LA CORTE D'APPELLO Visto il reclamo proposto, con ricorso depositato il 21 marzo 1992, da Cosimo La Barbera contro il decreto emesso dal presidente del tribunale di Palermo l'11 marzo 1992, con il quale e' stata rigettata l'istanza di cancellazione dal bollettino dei protesti, sul presupposto che la norma (art. 3 legge 12 febbraio 1955, n. 77, come emendato dall'art. 12 legge 12 giugno 1973, n. 349) e' dettata solo per le cambiali e non, come nella specie, per gli assegni bancari; Ritenuto che il reclamo va considerato ammissibile; difatti, non ignorando il decidente che una pur autorevole tendenza giurisdizionale (cass. 20 dicembre 1982, n. 7052) ha escluso l'impugnabilita' del provvedimento camerale in questione emesso dal presidente del tribunale, va per converso rilevato come meriti di essere condivisa la diversa soluzione interpretativa (fra le ultime, app. Milano, 1ยบ marzo 1990, ric. Bucchi) la quale procede dalla piu' perspicua prospettiva di una generale regola di reclamabilita' dei provvedimenti camerali (artt. 739 e 742- bis del c.p.c.), salvi i casi di espressa - ma per questo tassativa - irreclamabilita' (ubi voluit dixit), desumibile da un sistema connotato da fattispecie variamente disciplinate sia per il contenuto e l'oggetto del provvedimento, sia per la individuazione dell'organo investito della relativa cognizione (nonche' per la sua stessa composizione, monocratica o collegiale); Ritenuto che a tale soluzione non puo' essere d'ostacolo l'eventuale impugnabilita' con ricorso straordinario per cassazione (art.11 della Costituzione) di tutti i provvedimenti, come quello in discussione, incidenti su posizioni di diritto soggettivo e dotati di tendenziale definitivita', atteso che tale ultimo rimedio, esperibile per un controllo di legittimita', comprime certamente (come attenta dottrina processualistica ha denunciato) il diritto ad un riesame nel merito del provvedimento (quando appunto lesivo di posizioni soggettive individuali); Rilevato, peraltro, che ove una tale soluzione interpretativa non dovesse prospettarsi adeguatamente giustificata dal dato normativo vigente, il sistema che lo esprime risulterebbe, con congrua certezza, a sua volta viziato dall'irragionevole compromissione del diritto di difesa (art. 24 della Costituzione), di guisa che, fermo restando il potere-dovere da parte del decidente di affermare, anche a questi soli fini, la propria cognizione, la stessa Corte costituzionale qui adita in via incidentale avrebbe potere, anche d'ufficio, di interloquire sul dubbio cosi' sollevato in via eventuale e subordinata; Ritenuto che la questione di legittimita' costituzionale e' rilevabile (d'ufficio) in questa sede, non potendosi dubitare della veste giurisdizionale del presidente (del tribunale e della corte d'appello) adito per il chiesto provvedimento di giustizia; ed e' certamente rilevante ai fini della decisione, siccome propedeutica all'esame nel merito della doglianza devoluta (illegittimita' del protesto); Ritenuto, infatti, che non appare manifestamente infondata, in relazione all'art. 3 della Costituzione (principio di eguaglianza) dell'art. 3 della legge 12 febbraio 1955, n. 77, come emendato dall'art. 12 legge 12 giugno 1973, n. 349, nella parte in cui non consente al traente di un assegno bancario protestato di ottenere la cancellazione del proprio nome dal bollettino dei protesti, a differenza del debitore cambiario, a cui favore analogo diritto e' invece assicurato (sotto condizione del pagamento, entro cinque giorni dal protesto, dell'importo della cambiale); Ritenuto che, per vero, la Corte costituzionale, con recente pronunzia (sentenza 5 luglio 1990, n. 317), ha dichiarato non fondata un'identica questione sottoposta al suo vaglio, ma che essa appare meritevole di riesame sotto il nuovo e diverso profilo delle consistenti innovazioni, nel sistema, introdotte dall'entrata in vigore della legge 15 dicembre 1990, n. 386, e cio' proprio in base alle stesse motivazioni addotte dalla Corte a sostegno della statuizione; Rilevato, infatti, che la Corte aveva fondato (in modo sostanzialmente esclusivo) la propria decisione sul rilievo della diversita' del regime giuridico e sanzionatorio del protesto dell'assegno bancario rispetto al protesto della cambiale, giudicando non irrazionale la disparita' di trattamento espressamente voluta dal legislatore (come testimoniato dalla previsione, nel corpo della legge impugnata, di specifiche disposizioni in materia di assegno, che dunque lo stesso legislatore aveva ben presente nell'atto di formulare la disciplina complessiva); Ritenuto, pero', che la legge n. 386/1990, pur non eliminando quella differenza di regime giuridico, ha tuttavia introdotto piu' consistenti novita' nel regime sanzionatorio, in particolare con la previsione di una condizione di procedibilita' (art. 8) per l'esercizio dell'azione penale anche dopo il protesto dell'assegno bancario, di guisa che la disparita' di trattamento (fra traente dell'assegno e debitore cambiario, gia' riconosciuta - come legittima - dalla Corte) resterebbe adesso affidata alla sola diversita' della funzione tipica dei due titoli di credito e dunque alla sola circostanza che, nell'assegno, l'emissione (rectius, la conseguente presentazione) e' correlata all'esistenza della provvista, a quella data, presso il trattario; talche', in sostanza, la "sanzione" del protesto (dell'assegno) resterebbe giustificata solo dal fatto che (alla data di presentazione del titolo) non esistevano i fondi necessari, fermo restando tuttavia il maggior favore accordato sul piano della perseguibilita' penale della condotta, difatti subordinata al decorso del termine utile (sessanta giorni) per il pagamento successivo; Ritenuto che la pur immanente diversita' delle due fattispecie (protesto dell'assegno e protesto della cambiale) giustifica comunque un riesame della questione da parte della Corte costituzionale, che dovra' decidere se, nel nuovo regime, la disparita' di trattamento continui ad essere legittima in relazione al principio costituzionale di uguaglianza; Considerato, infatti, che tale diseguaglianza sembra divenuta irragionevole a seguito della entrata in vigore della legge n. 386/1990, dal momento che l'avvenuto pagamento dell'assegno, degli interessi, della penale e delle spese di protesto restituisce il traente (che abbia emesso il titolo senza l'utile disponibilita' della provvista) ad una condizione di completa legalita', sia perche' costui non e' piu' esposto ad alcuna conseguenza sanzionatoria sia perche' ha pure attuato un integrale ristoro nei confronti del creditore anche in ordine ai danni dipendenti dal mero ritardo, e cio' a differenza che nella cambiale, dove il debitore (al fine di conseguire la cancellazione del protesto) e' tenuto a pagare solo l'importo cartolare; Rilevato, infine, che la completa chiusura del sistema verso l'ipotesi di protesto dell'assegno implica pure la totale mancanza di qualsiasi difesa in relazione ad una condotta eventualmente irreprensibile del traente (come quella dedotta nel caso qui devoluto, dove il ricorrente ha addotto di avere emesso il titolo prima ancora che la banca gli avesse notificato la revoca dell'affidamento in scopertura); di guisa che, negandosi pure l'opportuna iniziativa da parte dell'azienda di credito (o del notaio, cui compete il concorrente potere di chiedere la cancellazione del protesto cambiario erroneamente levato), l'interessato resterebbe privo, irragionevolmente, di un diritto di difesa in dispregio del principio di cui all'art. 24 della Costituzione; Ritenuto, pertanto, che va sospesa la decisione;