ricorrano quei casi in
 cui la legge anteriore riveli gravi  ed  insuperabili  anfibologie  o
 abbia   dato  luogo  a  contrastanti  applicazioni,  specie  in  sede
 giurisdizionale' giacche' in tal caso la legge avrebbe solo  il  nome
 di interpretazione autentica.
    Quando,  infatti,  il  precetto  della  legge  antecedente  appaia
 chiaro, non dando luogo a contrasti giurisprudenziali o  scientifici,
 la   modificazione   dell'interpretazione   corrente   da  parte  del
 legislatore  successivo,  mediante  sostituzione  ad  essa  di  altra
 interpretazione,  equivale  a  novazione  legislativa  e  puo' quindi
 nascondere  il  fine  recondito  di  attribuire  al  nuovo   precetto
 efficacia  retroattiva  nei casi in cui la stessa non sia consentita;
 in ogni caso cio' costituisce  straripamento  dell'alveo  fisiologico
 della    funzione    legislativa,   con   invasione   di   un   campo
 costituzionalmente riservato al potere giudiziario.
    Ed allora non pare del tutto infondato  nel  caso  di  specie,  un
 ulteriore  dubbio  di illegittimita' costituzionale per contrasto con
 gli artt. 101 cpv.  -  della  Costituzione,  che  affermando  che  'i
 giudici  son soggetti solo alle leggi' percio' stesso ne esclude ogni
 forma di soggezione rispetto all'autore  della  legge,  Parlamento  o
 Governo,   quando  pretende  di  imporre  -  con  contestuale  vulnus
 all'indipendenza della  magistratura  tutelata  dall'art.  104  della
 Costituzione,  una  interpretazione  vincolante  e difforme da quella
 consolidatasi come 'diritto vivente' nella giurisprudenza  di  merito
 della Cassazione, e della stessa Corte costituzionale, come nel visto
 caso  della cristallizzazione di cui all'art. 6, settimo comma, della
 legge n. 638/1983.
    Osserva in ogni caso il tribunale che,  anche  prescindendo  dalla
 problematica  del  carattere  interpretativo  od innovativo del d.-l.
 definito di 'interpretazione autentica', residuerebbe pur  sempre  un
 macroscopico  profilo  di contrasto con l'art. 38 della Costituzione,
 secondo cui i  lavoratori  hanno  diritto  che  siano  provveduti  ed
 assicurati  mezzi  adeguati  alle  loro  esigenze  di vita in caso di
 infortunio,  malattia,  invalidita'   e   vecchiaia,   disoccupazione
 involontaria.
    Invero,  il  taglio  del  trattamento pensionistico effettuato dal
 Governo con l'emanazione dell'art. 4 del d.-l. n. 14/1992 nell'ambito
 di manifeste misure protettive del bilancio degli enti previdenziali,
 va contro il precetto  dell'art.  38  della  Costituzione  pienamente
 osservato   dalla   norma  sulla  cristallizzazione  del  trattamento
 economico vigente al momento della  cessazione  dell'integrazione  al
 minimo  sulla  seconda  ed  ulteriore  pensione  in  fruizione;  tale
 disposizione, prevedendo il graduale assorbimento dell'ormai  vietata
 doppia integrazione al minimo nel tetto della perequazione automatica
 della  pensione-base,  permette  ai  pensionati  o pluripensionati ai
 limiti, comunque, del minimo vitale, di non subire brusche variazioni
 dell'essenziale reddito previdenziale, come del resto affermato dalla
 stessa  Corte  costituzionale  nella  vista  recente   pronuncia   n.
 418/1991.
    Quanto  infine  alla  rilevanza  della  questione di legittimita',
 basta osservare che, essendo tutti gli appellati titolari  di  due  o
 piu'  pensioni  in liquidazione anteriormente al d.-l. n. 463/1983 di
 cui  una  sola  integrata  al  minimo,  la  norma  'd'interpretazione
 autentica' contenuta nel successivo d.-l. n. 14/1992 pare sicuramente
 applicabile a tutte le posizioni soggettive dedotte in causa.
    Va  pertanto  disposta la rimessione della proposta questione alla
 Corte  costituzionale,  dandosi  corso  agli   adempimenti   previsti
 dall'art. 23 della legge n. 87/1953";
    Ritenuto  che,  non  essendo stato convertito in legge il d.-l. 21
 febbraio 1992, n. 14, nel termine  costituzionalmente  stabilito,  il
 Governo ha nel frattempo emanato un nuovo decreto-legge, avente il n.
 237  in data 20 marzo 1992 (in Gazzetta Ufficiale del 21 marzo 1992),
 nel quale e' stato inserito l'art. 4 che, al primo comma, ripete alla
 lettera il disposto dell'art. 4, primo comma, del precedente  decreto
 n.  14/1992  decaduto,  cosi'  che  detta  disciplina risulta tuttora
 vigente,  ed  in  conseguenza  conservano  pieno  vigore   tutte   le
 osservazioni  in punto legittimita' costituzionale avanzate da questo
 tribunale  nella  sopra  riportata  ordinanza;  in   conseguenza   va
 nuovamente  investita  la  Corte costituzionale affinche' si pronunci
 sulla legittimita' del nuovo decreto;
    Ritenuto  inoltre  che  la  riproposizione   del   contenuto   del
 precedente decreto-legge non convertito, mediante la emanazione di un
 nuovo   provvedimento,   pone   ulteriori  problemi  di  legittimita'
 costituzionale, relativi sia alla forma  seguita  che  alla  potesta'
 governativa di riproporre la normativa in questione;
    Ritenuto  che  sotto  il  profilo  sostanziale va osservato che la
 reiterazione di un  decreto-legge  non  convertito  per  decorso  del
 termine,  anziche'  per  voto  contrario  di  una  delle  Camere, non
 costituisce letterale violazione dell'art. 15 della legge  23  agosto
 1988,  n. 400, secondo comma, sub c), ma tuttavia sembra in contrasto
 con l'art.  77  della  Costituzione  in  quanto  si  traduce  in  una
 ultrattivita',  oltre  il termine costituzionale dei sessanta giorni,
 della volonta' normativa del governo;  tale  termine,  viceversa,  e'
 stabilito  allo  scopo  sostanziale  di  contenere  in  limiti  molto
 ristretti, e per soli motivi di  eccezionale  necessita'  ed  urgenza
 (che  non appaiono piu' tali con il trascorrere dei mesi nell'inerzia
 parlamentare) il potere straordinario  di  normazione  con  forza  di
 legge   riconosciuto   all'esecutivo;  diversa  conclusione  potrebbe
 raggiungersi, al di la' di un eccessivo  rigorismo  che  vorrebbe  in
 ogni  caso non rieterabile un decreto-legge decaduto, se il contenuto
 del secondo provvedimento fosse diverso dal primo, ma in concreto  la
 cosa  non  si  e'  verificata,  in  quanto  la  fattispecie normativa
 esaminata e' rimasta invariata (senza che possa  avere  rilevanza  il
 possibile  mutamento  di  altre  parti,  estranee  alla  materia, del
 decreto, perche' cio' non basta a conferire alla singola disposizione
 un carattere di novita' rispetto alla precedente);
    Ritenuto,  sotto  il  profilo  formale,  che  l'inserimento  della
 disposizione  in  esame in un testo normativo contenente una vasta ed
 eterogenea materia, unificata da un titolo di  assoluta  genericita',
 come  e' nel caso del d.-l. n. 237/1992 in esame, comporta violazione
 dell'art. 15, terzo comma, della legge 23 agosto  1988,  n.  400,  il
 quale  stabilisce  che  i  decreti-legge  debbono  avere un contenuto
 "specifico, omogeneo e corrispondente al  titolo";  tale  violazione,
 sia  pure  di una legge di pari grado nella gerarchia delle fonti, ma
 avente  un  carattere  di  inquadramento  generale  del   potere   di
 decretazione  del  Governo, puo' essere vista come un ulteriore vizio
 di legittimita' costituzionale per violazione dei limiti  sostanziali
 di  esercizio  del  potere,  sempre con riferimento all'art. 77 della
 Costituzione oltre che al  generalissimo  principio  dello  Stato  di
 diritto  secondo  cui  il  Governo  nel  suo  operare  non e' legibus
 solutus;
    Ritenuto  che  la questione di legittimita' relativa ai limiti del
 poter di decretazione d'urgenza da parte del Governo,  con  specifico
 riferimento alla possibilita' o meno di reiterazione delle norme, era
 gia'  stato  portato  all'esame  della Corte costituzionale da questo
 tribunale con ordinanza 1ยบ ottobre 1987 in causa  I.N.A.D.E.L.-Mule',
 ma  non  pote'  essere affrontata dalla Corte perche' prima della sua
 pronuncia sopravvenne la  conversione  in  legge  del  decreto  (cfr.
 sentenza Corte costituzionale n. 1060/1988);
    Ritenuto  che anche i rilevati vizi relativi alla reiterazione del
 decreto-legge appaiono rilevanti in causa,  perche'  dalla  soluzione
 deriva  l'applicabilita'  o  meno  ai  casi sottoposti al giudizio di
 questo tribunale della norma rinnovata;