ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 34, terzo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 22 novembre 1991 dal Pretore di Bergamo, sezione distaccata di Clusone, nel procedimento penale a carico di Bonicelli Pietro, iscritta al n. 45 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1992; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 6 maggio 1992 il Giudice relatore Ugo Spagnoli; Ritenuto in fatto 1. - Dovendo celebrare il dibattimento a carico di un imputato nei cui confronti, in occasione della condanna di altro soggetto, aveva ritenuto configurabili dei reati e percio' trasmesso i relativi atti al pubblico ministero ai sensi dell'art. 331 cod. proc. pen., il Pre- tore di Bergamo - sezione distaccata di Clusone - nel presupposto della sussistenza dell'ipotesi di incompatibilita' prevista dall'art. 34, terzo comma, cod. proc. pen., ha sollevato una questione di legittimita' costituzionale di tale disposizione, assumendone il contrasto con gli artt. 76, 25 e 101 Cost. Vi sarebbe, innanzitutto, violazione della legge delega n. 81 del 1987 - e, quindi, dell'art. 76 Cost. - in quanto la denuncia da parte del giudice di un'ipotesi di reato ravvisata nell'esercizio delle sue funzioni giurisdizionali non solo non equivale, ma "neppure assomiglia vagamente" alle ipotesi di incompatibilita' previste nella direttiva n. 67 dell'art. 2, e contrasta con la direttiva n. 1, dato che, "lungi dal semplificare, appesantisce irragionevolmente le attivita' processuali". Sarebbero violati, inoltre, gli artt. 25 e 101 Cost.: il primo, perche' il fatto ricadrebbe nel potere di cognizione del giudice ove fosse emerso prima della denuncia, sicche' la prevista incompatibilita' comporterebbe sottrazione del processo al suo giudice naturale; il secondo, perche' sarebbe irragionevole, da un lato assoggettare il giudice all'obbligo di denuncia dei reati (cfr. art. 361 cod. pen.) - obbligo che e' autonomo e indipendente da quello del pubblico ministero di iniziare l'azione penale - e dall'altro sottrargli la naturale competenza. Cio', anche perche' la previsione di incompatibilita' eccederebbe lo scopo di assicurare la terzieta', dato che essa non rientra in alcuno dei casi in cui la manifestazione da parte del giudice del proprio parere sull'oggetto del procedimento legittima la sua ricusazione (art. 37, lettera a) - in relazione all'art. 36, lettera c) - e lettera b)). 2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata. Sarebbe da escludere, innanzitutto, la violazione del principio del giudice naturale, in quanto la norma in questione, in concorso con le altre norme sulla competenza, serve ad individuare, sulla base di criteri generali e predeterminati, il giudice naturale. Ne' potrebbe ravvisarsi un eccesso di delega, dato che la direttiva n. 67 fissa soltanto i criteri fondamentali ed i principi ineliminabili che debbono presiedere alla disciplina della materia, ma non esclude che il legislatore delegato possa, in conformita' con i principi generali, integrare la disciplina; soprattutto quando, come nel caso in esame, si tratti di riprendere ipotesi di incompatibilita' ormai acquisite alla nostra tradizione processuale. Nemmeno, poi, potrebbe ritenersi violata la direttiva n. 1, dal momento che la previsione di ipotesi di incompatibilita', mirando a tutelare l'imparzialita' del giudice, e quindi un interesse primario del processo, comporta attivita' che debbono necessariamente ritenersi essenziali. Del pari da escludere sarebbe, infine, la violazione dell'art. 101 Cost., dato che la competenza non puo' dirsi sottratta perche' essa deriva da una lettura combinata delle disposizioni in materia di competenza e di incompatibilita'. La devoluzione ad altro giudice, inoltre, e' vicenda fisiologica del processo e non puo' intendersi come una sorta di sanzione nei confronti del giudice incompatibile. Considerato in diritto 1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Pretore di Bergamo, sezione distaccata di Clusone, dubita che l'art. 34, terzo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede l'incompatibilita' al giudizio del giudice che ha proposto denuncia per un reato rilevato nell'esercizio delle proprie funzioni ai sensi dell'art. 331 cod. proc. pen., contrasti: - con l'art. 76 Cost., in quanto tale ipotesi non sarebbe assimilabile a quella prevista dalla direttiva n. 67 della legge delega e, complicando anziche' semplificare l'attivita' processuale, contrasterebbe con la direttiva n. 1; - con l'art. 25 Cost., dato che comporterebbe sottrazione del processo al giudice naturale; - con l'art. 101 Cost., perche' sarebbe irragionevole sottrarre la competenza per effetto di una denuncia obbligatoria per legge. 2. - La questione non e' fondata. La denuncia dei reati perseguibili d'ufficio cui, ai sensi dell'art. 331 cod. proc. pen., sono tenuti i pubblici ufficiali - e quindi anche i giudici - che li rilevino nell'esercizio delle loro funzioni, presuppone l'individuazione degli elementi essenziali di un fatto ritenuto rispondente ad una data fattispecie incriminatrice e l'acquisizione di fonti di prova sufficienti a dare obiettiva concretezza alla correlativa valutazione di sussistenza degli estremi per l'esercizio dell'azione penale (arg. ex art. 332). L'inclusione di tale ipotesi tra le cause d'incompatibilita', benche' non espressamente prevista, non puo' dirsi contrastante con la direttiva n. 67 dell'art. 2 della legge delega, dato che, nel dettarla, il legislatore, non ha mostrato di volersi discostare dai criteri ispiratori della previgente disciplina, salve, ovviamente le innovazioni imposte dalla mutata struttura del procedimento: e l'intero terzo comma dell'art. 34 e' una sostanziale riproduzione del terzo comma dell'art. 61 del codice del 1930. La denuncia obbligatoria, inoltre, essendo un'attivita' di propulsione prodromica all'esercizio dell'azione penale, si colloca nell'orbita della funzione requirente in quanto strumentale al suo esercizio. Il considerarla come fonte di incompatibilita' al giudizio e', percio', coerente con un sistema processuale ispirato alla necessaria distinzione tra funzioni requirenti e giudicanti (cfr. la direttiva n. 67, prima e seconda parte e la sentenza n. 496 del 1990); tanto piu' che rilevare - come nel caso di specie - dalle risultanze di un procedimento penale in corso gli estremi di altro reato perseguibile d'ufficio e' attivita' sostitutiva di quella rientrante nel potere-dovere d'iniziativa del pubblico ministero. La configurazione della denuncia obbligatoria come causa d'incompatibilita' non puo', di conseguenza, considerarsi ne' irragionevole - e percio' lesiva dell'art. 101 Cost. - ne' contraddittoria con il principio di naturalita' del giudice, dato che questo non e' violato in caso di predeterminazione legale di spostamenti di competenza ritenuti necessari ad assicurare il rispetto di altri principi costituzionali, quali quello dell'imparzialita' del giudice.