IL PRETORE A scioglimento della riserva che precede, osserva; RILEVATO IN FATTO Con ricorso ex art. 15 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, l'ing. Mariantonia Ceschini ed il consigliere di parita' presso la commissione provinciale per la realizzazione delle pari opportunita' tra uomo e donna della provincia di Trento, chiedevano venissse ordinata alla provincia autonoma di Trento la cessazione dell'illegittimo comportamento discriminatorio nei confronti della prima ricorrente con rimozione degli effetti mediante dichiarazione di inefficacia del concorso pubblico, indetto con bando dd. 16 luglio 1991, per la copertura di n. 1 posto del profilo professionale di funzionario per il servizio antincendi VII livello funzionale- retributivo, e di atti compiuti successivamente. Lamentava la ricorrente che in detto bando era prevista, tra i requisiti per l'ammissione, una statura superiore a m 1,65 senza distinzione tra i lavoratori dei due sessi. Avendo presentato domanda di partecipazione al concorso, l'ing. Ceschini era stata sottoposta a visita da pare del collegio medico, il quale aveva accertato una statura inferiore a m 1,65. Di conseguenza l'ing. Ceschini era stata esclusa dalla partecipazione al concorso, che veniva poi espletato. Sosteneva la ricorrente che il comportamento tenuto dalla provincia autonoma di Trento nell'indizione e successiva tenuta del concorso era gravemente discriminatoria nei confronti della candidata donna e violava il principio della parita' di trattamento tra uomini e donne in materia di accesso al lavoro espressamente sancito dalla legge n. 903/1977. Infatti il bando di concorso, non facendo alcuna distinzione fra l'altezza minima richiesta per i candidati di sesso maschile e quella richiesta per i candidati di sesso femminile, non teneva conto della diversita' di composizione fisica media dell'uno e dell'altro sesso. Secondo parametri medico-statistici, riconosciuti a livello internazionale (curve di Tanner) e' considerata altezza normale per le donne quella compresa tra m 1,51 ed 1,73, mente la soglia minima per considerare un uomo di altezza normale e', invece il m 1,63. Cio' comportava che, se per gli uomini il requisito dell'altezza minima di m 1,65 e' del tutto normale in quanto ben pochi uomini adulti sono effettivamente al di sotto di tale statura, per le donne richiedere, come faceva il bando, quale requisito per la partecipazione, una statura minima di m 1,65 significava l'esclusione di tutte le donne di statura media, corrispondente a m 1,63. Ricordavano le ricorrenti che l'art. 4, secondo comma, della legge 10 aprile 1991, n. 125, riconduce nell'ambito della discriminazione sessuale indiretta ogni trattamento pregiudizievole conseguente all'adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionale maggiore i lavoratori dell'uno o dell'altro sesso e riguardino requisiti non essenziali allo svolgimento dell'attivita' lavorativa. Ammettevano le ricorrenti che la censura mossa al bando di concorso andava estesa alla l.p. 15 febbraio 1980, n. 3, richiamata in detto bando, la quale (art. 4) prevede la statura minima di m 1,65 tra i requisiti particolari per l'accesso alla carriera direttiva del ruolo tecnico del servizio antincendi. Tuttavia, a detta delle ricorrenti, cio' non escludeva il carattere discriminatorio del comportamento della provincia autonoma di Trento, la quale, in conformita' alla legge n. 125/1991, avrebbe dovuto stabilire una statura minima differenziata per i lavoratori dei due sessi. Sostenevano, comunque, che la norma provinciale applicata nel caso di specie fosse priva di efficacia in quanto emanata in contrasto con le norme dello statuto speciale di autonomia per il Trentino-Alto Adige. Infatti la potesta' legislativa esclusiva della provincia autonoma di Trento deve sottostare ai limiti stabiliti dall'art. 4 dello statuto autonomo e quindi, oltre ad essere in armonia con la Costituzione ed i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, deve anche rispettare le "norme fondamentali delle riforme economiche sociali della Repubblica", tra le quali va senz'altro annoverata la legge n. 903/1977 in quanto attuativa di principi di civilta' sociale contenuti in norme costituzionali fondamentali (art. 3, 4 e 37 della Costituzione) che vestano qualsiasi discriminazione fondata sul sesso. Sostenevano che l'art. 4 della l.p. n. 3/1980 dovesse essere interpretata e legittimamente applicata solo nei limiti in cui non leda il principio di non discriminazione contenuto nella norma statale. Affermavano la giurisdizione del pretore del lavoro (del luogo in cui e' avvenuto il comportamento denunciato) in quanto nel caso di specie veniva fatta valere una situazione di diritto soggettivo (alla parita' di trattamento fra uomo e donna in materia di lavoro) da pare di una persona nei confronti della quale non si era ancora instaurato il rapporto di pubblico impiego. Di conseguenza non poteva trovare applicazione il disposto ex art. 15 ultimo comma della legge n. 903/1977, che prevede la giurisdizione del giudice amministrativo nel caso di comportamenti discriminatori riguardanti pubblici dipendenti. Costituendosi in giudizio, la provincia autonoma di Trento eccepiva preliminarmente il difetto di giurisdizione del pretore adito, trattandosi, nel caso di specie, di procedura di concorso pubblico volta all'instaurazione di un rapporto di servizio di diritto pubblico con conseguente cognizione dell'autorita' giudiziaria amministrativa quale giudice esclusivo (quindi sia dei diritti soggettivi che degli interessi legittimi) del pubblico impiego. Negava che la distinzione tra rapporto di pubblico impiego gia' costituito e rapporto ancora da costituire rappresentasse la linea di demarcazione tra la giurisdizione amministrativa e quella ordinaria, essendo ormai consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte l'orientamento che sottolinea l'omnicomprensivita' della giurisdizione in relazione ad ogni e qualsiasi aspetto del rapporto di lavoro, compresa la fase di selezione e di accesso, concentrandola unitamente nell'organo fornito di giurisdizione sul rapporto stesso. Ricordava, in proposito, le vicende relative ai concorsi per l'ammissione in quegli enti pubblici (ferrovie, aziende municipalizzate) il cui rapporto con i propri dipendenti e' sottoposto alla disciplina privatistica. Sosteneva che l'espressione "accesso al lavoro", contenuta nell'art. 1 della legge n. 903/1977), concerne ogni ipotesi di discriminazione tra uomo e donna in materia di lavoro sia attuata nel corso del rapporto che riferita ad un rapporto da costituire. Sotto altro profilo la convenuta rilevata che l'art. 15, ultimo comma, della legge n. 903/1977 fa espresso riferimento alle violazioni di cui all'art. 15, primo commma, stessa legge, la quale a sua volta richiama le violazioni delle disposizioni di cui agli artt. 1 e 5 stessa legge. Ne derivava che la giurisdizione del giudice amministrativo, ex art. 15, ultimo comma, della legge n. 903/1977 abbraccia indistintamente tutte le questioni che possono sorgere in relazione sia all'art. 1 che all'art. 5 della legge medesima. Orbene, a detta della convenuta, la tesi delle ricorrenti, secondo cui le questioni attinenti ad asserite discriminazioni nell'ambito di pubblici concorsi rientrano nella cognizione del giudice ordinario, porterebbe ad un'arbitraria limitazione delle attribuzioni del giudice amministrativo alle sole violazioni ex art. 5 (che si occupa specificamente dei rapporti gia' costituiti, vietando qualsiasi discriminazione di tipo sessuale al loro interno in relazione a qualifiche, mansioni, progressioni) con esclusione di quelle ex art. 1, concernenti appunto le procedure antecedenti alla costituzione dei vari rapporti. Sotto un terzo profilo la convenuta riteneva palese la carenza di giurisdizione del giudice ordinario alla luce del concreto petitum formulato dalle ricorrenti, le quali, richiedendo la dichiarazione di inefficacia e la rimozione del bando di concorso e di tutti gli atti conseguenti, avevano esercitato una tipica azione impugnatoria di annullamento rivolta contro atti amministativi. Si trattava, a detta della convenuta, di una pretesa inammissibile alla stregua della fondamentale legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E), il cui art. 4, secondo comma, vieta espressamente ogni intervento del giudice ordinario sull'atto amministrativo in quanto tale (cd. limite interno alla giurisdizione). In via subordinata la convenuta osservava che il censurato bando di concorso ed in particolare l'impugnata clausola sull'altezza minima costituivano la fedele e pedissequa applicazione della norma ex art. 4 della l.p. 15 febbraio 1980, n. 3 (costituente l'art. 56- bis della l.p. n. 1/1980: ordinamento degli uffici e del personale della provincia autonoma di Trento), la quale prevede esplicitamente - per l'accesso alle carriere direttive e di concetto del ruolo tecnico del servizio antincendi - il requisito della statura non inferiore ai m 1,65. Di conseguenza la censurata clausola era perfettamente legittima, dovendo l'atto amministrativo sottostare alla legge (principio di legalita'). Sosteneva non potesse essere messa in dubbio la perdurante vigenza dell'art. 4 della l.p. n. 3/1980, la quale non poteva essere ne' dalla p.a. ne' dal giudice, ignorata e meno che meno disapplicata. Negava che detta norma fosse stata abrogata dall'art. 19 della legge n. 903/1977 o dalla piu' recente legge n. 125/1991, per l'impossibilita' giuridica che una legge statale abroghi o modifichi una legge provinciale, vigendo il principio di autonomia dei rispettivi legislatori, tra i quali intercorre un rapporto o di reciproca esclusione o di concorrenza, ma mai una relazione di tipo gerarchico. Rilevava, inoltre, che l'art. 19 della legge n. 903/1977 (norma assertamente abrogatrice) risultava di molto anteriore all'art. 4 della l.p. n. 3/1980 (norma assertamente abrogata) di talche' le tesi delle ricorrenti sembrava configurare un'inconcepibile ipotesi di abrogazione di norme future. Affermava, infine, l'inammissibilita' della domanda di parte ricorrente in quanto diretta a sollecitare un provvedimento giudiziario che, non potendo ordinare alla p.a. di violare o ignorare la norma di legge, doveva necessariamente rivolgersi al legislatore provinciale, cui il giudice avrebbe dovuto ordinare la modifica della norma stessa. All'udienza del 15 aprile 1992 venivano sentite liberamente le parti. RITENUTO IN DIRITTO Viene sollevata d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della l.p. 15 febbraio 1980, n. 3 (che ha introdotto l'art. 56- bis della l.p. 23 agosto 1963, n. 8), nella parte in cui, in violazione dei precetti costituzionali ex artt. 3, primo comma (principio di eguaglianza formale), 3, secondo comma, (principio di eguaglianza sostanziale) e 37, primo comma, prima parte (parita' di trattamento dei due sessi in materia di lavoro) nonche' degli artt. 4 e 8 dello statuto speciale di autonomia per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), in relazione all'art. 1 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 ed all'art. 4, primo comma, e 2 della legge 10 aprile 1991, n. 125, prevede, in modo indifferenziato per uomini e donne, la statura non inferiore a m. 1,65 tra i requisiti (primo comma, n. 2) richiesti per l'accesso alle carriere direttiva e di concetto del ruolo tecnico del servizio antincendi. Sulla rilevanza nel giudizio a quo. Il giudizio in corso non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale. Applicando la norma impugnata la domanda proposta dalle ricorrenti dovrebbe essere rigettata. Le ricorrenti, lamentando il carattere discriminatorio, ai sensi della legge 9 dicembre 1977, n. 903, e della legge 10 aprile 1991, n. 125, della sua esclusione, solamente a causa della sua statura inferiore di m 1,65, dalla partecipazione al concorso indetto dalla provincia autonoma di Trento per la copertura di un posto di funzionario per il servizio antincendi, VII livello funzionale-retributivo, chiedendo vengano dichiarati inefficaci il relativo bando dd. 16 luglio 1991 e gli altri atti compiuti successivamente. Tuttavia, come ha ben osservato la difesa di parte convenuta, la censurata clausola del bando di concorso non e' il frutto di una scelta propria, discrezionale, dell'amministrazione provinciale, ma costituisce, al contrario la fedele e pedissequa applicazione di una specifica ed espressa norma di legge (che si identifica in quella oggetto della questione qui sollevata). Si e', quindi, di fronte non ad un provvedimento amministrativo illegittimo (e suscettibile, come tale, di disapplicazione da parte del giudice ordinario), ma ad un atto emanato in conformita' ad una norma di legge, di cui si sospetta l'incostituzionalita'. E' noto che nel nostro ordinamento il contrasto tra precetto costituzionale e norma di legge ordinaria (anche di fronte non statale) non puo' essere superato autonomamente dal giudice mediante disapplicazione "che e' potere esercitabile solo nei confronti di provvedimenti amministrativi illegittimi) della norma di legge ordinaria. Cosi' facendo il giudice violerebbe i precetti ex art. 137, primo comma, della Costituzione, ed ex l.c. 9 febbraio 1948, n. 1, che impongono al giudice di rinviare alla Corte costituzionale le questioni di legittimita' costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge. Allo stesso modo deve essere risolto il contrasto tra le disposizioni dello statuto speciale di autonomia per il Trentino-alto Adige, che, ai sensi dell'art. 116 della Costituzione, ha valore di legge costituzionale, e le leggi emanate dalla provincia autonoma di Trento nell'esercizio della sua potesta' legislativa. Non e', quindi, fondato l'assunto delle ricorrenti, secondo cui la norma provinciale applicata nel caso di specie sia "priva di efficacia" in quanto emanata in contrasto con le norme dello statuto speciale di autonomia. L'inefficacia della stessa norma provinciale (e, quindi, il potere-dovere del giudice di non applicarla) non puo' discendere neppure dall'art. 19 della legge n. 903/1977, che ha abrogato "tutte le disposizioni legislative in contrasto con le norme della presente legge". Convincenti sono sul punto le deduzioni di parte convenuta, secondo cui la pretesa abrogazione, da parte della norma statale, della norma provinciale, e' esclusa sia dall'insussistenza di un rapporto gerarchico tra le due norme sia dall'anteriorita' temporale della norma (assertamente) abrogatrice rispetto alla norma (assertamento) abrogata. Il contrasto tra i precetti costituzionali in limine richiamati e la norma provinciale censurata non puo' neppure essere risolto, come invece sostengono le ricorrenti, in via interpretativa, attribuendo alla seconda un significato compatibile con i primi. Infatti l'art. 4 della l.p. n. 3/1980 non e' suscettibile di piu' interpretazioni (in claris non fit interpretatio) laddove richiede, in modo indifferenziato per i due sessi, il requisito della statura minima di m 1,65. Ne consegue che, qualsiasi sia il supporto argomentativo, il ritenere che detta legge non preveda anche per le aspiranti donna il requisito della statura non inferiore a m 1,65 equivarrebbe ad un'effettiva disapplicazione della legge stessa, il che, come si e' gia' visto, non e' ammissibile nel nostro ordinamento (fatta eccezione per i casi di contrasto tra legge ordinaria e regolamento comunitario - v. la fondamentale Corte costituzionale 8 giugno 1984, n. 170). La proposta questione di legittimita' costituzionale e' rilevante nel giudizio a quo anche perche' e' infondata l'eccezione, sollevata dalla provincia autonoma di Trento, del difetto di giurisdizione del pretore sulla presente controversia. L'ente convenuto sostiene la cognizione dell'autorita' giudiziaria amministrativa quale giudice esclusivo del pubblico impiego, essendo consolidato nella giurisprudenza della suprema Corte l'orientamento che "sottolinea l'omnicomprensivita' della giurisdizione in relazione ad ogni e qualsiasi aspetto del rapporto di lavoro, compresa la fase di selezione e di accesso, concentrandola unitariamente nell'organo fornito di giurisdizione sul rapporto stesso". L'assunto non puo' essere condiviso. E' vero che l'art. 15, ultimo comma, della legge n. 903/1977 conferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblico impiego (art. 29, testo unico, del c.d.s. richiamato dall'art. 7 cpv. della legge del t.a.r.) stabilendo che "ove le violazioni di cui al primo comma riguardino dipendenti pubblici si applicano le norme previste in materia di sospensione dell'atto dell'art. 21, ultimo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034". Tuttavia e' consolidata in dottrina la tesi, secondo cui la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, riguardando le controversie relative al rapporto di pubblico impiego, presuppone che quel rapporto sia stato gia' costituito. La stessa dottrina ne desume che rimangono estranee alla giurisdizione esclusiva le controversie relative alla formazione del rapporto di pubblico impiego, ivi comprese quelle attinenti le proce- dure di concorso. Non e', quindi, esatto affermare che la presente controversia e' di cognizione del giudice amministrativo in quanto rientra nella sua giurisdizione esclusiva. Tuttavia da cio' non discende necessariamente la giurisdizione del giudice ordinario. Si tratta, invece, di verificare se la posizione soggettiva, che le ricorrenti hanno inteso far valere, rientri nella categoria dei diritti soggettivi (con conseguente giurisdizione del giudice ordinario) od in quella degli interessi legittimi (con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo). Tale verifica deve essere condotta (in questo sensi Cass. s.u. 28 novembre 1990, n. 11461) con riferimento non solo alle conclusioni formulate nel ricorso introduttivo ed ai provvedimenti richiesti al giudice adito, ma anche alle ragioni poste a fondamento della domanda. Sono note le definizioni del diritto soggettivo quale pretesa di tenere (o far tenere) un comportamento per la soddisfazione di un interesse tutelato dalla norma giuridica e dell'interesse legittimo quale pretesa alla legittimita' dell'atto amministrativo riconosciuto a quel soggetto che si trovi, rispetto all'esercizio di un potere discrezionale della p.a., in una particolare posizione legittimante. Pure noti sono i criteri di distinzione delle due situazioni soggettive fondati sui binomi norme di relazione-norme di azione, provvedimento vincolato-provvedimento discrezionale, carenza di potere-cattivo uso di potere. Nel caso di specie le ricorrenti non contestano la legittimita' della condotta dell'amministrazione provinciale perche' questa ha ritenuto necessario che il posto di funzionario per i servizi antincendio sia coperto da persona di statura non inferiore a m 1,65, ma affermano la natura discriminatoria della condotta dell'Amministrazione laddove ha richiesto, in modo indifferenziato per i due sessi, l'identica statura minima, senza tener conto della diversa struttura fisica media dell'uomo e della donna. Nella prima ipotesi sarebbe in discussione il potere discrezionale della p.a. di ritenere idonei allo svolgimento delle mansioni di funzionario per i servizi antincendio solo coloro che hanno una statura di almeno m 1,65. Nell'ipotesi in esame, invece, le ricorrenti contestano il potere dell'amministrazione provinciale (e prima ancora del legislatore provinciale) di adottare un criterio di ammissione al concorso che e' oggettivamente svantaggioso per gli aspiranti donna. Se nel primo caso vi sarebbe da dubitare persino sulla sussistenza di un interesse tutelabile in via giurisdizionale (salvo un possibile profilo di irragionevolezza della norma), nell'ipotesi in esame la posizione fatta valere dalle ricorrenti e' riconducibile alla figura del diritto soggettivo: viene, infatti, azionato il diritto alla parita' di trattamento cui e' correlato l'obbligo della p.a. a non effettuare discriminazioni fondate esclusivamente sul sesso. La norma che le ricorrenti affermano violate non attiene alla disciplina dei poteri degli organi amministrativi, ma concerne l'obbligo, che la provincia autonoma di Trento (come qualsiasi altro datore di lavoro sia pubblico che privato) ha nei confronti dei lavoratori, di non adottare criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori dell'uno o dell'altro sesso (in questo senso si esprime l'art. 4, secondo comma, della legge n. 125/1991, definendo le cd. discriminazioni indirette). A fronte del diritto costituzionale alla parita' di trattamento in materia di lavoro non vi e' alcun potere discrezionale in capo alla p.a., ma soltanto il divieto di tenere comportamenti che si rivelino discriminatori in ragione del sesso. Alla luce di queste considerazioni deve essere affermata la giurisdizione del giudice ordinario (pretore del lavoro) sulla controversia in esame (in questo senso in riferimento ad un caso analogo anche pret. Milano, 16 agosto 1991, est. Turri). Non puo' essere accolta l'interpretazione letterale, che la convenuta offre del disposto ex art. 15, ultimo comma, della legge n. 903/1977. Secondo la provincia autonoma di Trento la cognizione del giudice amministrativo ivi prevista dovrebbe riguardare anche le controversie concernenti l'accesso al rapporto di pubblico impiego in quanto la norma richiama le violazioni di cui all'art. 15 primo comma, il quale, a sua volta, richiama, oltre all'art. 5, il quale attiene alle discriminazioni compiute nel corso del rapporto, anche l'art. 1, il quale si riferisce alle discriminazioni consumate nella fase dell'accesso al lavoro. La tesi, sebbene acuta, non e' condivisibile in quanto porterebbe ad un'estensione in via interpretativa dell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la quale, invece, per opinione consolidata, presuppone la costituzione del rapporto di pubblico impiego. Va poi aggiunto ad abundantiam che il tema dell'accesso al lavoro non si esaurisce in quello dei concorsi di primo livello, potendo riguardare anche i concorsi cd. interni riservati a coloro che rivestono gia' la qualita' di pubblico impiegato. Il terzo argomento, su cui si fonda l'eccezione di giurisdizione, concerne il petitum: chiedendo la dichiarazione di inefficacia del bando di concorso e di tutti gli atti compiuti successivamente, le ricorrenti proporrebbero una domanda inammissibile, stante il divieto ex art. 4, secondo comma, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, di intervento sull'atto amministrativo ad opera del giudice ordinario. Anche questo assunto non e' condivisibile. Recentemente la suprema Corte (Cass. s.u. 28 novembre 1990, n. 11461) ha ribadito la tesi (Cass. 26 luglio 1984, n. 4390; Cass. 26 luglio 1984, n. 441), secondo cui la particolare tutela dei diritti soggettivi delle organizzazioni sindacali, apprestata dall'art. 28 dello st. lav., non trova ostacolo nella circostanza che il comportamento addebitato all'ente pubblico si sostanzi in un formale provvedimento amministrativo, che per la sua intrinseca essenza o per il suo modo di manifestarsi sia tale da assumere carattere di antisindacalita'. Sono evidenti le analogie, sotto il profilo del petitum, tra il rimedio ex art. 28 dello st. lav. contro la condotta antisindacale del datore di lavoro ed il rimedio ex art. 15 della legge n. 907/1977 contro la condotta discriminatoria del datore di lavoro fondata sul sesso. Cio' vale anche dopo la novella dell'art. 28 dello st. lav. introdotta dall'art. 6 della legge 12 giugno 1990: una volta esclusa la giurisdizione del giudice amministrativo in quanto il comportamento della p.a. (la antisindacale, qui discriminatorio), non e' lesivo di situazioni soggettive inerenti al rapporto di pubblico impiego, non sono ammissibili restrizioni della tutela in ragione di asseriti limiti dei poteri del giudice ordinario. Va, infine, ricordato che la giurisprudenza di merito (pret. Milano, 16 agosto 1991, est. Turri) ha gia' affermato, proprio in riferimento all'art. 15 della legge n. 903/1977, che "il noto limite del potere dell'a.g.o. nei confronti della p.a. e dei suoi atti e' un feticcio secolare, ma non e' un vincolo di rango costituzionale e ben piu' puo' essere rimosso dal legislatore ordinario". D'altra parte, diversamente opinando, nell'ipotesi in esame, esclusa, come si e' visto, la giurisdizione del giudice amministrativo (la cui sussistenza non puo' che essere decisa sulla base della causa petendi, ossia della situazione fatta valere e non del petitum, ossia del contenuto della domanda), la tutela prevista dall'art. 15 della legge n. 903/1977 dovrebbe necessariamente essere negata in quanto l'atto discriminatorio si concretizza in un provvedimento amministrativo. Si tratterebbe, pero', di una negazione illegittima, non rinvenendosi nella norma un limite in tal senso. Sulla non manifesta infondatezza La questione di legittimita' costituzionale, qui sollevata d'ufficio, non e' manifestamente infondata. L'ipotesi in esame si configura come un esempio di scuola di "discriminazione indiretta", fattispecie questa descritta dall'art. 4, secondo comma della legge n. 125/1991 ("Costituisce discriminazione indiretta ogni trattamento pregiudizievole conseguente all'adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori dell'uno o dell'altro sesso e riguardino requisiti non essenziali allo svolgimento dell'attivita' lavorativa"). Come emerge dalla documentazione prodotta dalle ricorrenti (e non contestata dalla convenuta), e' considerata, secondo parametri medico-statistici riconosciuti a livello internazionale (curve di Tanner-Whitehouse), altezza "normale" femminile quella compresa tra il m 1,51 ed il m 1,73, mentre l'altezza "normale" maschile si colloca tra il m 1,63 ed il m 1,87. La norma censurata richiede, in modo indifferenziato per i due sessi, quale requisito per l'ammissione al concorso di funzionario per i servizi antincendio, settimo livello funzionale-retributivo, la statura minima di m 1,65. Come ben sostenuto dalle ricorrenti, cosi' facendo, la norma, se da un lato consente l'ammissione al concorso di quasi tutti gli uomini di altezza "normale" (ne rimangono esclusi soltanto quelli tra il m 1,63 ed il m 1,65), nega la possibilita' di partecipare al concorso addirittura a tutte le donne di altezza "normale-media", corrispondente a m 1,62 (1,73 - 1,51 = 22 quindi 1,51 + 11 = 1,62). Per evidenziare il conflitto tra la norma provinciale e gli artt. 3, primo comma, 3, secondo comma, e 37, primo comma, prima parte, della Costituzione sarebbe sufficiente ricordare che le norme statali ordinarie (legge n. 903/1977, e legge n. 125/1991) dirette a sanzionare discriminazioni del tipo di quella prevista dalla norma provinciale sono considerate i principali momenti di attuazione proprio di quei precetti costituzionali ritenuti in contrasto con la norma impugnata. Piu' specificamente, quest'ultima viola il principio di eguaglianza formale ex art. 3, primo comma, ed ex art. 37, primo comma, prima parte (il quale ribadisce il principio della parita' di trattamento in una materia, quale quella del lavoro, in cui in larga parte nel passato era stata posta sul piano normativo la diseguaglianza tra i due sessi) in quanto disciplina in modo omogeneo situazioni, la cui eterogeneita' e' connessa alla naturale diversita' di struttura fisica dell'uomo e della donna. La Corte costituzionale da tempo (ex plurimis sentenza 31 marzo 1961, n. 21) ritiene illegittime le norme che disciplinano in materia uguale situazioni diverse. D'altro canto la mancata considerazione di questo ineliminabile elemento di diversita' viola il criterio di ragionevolezza (in base al quale la Consulta, ormai tradizionalmente, esercita il suo sindacato di legittimita' sulle leggi ordinarie al fine di verificare la compatibilita' tra l'interesse all'eguaglianza paritaria e l'interesse sostanziale perseguito dalla legge nello specifico caso) poiche' non appare giustificata dalla particolarita' delle mansioni proprie del posto, cui aspira l'ing. Ceschini. E' significativo, a questo proposito, osservare che nel presente giudizio la provincia autonoma di Trento si e' limitata a sollevare il difetto di giurisdizione del pretore del lavoro e l'inammissibilita' della domanda, mentre non ha neppure tentato di dimostrare il carattere non discriminatorio della condotta addebitatale. Il fatto e' tanto piu' rilevante se si considera che sull'ente convenuto incombeva, ai sensi dell'art. 4, quinto comma, della legge n. 125/1991, l'onere di provare l'insussistenza della discriminazione, avendo le ricorrenti fornito elementi di fatto, fondati su dati di carattere statistico, idonei a fondare (come si e' gia' visto), in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di una discriminazione in ragione del sesso. L'irrilevanza di una statura minima di m. 1,65, a prescindere dal sesso, si desume anche dall'art. 1 della legge 13 dicembre 1986, n. 874, secondo cui "l'altezza delle persone non costituisce motivo alcuno di discriminazione per la partecipazione ai concorsi pubblici indetti dalle pubbliche amministrazioni, comprese quelle ad ordinamento autonomo, e dagli enti pubblici ..". E' vero che il successivo art. 2 consente al presidente del consiglio dei ministri di stabilire, attraverso una complessa procedura, "le mansioni e le qualifiche speciali, per le quali e' necessario definire un limite di altezza e la misura di detto limite". Con d.p.c.m. 22 luglio 1987 sono stati stabiliti specifici limiti di altezza per la partecipazione a taluni concorsi pubblici. In effetti tra questi e' previsto quello per la nomina ad allievo permanente del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Tuttavia non puo' sfuggire la profonda diversita', sotto il profilo delle mansioni, tra i componenti del corpo permanente dei vigili del fuoco e coloro che sono inquadrati nelle carriere direttive e di concetto del ruolo tecnico dei servizi antincendio. La tabella allegata alla l.p. 22 agosto 1988, n. 26, e concernente la dotazione organica del Corpo permanente dei vigili del fuoco distingue nettamente tra "personale tecnico dei servizi antincendio" e "vigili del fuoco". Inoltre per comprendere senza difficolta' perche' una statura inferiore a m 1,65 e' compatibile con lo svolgimento delle mansioni proprie del posto cui l'ing. Ceschini aspira, occorre tener presente che la declaratoria del settimo livello funzionale-retributivo, prevista dall'allegato a) alla l.p. 26 maggio 1980, n. 13, cosi' recita: "Attivita' professionali comportanti o preposizioni a uffici, servizi o altre unita' organiche non aventi rilevanza esterna, con margini valutativi per il perseguimento dei risultati, e facolta' di decisione e proposta nell'ambito di direttive generali; ovvero attivita' di collaborazione istruttoria o di studio, nel campo amministrativo e tecnico, richiedente specializzazione e preparazione professionale di settore a livello universitario. La preposizione a unita' organiche comporta piena responsabilita' per le direttive o istruzioni impartite nell'attivita' di indirizzo e coordinamento e per i risultati conseguiti. Attivita' di insegnamento a carattere teorico". Agevole e' poi evidenziare il contrasto tra la norma impugnata ed il principio di eguaglianza sostanziale (art. 3, secondo comma, della Costituzione): richiedere, ai fini dell'ammissione al concorso, un identico requisito fisico, il quale, a causa della naturale diversita' di struttura fisica dei due sessi, si rivela piu' rigoroso per la donna, significa frapporre un ostacolo alla partecipazione delle donne alla vita economica e sociale del Paese (la quale ha nel lavoro il suo principale momento) in stridente antitesi con il suddetto precetto costituzionale (il quale, al contrario, giustifica trattamenti piu' favorevoli nei confronti della donna, se diretti a rimuovere le cause della tradizionale diseguaglianza di fatto tra i sessi). Infine la norma ex art. 4 della l.p. n. 3/1980, viola il disposto dell'art. 4 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), il quale, ai sensi dell'art. 116 della Costituzione, ha valore di legge costituzionale. La norma impugnata e' stata emanata nell'esercizio della sua potesta' legislativa primaria in materia di ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto (art. 8 dello statuto autonomo). Tuttavia tale esercizio deve avvenire con il rispetto, tra l'altro, delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica (art. 4 dello statuto autonomo richiamato dall'art. 8 dello statuto autonomo). Non puo' seriamente dubitarsi che le leggi n. 903/1977 e 125/1991 rientrino in questa categoria di norme, se e' vero che costituiscono i principali momenti di attuazione dei precetti costituzionali ex artt. 3 e 37 della Costituzione. Il contrasto tra le leggi emanate dallo Stato per attuare la parita' di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro e la norma qui impugnata risultava evidente da quanto gia' detto in tema di discriminazione indiretta ex art. 4, secondo comma, della legge n. 125/1991.