ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 27 della legge
 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina  dell'adozione  e  dell'affidamento
 dei  minori), promosso con ordinanza emessa il 20 dicembre 1991 dalla
 Corte di appello di Venezia, sezione per  i  minorenni,  sul  ricorso
 proposto  da Guerra Antonio ed altra, iscritta al n. 118 del registro
 ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Udito nella camera di consiglio del  17  giugno  1992  il  Giudice
 relatore Cesare Mirabelli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  - La Corte di appello di Venezia, sezione per i minorenni, con
 ordinanza emessa il  20  dicembre  1991  ha  sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  agli artt. 3, 10 e 30
 della Costituzione, dell'art. 27 della legge 4 maggio  1983,  n.  184
 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), nella parte
 in  cui  non  prevede  la  revoca  per  gravi  motivi, nell'interesse
 dell'adottato, dell'adozione e dell'acquisto dello  stato  di  figlio
 legittimo.
    La questione e' stata sollevata su eccezione delle parti nel corso
 di  un giudizio promosso dai coniugi Guerra Antonio e Rianna Adriana,
 genitori adottivi del minore Luca, i quali avevano  proposto  reclamo
 contro  il  provvedimento del Tribunale per i minorenni di Venezia di
 reiezione della istanza di revoca dell'adozione, presentata a seguito
 dell'asserito ripristino dei  rapporti  tra  il  minore  e  la  madre
 naturale.
    La   Corte  di  appello  di  Venezia  osserva  che,  a  differenza
 dell'adozione semplice  dei  minori  e  di  quella  dei  maggiorenni,
 l'adozione piena, nel sistema introdotto dalla legge n. 184 del 1983,
 non  puo'  essere  revocata  per  alcun  motivo.  Lo  stato di figlio
 legittimo in capo al minore adottato puo' cessare esclusivamente  per
 effetto  di un'altra adozione dello stesso minore, giustificata dalla
 situazione di  abbandono  in  cui  egli  si  sia  venuto  in  ipotesi
 nuovamente a trovare.
    Il  giudice  rimettente  ritiene  che  la  disposizione denunciata
 contrasti  con  il  principio  ispiratore  delle  moderne  discipline
 dell'adozione,  principio  che  configura la revoca come strumento di
 protezione dell'adottato contro il fallimento del rapporto, utile per
 rendere possibile una nuova adozione  o  per  ripristinare  i  legami
 familiari  preesistenti. Questa tendenza si sarebbe manifestata nella
 legislazione olandese e tedesca e, ad avviso della Corte  di  appello
 di  Venezia, anche nella Convenzione europea in materia di adozione e
 di minori (firmata a Strasburgo il 24 aprile  1967  e  ratificata  in
 forza  della  legge  22  maggio  1974, n. 357), che prevede la revoca
 dell'adozione   per   decisione   di   un'autorita'   giudiziaria   o
 amministrativa  per gravi motivi e solo nel caso in cui la revoca per
 tali motivi sia ammessa dalla legge (art. 13). Il giudice  rimettente
 sospetta che la esclusione di ogni possibilita' di revoca si ponga in
 contrasto   con  le  norme  di  diritto  internazionale  generalmente
 riconosciute e, quindi, con l'art. 10 della Costituzione.
    Il giudice a quo osserva anche  che  la  legge  n.  184  del  1983
 consente eccezionalmente la revoca della adozione pronunciata in casi
 particolari  e la cessazione degli effetti della adozione (artt. 51 e
 53). Ne deriverebbe una non ragionevole disparita' di trattamento per
 la adozione legittimante,  soprattutto  se  si  considera  che  anche
 l'adozione  in  casi  particolari  presuppone  (nell'ipotesi  di  cui
 all'art. 44 lettera c) l'accertamento dello stato di abbandono  e  la
 dichiarazione dello stato di adottabilita'.
    La  Corte  rimettente  sottolinea  inoltre  che  la  "finzione  di
 biologicita'" della filiazione adottiva,  spinta  fino  al  punto  da
 superare  il  reale  fondamento  del  vincolo, condurrebbe ad effetti
 contrastanti con l'interesse del minore.  L'esclusione  della  revoca
 anche  quando  siano  dimostrati  il  fallimento  dell'adozione  e la
 possibilita' di un ripristino dei rapporti con  i  genitori  naturali
 sarebbe   contraria   alla   funzione   e   alle   finalita'  proprie
 dell'istituto ed  alla  particolare  tutela  riconosciuta  al  minore
 dall'art. 30, secondo comma, della Costituzione.
    2.  -  E'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che  ha
 concluso  per  la  inammissibilita'  o, comunque, per la infondatezza
 della questione.
    Si deve difatti  tenere  conto,  ad  avviso  dell'Avvocatura,  che
 l'adozione legittimante e' disposta a conclusione di un procedimento,
 nel quale viene attribuita la massima considerazione alla particolare
 situazione  in  cui versa il minore ed all'idoneita', sperimentata in
 concreto, della  coppia  adottante.  La  scelta  del  legislatore  di
 rendere   stabile   e  irrevocabile  lo  stato  di  figlio  legittimo
 dell'adottato puo' essere opinabile sul piano della opportunita',  ma
 non contrasta con alcuna esigenza costituzionale.
    La  differente  soluzione che la legge offre, prevedendo la revoca
 nell'adozione  in  casi  particolari,  non  lede  il   principio   di
 eguaglianza,   in   quanto   l'adozione   legittimante  si  fonda  su
 presupposti e attribuisce uno stato diverso. Non puo' essere  operato
 un  confronto  tra le due forme di adozione. Al riguardo l'Avvocatura
 ricorda che la Corte costituzionale ha  ritenuto  che  la  disciplina
 particolare  non  puo'  costituire  parametro  utile, in relazione al
 principio di uguaglianza, ai fini  di  un  giudizio  di  legittimita'
 della normativa generale (sentenze n. 46 del 1983 e n. 6 del 1988).
    Comunque  le  cause di revoca disciplinate dagli artt. 51, 52 e 53
 della legge n. 184  del  1983  per  l'adozione  in  casi  particolari
 rimangono, ad avviso della Avvocatura, estranee al caso esaminato dal
 giudice a quo. Non conferente sarebbe infine il richiamo all'art. 10,
 primo  comma,  della  Costituzione,  giacche'  non vengono in rilievo
 norme  di  diritto  internazionale  generalmente  riconosciute.   Non
 attinente  alla fattispecie sarebbe, infine, il richiamo all'art. 30,
 secondo comma, della Costituzione.
                        Considerato in diritto
    1. - La Corte di appello di  Venezia,  sezione  per  i  minorenni,
 dubita  della  legittimita' costituzionale dell'art. 27 della legge 4
 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento  dei
 minori),  nella parte in cui non prevede che possa essere pronunciata
 la   revoca   per   gravi   motivi,   nell'interesse   dell'adottato,
 dell'adozione e dell'acquisto dello stato di figlio legittimo.
    La  disposizione,  sottoposta  alla  verifica  della  legittimita'
 costituzionale  in  riferimento  agli  artt.  3,  10   e   30   della
 Costituzione,   prevede  che  per  effetto  dell'adozione  l'adottato
 acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti, dei quali  as-
 sume  e  trasmette  il  cognome.  Con  l'adozione  cessano  inoltre i
 rapporti dell'adottato verso la famiglia d'origine, salvi  i  divieti
 matrimoniali.
    2. - La disciplina dell'adozione, quale risulta dalla legge n. 184
 del  1983,  e'  volta  ad attribuire al minore, che versa in stato di
 abbandono, un ambiente familiare definitivamente stabile,  idoneo  ad
 assicurargli la educazione, la istruzione ed il mantenimento da parte
 dei genitori adottivi, con i quali si costituisce, nell'interesse del
 minore, un vincolo di filiazione assimilato a quello della filiazione
 legittima.
    Il  legislatore  ha  ritenuto  opportuno costruire come definitivo
 questo    vincolo,    rendendo    irretrattabile     la     adozione,
 indipendentemente  dalle vicende che seguono nella famiglia adottiva,
 nella quale si intendono  affermare  rapporti  affettivi,  rischi  di
 difficolta',  opportunita'  di  un loro superamento, non dissimili da
 quelli propri di ogni altra comunita' familiare. Perche'  si  possano
 produrre   effetti  cosi'  profondi  e  duraturi  il  legislatore  ha
 preordinato una procedura complessa, articolata in piu' fasi volte ad
 accertare  rigorosamente,  prima  della   definitiva   pronuncia   di
 adozione,  la  esistenza  dei  presupposti oggettivi per una adozione
 preordinata all'interesse del minore, la idoneita' dei  soggetti,  la
 sperimentata  integrazione tra adottanti e adottato in una funzionale
 unita' familiare. Risultano cosi' circondati da particolari  cautele,
 in  un  disegno  normativo  che  esige  grande accuratezza ed elevata
 responsabilita'  nelle  sue   applicazioni,   la   dichiarazione   di
 adottabilita'  dei  minori  che  versano  in  stato  di abbandono, la
 valutazione della idoneita' dei coniugi  che  intendono  adottare  un
 minore per svolgere in piena responsabilita' il ruolo di genitori, la
 verifica  della  soluzione adottiva che si prospetta, sperimentandone
 gli  esiti  nel  corso  del  necessario  e  controllato  periodo   di
 affidamento preadottivo.
    In  questo contesto la scelta operata dal legislatore di escludere
 la   revocabilita'   della   adozione   muove   in   un   ambito   di
 discrezionalita'  che  non attinge alla irragionevolezza. Inoltre non
 puo' essere invocata, come elemento di comparazione della assenza  di
 tale  revocabilita',  la  revoca  dell'adozione  in casi particolari,
 prevista dagli artt. 51 e 53 della stessa legge n. 184 del  1983  per
 eventi  del  tutto eccezionali nel rapporto tra adottante ed adottato
 (attentato alla vita, commissione di altri delitti dell'uno in  danno
 dell'altro  o  viceversa;  violazioni  dei  doveri  incombenti  sugli
 adottanti).
    Difatti, al di la' della diversita' di effetti e della  non  piena
 comparabilita'   tra   adozione  legittimante  ed  adozione  in  casi
 speciali,  per  quest'ultima  manca  comunque  la  verifica  che  con
 l'affidamento preadottivo precede la definitivita' dell'adozione.
    Utili argomenti a favore della necessaria previsione dell'istituto
 della  revoca  della adozione non possono neppure essere tratti dalla
 Convenzione europea in materia di adozione di  minori,  invocata  dal
 giudice rimettente, indipendentemente dal valore da attribuire a tale
 Convenzione  quale  ipotetico  parametro  di  raffronto.  Difatti  la
 Convenzione europea non prevede  la  necessita'  dell'istituto  della
 revoca  dell'adozione, ma impone piuttosto cautele nel caso in cui la
 revoca sia ammessa, come puo' esserlo, in  base  ad  una  valutazione
 discrezionale di opportunita' operata dalla legge (art. 13).
    Parimenti   inconferente  si  palesa  il  prospettato  riferimento
 all'art. 30, secondo comma, della Costituzione, se si  considera  che
 l'istituto  dell'adozione  di minori rappresenta uno dei modi con cui
 si tende, nel disegno normativo, e si deve tendere, nella concretezza
 della  esperienza, a provvedere affinche' siano assolti i compiti dei
 genitori nei casi di loro incapacita'.
    La questione di legittimita' costituzionale proposta  e'  pertanto
 infondata.