IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato il seguente decreto;
    Lette le istanze di fallimento proposte nei confronti della S.n.c.
 Bonomo  Import  di  Giuseppe Bonomo & C. con sede in Teramo, frazione
 Colleminuccio;
    Visti gli atti allegati e quelli assunti;
    Sentito il relatore e sciogliendo la riserva;
    Rilevato preliminarmente:
      che la debitrice risulta costituita in data 10 ottobre  1988  in
 forma  di  societa'  in  nome  collettivo  da Bonomo Giuseppe, nato a
 Teramo il 9 dicembre 1969, e  Bonomo  Sabrina,  nata  a  Teramo  l'11
 luglio  1967,  con  capitale  di  L.  10.000.000  per l'esercizio del
 commercio di bevande di vario genere;
    Ritenuto:
      che l'art. 1 della legge finanziaria esonera  dal  fallimento  i
 piccoli  imprenditori, da individuarsi - secondo il testo legislativo
 originario - in base  al  reddito  di  ricchezza  mobile  o  in  base
 all'entita' del capitale investito e dispone che "In nessun caso sono
 considerate piccoli imprenditori le societa' commerciali";
      che,  a  seguito  del  venire  meno  del criterio tributario per
 effetto della soppressione dell'imposta di  ricchezza  mobile  e  del
 criterio   sussidiario   (del  capitale  investito)  per  effetto  di
 sopravvenuta  declaratoria  di  incostituzionalita'  (sentenza  Corte
 costituzionale  22  dicembre  1989,  n.  570) la qualifica di piccolo
 imprenditore commerciale sembra doversi necessariamente desumere  dal
 disposto dell'art. 2083 del c.c., che ricomprende nella categoria dei
 "piccoli   imprenditori",   i  coltivatori  diretti  del  fondo,  gli
 artigiani e i piccoli commercianti,  privilegiando,  quale  connotato
 comune,   l'esercizio   di   "attivita'   professionale   organizzata
 prevalentemente  con  il  lavoro  proprio  e  dei  componenti   della
 famiglia";
    Considerato  che  la legge quadro per l'artigianato 8 agosto 1985,
 n. 443, estende la  qualifica  di  artigiano,  e  quindi  di  piccolo
 imprenditore,  anche  ai  gruppi  organizzati in forma di societa' in
 nome collettivo, subordinatamente alla condizione che non superino  i
 limiti dimensionali all'uopo prefissi;
      che  in  difetto  di  una  disciplina  analoga per gli esercenti
 piccole  attivita'  commerciali  in  forma  di   societa'   in   nome
 collettivo,  i medesimi risultano in ogni caso soggetti al fallimento
 - indipendentemente, appunto, dalle loro dimensioni - per effetto del
 richiamo disposto dall'art. 1, u.p. della  legge  finanziaria,  ormai
 tale, a seguito dell'evoluzione legislativa, da comportare una palese
 ed  irrazionale  disparita'  di  trattamento  tra le due categorie di
 piccole imprese (pure accomunate dalla disciplina dell'art. 2083  del
 c.c.),  posto  che  nell'uno e nell'altro caso si tratta di operatori
 che  non  perseguono  finalita'  di  lucro  o  di  profitto,  ma   di
 procacciamento   dei  mezzi  elementari  di  sussitenza  personale  e
 familiare;
      che il dubbio  di  costituzionalita'  dell'art.  1  della  legge
 finanziaria  -  nella  parte  in  cui  non  esonera dal fallimento le
 piccole societa' commerciali - non appare manifestamente infondato in
 relazione all'art. 3 della Costituzione mentre rilevante  risulta  la
 sua  risoluzione  ai fini della decisione, trattandosi di accertare -
 appunto - la fallibilita'  o  meno  di  una  impresa  organizzata  in
 societa'  in nome collettivo e di dimensioni meno che artigianali, in
 quanto caratterizzate dalla modesta entita' del capitale sociale  (L.
 10.000.000), dall'esiguo apporto di ciascuno dei soci (L. 5.000.000),
 dalla  mancanza di personale dipendente (come da informazioni dei CC.
 di Teramo) e, quindi, dal personale  ed  esclusivo  lavoro  dei  soci
 stessi;
    Considerato,  d'altra  parte,  che  non  possono  ritenersi  certo
 insussistenti le esigenze di economia processuale  e  le  ragioni  di
 carattere  sociale  che ispirarono il testo originario della norma di
 cui  trattasi  e  che,  secondo  l'insegnamento  della  stessa  Corte
 regolatrice,  "  ..  la  diversita'  di  trattamento  giuridico,  non
 giustificata da plausibili motivi,  ma  fondata  su  una  irrilevante
 differenza  di  situazioni,  viola  il  principio  di eguaglianza dei
 cittadini di fronte alla legge .." (Corte  costituzionale  22  aprile
 1965, n. 31);