ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4 del decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1945, n. 475 (Divieto di abbattimento di alberi di olivo), promosso con ordinanza emessa il 23 ottobre 1991 dal Pretore di Foggia - Sezione distaccata di Trinitapoli nel procedimento civile vertente tra Palmitessa Giuseppe e Ufficio Regionale Contenzioso di Foggia - Regione Puglia, iscritta al n. 19 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1992; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 15 aprile 1992 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello; Ritenuto che nel corso di un giudizio di opposizione ad un'ordinanza-ingiunzione, con la quale l'ufficio contenzioso di Foggia della Regione Puglia aveva irrogato la sanzione amministrativa prevista dall'art. 4 del decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1945, n. 475 (Divieto di abbattimento di alberi di olivo), il Pretore di Foggia - sezione distaccata di Trinitapoli, con ordinanza del 23 ottobre 1991, ha sollevato d'ufficio questioni di legittimita' costituzionale del citato art. 4 che, prevedendo per l'illegittimo abbattimento di alberi di olivo una sanzione pecuniaria di importo pari al decuplo del valore delle piante abbattute, considerate in piena produttivita', da stabilirsi dall'ispettorato provinciale dell'agricoltura, si porrebbe in contrasto: a) con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, che sancisce il principio della "riserva assoluta di legge" in materia di determinazione della entita' della sanzione, pacificamente estendibile al campo dell'illecito amministrativo anche per l'inequivoco tenore dell'art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche del sistema penale), che riproduce espressamente il principio costituzionale di legalita'. Nella specie il legislatore, una volta descritta puntualmente la condotta vietata e quindi il precetto, si sarebbe illegittimamente rimesso, per quanto attiene al profilo sanzionatorio, alle determinazioni di un organo periferico dello Stato (recte: della regione) svincolate da qualunque criterio prefissato ed implicanti quindi apprezzamenti diversi circa il valore del bene oggetto di tutela; b) con l'art. 23 della Costituzione - nel caso si ritenga che la sanzione prevista dalla norma impugnata abbia natura riparatoria- recuperatoria e non afflittiva - il quale parametro, pur se esprime il principio della riserva relativa di legge in materia di prestazioni patrimoniali, non consentirebbe in ogni caso, senza criteri legislativi di riferimento, di affidare ad un atto amministrativo "meramente discrezionale" la determinazione della sanzione; c) con l'art. 3 della Costituzione, poiche' la determinazione della misura della sanzione verrebbe operata in ambito territoriale circoscritto a quello della provincia, e, in quanto affidata a uffici diversi che possono adottare criteri non omogenei per la valutazione del valore delle piante, darebbe vita a una ingiustificata, iniqua e irragionevole disparita' di trattamento riguardo a situazioni sostanzialmente identiche; d) con l'art. 111, primo comma, della Costituzione, che sancisce l'obbligo di motivazione per tutti i provvedimenti giurisdizionali,in quanto, potendo il giudice alla stregua dei criteri stabiliti dall'art. 11 della legge n. 689 del 1981 (gravita' della violazione, comportamento successivo all'infrazione, personalita' e condizioni economiche del trasgressore) operare una riduzione della sanzione irrogata, gli sarebbe impedito di sorreggere la sua decisione con motivazione convincente e ragionevole, a causa di un meccanismo sanzionatorio rigidamente ancorato al solo valore delle piante senza, per di piu', la previsione di un limite minimo e massimo della sanzione, "entro i quali far uso del potere di commisurazione della sanzione alla concreta gravita' del fatto"; che e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite della Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l'inammissibilita' delle questioni sollevate in riferimento all'art. 23 della Costituzione, in quanto non suffragata da idonea motivazione, e all'art. 111 della Costituzione, non pertinente al dubbio prospettato, poiche' il dovere processuale di motivare le sentenze non ha nulla a che vedere con la previsione di una sanzione di importo fisso, la cui misura e' comunque sottoposta al sindacato giurisdizionale; nel merito ha rilevato l'infondatezza degli ulteriori profili di censura in riferimento agli artt. 25, secondo comma e 3 della Costituzione, poiche' non puo' in concreto invocarsi la lesione del principio di legalita' sol perche' una sanzione, commisurata ad un "valore", e' determinata all'esito dell'accertamento in concreto di tale valore. Considerato che devono essere disattese le eccezioni di inammissibilita' delle questioni illustrate sub b), in quanto l'ordinanza di rimessione contiene una motivazione sia pur sintetica a sostegno della censura, e sub d) perche' le considerazioni svolte attengono al merito della questione; che la censura sub a) non e' fondata, poiche', come questa Corte ha gia' affermato (sent. n. 447 del 1988), il parametro invocato (art. 25, secondo comma, della Costituzione) non e' riferibile alle sanzioni amministrative, depenalizzate o meno, applicandosi ad esse l'art. 23 della Costituzione; che, per quanto riguarda la questione sub b), la giurisprudenza costituzionale, a partire dalla sentenza n. 4 del 1957, ha indicato, relativamente alle prestazioni obbligatorie "autoritariamente" imposte, i limiti e le garanzie sufficienti a far ritenere rispettato il principio della riserva di legge relativa stabilito dall'art. 23 della Costituzione, all'uopo precisando che la prestazione debba avere "base" in una legge e che la legge stessa stabilisca i criteri idonei a regolare eventuali margini di discrezionalita' lasciati alla pubblica amministrazione nella determinazione in concreto della prestazione (sentenze nn. 290 del 1987, 167 del 1986) ed inoltre, al fine di escludere che la discrezionalita' possa trasformarsi in arbitrio, che la legge determini direttamente l'oggetto della prestazione stessa ed i criteri per quantificarla (sentenze nn. 127 del 1988, 290 del 1987, 34 del 1986, 257 del 1982, 29 del 1979, 67 del 1973, 56 del 1972, 65 del 1962); che, applicandosi tali principi alle sanzioni amministrative come quella prevista dalla norma impugnata, la questione non e' fondata perche' tale norma, diversamente da quanto ritenuto dal giudice rimettente, indica gli elementi necessari e sufficienti proprio per evitare arbitrii dell'amministrazione, facendo espresso riferimento, quale base di calcolo della sanzione, al "valore" delle piante di olivo illegittimamente abbattute, ovverosia ad un dato non arbitrario ma ricavabile dalle leggi di mercato, in modo da modulare l'entita' della sanzione al disvalore economico connesso all'infrazione, con un accertamento dal quale esula qualsiasi profilo di discrezionalita'; che, per quanto concerne la questione sub c), non puo' ritenersi violato il principio di eguaglianza per effetto della norma censurata, la quale, nell'indicare il modo di determinazione della sanzione, fa riferimento ad un criterio che si giustifica proprio in relazione al diverso valore economico dell'albero di olivo e della sua produzione nelle varie zone del Paese; che, anche la questione sub d) non e' fondata perche', come e' stato gia' riconosciuto da questa Corte con riferimento a fattispecie penali, la pena pecuniaria fissa, commisurata cioe' al valore del bene oggetto di tutela, e' compatibile con il principio di legalita' "senza che a tale sistema si oppongano precetti costituzionali" (sentenze nn. 50 del 1980, 167 del 1971, 67 del 1963, 15 del 1962); che a identiche conclusioni deve pervenirsi anche per le sanzioni amministrative c.d. rigide, perche', una volta che sotto i gia' esaminati profili il criterio di determinazione non risulta ingiustificato, rispetto ad esse non puo' essere invocato, come invece richiede l'ordinanza di rimessione, l'art. 11 della legge 24 novembre 1981 n. 689, che consente al giudice di graduare la sanzione secondo i criteri ivi indicati, essendo tale previsione ovviamente dettata soltanto per le sanzioni amministrative fissate tra un limite minimo e un limite massimo; che, quindi, di fronte ad una sanzione pari al decuplo del valore del bene, il giudice dovra', usando gli strumenti offerti dall'art. 23 della citata legge n. 689 del 1981, valutare, adeguatamente motivando il suo giudizio, la congruenza della "base" di determinazione della sanzione, ovverosia del valore del bene oggetto di tutela, senza che cio' rappresenti un limite alla sua funzione, ne' all'obbligo di motivazione previsto dall'art. 111 della Costituzione, perche' tale obbligo sussiste ovviamente nell'ambito che la legge, che prevede l'illecito e la sanzione, riserva alle valutazioni e all'apprezzamento del giudice; e tale ambito, nella specie, e' costituito dal presupposto assunto a base del calcolo per la quantificazione della sanzione fissa prevista dalla legge in un multiplo del valore delle piante abbattute. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.