LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al n. 4028/1991 del r.g. aa.cc., proposto dal condominio Altair, nonche' condominio Garage I e Garage II, in persona dell'amm.re pro-tempore, elettivamente domiciliati in Roma, via di Vigna Stelluti n. 176, presso lo studio dell'avv. Fabrizio Iannetti che li rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso, ricorrenti, contro il comune di Ovindoli, regione Abruzzo, Ministero dell'agricoltura e foreste - Ispettorato dipartimentale delle foreste dell'Aquila, e procuratore generale della corte dei conti, intimati, avverso la sentenza del commissario regionale per il riordinamento degli usi civili in Abruzzo, dep. il 16 gennaio 1991; Udita nella pubblica udienza tenutasi il giorno 23 gennaio 1992 la relazione della causa svolta dal cons. rel. dott. Di Cio'; Udito l'avv. Iannetti; Udito il p.m., nella persona del dott. Morozzo Della Rocca, sostituto procuratore generale presso la Corte suprema di cassazione che ha concluso per la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' art. 29 della legge n. 1766/1927 per contrasto con l'art. 24 della Costituzione. RITENUTO IN FATTO A mezzo di contratto in data 24 marzo 1990 - definito dalle parti di "conciliazione ai sensi dell'art. 30 della legge n. 1766/1927" - il sindaco di Ovindoli ed i condomini Altair, Garage I e II stipulavano la cessione definitiva, del comune ai condomini, della proprieta' di un terreno di mq. 39.200. I contraenti intendevano in tal modo definire la controversia demaniale conclusasi con la sentenza del commissario regionale per il riordinamento degli usi civici in Abruzzo del 12 novembre 1986, che aveva rigettato l'opposizione dei predetti condomini, avverso il progetto di verifica e sistemazione demaniale di alcuni terreni di Ovindoli, nel quale anche il terreno oggetto della conciliazione era stato classificato di natura demaniale civica. Il commissario anzidetto - ritenendo che era stata ormai accertata la natura demaniale del fondo in questione in quanto la ricordata sentenza del 1986 era esecutiva nella parte in cui disponeva la reintegra del terreno in favore del comune di Ovindoli; e che pertanto dovesse considerarsi nullo qualsiasi atto di disposizione in contrasto con l'accertata natura demaniale - sospendeva gli effetti dell'atto di conciliazione e contestualmente ordinava la comparizione dinanzi a se' del sindaco di Ovindoli e del legale rappresentante del condominio Altair e del condominio I e II. Instaurato il contraddittorio, lo stesso commissario con sentenza 10-16 gennaio 1991 dichiarava la natura demaniale civila del terreno in contestazione e, per l'effetto, la nullita' assoluta ed insanabile sia dell'atto di vendita stipulato tra il comune ed il condominio nel 1970 - in ordine al quale gia' la precedente sentenza aveva dichiarato la nullita' - sia del successivo atto di conciliazione tra le stesse parti, diretto a definire la controversia ancora pendente; con conseguente nuovo ordine di reintegra dell'immobile nel patrimonio comunale. Contro detta sentenza hanno proposto ricorso, ai sensi dell'art. 111 della Costituzione, i tre condomini, in base a tre motivi di cassazione. Il comune di Ovindoli non ha depositato controricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Va attribuita importanza centrale alla questione, posta dal terzo motivo di ricorso, se dopo il trasferimento alle regioni delle attribuzioni di carattere amministrativo gia' devolute al commissario dalla legge n. 1766/1927, permanga nel commissario stesso il potere di promuovere ex officio le controversie nelle quali egli ha funzione di giudice. In caso analogo (cfr. ordinanza 20 settembre-21 novembre 1991, in causa comune di Pizzoferrato contro S.p.a. Valle del Sole e S.p.a. Delberg Junior Costruzioni) queste sezioni unite hanno ritenuto non manifestamente infondato il dubbio di costituzionalita' dell'art. 29 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, nella parte in cui autorizza i commissari, per gli usi civici a promuovere d'ufficio procedimenti giudiziari. La questione, ad avviso della Corte, non puo' essere risolta sul piano puramente interpretativo, come auspicato dai ricorrenti dal momento che queste sezioni unite, in precedenti pronunce dalle quali non v'e' ragione di dissentire, hanno affermato che anche dopo l'entrata in vigore del d.P.R. n. 616/1977 il commissario conserva il potere di promuovere d'ufficio i giudizi ad esso riservati (cfr. sentenza 3 agosto 1989, n. 3586). La possibilita' di espungere dal testo del primo comma dell'art. 29 della legge n. 1766/1927 la previsione che il commissario, oltre che su istanza delle parti interessate, possa procedere "anche d'ufficio", puo' pertanto essere affidata solo all'intervento della Corte costituzionale, ravvisando questo collegio dei dubbi, non manifestamente infondati, di legittimita' costituzionale della norma, in relazione agli artt. 24, primo e secondo comma, 101 e 118, primo e secondo comma, della Costituzione. Questa Corte ha sempre interpretato il primo comma dell'art. 29 nel senso che il commissario potesse procedere ex officio non solo per le operazioni di carattere amministrativo a lui affidate dalla legge n. 1766/1927, ha anche per i giudizi attribuiti alla sua giurisdizione. Al commissario e' stato pertanto riconosciuto il potere non solo di decidere determinate controversie ma anche di promuoverle, ossia di formulare le specifiche domande giudiziali della cui fondatezza egli stesso era chiamato a conoscere, e quindi di rivestire nel processo sia la parte di attore sia quella di giudice. Nelle controversie poteva quindi accadere, com'e' accaduto nel caso in esame, che i soggetti del rapporto sostanziale (nella specie il comune alienante ed i soggetti privati acquirenti del terreno) fossero parti processuali del tutto anomale, coinvolte, anziche' in un contraddittorio tra di loro, insussistente e puramente formale, in un diverso contraddittorio reale fra loro congiuntamente da una parte, in veste sostanziale di convenuti, e il giudice dall'altra, in veste di attore. Una situazione del genere puo' trovare spiegazione nel fatto che, nel sistema della legge n. 1766/1927, il commissario non era soltanto un giudice speciale, ma anche un organo di amministrazione attiva e, come tale, portatore di interessi pubblici concreti che era tenuto a realizzare. L'anomalia dell'attore-giudice era un riflesso dell'anomalia amministratore-giudice la quale ultima, in linea di principio, non era ritenuta non conforme a principi costituzionali (cfr. Corte costituzionale 25 maggio 1970, n. 73, con riferimento agli artt. 108, secondo comma, e 25 della Costituzione). Senonche', a seguito dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 616/1977, che ha trasferito alle regioni tutte le funzioni di carattere amministrativo in materia di usi civili attribuite dalle leggi anteriori al commissario ed al Ministero dell'agricoltura, deve ritenersi che il commissario, oggi, e' soltanto un giudice che, come tale, non puo' e non deve essere portatore di alcun interesse particolare attinente alla materia degli usi civici, la cui cura non gli e' piu' attribuita. Di conseguenza non sembra che possa essergli riconosciuto il potere di promuovere "di ufficio" i giudizi dinanzi a se', la cui iniziativa dovrebbe essere rimessa in via esclusiva alle parti interessate ed alle regioni ex art. 10 della legge n. 1078/1930, richiamata dall'art. 66, sesto comma, del d.P.R. n. 616/1977; ossia ai portatori di interessi concreti e contrapposti, pubblici o privati, nelle singole controversie. Il dubbio di legittimita' costituzionale viene innanzi tutto prospettato con riferimento all'art. 24 della Costituzione. Si e' gia' rilevato la grave anomalia derivante dal riconoscimento della possibilita' che il giudice rivesta contemporaneamente la figura di attore, il quale formula le domande e poi le istruisce in contraddittorio reale con i soggetti del rapporto sostanziale. Questa anomalia, mentre elimina la necessaria distinzione tra giudice e parte insita nel riconoscimento del diritto di agire (primo comma dell'art. 24), appare tale da menomare gravemente il diritto di difesa delle parti del rapporto sostanziale (secondo comma dell'art. 24), il quale si esplica, e deve esplicarsi, nella contrapposizione dialettica delle parti medesime, e non nella contrapposizione con lo stesso giudice. Il dubbio di legittimita' costituzionale viene prospettato anche con riferimento all'art. 101 della Costituzione. Se il giudice e' soggetto "soltanto" alla legge e come tale si pone garante del solo interesse generale alla corretta applicazione della legge, non puo', senza contraddizione, essere contemporaneamente portatore di interessi particolari e concreti, anche se di carattere pubblico, ma propri della pubblica amministrazione, necessariamente sottesi alla proposizione di una domanda giudiziale. Il dubbio di legittimita' costituzionale viene prospettato infine con riferimento all'art. 118, primo e secondo comma, della Costituzione. Dal momento che le funzioni amministrative in materia di usi civici sono state trasferite alle regioni con decreto presidenziale n. 616/1977 e che il potere di promuovere giudizi a tutela dell'interesse pubblico relativo rientra nelle funzioni amministrative (cfr. art. 10 della legge 10 ottobre 1930, n. 1078, richiamata nell'art. 66, sesto comma, del d.P.R. n. 616/1977) il riconoscimento di tale potere al commissario non sembra compatibile con l'autonomia della regione, nell'ambito della sfera di amministrazione ad essa riservata dalla Costituzione. L'esercizio del potere di azione, a tutela di un determinato interesse, comporta sempre una valutazione di carattere discrezionale che non sembra possa essere sottratta al soggetto che in via esclusiva, in base alla legge, e' portatore dell'interesse medesimo. In definitiva, l'indicata questione di legittimita' costituzionale non sembra manifestamente infondata: onde, in applicazione dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la sua soluzione va rimessa alla Corte costituzionale, previa sospensione del presente giudizio.