ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 70 e 71 del
 codice di procedura penale,  promosso  con  ordinanza  emessa  il  25
 gennaio  1991 dal Pretore di Torino nei procedimenti penali riuniti a
 carico  di  Paladino  Giuseppe,  iscritta  al  n.  363  del  registro
 ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera del 17 giugno 1992 il Giudice relatore Giuliano
 Vassalli;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso del processo penale a carico di Paladino  Giuseppe,
 persona  riguardo  alla  quale  era  stata accertata un'infermita' di
 mente tanto al momento dei fatti  contestati  quanto  nel  corso  del
 processo,  infermita'  tale  da  non  porlo  in  grado di partecipare
 coscientemente al  processo  ma  non  coincidente  con  l'incapacita'
 d'intendere  e  di volere, il Pretore di Torino, con ordinanza del 25
 gennaio 1991 - premesso che, non essendo l'infermita' sopravvenuta al
 fatto, gli era precluso disporre la sospensione  del  processo  -  ha
 sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3 e 24, secondo comma, della
 Costituzione, questione di legittimita'  degli  artt.  70  e  71  del
 codice  di procedura penale, nella parte in cui, "limitando alla sola
 ipotesi dell'infermita' sopravvenuta la previsione della  sospensione
 del  procedimento penale per infermita' mentale dell'imputato tale da
 impedirne la  partecipazione  cosciente  allo  stesso,  escludono  la
 possibilita'    di   sospensione   nell'ipotesi   d'infermita'   gia'
 sussistente nel momento in cui fu commesso il reato e successivamente
 protrattasi, allorche' la  stessa  non  comporti  anche  l'esclusione
 della capacita' d'intendere e di volere dell'imputato".
    Richiamata  la  Relazione  al  progetto definitivo del codice e la
 sentenza costituzionale n. 23 del 1979,  il  giudice  a  quo  ravvisa
 nella  normativa denunciata: per un verso, contrasto con il principio
 di eguaglianza per l'irragionevole disparita' di trattamento fra  chi
 sia affetto da infermita' di mente sopravvenuta che lo renda incapace
 di partecipare coscientemente al processo e chi in tale situazione si
 trovi  al momento del processo a causa di infermita' gia' presente al
 momento del  fatto,  ma  tale  da  non  escluderne  la  capacita'  di
 intendere  e  di volere: in entrambi i casi il processo si svolge nei
 confronti di soggetto processualmente incapace ma, mentre  nel  primo
 caso  ne  e'  prescritta la sospensione, nel secondo il processo deve
 necessariamente proseguire,  pur  potendo  concludersi  (non  essendo
 l'imputato  incapace  di  intendere  e di volere) con una sentenza di
 condanna; per un altro  verso,  violazione  del  diritto  di  difesa,
 perche'  si  impone  la  celebrazione di un processo nei confronti di
 soggetto processualmente incapace che all'esito del giudizio potrebbe
 subire una decisione di condanna.
    2. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,
 chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
    Rileva  l'Avvocatura  come, nonostante la lettera della legge e le
 parole  della  Relazione  al   progetto   preliminare   sembrerebbero
 circoscrivere  la  sospensione del processo all'ipotesi di infermita'
 sopravvenuta al fatto, il costante  richiamo  della  detta  Relazione
 alla  sentenza  n.  23  del  1979,  da  intendere  come  "riferimento
 'recettizio'", e la ratio garantista che connota la nuova disciplina,
 rendono evidente che in tutti i casi in cui l'incapacita' processuale
 "non si colleghi ad un vizio totale di  mente,  ma  ad  un'infermita'
 solo  parziale, che, come nella specie, impedisca una "partecipazione
 cosciente al  processo",  venendo  meno  l'esigenza  esplicitata  dal
 legislatore  di  evitare l'interferenza con la disciplina sostanziale
 della infermita' mentale, non ha piu'  alcun  senso  distinguere  tra
 incapacita'  originaria e incapacita' sopravvenuta, dovendo comunque,
 in  tale  ipotesi,  procedersi  a  perizia  e,  se  del  caso,   alla
 sospensione del processo".
                        Considerato in diritto
    1. - Il Pretore di Torino dubita della legittimita' costituzionale
 degli  artt.  70  e  71 del codice di procedura penale nella parte in
 cui, "limitando alla sola ipotesi della  infermita'  sopravvenuta  la
 previsione  della  sospensione del procedimento penale per infermita'
 mentale dell'imputato, tale da impedirne la partecipazione  cosciente
 allo  stesso,  escludono  la possibilita' di sospensione nell'ipotesi
 d'infermita' gia' sussistente nel momento in cui fu commesso il reato
 e successivamente protrattasi, allorche' la stessa non comporti anche
 l'esclusione della capacita' d'intendere e di volere dell'imputato".
    In punto di rilevanza il giudice a quo  osserva  che  si  trova  a
 procedere  nei confronti di persona imputabile, affetta da infermita'
 mentale inquadrabile nella figura del vizio parziale di mente di  cui
 all'art.  89  del  codice  penale, un'infermita' che pero', in quanto
 gia' sussistente al tempus commissi delicti, non puo'  comportare  la
 sospensione del processo per non essere sopravvenuta al fatto.
    In punto di non manifesta infondatezza, deduce che le norme denun-
 ciate contrastano con il principio di eguaglianza e con il diritto di
 difesa  dell'imputato.  L'art. 3 della Costituzione sarebbe vulnerato
 per l'irragionevole disparita' di trattamento ravvisabile tra chi sia
 affetto da infermita' di mente sopravvenuta non  coincidente  con  la
 totale  incapacita' di intendere e di volere che lo renda incapace di
 partecipare coscientemente al processo e chi si trovi in  un'identica
 situazione  al  momento  del  processo  a  causa  di  infermita' gia'
 esistente al momento del fatto: pur in presenza in entrambi i casi di
 un soggetto che non e' in  grado  di  partecipare  coscientemente  al
 processo,  solo  nel  primo caso e' prescritta la sospensione; e cio'
 nonostante che il processo possa  concludersi  con  una  sentenza  di
 condanna.
    Il  rispetto  dell'art.  24, secondo comma, resterebbe compromesso
 imponendosi la celebrazione di un giudizio nei confronti di  soggetto
 processualmente  incapace  verso  il  quale potra' essere pronunciata
 anche sentenza di condanna.
    2. - Pure se il giudice a quo ha sottoposto al vaglio della  Corte
 sia l'art. 70 sia l'art. 71 del codice di procedura penale il petitum
 da  lui  effettivamente  perseguito  comporta  che una soltanto delle
 disposizioni denunciate resti effettivamente coinvolta nelle  censure
 di illegittimita'. Piu' precisamente, il primo comma dell'art. 70, da
 cui   scaturisce   il   presupposto  per  l'operativita'  del  regime
 concernente  non  soltanto  la  sospensione  del  processo  ma  anche
 l'adozione  dei  provvedimenti  conseguenti  all'accertamento   della
 infermita'   mentale   impeditiva  di  una  cosciente  partecipazione
 dell'imputato al processo;  una  disciplina  che  trova  applicazione
 anche durante la fase delle indagini preliminari, fase in ordine alla
 quale   sono   dettate   disposizioni   ora   comuni   all'infermita'
 sopravvenuta nel corso del vero e proprio processo  (art.  71,  primo
 comma,  72,  73)  ora  specifiche  per  la  fase antecedente l'inizio
 dell'azione penale (art. 70, terzo comma, 71, quarto comma).
    Ne consegue che, risultando l'art.  71  del  codice  di  procedura
 penale  erroneamente  evocato  nel  processo  a quo potendo l'assetto
 normativo divisato dall'ordinanza  di  rimessione  essere  realizzato
 solo  sopprimendo  dall'art. 70, primo comma, del codice di procedura
 penale le parole "sopravvenuta al fatto", la relativa questione  deve
 essere dichiarata inammissibile.
    3.  -  La  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 70,
 primo comma, del codice di procedura penale e', invece, fondata.
    L'Avvocatura Generale dello Stato, nell'atto di intervento per  il
 Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  invoca  il  rigetto della
 questione; e cio'  in  quanto,  nonostante  la  lettera  della  legge
 sembrerebbe   riservare   la  sospensione  del  processo  all'ipotesi
 d'infermita' sopravvenuta al fatto, la ratio garantista  che  connota
 la  disciplina  e l'insistito riferimento della Relazione al progetto
 preliminare alla sentenza n. 23 del 1979, renderebbero evidente  come
 in tutti i casi in cui l'impossibilita' di partecipare coscientemente
 al   processo   non  derivi  da  un  vizio  totale  di  mente  ma  da
 un'infermita' soltanto parziale, non avrebbe piu'  senso  distinguere
 tra   incapacita'  originaria  e  incapacita'  sopravvenuta,  dovendo
 comunque procedersi a perizia e, se del caso,  alla  sospensione  del
 processo. La tesi non puo' essere condivisa.
    Circa la riferibilita' della fattispecie prevista dall'art. 70 del
 codice  di  procedura penale esclusivamente all'ipotesi di infermita'
 di mente sopravvenuta e non anche all'infermita' di mente sussistente
 al momento del fatto e perdurante nel corso del procedimento, proprio
 la sentenza n. 23 del 1979,  che  ebbe  a  decidere  in  ordine  alla
 legittimita'  dell'art.  88  del codice di procedura penale del 1930,
 vale a far ritenere non attendibile la linea interpretativa, proposta
 dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato.  Infatti,  puo'  anche   qui
 ripetersi  che  "la  diversita' di disciplina, riservata, nel sistema
 della legge, alle due situazioni", e'  resa  evidente  "dall'espressa
 esclusione  della sospensione del processo nei casi in cui il giudice
 debba pronunciare  sentenza  di  proscioglimento  (compresa,  quindi,
 quella  per  incapacita' di intendere e di volere)". Il fatto che nel
 sistema del nuovo codice condizione perche' il processo venga sospeso
 non  e'  la  totale  incapacita'  di  intendere  e   di   volere   ma
 l'impossibilita'  per  l'imputato  di  partecipare  coscientemente al
 processo  non  vale  a  mutare  i  termini  del  problema,   comunque
 risultando  il  ricorso  all'istituto  della sospensione condizionato
 alla sopravvenienza della infermita'.
    4. - L'interpretazione delle norme denunciate appare,  del  resto,
 perfettamente  in  consonanza  rispetto  a  quanto  emerge dai lavori
 preparatori del nuovo codice di procedura penale.
    La   fattispecie   dell'imputato   "che   per  infermita'  mentale
 sopravvenuta al fatto non sia in grado di partecipare  coscientemente
 al  processo",  prevista  quale  ipotesi  di sospensione del processo
 stesso, ha la sua genesi nel Progetto  del  1978  (art.  74)  ove  la
 sospensione resta comunque subordinata alla condizione che "non debba
 essere  pronunciata  sentenza  di  proscioglimento"  (art.  75, primo
 comma).
    A sua volta, l'art. 67 del  Progetto  preliminare  del  1988,  nel
 riprodurre l'inciso "infermita' mentale sopravvenuta al fatto" da cui
 deriva l'impossibilita' per l'imputato "di partecipare coscientemente
 al  processo"  (art.  67), prevede la sospensione del processo stesso
 "sempreche' non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento"
 (art. 68). L'essere riservato all'infermita' soltanto nunc il ricorso
 all'istituto  della  sospensione  fu  dettato  dallo   scrupolo   del
 legislatore  delegato  di  evitare  "che  la  mancata distinzione tra
 infermita' 'sopravvenuta'  ed  infermita'  'originaria'  finisse  per
 provocare   una   sensibile   alterazione   della  stessa  disciplina
 sostanziale  dell'infermita'  mentale"  (v.  Relazione  al   progetto
 preliminare,  p.  53).  Uno  scrupolo  puntualmente  condiviso  dalla
 Commissione parlamentare che nel  suo  parere  (p.  40)  propose  "di
 ritornare  alla  formula dell'art. 88 del codice attuale, il quale fa
 riferimento allo 'stato di infermita' mentale tale  da  escludere  la
 capacita' di intendere e di volere'": e cio' per il pericolo, i'nsito
 nel  nuovo  precetto,  di  dar  luogo,  "per  la discrezionalita' che
 l'accompagna", pure "a  situazioni  peggiorative  rispetto  a  quanto
 consentito  dall'art.  88"  del  codice di procedura penale del 1930.
 L'intento del legislatore delegato  rivolto  a  ricomprendere,  senza
 possibilita' di equivoci, nell'ambito dell'istituto della sospensione
 le   sole   ipotesi   di   infermita'  sopravvenuta  emerge  in  modo
 assolutamente univoco dalla Relazione al testo  definitivo  (p.  171)
 che,  pur  insistendo sulla necessita' di utilizzare la nuova formula
 "non  sia  in  grado  di  partecipare  coscientemente  al  processo",
 ribadisce   l'immutato   regime   in   ordine   alla   sopravvenienza
 dell'infermita' quale disciplinata dal codice abrogato. Il  tutto  in
 un   contesto   normativo   volto   a   contemperare   "le   garanzie
 dell'autodifesa con l'esigenza di contenere la stasi processuale" (v.
 ordinanza n. 298  del  1991),  cosi'  da  evitare  "anche  rischi  di
 comportamenti  simulatori",  attraverso  "un paradigma procedimentale
 utilizzato anche in tema di riesame della pericolosita'" (v., ancora,
 ordinanza n. 298 del 1991).
    5. - Se l'interpretazione della norma denunciata non  puo'  essere
 che  quella  fatta  palese  dalla  lettera del precetto sottoposto al
 vaglio  di   questa   Corte,   altrimenti   travolgendosi   l'univoco
 significato  espresso  da  dette  norme  in funzione di un inespresso
 significato ricavabile dal costante richiamo alla sentenza n. 23  del
 1979,  la  disciplina  censurata  appare palesemente in contrasto con
 l'art.24, secondo comma, della Costituzione.
    Proprio il richiamo alla indicata decisione della  Corte  basta  a
 far  ritenere  vulnerato il diritto all'autodifesa dell'imputato: una
 lesione, peraltro, non ravvisata dalla sentenza n. 23  del  1979  con
 riferimento all'art. 88 del codice abrogato solo perche', "risultando
 l'imputato incapace di intendere e di volere al momento del fatto, il
 procedimento   non  potra'  mai  concludersi  con  una  decisione  di
 condanna", ma  ipotizzata  dalla  stessa  sentenza  per  il  caso  di
 infermita'  di  mente sopravvenuta non accompagnata dalla sospensione
 del  processo  in  quanto,  non  versando  l'imputato  "in  stato  di
 incapacita'  di  intendere  e  di  volere al tempus commissi delicti,
 potra' essere pronunciata, all'esito del giudizio,  una  sentenza  di
 condanna,  con  la  conseguente  applicazione  della  pena".  Il che,
 appunto, si verifica alla stregua  dell'art.  70,  primo  comma,  del
 codice  di  procedura  penale  1988  nei  casi in cui l'infermita' di
 mente, non coincidente con la totale incapacita' di  intendere  o  di
 volere,  risalga  al  tempus commissi delicti e perduri nel corso del
 procedimento. In una simile ipotesi, non potendo trovare applicazione
 la disposizione impugnata, resterebbe precluso l'epilogo  consistente
 in  una  decisione di proscioglimento o di non luogo a procedere: non
 potendo certo qui ripetersi che "ad una tale condizione psichica  del
 prevenuto  dovra'  necessariamente  conseguire, salvo che non ricorra
 l'applicazione di una  formula  piu'  favorevole,  una  decisione  di
 proscioglimento per difetto d'imputabilita'" (v., ancora, sentenza n.
 23 del 1979).
    Va,  quindi,  dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art.
 70, primo comma, del codice di procedura  penale  limitatamente  alle
 parole "sopravvenuta al fatto".
    Resta cosi' assorbita l'ulteriore verifica quanto alla conformita'
 della  norma  denunciata  all'altro parametro costituzionale invocato
 dal giudice a quo.