LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al n. 6308/90 del r.g. aa.cc., proposto da Comunita' Montana della Maielletta zona P., in persona del presidente pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Tiburtina Antica, n. 13 presso lo studio dell'avv. Maurizio Gargiulo, rappresentata e difesa dall'avv.to Antonio Catalano e dall'avv. Fabrizio Fabrizi giusta delega a margine del ricorso. Ricorrente, contro comune di Rapino. Intimato. Per regolamento preventivo di giurisdizione in relazione al giudizio pendente innanzi alla commissione regionale per il riordinamento degli usi civici in Abruzzo iscritto al n. 4.4.90. Udita nella pubblica udienza tenutasi il giorno 19 dicembre 1991 la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore dott. Di Cio'. Udito l'avv. L. V. Moscarini p.d. Udito il p.m., nella persona del dott. M. Di Renzo avv.to gen.le presso la Corte suprema di cassazione che ha concluso: rimessione atti alla Corte costituzionale. PREMESSO IN FATTO Il comando della stazione forestale di guardiagrele con rapporto dell'11 novembre 1989, riferiva al commissario regionale per il riordinamento degli usi civici in Abruzzo che in agro del comune di Rapino, sul fondo riportato in catasto al foglio n. 115, particella n. 119, era stato costruito un fabbricato a servizio dell'artigianato artistico della ceramica, per iniziativa ed a cura della Comunita' montana, zona P della Maielletta. Il commissario anzidetto promuoveva d'ufficio azione giurisdizionale, convocando dinanzi a se' il sindaco di Rapino e il presidente della Comunita' montana della Maielletta. Nel presupposto che il cennato fondo fosse di natura demaniale civica universale, che non fosse stata concessa per l'edificazione l'autorizzazione prevista dall'art. 12 della legge 16 giugno 1927, n. 1766 e che il comportamento della Comunita' Montana comportasse implicita contestazione della ricordata natura del fondo abusivamente occupato, procedeva al fine di sentir dichiarare la natura demaniale civica universale del terreno indicato. Prima dell'udienza di comparizione, la Comunita' Montana della Maielletta zona proponeva ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, sostenendo l'eccesso di potere giurisdizionale rilevabile nell'azione commissariale come sopra iniziata. Il comune di Rapino non ha depositato scritti difensivi. O S S E R V A: In ordine alla carenza di giurisdizione si assume: a) il potere giurisdizionale del commissario, limitato alle controversie circa l'esistenza, la natura e l'estensione dei diritti di uso civico, circa la qualitas soli e l'appartenenza dei beni, non comprende l'accertamento dell'invalidita' di atti amministrativi e di negozi di diritto privato, riservato rispettivamente al giudice amministrativo ed al giudice ordinario; b) il potere giurisdizionale sulle rivendicazioni presuppone che vi sia una lite fra soggetti diversi circa l'appartenenza del bene, con la conseguenza che, in mancanza della lite fra i soggetti interessati (come nel caso di specie) l'ordine di reintegrazione a favore del comune puo' rientrare nelle attribuzioni amministrative della regione e non in quelle giurisdizionali del commissario; c) in ogni caso il potere giurisdizionale non puo' essere esercitato al di fuori di una espressa domanda della parte interessata. Si deduce altresi' che l'art. 29, primo comma, della legge n. 1766/1927, dopo l'entrata in vigore del d.P.R. n. 616/1977 - che ha trasferito alle regioni le attribuzioni di carattere amministrativo dei commissari - non puo' essere interpretato nel senso, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, che il commissario ha il potere di promuovere ex officio le controversie sulle quali ha giurisdizione, dovendosi ormai ritenere che l'iniziativa dei giudizi sia rimessa alle parti interessate ed alle regioni. Riconoscere, poi, la facolta' di promuovere il giudizio allo stesso giudice che deve pronunciare sulla fondatezza delle domande costituisce grave violazione del principio del contraddittorio, tale da rendere invalida la pronuncia. Queste Sezioni unite ritengono che rivesta importanza centrale la questione relativa alla permanenza, dopo il trasferimento alle regioni delle attribuzioni di carattere amministrativo gia' devolute al commissario dalla legge n. 1766/1927, del potere del commissario di promuovere ex officio le controversie per le quali egli stesso ha funzione di giudice. Essa e' stata gia' affrontata recentemente da questa Corte, in relazione ai ricorsi n. 5595 e 7068/1988, vertenti tra il comune di Pizzoferrato e la S.p.a. Delberg costruzioni junior ed altri: con ordinanza 20 settembre - 21 novembre 1991 e' stato deciso di rimettere alla Corte costituzionale l'esame della legittimita' costituzionale dell'art. 29, primo comma, della legge n. 1766/1927 - nella parte in cui prevede la promozione d'ufficio del giudizio commissariale - in relazione agli artt. 3, 24, primo e secondo comma, 101 e 118, primo e secondo comma, della Costituzione. La questione, ad avviso della Corte, non puo' essere risolta sul piano meramente interpretativo, come auspicato tra l'altro dalla ricorrente, dal momento che queste sezioni unite, in precedenti pronunce dalle quali non v'e' ragione di dissentire, hanno affermato che pur dopo l'entrata in vigore del d.P.R. n. 616/1977, il commissario conserva il potere di promuovere d'ufficio i giudizi ad esso riservati (cfr. sent. 3 agosto 1989, n. 3586). La possibilita' di espungere dal testo del primo comma dell'art. 29 della legge n. 1766/1927 la previsione che il commissario, oltre che su istanza delle parti interessate, possa procedere "anche di ufficio", puo' pertanto essere affidata solo all'intervento della Corte costituzionale, ravvisando questo collegio dubbi, non manifestamente infondati, di legittimita' della norma in relazione agli artt. 24, primo e secondo comma, 101 e 108, primo e secondo comma, della Costituzione. La rilevanza della questione nel pesente giudizio e' fuori discussione: da un lato nessun problema ad esso preliminare e' delineabile; dall'altro basti rilevare che senza l'iniziativa giurisdizionale del commissario il giudizio in esame non sarebbe sorto. Questa Corte ha sempre interpretato il primo comma dell'art. 29 nel senso che il commissario potesse procedere ex officio non solo per le operazioni di carattere amministrativo a lui affidate dalla legge n. 1766/1927, ma anche per i giudizi attribuiti alla sua giurisdizione. Al commissario e' stato pertanto riconosciuto il potere non solo di decidere determinate controversie, ma anche di promuoverle, ossia di formulare le specifiche domande giudiziali della cui fondatezza egli stesso era chiamato a conoscere e quindi di rivestire nel processo sia la parte di attore sia quella di giudice. Nelle controversie poteva quindi accadere che i soggetti del rapporto sostanziale fossero parti processuali del tutto anomale: coinvolte, anziche' in un contraddittorio fra di loro, insussistente e puramente formale, in un diverso contraddittorio reale fra loro congiuntamente da una parte, in veste sostanziale di convenuti, e il giudice dall'altra in veste di attore. Una situazione del genere puo' trovare spiegazione nel fatto che, nel sistema della legge n. 1766/1927, il commissario non era soltanto un giudice speciale, ma era anche un organo di amministrazione attiva e, come tale, portatore di interessi pubblici concreti che era tenuto a realizzare. L'anomalia dell'attore-giudice era un riflesso dell'anomalia amministratore-giudice la quale, in linea di principio, non era ritenuta non conforme a principi costituzionali (cfr. Corte costituzionale 25 maggio 1970, n. 73), con riferimento agli artt. 108, secondo comma, e 25 della Costituzione). Senonche', a seguito dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 616/1977 che ha trasferito alle regioni "tutte" le funzioni di carattere amministrativo in materia di usi civici attribuite dalle leggi anteriori al commissario ed al Ministero dell'agricoltura, deve ritenersi che il commissario oggi, sia soltanto un giudice che, come tale, non puo' e non deve essere portatore di alcun interesse particolare attinente alla materia degli usi civici, la cui cura non gli e' piu' attribuita. Di conseguenza non sembra che possa essergli riconosciuto il potere di promuovere "di ufficio" i giudizi dinanzi a se', la cui iniziativa dovrebbe essere rimessa in via esclusiva alle parti interessate ed alle regioni ex art. 10 della legge n. 1078/1930, richiamata dall'art. 66, sesto comma, del d.P.R. n. 616/1977, ossia ai portatori di interessi concreti e contrapposti, pubblico o privati, nelle singole controversie. Il dubbio di legittimita' costituzionale viene prospettato in riferimento all'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione. E' stata gia' rilevata la grave anomalia processuale derivante dal riconoscimento della possibilita' che il giudice rivesta contemporaneamente la figura di attore, il quale formula le domande e poi le istruisce in contraddittorio reale con i soggetti del rapporto sostanziale. Questa anomalia, mentre elimina la necessaria distinzione tra giudice e parte insita nel riconoscimento del diritto di agire (primo comma dell'art. 24), appare tale da menomare gravemente il diritto di difesa delle parti del rapporto sostanziale (secondo comma dell'art. 24) il quale si esplica, e deve esplicarsi, nella contrapposizione dialettica delle parti medesime e non nella contrapposizione con lo stesso giudice. Il dubbio di legittimita' costituzionale viene prospettato anche con riferimento all'art. 101 della Costituzione. Se il giudice e' soggetto "soltanto" alla legge e come tale si pone come garante del solo interesse generale della corretta applicazione della legge, non puo', senza contraddizione, essere contemporaneamente portatore di interessi particolari e concreti, anche se di carattere pubblico, ma propri della pubblica amministrazione, necessariamente subordinati alla proposizione di una domanda giudiziale. Il dubbio di legittimita' costituzionale viene prospettato infine con riferimento all'art. 118, primo e secondo comma della Costituzione. Dal momento che le funzioni amministrative in materia di usi civici sono state trasferite alle regioni con il d.P.R. n. 616/1977 e che il potere di promuovere giudizi a tutela dell'interesse pubblico relativo rientra nelle funzioni amministrative (cfr. art. 10, della legge 10 luglio 1930, n. 1078, richiamata dall'art. 66, sesto comma, del d.P.R. n. 616/1977), il riconoscimento di tale potere al commissario non sembra compatibile con l'autonomia delle regioni nell'ambito della sfera di amministrazione ad esse riservata dalla Costituzione. L'esercizio del diritto di azione, a tutela di un determinato interesse, comporta sempre una valutazione di carattere discrezionale che non sembra possa essere sottratta al soggetto, che in via esclusiva, in base alla legge, e' portatore dell'interesse medesimo. In definitiva l'indicata questione di legittimita' costituzionale non sembra manifestamente infondata; onde, in applicazione dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, la sua soluzione va rimessa alla Corte costituzionale, previa sospensione del presente giudizio.