IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Ha pronunciato la seguente ordinanza;
    Letti gli atti del procedimento penale sopraindicato nei confronti
 di  Maino  Stefania,  nata  a  Torino  il  1ยบ  ottobre 1963, di fatto
 domiciliata  in  Giaveno,  via  F.lli  Piol,  n.  56,  presso  Alesso
 Giovanni,  non  meglio identificata; in ordine al reato p. e p. dagli
 artt. 624 e 625 del c.p., commesso in Torino, il 16 aprile  1991,  in
 danno di Meda Gian Luca, Cesano Aurelia e Caprioglio Paolo;
                             O S S E R V A
    Il  24  aprile 1991 Meda Gian Luca e Caprioglio Paolo presentavano
 ai Carabinieri denuncia contro l'indagata,  ritenendola  responsabile
 di  due  distinti episodi di furto, avvenuti nel medesimo contesto ed
 eseguiti con modalita' analoghe e i verbalizzanti, con  comunicazione
 di  notizia  di  reato  in  pari  data,  trasmettevano la denuncia al
 Procuratore della Repubblica  presso  questa  pretura  circondariale.
 Iscritta  la  notizia in data 3 maggio 1991 e disposte soltanto delle
 ricerche tendenti alla  migliore  identificazione  dell'indagata,  il
 pubblico  ministero  chiedeva  a  questo  ufficio l'archiviazione del
 procedimento, ritenendo che a carico della Maina -  alla  luce  della
 sola  denuncia  -  gravassero  solo  dei  sospetti, mentre non era da
 escludere che "altre persone siano intervenute e possano  essere  gli
 autori dei furti".
    Questo  giudice  rilevava  la  necessita'  delle indagini indicate
 nella relativa ordinanza e fissava il termine di tre mesi per il loro
 compimento, restituendo gli atti al pubblico ministero.
    L'organo  dell'accusa  impugnava  tale  provvedimento,  proponendo
 ricorso  per  cassazione  per violazione delle disposizioni contenute
 negli artt. 409 e 127 del codice di procedura penale e  la  Corte  di
 cassazione   accoglieva   il   ricorso   e   dichiarava  la  nullita'
 dell'ordinanza emessa da questo ufficio, con rinvio a  questo  stesso
 giudice per le indagini preliminari per il nuovo giudizio.
    L'istituto   dell'archiviazione   nel  procedimento  pretorile  e'
 regolato dal primo e secondo comma dell'art. 554 del c.p.p. e, cioe',
 con  una  disciplina  appositamente  prevista  per   tale   tipo   di
 procedimento  e  non,  invece,  attraverso il meccanismo del generale
 rinvio alle norme  relative  al  procedimento  davanti  al  tribunale
 contenuto nell'art. 549 del c.p.p.
    Il  legislatore,  evidentemente,  ha ritenuto di dover ridisegnare
 tale istituto  con  una  disciplina  piu'  agile  e  piu'  adatta  al
 procedimento  di  competenza del pretore, piuttosto che richiamare la
 piu' complessa e lenta procedura prevista per il procedimento davanti
 al tribunale, ancorche' astrattamente applicabile.
    Senonche', nel dettare la relativa normativa,  il  legislatore  ha
 tralasciato   di  regolamentare  alcuni  aspetti  rilevanti  di  tale
 istituto, quali quello relativo alla disciplina  della  procedura  da
 seguire  nel caso della presentazione dell'opposizione alla richiesta
 di  archiviazione  da  parte  della  persona   offesa,   quello   del
 coordinamento  del  termine  previsto  per il procuratore generale in
 caso di avocazione del procedimento a norma dell'art. 412 del  c.p.p.
 e  del  termine  per la formulazione dell'imputazione per il pubblico
 ministero dettato dallo stesso art. 554 del c.p.p. e quello,  infine,
 relativo  alla disciplina da applicare nel caso in cui il giudice per
 le   indagini   preliminari,   destinatario   della   richiesta    di
 archiviazione   del   pubblico   ministero,  ritenesse  eventualmente
 necessarie ulteriori indagini.
    Per  questa  ragione,  sono  state  introdotte   le   disposizioni
 contenute  negli  artt. 156, 157 e 158 delle norme di attuazione, con
 le quali, appunto, si e' inteso colmare le lacune di cui si e'  detto
 e   l'art.  157,  in  particolare,  e'  stato  previsto  proprio  per
 regolamentare il caso in cui il giudice per le  indagini  preliminari
 avvertisse la necessita' di ulteriori indagini.
    Tale  disposizione  e'  stata  interamente  dichiarata illegittima
 dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 445 del 12 ottobre 1990
 e l'effetto di questa decisione, provocando di fatto la  soppressione
 della   disposizione  medesima,  sarebbe  stato  quello  di  lasciare
 l'istituto dell'archiviazione nel procedimento  pretorile  nuovamente
 privo  di regolamentazione nel caso in cui il giudice per le indagini
 preliminari,  dinanzi  alla  richiesta  di  archiviazione,  ritenesse
 necessarie  ulteriori  indagini.  Nella  stessa sentenza, percio', la
 Corte costituzionale, nell'ottica dei criteri della ragionevolezza  e
 della  coerenza,  ha dichiarato anche l'illegittimita' costituzionale
 del secondo comma dell'art. 554 del c.p.p., nella parte in  cui  esso
 non  prevede  che,  di  fronte  ad  una  richiesta  di  archiviazione
 presentata per infondatezza della notizia di reato il giudice per  le
 indagini  preliminari  presso  la  pretura  circondariale, se ritiene
 necessarie  ulteriori  indagini, le indichi con ordinanza al pubblico
 ministero, fissando il termine indispensabile per il loro compimento.
    Nella conseguente pratica applicazione del principio fissato dalla
 Corte costituzionale, su ricorso del pubblico ministero  destinatario
 dei provvedimenti a tal riguardo adottati dal giudice per le indagini
 preliminari,  piu'  volte  la Corte di cassazione e' stata chiamata a
 stabilire se l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari, con
 cui si dispongono le altre indagini e si fissa il termine al pubblico
 ministero per il relativo compimento, debba essere adottata anche  in
 pretura solo a seguito dell'udienza prevista dall'art. 409 del c.p.p.
 oppure  essa  possa  essere  emessa  de  plano  senza  bisogno  della
 fissazione dell'udienza.
    In seno alla suplema Corte si sono, cosi', delineate due  tendenze
 interpretative  in  ordine  alla  riferita  questione,  piu'  o  meno
 paritarie, se si ha riguardo al numero delle relative  decisioni:  la
 prima, che si condivide, secondo la quale l'udienza non e' necessaria
 (cosi':  sez.  terza,  6 maggio 1991, n. 2212; sez. quarta, 9 ottobre
 1991, n. 649; sez. quarta, 9 dicembre 1991, n.  856;  sez.  sesta,  6
 marzo  1992,  n.  707);  la  seconda,  con  la  quale  si  ravvisa la
 necessita' della fissazione dell'udienza in  camera  di  consiglio  e
 dell'integrazione  del  contraddittorio  tra  le  parti  prima  della
 decisione del giudice (cosi': sez. prima, 26 settembre 1991, n. 3407;
 sez. quinta, 28 dicembre 1991, n. 1994; sez. seconda, 24 marzo  1992,
 n.  1273;  sez.    seconda,  30  marzo  1992,  n.  1490). Tali ultime
 sentenze, con le quali sono state annullate le ordinanze del  giudice
 per  le indagini preliminari emesse in mancanza dell'udienza, trovano
 il loro fondamento principalmente nell'esigenza di adeguare  il  rito
 seguito  dal  pretore  in  tale  fase,  successivamente  alla  citata
 sentenza n. 445 della Corte costituzionale, a  quello  corrispondente
 previsto  per  i  procedimenti davanti al tribunale dall'art. 409 del
 c.p.p.
    Non  si  ritiene  di  poter  concordare   con   questo   tipo   di
 interpretazione,  sia  perche'  esso  si  basa su premesse che non si
 condividono, ne' sul piano  giuridico,  ne'  su  quello  logico,  sia
 perche',  in ogni caso, le conseguenze che ne derivano, ancor piu' si
 discostano proprio dagli scopi e dalle ragioni che lo sorreggono.
    La Corte costituzionale, invero, con la citata sentenza n. 445 del
 1990, non ha assolutamente toccato il  problema  della  procedura  da
 seguire  da  parte  del giudice per le indagini preliminari presso la
 pretura che avvertisse la necessita' delle ulteriori indagini, ne' ha
 rilevato  differenze  e  diversita'  con  la  procedura  seguita  nei
 procedimenti  davanti  al  tribunale  che non trovino giustificazione
 nell'ottica della coerenza e della ragionevolezza, ne' -  per  quanto
 riguarda   la   procedura  da  seguire,  appunto  -  ha  fatto  alcun
 riferimento all'art. 409 del  c.p.p.,  che  non  viene  assolutamente
 richiamato, infatti, nel dispositivo della sentenza in parola.
    L'organo  della  Consulta,  una  volta dichiarata l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 157 delle norme di attuazione,  ha  soltanto
 ritenuto  necessario  colmare  il  vuoto  che  si  sarebbe creato nel
 procedimento  pretorile  ("  ..  La  declaratoria  di  illegittimita'
 costituzionale dell'art. 157 delle norme di attuazione, riportando la
 situazione  normativa  a  quella  risultante  dalla pubblicazione del
 codice di procedura penale  anteriormente  alla  pubblicazione  delle
 norme  di attuazione, di coordinamento e transitorie rende necessario
 affrontare   anche   la   questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 554, secondo comma, del codice di procedura penale,  sempre
 nell'ottica della ragionevolezza e della coerenza della soluzione che
 se  ne  ricava  per  l'ipotesi  in  cui  il  giudice  per le indagini
 preliminari  presso  la  pretura,  di  fronte   alla   richiesta   di
 archiviazione  del  pubblico  ministero, ritenga necessarie ulteriori
 indagini ..").
    Sarebbe ben  strano  che  la  Corte,  se  avesse  ritenuto,  cosi'
 disponendo, di creare un altro vuoto normativo, questa volta relativo
 alla  procedura  da  applicare  da  parte del giudice per le indagini
 preliminari di pretura nell'indicazione delle ulteriori indagini, non
 l'avesse rilevato ed espressamente evitato,  proprio  come  la  Corte
 stessa  ha  fatto  per colmare il vuoto creatosi in conseguenza della
 caducazione dell'art. 157  delle  norme  di  attuazione.  Un  mancato
 intervento  in  tal  senso  da  parte della Corte sarebbe ancora meno
 spiegabile, se si ha riguardo alla natura della sentenza  emessa.  In
 questo  caso,  infatti,  come pure ha rilevato la Corte di cassazione
 con le decisioni che si condividono, la Corte costituzionale  non  ha
 pronunciato una sentenza interpretativa con la quale - trattandosi di
 rigetto  della questione - non avrebbe potuto integrare gli eventuali
 vuoti conseguenti alla decisione, per colmare i quali  sarebbe  stato
 compito del legislatore intervenire successivamente. Questa di cui si
 tratta  e' una sentenza cosi' detta "additiva", con la quale la Corte
 intervenendo  direttamente   sulle   norme   prese   in   esame   con
 l'accoglimento  della  questione  che era stata proposta, ben avrebbe
 potuto e dovuto dettare tutte le modalita' per evitare le conseguenze
 di vuoto normativo, derivanti dalla pronuncia di  incostituzionalita'
 e, in effetti, la Corte si e' regolata proprio in tal modo.
    Cio',  pero',  esclude  che  la  decisione  in parola possa essere
 interpretata nel senso che si ritiene di dover respingere.
    Piu' strano ancora, poi, apparirebbe  l'effetto  conseguito  dalla
 decisione  in  questione,  se  la  si interpretasse nell'ottica della
 necessita'  della   fissazione   dell'udienza   in   pretura,   prima
 dell'eventuale indicazione delle indagini da compiere.
    Come  si  e'  osservato, la Corte costituzionale, nell'adottare la
 decisione che qui si esamina, si e' espressamente ispirata e attenuta
 a criteri di coerenza e ragionevolezza della  soluzione  sistematica.
 Risulterebbe,  percio',  davvero  inspiegabile  che  l'effetto  della
 pronuncia possa essere stato quello di determinare un'irragionevole e
 ingiustificata  diversita'  di  procedure,   proprio   nel   medesimo
 procedimento  pretorile,  a  seconda  che  il giudice per le indagini
 preliminari,  non   ritenendo   di   accogliere   la   richiesta   di
 archiviazione  del  pubblico  ministero,  decidesse di indicare altre
 indagini   da   compiere   ovvero   di   disporre   la   formulazione
 dell'imputazione.
    Nel   primo   caso,  infatti,  sarebbe  necessaria  la  fissazione
 dell'udienza e si seguirebbe la procedura per essa prevista dall'art.
 409 del c.p.p. Nella seconda eventualita', invece, pur trattandosi di
 un  provvedimento  processualmente  piu'  drastico   e   impegnativo,
 continuerebbe a trovare applicazione la disciplina pretorile prevista
 nel  secondo  comma  dell'art.  554 del c.p.p., non interessata e non
 coinvolta dalla sentenza n. 445 di cui si discute (in tal  senso,  da
 ultimo,  Cass. sez. prima, sentenza n. 4460 del 25 novembre 1991, con
 cui si e' ritenuta non  ricorribile  l'ordinanza  con  cui  e'  stata
 disposta  dal  giudice  per  le  indagini preliminari la formulazione
 dell'imputazione a norma dell'art. 554, secondo comma, del c.p.p.).
    Ed invero, la  Corte  costituzionale  non  ha  ritenuto  di  dover
 modificare  la  procedura prevista in materia di archiviazione per il
 rito pretorile, ma, tenendo ferma  la  struttura  dell'art.  554  del
 c.p.p.,  ha  solo  integrato  il  dettato  del  secondo comma di tale
 articolo,  aggiungendo  che  "di   fronte   ad   una   richiesta   di
 archiviazione  presentata per infondatezza della notizia di reato, il
 giudice per le indagini preliminari, se ritiene necessarie  ulteriori
 indagini,  le indica con ordinanza al pubblico ministero, fissando il
 termine indispensabile per il loro compimento".
    I fautori dell'opposta  tesi  appaiono  quasi  tutti  mossi  dalla
 necessita'  di  evitare  soprattutto  la  "lesione  dei  principi  di
 uguaglianza", causata dalla mancanza della celebrazione  dell'udienza
 in  pretura, che renderebbe "impugnabile il provvedimento del giudice
 per le indagini preliminari  presso  il  tribunale  ed  inoppugnabile
 quello  reso  dal  giudice  per  le  indagini  preliminari  presso la
 pretura".
    Tale rilievo, che a prima vista puo' suggestivamente  apparire  di
 notevole  peso,  non  risulta,  pero',  assolutamente  fondato, se si
 esaminano le possibilita' di impugnazione  dell'ordinanza  emessa  in
 tribunale a norma dell'art. 409 del c.p.p.
    Nel secondo comma di tale articolo, trattandosi di udienza in cam-
 era  di  consiglio,  e'  contenuto  un espresso richiamo alle "forme"
 previste  dall'art.  127.  Per  quanto  riguarda  la   ricorribilita'
 dell'ordinanza  pronunciata  al  termine dell'udienza, il sesto comma
 dell'art. 409 testualmente dispone: "L'ordinanza di archiviazione  e'
 ricorribile  per  cassazione  solo  nei  casi  di  nullita'  previsti
 dall'art. 127, comma quinto". Mentre, dunque, il rinvio all'art.  127
 del  c.p.p.  e' generale, quanto alle forme, nessun richiamo e' stato
 operato per quanto riguarda, invece, le possibilita' di  impugnazione
 del  provvedimento  del  giudice per le indagini preliminari emesso a
 conclusione  dell'udienza  stessa,  tanto  che  il   legislatore   ha
 avvertito la necessita' di disciplinare espressamente e autonomamente
 tali possibilita', proprio attraverso il citato sesto comma dell'art.
 409.  Cosi'  disponendo,  il  legislatore  ha  enormemente delimitato
 l'ambito della  ricorribilita'  dell'ordinanza  del  giudice  per  le
 indagini  preliminari,  restringendolo  ai  soli  casi  di  nullita',
 derivanti   dall'omesso   avviso   alle   parti   della    fissazione
 dell'udienza,  dalla violazione del principio del contraddittorio per
 le parti intervenute all'udienza medesima, dalla mancata  valutazione
 del legittimo impedimento dell'imputato e del condannato che avessero
 chiesto di essere sentiti personalmente.
    Il legislatore, anzi, non solo ha limitato soltanto a tali casi la
 possibilita'  dell'impugnazione, ma ha anche testualmente previsto la
 ricorribilita' per la sola ordinanza di archiviazione,  in  tal  modo
 escludendo proprio l'ordinanza con cui il giudice impone le ulteriori
 indagini ovvero dispone la formulazione dell'imputazione.
    La  ricorribilita'  contro  tali  ultimi  provvedimenti  e'  stata
 ricuperata, in un secondo momento, dalla Corte di cassazione  che  ha
 stabilito  che  "i  provvedimenti  ordinatori previsti dall'art. 409,
 comma quinto, del codice di procedura penale - ad eccezione di quello
 di archiviazione, che e' ricorribile ai sensi del n. 6  della  citata
 norma  -  non  sono impugnabili, in mancanza di espressa disposizione
 della legge, siccome prescrive l'art. 568 codice di procedura penale.
 I   suddetti   provvedimenti,   quindi,   sono  ricorribili  soltanto
 nell'ipotesi di nullita' per violazione del contraddittorio"  (cosi',
 cass.,  sezione  prima,  sentenza  n.  3205 del 24 settembre 1991. In
 senso conforme: sez. prima, 5 aprile 1990 e  sez.  sesta,  26  maggio
 1990).
    Non  e'  questa  la  sede per esaminare tale ultimo problema e per
 stabilire se siano impugnabili tutte le ordinanze emesse dal  giudice
 per le indagini preliminari a seguito dell'udienza prevista dall'art.
 409  del  c.p.p.  ovvero  solo  le  ordinanze  di archiviazione, come
 testualmente stabilito dal legislatore.
    Cio' che rileva in questa sede  e'  che,  indipendentemente  dalla
 soluzione  di  tale  questione, comunque le ordinanze pronunciate dal
 giudice  per  le  indagini  preliminari  in  tribunale,   a   seguito
 dell'udienza  tenuta a norma dell'art. 409 del c.p.p., possono essere
 impugnate solo per ragioni di nullita' relative alla fissazione, alla
 tenuta ed allo svolgimento dell'udienza medesima,  rimanendo  esclusa
 dalla  ricorribilita',  infatti, ogni questione attinente al merito e
 al contenuto delle ordinanze di cui si tratta.
    L'impugnabilita' di  tali  provvedimenti,  in  altri  termini,  e'
 stabilita  e  limitata  soltanto a casi relativi a vizi di procedura,
 previsti a pena di nullita', ma essa non  e'  estesa  anche  a  vizi,
 formali  o sostanziali, dell'atto impugnato, sempre che non si faccia
 ricorso ai principi generali che esulano, in ogni caso, dal  problema
 che qui si esamina.
    Poiche',  dunque,  l'impugnazione  del  provvedimento  emesso  dal
 giudice  per  le  indagini  preliminari  di  tribunale  e'  destinato
 soltanto  a  rimuovere i vizi relativi alla mancata fissazione ovvero
 alla non corretta tenuta proprio di quell'udienza, di  cui  e'  stata
 avvertita  la  necessita'  anche per i procedimenti di competenza del
 pretore, affermare che il fatto che, nel primo caso, i  provvedimenti
 siano   impugnabili   (e,   cioe',   consentano  il  controllo  sulla
 regolarita' della procedura seguita nella tenuta dell'udienza) e  nel
 secondo  caso  no,  comporti  una lesione ai principi di uguaglianza,
 equivale a sostenere che tale lesione si verifica per il  solo  fatto
 che  in  tribunale venga tenuta l'udienza, mentre per il pretore essa
 non sia prevista.
    Il  vero   problema,   allora,   non   e'   quello   dell'astratta
 impugnabilita'  dei  conseguenti  provvedimenti  del  giudice, bensi'
 quello relativo alle scelte del legislatore che -  come  osservato  -
 per  disciplinare  l'istituto  dell'archiviazione del pretore, non ha
 ritenuto di operare il rinvio alle corrispondenti norme previste  per
 i  procedimenti  di  competenza del tribunale, ma ha, invece, dettato
 regole e procedura piu' semplici e agili. E  la  relativa  soluzione,
 comunque,  dovrebbe  necessariamente  riguardare anche il caso in cui
 dal  giudice  per  le  indagini   preliminari   venga   disposta   la
 formulazione dell'imputazione e il caso in cui venga presentata dalla
 persona  offesa  opposizione  alla  richiesta  di archiviazione e non
 soltanto quello in cui  sia  ravvisata  la  necessita'  di  ulteriori
 indagini.
    Il  livello  della  questione,  insomma, si sposta al piu' elevato
 rango del controllo circa la legittimita' costituzionale delle scelte
 operate dal legislatore e  non  puo'  trovare  soluzione  in  via  di
 interpretazione,  con  la quale si introdurrebbe il rischio di creare
 disparita'  ancora  piu' gravi di quelle ravvisate e, soprattutto, di
 applicare una normativa del tutto inesistente e presente  solo  nella
 mente dell'interprete. Nel caso di specie, poi, gli effetti sarebbero
 ancora  piu' gravi, non solo perche' - come osservato - nessuna delle
 due  tendenze  interpretative  riesce   ad   avere   il   sopravvento
 sull'altra,  determinando  una  situazione di incertezza assoluta, ma
 anche perche' si rischierebbe di seguire la procedura prevista per  i
 procedimenti  di  competenza del tribunale nel caso in cui il giudice
 ravvisi  la  necessita'  di  altre  indagini,   mentre   occorrerebbe
 continuare   a  seguire  la  procedura  prevista  dal  secondo  comma
 dell'art.  554  del  c.p.p.,  quando  il  giudice  per  le   indagini
 preliminari in pretura ritenga di dover imporre al pubblico ministero
 la formulazione dell'imputazione.
    E  che dire, poi, se il giudice per le indagini preliminari presso
 la pretura,  non  ritenendo  di  poter  accogliere  la  richiesta  di
 archiviazione  avanzata dal pubblico ministero e immaginando di dover
 indicare altre indagini, fissi l'udienza in  camera  di  consiglio  a
 norma  dell'art.  409  del  c.p.p.  e, nel corso di essa, si accorga,
 invece, che il procedimento sia maturo  per  l'esercizio  dell'azione
 penale   e  ritenga,  percio',  di  dover  disporre  la  formulazione
 dell'imputazione? Cosa fare, in  un  caso  del  genere,  per  tornare
 indietro  e  per  prestare  osservanza  al  dettato, tuttora vigente,
 contenuto nel secondo comma dell'art. 554 del c.p.p.?
    Come  comportarsi,  ancora,  in  presenza  dell'opposizione   alla
 richiesta  di  archiviazione  del pubblico ministero presentata dalla
 persona offesa?
    Non  pare  ragionevolmente  praticabile,   insomma,   seguire   la
 procedura  prevista  per  i  reati di competenza del pretore nel caso
 dell'imputazione coatta e nel caso di  opposizione  all'archiviazione
 ed  attenersi, invece, alle regole dettate per i procedimenti davanti
 al tribunale, solo quando sia necessario indicare altre  indagini  al
 pubblico ministero.
    Il  vero  problema, percio', e' di verificare se sia legittimo che
 il pretore, in base al principio della  massima  semplificazione  del
 relativo  procedimento, segua complessivamente una procedura diversa,
 piu' semplice e agile, di  quella  prevista  per  i  procedimenti  di
 competenza del tribunale.
    Nella  sentenza  n.  445/1990,  di  cui piu' volte si e' detto, la
 Corte costituzionale nulla ha rilevato a tal riguardo e  non  avrebbe
 potuto  evitare  di  farlo se, al contrario, avesse ritenuto di dover
 estendere le regole previste per il tribunale anche  ai  procedimenti
 di competenza del pretore.
    La  conferma di cio' e' riscontrabile in una piu' recente sentenza
 della Corte costituzionale (n. 94 del 9 marzo 1992), con la quale  e'
 stata   dichiarata   non   fondata   la   questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 156, secondo comma,  delle  disposizioni  di
 attuazione   "nella  parte  in  cui  non  prevede,  nel  procedimento
 pretorile, in caso di opposizione della persona offesa alla richiesta
 di archiviazione, l'audizione delle parti in camera di consiglio".
    Anche in quest'ultimo caso, dunque, la Corte era  stata  investita
 di  una  questione relativa all'applicazione in pretura di regole di-
 verse da  quelle  previste  per  i  procedimenti  di  competenza  del
 tribunale,  sempre  al riguardo dell'istituto dell'archiviazione e, a
 proposito  di  quanto  qui  maggiormente  interessa,  la  Corte si e'
 espressa testualmente: " ..  se  si  considera  che  il  procedimento
 pretorile  soggiace alla direttiva della massima semplificazione, non
 puo' dirsi privo di giustificazione - e quindi fonte di disparita' di
 trattamento tale da violare l'art. 3  della  Costituzione  -  che  il
 legislatore  abbia ritenuto di attuarla evitando l'appesantimento che
 l'adozione   della   complessa   procedura   camerale   indubbiamente
 comporta".
    Alla   stregua   di   quanto   gia'   osservato,   dunque,  rimane
 sufficientemente certo che non occorre la fissazione dell'udienza  in
 pretura  per imporre al pubblico ministero, che abbia fatto richiesta
 di archiviazione del procedimento, la  formulazione  dell'imputazione
 ed  e',  poi,  del  tutto legittimo - alla luce della citata sentenza
 della Corte costituzionale - decidere de  plano  sulla  richiesta  di
 archiviazione,  pur  in  presenza  della  relativa  opposizione della
 persona offesa.
    In tale situazione, percio', pretendere la fissazione dell'udienza
 in camera di consiglio quando in pretura il giudice per  le  indagini
 preliminari ritenga di dover indicare al pubblico ministero che abbia
 richiesto l'archiviazione il compimento di ulteriori indagini, appare
 davvero irragionevole e incoerente con l'intero sistema.
    Senonche',  nel  caso di specie, attesa la decisione in atti della
 Corte di cassazione, non ritenendo di poter accogliere  la  richiesta
 di  archiviazione  del  pubblico  ministero, questo giudice e' tenuto
 alla fissazione dell'udienza in camera di consiglio a norma dell'art.
 409 del c.p.p.,  non  potendo  disattendere  quanto  stabilito  dalla
 suprema Corte.
    Da    qui   la   rilevanza   della   questione   di   legittimita'
 costituzionale, da proporre al vaglio della Corte costituzionale, che
 sembra potersi ravvisare  nell'attuale  situazione  processuale.  Non
 pare  manifestamente  infondato  ritenere,  infatti,  che il richiamo
 dell'art. 409 nell'art. 554 del c.p.p., cosi' come nel caso di specie
 risulta stabilito, in  modo  vincolante,  dall'interpretazione  della
 Corte  di  cassazione,  sia  illegittimo  per violazione dei principi
 contenuti negli artt. 3 e 77 della Costituzione.
    Per quanto riguarda l'irragionevolezza e l'incoerenza,  sul  piano
 normativo,  delle  conseguenze di una siffatta interpretazione, si e'
 gia' ampiamente motivato. Occorre solo  rilevare  che  cio'  potrebbe
 comportare una violazione all'art. 3 della Costituzione, non soltanto
 perche'   la   conseguenza  di  tale  interpretazione  determinerebbe
 un'irragionevole disparita' di trattamento nell'ambito  del  medesimo
 procedimento  pretorile,  pur  in  presenza di situazioni processuali
 sostanzialmente analoghe, ma anche perche',  se  si  allargassero  il
 campo  e la portata di una simile decisione, fondata sulla necessita'
 di salvaguardare i principi di uguaglianza, risulterebbe  altrettanto
 incoerente  e  ingiustificata  la  conseguenza  di  dover tenere solo
 l'udienza camerale prima di adottare le relative decisioni in caso di
 non  accoglimento  della  richiesta  di  archiviazione  e  non  anche
 l'udienza   preliminare,  ben  piu'  importante  e  rilevante,  prima
 dell'eventuale rinvio a giudizio dell'imputato.
    Come ben si puo' rilevare dal testuale dettato delle direttive nn.
 50, 51 e 52 della legge delega, le udienze che occorre fissare quando
 il giudice non ritenga di accogliere la  richiesta  di  archiviazione
 del  pubblico ministero, quando venga presentata dalla persona offesa
 opposizione  alla  richiesta  di  archiviazione  ovvero quando vi sia
 richiesta di rinvio a giudizio dell'imputato da  parte  del  pubblico
 ministero,  sono  tutte  udienze  che,  per il legislatore delegante,
 hanno analoga natura, tanto che tutte indistintamente  sono  definite
 "udienza preliminare".
    E'  vero  che  il  legislatore  delegato,  nel prevedere l'udienza
 nell'ambito della procedura disciplinata dall'art.  409  del  c.p.p.,
 non  l'ha  definita  preliminare,  discostandosi,  in tal modo, dalla
 testuale  terminologia  usata  dal  legislatore  delegante.   Ma   e'
 altrettanto  vero  che,  proprio  in ragione della natura di essa, il
 legislatore non ha previsto la  fissazione  di  analoga  udienza  nel
 procedimento  pretorile,  cosi'  dimostrando  di non voler tradire il
 contenuto della direttiva n. 103 con la quale e' stata  espressamente
 esclusa   l'udienza   preliminare   in  tale  tipo  di  procedimento,
 improntato a criteri di massima semplificazione.
    Questa la ragione  principale  per  la  quale  il  legislatore  ha
 ritenuto    di    dover    disciplinare    autonomamente   l'istituto
 dell'archiviazione nel rito pretorile.
    Ogni tentativo di  introdurre  o  di  estendere  a  tale  tipo  di
 procedimento  l'udienza  di  cui  si tratta, pare percio' contrastare
 anche con  il  principio  sancito  dall'art.  77  della  Costituzione
 comportando, di fatto, una violazione della legge delega.
    Per  le  esposte  ragioni,  si  ritiene che gli artt. 554, secondo
 comma, e 409 del c.p.p., non consentendo al giudice per  le  indagini
 preliminari  di indicare le ulteriori indagini ritenute necessarie al
 pubblico ministero che abbia fatto richiesta di archiviazione,  senza
 la  fissazione dell'udienza prevista per i procedimenti di competenza
 del tribunale, possano essere ritenuti illegittimi per contrasto  con
 gli  artt.  3 e 77 della Costituzione, per cui gli atti devono essere
 trasmessi alla Corte costituzionale per il giudizio di legittimita'.