IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nei ricorsi riuniti  promossi
 in  grado  di appello dall'I.N.P.S. sede di Treviso contro Abate Irma
 ed altri.
                           RILEVATO IN FATTO
    Che con varie sentenze, ora  impugnate,  il  pretore  di  Treviso,
 quale giudice del lavoro, aveva dichiarato che dal
 1º ottobre 1983 Abate Irma e gli altri ricorrenti - quali titolari di
 pensione diretta e di reversibilita' a carico dell'I.N.P.S. - avevano
 diritto  all'integrazione  al trattamento minimo sulla prima pensione
 ai sensi dell'art. 6, terzo comma, del d.-l. 12  settembre  1983,  n.
 463,  convertito  in  legge 11 novembre 1983, n. 683, ma conservavano
 tuttavia  l'importo  del  trattamento  gia'  in  corso  e  non   piu'
 integrabile  fino  al suo riassorbimento negli aumenti della pensione
 per effetto della perequazione automatica  (ai  sensi  del  quinto  e
 settimo comma del citato art. 6);
    Rilevato  che  l'I.N.P.S.  ha proposto appello avverso le predette
 sentenze;
    Rilevato che  nelle  more  del  presente  grado  del  giudizio  e'
 intervenuto  l'art.  4 della d.-l. 21 gennaio 1992, n. 14, intitolato
 "Norme di interpretazione autentica e in materia di personale" che al
 primo comma sancisce testualmente "l'art. 6, quinto  e  sesto  comma,
 del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazione con
 la  legge  11 novembre 1983, n. 683, si interpreta nel senso che, nel
 caso di concorso di due o  piu'  pensioni  integrate  al  trattamento
 minimo  liquidate  con  decorrenza  anteriore alla data di entrata in
 vigore del predetto decreto, l'importo del trattamento minimo vigente
 a  tale  data  e'  conservato  in  una  sola  delle  pensioni,   come
 individuata  con  i  criteri  previsti  al  terzo  comma dello stesso
 articolo";
    Rilevato che gli appellati con rispettive note  di  udienza  hanno
 sollevato  eccezione  di difetto di legittimita' costituzionale della
 predetta norma di legge per vari motivi;
    Rilevato che tale norma ha  perso  efficacia  ex  art.  77,  terzo
 comma,  della Costituzione non essendo stato il decreto convertito in
 legge nel termine di giorni sessanta dalla sua pubblicazione;
    Rilevato che il Governo ha pedissequamente reiterato  il  decaduto
 decreto con d.-l. 20 marzo 1992, n. 237;
    Rilevato  che  gli  appellati  hanno  riproposto  le  eccezioni di
 difetto di legittimtia' costituzionale con riferimento  al  reiterato
 d.-l. n. 237/1992;
    Tutto cio' premesso;
                          OSSERVA IN DIRITTO
    Ritiene il tribunale di dover esaminare anche ex officio per altri
 rilievi  la  legittimita'  costituzionale  della  norma di cui sopra,
 atteso che in pendenza del termine per la  conversione  in  legge  e'
 ammissibile  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  in  via
 incidentale che abbia ad oggetto  disposizioni  o  norme  di  decreto
 legge, trattandosi di atto che abbia forza di legge.
    La  rilevanza  della  questione  appare, poi, evidente giacche' la
 decisione delle domande  dipende  proprio  dalla  applicazione  della
 norma  che  deve  essere  investita  dalla  questione di legittimita'
 costituzionale.
    La  norma  in   oggetto,   infatti,   ha   esplicita   natura   di
 interpretazione  autenticata e conseguentemente connaturale efficacia
 retroattiva, giacche', in contrasto con  la  costante  giurisprudenza
 del  supremo  collegio condivisa dalla Corte costituzionale (sentenza
 n. 418/1991), intende imporrre una piu'  restrittiva  interpretazione
 autentica,  nel  senso  di  escludere  duplicita'  di integrazione al
 minimo nel caso di piu' pensioni a far data dal 1º ottobre 1983,  con
 conseguente   retroattiva  riduzione  del  trattamento  pensionistico
 complessivo "vigente" alla data predetta.
    Quanto, infine, alla "non manifesta infondatezza  della  questione
 di   legittimita'  costituzionale"  non  possono  essere  accolte  le
 eccezioni proposte - nei confronti della norma di cui all'art. 4  del
 d.-l.  21 febbraio 1991, n. 14, poi decaduto - dagli appellati atteso
 che il d.-l. di "interpretazione autentica" non  e'  di  per  se'  in
 contrasto   con  precetti  costituzionali,  potendo  il  legislatore,
 nell'esercizio  della   propria   "discrezionalita'",   imporre,   un
 significato  determinato  anche  con  effetto  retroattivo  (salvo il
 limite costituzionale  di  cui  all'art.  25  della  Costituzione)  a
 disposizioni  precedenti,  senza  con  cio',  interferire nella sfera
 riservata al potere giudiziario (cfr.  ordinanza  11  febbraio  1992,
 Corte  di  cassazione  in  Gazzetta Ufficiale prima serie speciale n.
 11/1992).
    Detta legittimita' formale non  esclude  pero'  che  l'esame  vada
 rivolto  al  contenuto  sostanziale  della  disposizione legislativa,
 anche sotto il profilo della sua retroattivita'.
    Invero  la  non  manifesta   infondatezza   della   questione   di
 legittimita'   costituzionale  della  norma  in  esame  discende  dal
 raffronto con i precetti costituzionali contenuti negli artt. 3 e 38,
 secondo  comma,   della   Costituzione   che   regolano   la   natura
 dell'istituto  del  trattamento pensionistico, e cioe' con i principi
 di parita' di trattamento e di adeguatezza alle esigenze vitali della
 prestazione previdenziale.
    Il problema sottostante, nel tentativo di conciliare  esigenze  di
 vita dei lavoratori e disponibilita' finanziarie della collettivita',
 e'  quello  di  fissare  limiti  precisi  alla  discrezionalita'  del
 legislatore ordinario. Da un lato  infatti  la  garanzia  di  cui  al
 citato  art.  38  della  Costituzione  impone  che  la  presentazione
 previdenziale sia assistita da meccanismi di perequazione  automatica
 e  che  si proceda ad una equa distribuzione delle risorse economiche
 disponibili: la adeguateza non deve sussistere solo  al  momento  del
 collocamento  a  riposo  ma  va  costantemente  assicurata  anche nel
 prosieguo in relazione ai mutamenti  del  potere  di  acquisto  della
 moneta;  d'altro lato la predetta garanzia costituzionale esclude una
 modifica legislativa che, intervenendo quando sia subentrato lo stato
 di quiescenza,  peggiorasse  "senza  una  inderogabile  esigenza"  in
 misura   rilevante   ed   in   maniera   definitiva   un  trattamento
 pensionistico in precedenza spettante.
    Il legislatore, infatti, con l'art. 6 del d.-l. 12 settembre 1983,
 n.  463,  convertito  in  legge  11  novembre  1983,  n.  683,  aveva
 parametrato  la  prestazione  minima  previdenziale  alla esistenza e
 percezione gia' in atto di piu' integrazioni al minimo,  riconoscendo
 che  tale  trattamento  corrispondeva  alla  esigenza  di prestazione
 adeguata garantita dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione.
    Tale giudizio era stato condiviso dalla Corte  costituzionale  con
 la citata sentenza n. 418/1991.
    In  pratica per espresso riconoscimento del legislatore il diritto
 del lavoratore a che siano garantiti mezzi adeguati alle sue esigenze
 di vita e' stato assicurato soltanto dal cumulo di piu'  integrazioni
 al minimo nell'ipotesi di concorso di due o piu' pensioni.
    Ora  non puo' il legislatore ordinario violare il predetto diritto
 costituzionale  del  lavoratore  negando  il  principio   della   cd.
 "cristallizzazione"  dell'importo  delle integrazioni al minimo cumu-
 late e diminuendo di  fatto  retroattivamente  quanto  in  precedenza
 aveva ritenuto adeguato alle esigenze di vita del lavoratore.
    Inoltre  risulta  violato  il  principio  di ragionevolezza di cui
 all'art. 3 della Costituzione, laddove  la  negazione  del  principio
 della  "cristallizzazione"  appare  sfornita di qualsiasi ragionevole
 giustificazione  ed  importa  immotivatamente   una   riduzione   del
 trattamento  pensionistico  complessivo  al  di  sotto  di  quanto in
 precedenza ritenuto sufficiente a garantire mezzi adeguati di vita.
    Va pertanto ordinata la immediata  trasmissione  degli  atti  alla
 Corte costituzionale e, sospeso il presente giudizio, va disposto che
 a  cura  della  cancelleria  la  presente ordinanza sia notificata al
 Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai  Presidenti
 della  Camera  dei  deputati e del Senato della Repubblica ex art. 23
 della legge 11 marzo 1953, n. 87.