IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha pronunciato la seguente ordinanza; Letti gli atti del procedimento penale sopraindicato nei confronti di Maino Stefania, nata a Torino il 1ยบ ottobre 1963, di fatto domiciliata in Giaveno, via F.lli Piol, n. 56, presso Alesso Giovanni, non meglio identificata; in ordine al reato p. e p. dagli artt. 624 e 625 del c.p., commesso in Torino, il 16 aprile 1991, in danno di Meda Gian Luca, Cesano Aurelia e Caprioglio Paolo; O S S E R V A Il 24 aprile 1991 Meda Gian Luca e Caprioglio Paolo presentavano ai Carabinieri denuncia contro l'indagata, ritenendola responsabile di due distinti episodi di furto, avvenuti nel medesimo contesto ed eseguiti con modalita' analoghe e i verbalizzanti, con comunicazione di notizia di reato in pari data, trasmettevano la denuncia al Procuratore della Repubblica presso questa pretura circondariale. Iscritta la notizia in data 3 maggio 1991 e disposte soltanto delle ricerche tendenti alla migliore identificazione dell'indagata, il pubblico ministero chiedeva a questo ufficio l'archiviazione del procedimento, ritenendo che a carico della Maina - alla luce della sola denuncia - gravassero solo dei sospetti, mentre non era da escludere che "altre persone siano intervenute e possano essere gli autori dei furti". Questo giudice rilevava la necessita' delle indagini indicate nella relativa ordinanza e fissava il termine di tre mesi per il loro compimento, restituendo gli atti al pubblico ministero. L'organo dell'accusa impugnava tale provvedimento, proponendo ricorso per cassazione per violazione delle disposizioni contenute negli artt. 409 e 127 del codice di procedura penale e la Corte di cassazione accoglieva il ricorso e dichiarava la nullita' dell'ordinanza emessa da questo ufficio, con rinvio a questo stesso giudice per le indagini preliminari per il nuovo giudizio. L'istituto dell'archiviazione nel procedimento pretorile e' regolato dal primo e secondo comma dell'art. 554 del c.p.p. e, cioe', con una disciplina appositamente prevista per tale tipo di procedimento e non, invece, attraverso il meccanismo del generale rinvio alle norme relative al procedimento davanti al tribunale contenuto nell'art. 549 del c.p.p. Il legislatore, evidentemente, ha ritenuto di dover ridisegnare tale istituto con una disciplina piu' agile e piu' adatta al procedimento di competenza del pretore, piuttosto che richiamare la piu' complessa e lenta procedura prevista per il procedimento davanti al tribunale, ancorche' astrattamente applicabile. Senonche', nel dettare la relativa normativa, il legislatore ha tralasciato di regolamentare alcuni aspetti rilevanti di tale istituto, quali quello relativo alla disciplina della procedura da seguire nel caso della presentazione dell'opposizione alla richiesta di archiviazione da parte della persona offesa, quello del coordinamento del termine previsto per il procuratore generale in caso di avocazione del procedimento a norma dell'art. 412 del c.p.p. e del termine per la formulazione dell'imputazione per il pubblico ministero dettato dallo stesso art. 554 del c.p.p. e quello, infine, relativo alla disciplina da applicare nel caso in cui il giudice per le indagini preliminari, destinatario della richiesta di archiviazione del pubblico ministero, ritenesse eventualmente necessarie ulteriori indagini. Per questa ragione, sono state introdotte le disposizioni contenute negli artt. 156, 157 e 158 delle norme di attuazione, con le quali, appunto, si e' inteso colmare le lacune di cui si e' detto e l'art. 157, in particolare, e' stato previsto proprio per regolamentare il caso in cui il giudice per le indagini preliminari avvertisse la necessita' di ulteriori indagini. Tale disposizione e' stata interamente dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 445 del 12 ottobre 1990 e l'effetto di questa decisione, provocando di fatto la soppressione della disposizione medesima, sarebbe stato quello di lasciare l'istituto dell'archiviazione nel procedimento pretorile nuovamente privo di regolamentazione nel caso in cui il giudice per le indagini preliminari, dinanzi alla richiesta di archiviazione, ritenesse necessarie ulteriori indagini. Nella stessa sentenza, percio', la Corte costituzionale, nell'ottica dei criteri della ragionevolezza e della coerenza, ha dichiarato anche l'illegittimita' costituzionale del secondo comma dell'art. 554 del c.p.p., nella parte in cui esso non prevede che, di fronte ad una richiesta di archiviazione presentata per infondatezza della notizia di reato il giudice per le indagini preliminari presso la pretura circondariale, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indichi con ordinanza al pubblico ministero, fissando il termine indispensabile per il loro compimento. Nella conseguente pratica applicazione del principio fissato dalla Corte costituzionale, su ricorso del pubblico ministero destinatario dei provvedimenti a tal riguardo adottati dal giudice per le indagini preliminari, piu' volte la Corte di cassazione e' stata chiamata a stabilire se l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari, con cui si dispongono le altre indagini e si fissa il termine al pubblico ministero per il relativo compimento, debba essere adottata anche in pretura solo a seguito dell'udienza prevista dall'art. 409 del c.p.p. oppure essa possa essere emessa de plano senza bisogno della fissazione dell'udienza. In seno alla suplema Corte si sono, cosi', delineate due tendenze interpretative in ordine alla riferita questione, piu' o meno paritarie, se si ha riguardo al numero delle relative decisioni: la prima, che si condivide, secondo la quale l'udienza non e' necessaria (cosi': sez. terza, 6 maggio 1991, n. 2212; sez. quarta, 9 ottobre 1991, n. 649; sez. quarta, 9 dicembre 1991, n. 856; sez. sesta, 6 marzo 1992, n. 707); la seconda, con la quale si ravvisa la necessita' della fissazione dell'udienza in camera di consiglio e dell'integrazione del contraddittorio tra le parti prima della decisione del giudice (cosi': sez. prima, 26 settembre 1991, n. 3407; sez. quinta, 28 dicembre 1991, n. 1994; sez. seconda, 24 marzo 1992, n. 1273; sez. seconda, 30 marzo 1992, n. 1490). Tali ultime sentenze, con le quali sono state annullate le ordinanze del giudice per le indagini preliminari emesse in mancanza dell'udienza, trovano il loro fondamento principalmente nell'esigenza di adeguare il rito seguito dal pretore in tale fase, successivamente alla citata sentenza n. 445 della Corte costituzionale, a quello corrispondente previsto per i procedimenti davanti al tribunale dall'art. 409 del c.p.p. Non si ritiene di poter concordare con questo tipo di interpretazione, sia perche' esso si basa su premesse che non si condividono, ne' sul piano giuridico, ne' su quello logico, sia perche', in ogni caso, le conseguenze che ne derivano, ancor piu' si discostano proprio dagli scopi e dalle ragioni che lo sorreggono. La Corte costituzionale, invero, con la citata sentenza n. 445 del 1990, non ha assolutamente toccato il problema della procedura da seguire da parte del giudice per le indagini preliminari presso la pretura che avvertisse la necessita' delle ulteriori indagini, ne' ha rilevato differenze e diversita' con la procedura seguita nei procedimenti davanti al tribunale che non trovino giustificazione nell'ottica della coerenza e della ragionevolezza, ne' - per quanto riguarda la procedura da seguire, appunto - ha fatto alcun riferimento all'art. 409 del c.p.p., che non viene assolutamente richiamato, infatti, nel dispositivo della sentenza in parola. L'organo della Consulta, una volta dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 157 delle norme di attuazione, ha soltanto ritenuto necessario colmare il vuoto che si sarebbe creato nel procedimento pretorile (" .. La declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 157 delle norme di attuazione, riportando la situazione normativa a quella risultante dalla pubblicazione del codice di procedura penale anteriormente alla pubblicazione delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie rende necessario affrontare anche la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 554, secondo comma, del codice di procedura penale, sempre nell'ottica della ragionevolezza e della coerenza della soluzione che se ne ricava per l'ipotesi in cui il giudice per le indagini preliminari presso la pretura, di fronte alla richiesta di archiviazione del pubblico ministero, ritenga necessarie ulteriori indagini .."). Sarebbe ben strano che la Corte, se avesse ritenuto, cosi' disponendo, di creare un altro vuoto normativo, questa volta relativo alla procedura da applicare da parte del giudice per le indagini preliminari di pretura nell'indicazione delle ulteriori indagini, non l'avesse rilevato ed espressamente evitato, proprio come la Corte stessa ha fatto per colmare il vuoto creatosi in conseguenza della caducazione dell'art. 157 delle norme di attuazione. Un mancato intervento in tal senso da parte della Corte sarebbe ancora meno spiegabile, se si ha riguardo alla natura della sentenza emessa. In questo caso, infatti, come pure ha rilevato la Corte di cassazione con le decisioni che si condividono, la Corte costituzionale non ha pronunciato una sentenza interpretativa con la quale - trattandosi di rigetto della questione - non avrebbe potuto integrare gli eventuali vuoti conseguenti alla decisione, per colmare i quali sarebbe stato compito del legislatore intervenire successivamente. Questa di cui si tratta e' una sentenza cosi' detta "additiva", con la quale la Corte intervenendo direttamente sulle norme prese in esame con l'accoglimento della questione che era stata proposta, ben avrebbe potuto e dovuto dettare tutte le modalita' per evitare le conseguenze di vuoto normativo, derivanti dalla pronuncia di incostituzionalita' e, in effetti, la Corte si e' regolata proprio in tal modo. Cio', pero', esclude che la decisione in parola possa essere interpretata nel senso che si ritiene di dover respingere. Piu' strano ancora, poi, apparirebbe l'effetto conseguito dalla decisione in questione, se la si interpretasse nell'ottica della necessita' della fissazione dell'udienza in pretura, prima dell'eventuale indicazione delle indagini da compiere. Come si e' osservato, la Corte costituzionale, nell'adottare la decisione che qui si esamina, si e' espressamente ispirata e attenuta a criteri di coerenza e ragionevolezza della soluzione sistematica. Risulterebbe, percio', davvero inspiegabile che l'effetto della pronuncia possa essere stato quello di determinare un'irragionevole e ingiustificata diversita' di procedure, proprio nel medesimo procedimento pretorile, a seconda che il giudice per le indagini preliminari, non ritenendo di accogliere la richiesta di archiviazione del pubblico ministero, decidesse di indicare altre indagini da compiere ovvero di disporre la formulazione dell'imputazione. Nel primo caso, infatti, sarebbe necessaria la fissazione dell'udienza e si seguirebbe la procedura per essa prevista dall'art. 409 del c.p.p. Nella seconda eventualita', invece, pur trattandosi di un provvedimento processualmente piu' drastico e impegnativo, continuerebbe a trovare applicazione la disciplina pretorile prevista nel secondo comma dell'art. 554 del c.p.p., non interessata e non coinvolta dalla sentenza n. 445 di cui si discute (in tal senso, da ultimo, Cass. sez. prima, sentenza n. 4460 del 25 novembre 1991, con cui si e' ritenuta non ricorribile l'ordinanza con cui e' stata disposta dal giudice per le indagini preliminari la formulazione dell'imputazione a norma dell'art. 554, secondo comma, del c.p.p.). Ed invero, la Corte costituzionale non ha ritenuto di dover modificare la procedura prevista in materia di archiviazione per il rito pretorile, ma, tenendo ferma la struttura dell'art. 554 del c.p.p., ha solo integrato il dettato del secondo comma di tale articolo, aggiungendo che "di fronte ad una richiesta di archiviazione presentata per infondatezza della notizia di reato, il giudice per le indagini preliminari, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indica con ordinanza al pubblico ministero, fissando il termine indispensabile per il loro compimento". I fautori dell'opposta tesi appaiono quasi tutti mossi dalla necessita' di evitare soprattutto la "lesione dei principi di uguaglianza", causata dalla mancanza della celebrazione dell'udienza in pretura, che renderebbe "impugnabile il provvedimento del giudice per le indagini preliminari presso il tribunale ed inoppugnabile quello reso dal giudice per le indagini preliminari presso la pretura". Tale rilievo, che a prima vista puo' suggestivamente apparire di notevole peso, non risulta, pero', assolutamente fondato, se si esaminano le possibilita' di impugnazione dell'ordinanza emessa in tribunale a norma dell'art. 409 del c.p.p. Nel secondo comma di tale articolo, trattandosi di udienza in cam- era di consiglio, e' contenuto un espresso richiamo alle "forme" previste dall'art. 127. Per quanto riguarda la ricorribilita' dell'ordinanza pronunciata al termine dell'udienza, il sesto comma dell'art. 409 testualmente dispone: "L'ordinanza di archiviazione e' ricorribile per cassazione solo nei casi di nullita' previsti dall'art. 127, comma quinto". Mentre, dunque, il rinvio all'art. 127 del c.p.p. e' generale, quanto alle forme, nessun richiamo e' stato operato per quanto riguarda, invece, le possibilita' di impugnazione del provvedimento del giudice per le indagini preliminari emesso a conclusione dell'udienza stessa, tanto che il legislatore ha avvertito la necessita' di disciplinare espressamente e autonomamente tali possibilita', proprio attraverso il citato sesto comma dell'art. 409. Cosi' disponendo, il legislatore ha enormemente delimitato l'ambito della ricorribilita' dell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari, restringendolo ai soli casi di nullita', derivanti dall'omesso avviso alle parti della fissazione dell'udienza, dalla violazione del principio del contraddittorio per le parti intervenute all'udienza medesima, dalla mancata valutazione del legittimo impedimento dell'imputato e del condannato che avessero chiesto di essere sentiti personalmente. Il legislatore, anzi, non solo ha limitato soltanto a tali casi la possibilita' dell'impugnazione, ma ha anche testualmente previsto la ricorribilita' per la sola ordinanza di archiviazione, in tal modo escludendo proprio l'ordinanza con cui il giudice impone le ulteriori indagini ovvero dispone la formulazione dell'imputazione. La ricorribilita' contro tali ultimi provvedimenti e' stata ricuperata, in un secondo momento, dalla Corte di cassazione che ha stabilito che "i provvedimenti ordinatori previsti dall'art. 409, comma quinto, del codice di procedura penale - ad eccezione di quello di archiviazione, che e' ricorribile ai sensi del n. 6 della citata norma - non sono impugnabili, in mancanza di espressa disposizione della legge, siccome prescrive l'art. 568 codice di procedura penale. I suddetti provvedimenti, quindi, sono ricorribili soltanto nell'ipotesi di nullita' per violazione del contraddittorio" (cosi', cass., sezione prima, sentenza n. 3205 del 24 settembre 1991. In senso conforme: sez. prima, 5 aprile 1990 e sez. sesta, 26 maggio 1990). Non e' questa la sede per esaminare tale ultimo problema e per stabilire se siano impugnabili tutte le ordinanze emesse dal giudice per le indagini preliminari a seguito dell'udienza prevista dall'art. 409 del c.p.p. ovvero solo le ordinanze di archiviazione, come testualmente stabilito dal legislatore. Cio' che rileva in questa sede e' che, indipendentemente dalla soluzione di tale questione, comunque le ordinanze pronunciate dal giudice per le indagini preliminari in tribunale, a seguito dell'udienza tenuta a norma dell'art. 409 del c.p.p., possono essere impugnate solo per ragioni di nullita' relative alla fissazione, alla tenuta ed allo svolgimento dell'udienza medesima, rimanendo esclusa dalla ricorribilita', infatti, ogni questione attinente al merito e al contenuto delle ordinanze di cui si tratta. L'impugnabilita' di tali provvedimenti, in altri termini, e' stabilita e limitata soltanto a casi relativi a vizi di procedura, previsti a pena di nullita', ma essa non e' estesa anche a vizi, formali o sostanziali, dell'atto impugnato, sempre che non si faccia ricorso ai principi generali che esulano, in ogni caso, dal problema che qui si esamina. Poiche', dunque, l'impugnazione del provvedimento emesso dal giudice per le indagini preliminari di tribunale e' destinato soltanto a rimuovere i vizi relativi alla mancata fissazione ovvero alla non corretta tenuta proprio di quell'udienza, di cui e' stata avvertita la necessita' anche per i procedimenti di competenza del pretore, affermare che il fatto che, nel primo caso, i provvedimenti siano impugnabili (e, cioe', consentano il controllo sulla regolarita' della procedura seguita nella tenuta dell'udienza) e nel secondo caso no, comporti una lesione ai principi di uguaglianza, equivale a sostenere che tale lesione si verifica per il solo fatto che in tribunale venga tenuta l'udienza, mentre per il pretore essa non sia prevista. Il vero problema, allora, non e' quello dell'astratta impugnabilita' dei conseguenti provvedimenti del giudice, bensi' quello relativo alle scelte del legislatore che - come osservato - per disciplinare l'istituto dell'archiviazione del pretore, non ha ritenuto di operare il rinvio alle corrispondenti norme previste per i procedimenti di competenza del tribunale, ma ha, invece, dettato regole e procedura piu' semplici e agili. E la relativa soluzione, comunque, dovrebbe necessariamente riguardare anche il caso in cui dal giudice per le indagini preliminari venga disposta la formulazione dell'imputazione e il caso in cui venga presentata dalla persona offesa opposizione alla richiesta di archiviazione e non soltanto quello in cui sia ravvisata la necessita' di ulteriori indagini. Il livello della questione, insomma, si sposta al piu' elevato rango del controllo circa la legittimita' costituzionale delle scelte operate dal legislatore e non puo' trovare soluzione in via di interpretazione, con la quale si introdurrebbe il rischio di creare disparita' ancora piu' gravi di quelle ravvisate e, soprattutto, di applicare una normativa del tutto inesistente e presente solo nella mente dell'interprete. Nel caso di specie, poi, gli effetti sarebbero ancora piu' gravi, non solo perche' - come osservato - nessuna delle due tendenze interpretative riesce ad avere il sopravvento sull'altra, determinando una situazione di incertezza assoluta, ma anche perche' si rischierebbe di seguire la procedura prevista per i procedimenti di competenza del tribunale nel caso in cui il giudice ravvisi la necessita' di altre indagini, mentre occorrerebbe continuare a seguire la procedura prevista dal secondo comma dell'art. 554 del c.p.p., quando il giudice per le indagini preliminari in pretura ritenga di dover imporre al pubblico ministero la formulazione dell'imputazione. E che dire, poi, se il giudice per le indagini preliminari presso la pretura, non ritenendo di poter accogliere la richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero e immaginando di dover indicare altre indagini, fissi l'udienza in camera di consiglio a norma dell'art. 409 del c.p.p. e, nel corso di essa, si accorga, invece, che il procedimento sia maturo per l'esercizio dell'azione penale e ritenga, percio', di dover disporre la formulazione dell'imputazione? Cosa fare, in un caso del genere, per tornare indietro e per prestare osservanza al dettato, tuttora vigente, contenuto nel secondo comma dell'art. 554 del c.p.p.? Come comportarsi, ancora, in presenza dell'opposizione alla richiesta di archiviazione del pubblico ministero presentata dalla persona offesa? Non pare ragionevolmente praticabile, insomma, seguire la procedura prevista per i reati di competenza del pretore nel caso dell'imputazione coatta e nel caso di opposizione all'archiviazione ed attenersi, invece, alle regole dettate per i procedimenti davanti al tribunale, solo quando sia necessario indicare altre indagini al pubblico ministero. Il vero problema, percio', e' di verificare se sia legittimo che il pretore, in base al principio della massima semplificazione del relativo procedimento, segua complessivamente una procedura diversa, piu' semplice e agile, di quella prevista per i procedimenti di competenza del tribunale. Nella sentenza n. 445/1990, di cui piu' volte si e' detto, la Corte costituzionale nulla ha rilevato a tal riguardo e non avrebbe potuto evitare di farlo se, al contrario, avesse ritenuto di dover estendere le regole previste per il tribunale anche ai procedimenti di competenza del pretore. La conferma di cio' e' riscontrabile in una piu' recente sentenza della Corte costituzionale (n. 94 del 9 marzo 1992), con la quale e' stata dichiarata non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 156, secondo comma, delle disposizioni di attuazione "nella parte in cui non prevede, nel procedimento pretorile, in caso di opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, l'audizione delle parti in camera di consiglio". Anche in quest'ultimo caso, dunque, la Corte era stata investita di una questione relativa all'applicazione in pretura di regole di- verse da quelle previste per i procedimenti di competenza del tribunale, sempre al riguardo dell'istituto dell'archiviazione e, a proposito di quanto qui maggiormente interessa, la Corte si e' espressa testualmente: " .. se si considera che il procedimento pretorile soggiace alla direttiva della massima semplificazione, non puo' dirsi privo di giustificazione - e quindi fonte di disparita' di trattamento tale da violare l'art. 3 della Costituzione - che il legislatore abbia ritenuto di attuarla evitando l'appesantimento che l'adozione della complessa procedura camerale indubbiamente comporta". Alla stregua di quanto gia' osservato, dunque, rimane sufficientemente certo che non occorre la fissazione dell'udienza in pretura per imporre al pubblico ministero, che abbia fatto richiesta di archiviazione del procedimento, la formulazione dell'imputazione ed e', poi, del tutto legittimo - alla luce della citata sentenza della Corte costituzionale - decidere de plano sulla richiesta di archiviazione, pur in presenza della relativa opposizione della persona offesa. In tale situazione, percio', pretendere la fissazione dell'udienza in camera di consiglio quando in pretura il giudice per le indagini preliminari ritenga di dover indicare al pubblico ministero che abbia richiesto l'archiviazione il compimento di ulteriori indagini, appare davvero irragionevole e incoerente con l'intero sistema. Senonche', nel caso di specie, attesa la decisione in atti della Corte di cassazione, non ritenendo di poter accogliere la richiesta di archiviazione del pubblico ministero, questo giudice e' tenuto alla fissazione dell'udienza in camera di consiglio a norma dell'art. 409 del c.p.p., non potendo disattendere quanto stabilito dalla suprema Corte. Da qui la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale, da proporre al vaglio della Corte costituzionale, che sembra potersi ravvisare nell'attuale situazione processuale. Non pare manifestamente infondato ritenere, infatti, che il richiamo dell'art. 409 nell'art. 554 del c.p.p., cosi' come nel caso di specie risulta stabilito, in modo vincolante, dall'interpretazione della Corte di cassazione, sia illegittimo per violazione dei principi contenuti negli artt. 3 e 77 della Costituzione. Per quanto riguarda l'irragionevolezza e l'incoerenza, sul piano normativo, delle conseguenze di una siffatta interpretazione, si e' gia' ampiamente motivato. Occorre solo rilevare che cio' potrebbe comportare una violazione all'art. 3 della Costituzione, non soltanto perche' la conseguenza di tale interpretazione determinerebbe un'irragionevole disparita' di trattamento nell'ambito del medesimo procedimento pretorile, pur in presenza di situazioni processuali sostanzialmente analoghe, ma anche perche', se si allargassero il campo e la portata di una simile decisione, fondata sulla necessita' di salvaguardare i principi di uguaglianza, risulterebbe altrettanto incoerente e ingiustificata la conseguenza di dover tenere solo l'udienza camerale prima di adottare le relative decisioni in caso di non accoglimento della richiesta di archiviazione e non anche l'udienza preliminare, ben piu' importante e rilevante, prima dell'eventuale rinvio a giudizio dell'imputato. Come ben si puo' rilevare dal testuale dettato delle direttive nn. 50, 51 e 52 della legge delega, le udienze che occorre fissare quando il giudice non ritenga di accogliere la richiesta di archiviazione del pubblico ministero, quando venga presentata dalla persona offesa opposizione alla richiesta di archiviazione ovvero quando vi sia richiesta di rinvio a giudizio dell'imputato da parte del pubblico ministero, sono tutte udienze che, per il legislatore delegante, hanno analoga natura, tanto che tutte indistintamente sono definite "udienza preliminare". E' vero che il legislatore delegato, nel prevedere l'udienza nell'ambito della procedura disciplinata dall'art. 409 del c.p.p., non l'ha definita preliminare, discostandosi, in tal modo, dalla testuale terminologia usata dal legislatore delegante. Ma e' altrettanto vero che, proprio in ragione della natura di essa, il legislatore non ha previsto la fissazione di analoga udienza nel procedimento pretorile, cosi' dimostrando di non voler tradire il contenuto della direttiva n. 103 con la quale e' stata espressamente esclusa l'udienza preliminare in tale tipo di procedimento, improntato a criteri di massima semplificazione. Questa la ragione principale per la quale il legislatore ha ritenuto di dover disciplinare autonomamente l'istituto dell'archiviazione nel rito pretorile. Ogni tentativo di introdurre o di estendere a tale tipo di procedimento l'udienza di cui si tratta, pare percio' contrastare anche con il principio sancito dall'art. 77 della Costituzione comportando, di fatto, una violazione della legge delega. Per le esposte ragioni, si ritiene che gli artt. 554, secondo comma, e 409 del c.p.p., non consentendo al giudice per le indagini preliminari di indicare le ulteriori indagini ritenute necessarie al pubblico ministero che abbia fatto richiesta di archiviazione, senza la fissazione dell'udienza prevista per i procedimenti di competenza del tribunale, possano essere ritenuti illegittimi per contrasto con gli artt. 3 e 77 della Costituzione, per cui gli atti devono essere trasmessi alla Corte costituzionale per il giudizio di legittimita'.