LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Il  ricorrente,  nell'ambito  del  gravame  proposto  avverso   la
 decisione  n.  282/1989 della commissione di primo grado di Siena, ha
 sollevato due questioni di illegittimita' costituzionale.
    La  prima,  in  ordine  al  fatto  che  l'alienazione   entro   il
 quinquennio di un bene esente dalla imposta di successione perche' di
 rilevante  interesse  culturale, comporti la decadenza dal beneficio;
 la seconda, in ordine  all'art.  4,  quinto  comma,  della  legge  n.
 512/1982,  relativamente  alla  entita'  delle  conseguenze comminate
 all'erede che trasferisce il bene  escluso  dall'imponibile  entro  i
 cinque anni dall'apertura della successione.
    Quanto   alla  prima  eccezione,  questa  commissione  la  ritiene
 manifestamente infondata, poiche' - essendo la esenzione concessa  in
 relazione ai maggiori oneri che il contribuente e' tenuto a sostenere
 per  la  manutenzione dei beni di rilevante interesse culturale - ben
 puo' ritenersi che il legislatore abbia fatto buon governo  dei  suoi
 poteri  discrezionali, ravvisando nella cessione infraquinquennale un
 atto di natura speculativa non compatibile  con  la  agevolazione,  e
 considerandola pertanto come causa di decadenza.
    Cio' che desta gravi perplessita' e' invece la parificazione, agli
 effetti sanzionatori, delle varie ipotesi di decadenza previste dalla
 legge.
    Altra  cosa  sono,  infatti,  il  mutamento  di destinazione, o il
 mancato  assolvimento  degli  obblighi  di  legge,   o   la   tentata
 esportazione  clandestina  (che  evidenziano un illecito tentativo di
 locupletazione), e altra cosa e' una regolare alienazione  effettuata
 nelle forme previste dalla legge.
    Quest'ultima,  se anche integra un comportamento incompatibile con
 l'esenzione dell'imposta, tuttavia e'  pur  sempre  un  comportamento
 lecito  e  non contrario agli interessi tutelati dalle norme sui beni
 culturali,  e  che  per  giunta  ben  puo'  essere   giustificato   e
 addirittura  necessitato  dalle vicende successive all'apertura della
 successione ed alla richiesta del beneficio.
    Non manifestamente infondata appare pertanto la seconda  eccezione
 prospettata  dalla parte, state la evidenziata irragionevolezza della
 norma sanzionatrice che parifica ipotesi  completamente  diverse  fra
 loro, e per giunta impone - anziche' il pagamento dell'imposta, degli
 inevitabili  interessi  e  al  piu'  di una ragionevole sanzione - il
 pagamento del triplo dell'imposta piu' una sanzione pari a tre  volte
 l'imposta stessa.
    La triplicazione dell'imposta finisce per spezzare il collegamento
 fra  la  capacita'  contributiva  ed il precetto tributario, previsto
 dall'art. 53 della Costituzione; e comporta la violazione dell'art. 3
 della Costituzione per trattamento uguale di situazioni  tutt'affatto
 disuguali  (anche  in  cio'  essendo  ravvisabile  una  disparita' di
 trattamento).
    Ne'  potrebbe  ravvisarsi  nella  triplicazione  dell'imposta  una
 funzione  criptosanzionatoria  perche' anch'essa sarebbe in contrasto
 con l'art. 53 della Costituzione.
    Quanto alla sanzione vera e propria (anch'essa pari a tre volte il
 tributo), essa appare del tutto irragionevole, non trovando raffronto
 in altre leggi fiscali ed addirittura contraddicendo quanto  previsto
 nella  stessa  legge  (art.  5  ai  fini  della imposta di registro).
 Inoltre la sanzione non e' ispirata a criteri di proporzionalita' con
 la gravita' dell'illecito;  e  comunque  appare  anch'essa  contraria
 all'art.  3  della  Costituzione essendo identica per tutti i casi di
 decadenza.
    Va infine fatto riferimento alla circostanza che  l'insieme  della
 sanzione  e  dell'imposta,  piu' gli interessi, raggiunge una entita'
 tale che eguaglia (e anzi nel caso di specie supera)  il  valore  del
 bene, comportando cosi' di fatto una espropriazione totale.
    Questo  argomento,  pure addotto dalla parte, non appare avere una
 forte  rilevanza  giuridica;  ma  ha   il   pregio   di   evidenziare
 l'incompatibilita'  della norma con un uso corretto e razionale della
 discrezionalita' da parte del legislatore.
    Tale  discrezionalita',  in effetti, non puo' essere esercitata in
 base ad una presunzione di  sfiducia  nei  confronti  del  cittadino,
 giungendo  a  parificare  (con  intento punitivo ultroneo rispetto ai
 fini da  raggiungere)  una  semplice  decadenza  a  un  tentativo  di
 evasione,  senza  neppure  prevedere  una  qualsiasi  possibilita' di
 discarico da parte del contribuente.