IL PRETORE
    A scioglimento della riserva che precede, osserva;
                           RILEVATO IN FATTO
    Con ricorso ex art. 15 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, l'ing.
 Mariantonia  Ceschini  ed  il  consigliere  di  parita'   presso   la
 commissione  provinciale per la realizzazione delle pari opportunita'
 tra uomo e donna  della  provincia  di  Trento,  chiedevano  venissse
 ordinata   alla   provincia   autonoma   di   Trento   la  cessazione
 dell'illegittimo comportamento discriminatorio  nei  confronti  della
 prima  ricorrente  con rimozione degli effetti mediante dichiarazione
 di inefficacia del concorso pubblico, indetto con bando dd. 16 luglio
 1991, per la copertura di n. 1 posto  del  profilo  professionale  di
 funzionario  per  il  servizio  antincendi  VII  livello  funzionale-
 retributivo, e di atti compiuti successivamente.
    Lamentava la ricorrente che in detto bando  era  prevista,  tra  i
 requisiti  per  l'ammissione,  una  statura  superiore a m 1,65 senza
 distinzione tra i lavoratori dei due sessi.
    Avendo presentato domanda di partecipazione  al  concorso,  l'ing.
 Ceschini  era  stata sottoposta a visita da pare del collegio medico,
 il  quale  aveva  accertato  una  statura  inferiore  a  m  1,65.  Di
 conseguenza l'ing. Ceschini era stata esclusa dalla partecipazione al
 concorso, che veniva poi espletato.
    Sosteneva   la   ricorrente  che  il  comportamento  tenuto  dalla
 provincia autonoma di Trento nell'indizione e successiva  tenuta  del
 concorso era gravemente discriminatoria nei confronti della candidata
 donna  e violava il principio della parita' di trattamento tra uomini
 e donne in materia di accesso al lavoro espressamente  sancito  dalla
 legge n. 903/1977.
    Infatti  il  bando di concorso, non facendo alcuna distinzione fra
 l'altezza minima richiesta per i candidati di sesso maschile e quella
 richiesta per i candidati di sesso femminile, non teneva conto  della
 diversita'  di composizione fisica media dell'uno e dell'altro sesso.
 Secondo   parametri   medico-statistici,   riconosciuti   a   livello
 internazionale  (curve  di Tanner) e' considerata altezza normale per
 le donne quella compresa tra m 1,51 ed 1,73, mente la  soglia  minima
 per considerare un uomo di altezza normale e', invece il m 1,63.
    Cio'  comportava  che, se per gli uomini il requisito dell'altezza
 minima di m 1,65 e' del tutto normale  in  quanto  ben  pochi  uomini
 adulti  sono effettivamente al di sotto di tale statura, per le donne
 richiedere,  come  faceva  il   bando,   quale   requisito   per   la
 partecipazione, una statura minima di m 1,65 significava l'esclusione
 di tutte le donne di statura media, corrispondente a m 1,63.
    Ricordavano le ricorrenti che l'art. 4, secondo comma, della legge
 10  aprile  1991, n. 125, riconduce nell'ambito della discriminazione
 sessuale  indiretta  ogni  trattamento  pregiudizievole   conseguente
 all'adozione   di  criteri  che  svantaggino  in  modo  proporzionale
 maggiore i  lavoratori  dell'uno  o  dell'altro  sesso  e  riguardino
 requisiti non essenziali allo svolgimento dell'attivita' lavorativa.
    Ammettevano  le  ricorrenti  che  la  censura  mossa  al  bando di
 concorso andava estesa alla l.p. 15 febbraio 1980, n.  3,  richiamata
 in detto bando, la quale (art. 4) prevede la statura minima di m 1,65
 tra i requisiti particolari per l'accesso alla carriera direttiva del
 ruolo tecnico del servizio antincendi.
    Tuttavia,   a  detta  delle  ricorrenti,  cio'  non  escludeva  il
 carattere discriminatorio del comportamento della provincia  autonoma
 di  Trento,  la quale, in conformita' alla legge n. 125/1991, avrebbe
 dovuto stabilire una statura minima differenziata  per  i  lavoratori
 dei due sessi.
    Sostenevano, comunque, che la norma provinciale applicata nel caso
 di specie fosse priva di efficacia in quanto emanata in contrasto con
 le  norme  dello  statuto  speciale di autonomia per il Trentino-Alto
 Adige.
    Infatti la potesta' legislativa esclusiva della provincia autonoma
 di Trento deve sottostare  ai  limiti  stabiliti  dall'art.  4  dello
 statuto  autonomo  e  quindi,  oltre  ad  essere  in  armonia  con la
 Costituzione ed i principi dell'ordinamento  giuridico  dello  Stato,
 deve anche rispettare le "norme fondamentali delle riforme economiche
 sociali  della  Repubblica", tra le quali va senz'altro annoverata la
 legge n. 903/1977 in quanto attuativa di principi di civilta' sociale
 contenuti in norme costituzionali fondamentali (art. 3, 4 e 37  della
 Costituzione)  che  vestano  qualsiasi  discriminazione  fondata  sul
 sesso.
    Sostenevano che l'art. 4  della  l.p.  n.  3/1980  dovesse  essere
 interpretata  e  legittimamente  applicata solo nei limiti in cui non
 leda il  principio  di  non  discriminazione  contenuto  nella  norma
 statale.
    Affermavano  la giurisdizione del pretore del lavoro (del luogo in
 cui e' avvenuto il comportamento denunciato) in quanto  nel  caso  di
 specie veniva fatta valere una situazione di diritto soggettivo (alla
 parita' di trattamento fra uomo e donna in materia di lavoro) da pare
 di una persona nei confronti della quale non si era ancora instaurato
 il rapporto di pubblico impiego.
    Di conseguenza non poteva trovare applicazione il disposto ex art.
 15 ultimo comma della legge n. 903/1977, che prevede la giurisdizione
 del  giudice  amministrativo nel caso di comportamenti discriminatori
 riguardanti pubblici dipendenti.
    Costituendosi  in  giudizio,  la  provincia  autonoma  di   Trento
 eccepiva  preliminarmente  il  difetto  di  giurisdizione del pretore
 adito, trattandosi, nel caso di  specie,  di  procedura  di  concorso
 pubblico  volta  all'instaurazione  di  un  rapporto  di  servizio di
 diritto   pubblico   con   conseguente   cognizione    dell'autorita'
 giudiziaria  amministrativa  quale  giudice esclusivo (quindi sia dei
 diritti  soggettivi  che  degli  interessi  legittimi)  del  pubblico
 impiego.
    Negava  che  la  distinzione tra rapporto di pubblico impiego gia'
 costituito e rapporto ancora da costituire rappresentasse la linea di
 demarcazione tra la giurisdizione amministrativa e quella  ordinaria,
 essendo  ormai  consolidato  nella giurisprudenza della Suprema Corte
 l'orientamento    che    sottolinea    l'omnicomprensivita'     della
 giurisdizione  in  relazione ad ogni e qualsiasi aspetto del rapporto
 di lavoro, compresa la fase di selezione e di accesso, concentrandola
 unitamente nell'organo fornito di giurisdizione sul rapporto  stesso.
 Ricordava,   in  proposito,  le  vicende  relative  ai  concorsi  per
 l'ammissione   in   quegli   enti   pubblici    (ferrovie,    aziende
 municipalizzate)   il   cui  rapporto  con  i  propri  dipendenti  e'
 sottoposto alla disciplina privatistica.
    Sosteneva  che  l'espressione  "accesso  al   lavoro",   contenuta
 nell'art.  1  della  legge  n.  903/1977),  concerne  ogni ipotesi di
 discriminazione tra uomo e donna in materia di lavoro sia attuata nel
 corso del rapporto che riferita ad un rapporto da  costituire.  Sotto
 altro  profilo  la  convenuta  rilevata  che l'art. 15, ultimo comma,
 della legge n. 903/1977 fa espresso riferimento  alle  violazioni  di
 cui  all'art.  15,  primo  commma, stessa legge, la quale a sua volta
 richiama le violazioni delle disposizioni di cui agli  artt.  1  e  5
 stessa   legge.   Ne   derivava  che  la  giurisdizione  del  giudice
 amministrativo, ex art. 15, ultimo comma,  della  legge  n.  903/1977
 abbraccia  indistintamente  tutte le questioni che possono sorgere in
 relazione sia all'art. 1 che all'art. 5 della legge medesima.
    Orbene, a detta della convenuta, la tesi delle ricorrenti, secondo
 cui le questioni attinenti ad asserite discriminazioni nell'ambito di
 pubblici concorsi rientrano nella cognizione del  giudice  ordinario,
 porterebbe   ad  un'arbitraria  limitazione  delle  attribuzioni  del
 giudice amministrativo alle sole violazioni ex art. 5 (che si  occupa
 specificamente  dei  rapporti  gia'  costituiti,  vietando  qualsiasi
 discriminazione di tipo sessuale  al  loro  interno  in  relazione  a
 qualifiche,  mansioni, progressioni) con esclusione di quelle ex art.
 1, concernenti appunto le procedure antecedenti alla costituzione dei
 vari rapporti.  Sotto un terzo profilo la convenuta  riteneva  palese
 la  carenza  di  giurisdizione  del  giudice  ordinario alla luce del
 concreto petitum formulato dalle ricorrenti, le quali, richiedendo la
 dichiarazione di inefficacia e la rimozione del bando di  concorso  e
 di  tutti  gli atti conseguenti, avevano esercitato una tipica azione
 impugnatoria di annullamento rivolta contro atti amministativi.
    Si trattava, a detta della convenuta, di una pretesa inammissibile
 alla stregua della fondamentale legge 20 marzo 1865,  n.  2248,  all.
 E), il cui art. 4, secondo comma, vieta espressamente ogni intervento
 del  giudice  ordinario  sull'atto amministrativo in quanto tale (cd.
 limite interno alla giurisdizione).  In via subordinata la  convenuta
 osservava  che  il  censurato  bando  di  concorso  ed in particolare
 l'impugnata clausola sull'altezza minima  costituivano  la  fedele  e
 pedissequa  applicazione della norma ex art. 4 della l.p. 15 febbraio
 1980, n.  3  (costituente  l'art.  56-  bis  della  l.p.  n.  1/1980:
 ordinamento  degli uffici e del personale della provincia autonoma di
 Trento),  la  quale  prevede  esplicitamente  -  per  l'accesso  alle
 carriere  direttive  e  di  concetto  del  ruolo tecnico del servizio
 antincendi - il requisito della statura non inferiore ai m  1,65.  Di
 conseguenza   la  censurata  clausola  era  perfettamente  legittima,
 dovendo l'atto amministrativo sottostare  alla  legge  (principio  di
 legalita').    Sosteneva  non  potesse  essere  messa  in  dubbio  la
 perdurante vigenza dell'art. 4 della l.p. n.  3/1980,  la  quale  non
 poteva  essere  ne'  dalla  p.a. ne' dal giudice, ignorata e meno che
 meno disapplicata.   Negava che  detta  norma  fosse  stata  abrogata
 dall'art.  19  della  legge n. 903/1977 o dalla piu' recente legge n.
 125/1991,  per  l'impossibilita'  giuridica  che  una  legge  statale
 abroghi  o  modifichi  una legge provinciale, vigendo il principio di
 autonomia dei rispettivi  legislatori,  tra  i  quali  intercorre  un
 rapporto  o  di  reciproca  esclusione  o  di concorrenza, ma mai una
 relazione di tipo gerarchico.
    Rilevava, inoltre, che l'art. 19 della legge  n.  903/1977  (norma
 assertamente  abrogatrice)  risultava  di  molto anteriore all'art. 4
 della l.p. n. 3/1980 (norma assertamente abrogata) di talche' le tesi
 delle ricorrenti sembrava  configurare  un'inconcepibile  ipotesi  di
 abrogazione di norme future.
    Affermava,  infine,  l'inammissibilita'  della  domanda  di  parte
 ricorrente  in  quanto  diretta  a   sollecitare   un   provvedimento
 giudiziario che, non potendo ordinare alla p.a. di violare o ignorare
 la  norma  di legge, doveva necessariamente rivolgersi al legislatore
 provinciale, cui il giudice avrebbe dovuto ordinare la modifica della
 norma stessa.
    All'udienza del 15 aprile 1992  venivano  sentite  liberamente  le
 parti.
                          RITENUTO IN DIRITTO
    Viene   sollevata   d'ufficio   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 4 della l.p. 15 febbraio 1980, n. 3 (che  ha
 introdotto  l'art.  56-  bis  della l.p. 23 agosto 1963, n. 8), nella
 parte in cui, in violazione dei precetti costituzionali
  ex artt. 3, primo  comma  (principio  di  eguaglianza  formale),  3,
 secondo  comma,  (principio  di  eguaglianza sostanziale) e 37, primo
 comma, prima parte (parita' di trattamento dei due sessi  in  materia
 di  lavoro)  nonche'  degli  artt.  4  e  8 dello statuto speciale di
 autonomia per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670),
 in relazione all'art. 1 della  legge  9  dicembre  1977,  n.  903  ed
 all'art.  4,  primo  comma,  e  2 della legge 10 aprile 1991, n. 125,
 prevede, in modo indifferenziato per uomini e donne, la  statura  non
 inferiore a m. 1,65 tra i requisiti (primo comma, n. 2) richiesti per
 l'accesso alle carriere direttiva e di concetto del ruolo tecnico del
 servizio antincendi.
    Sulla rilevanza nel giudizio a quo.
    Il  giudizio  in  corso non puo' essere definito indipendentemente
 dalla risoluzione della  questione  di  legittimita'  costituzionale.
 Applicando  la  norma  impugnata la domanda proposta dalle ricorrenti
 dovrebbe essere rigettata.   Le ricorrenti, lamentando  il  carattere
 discriminatorio,  ai  sensi  della  legge  9 dicembre 1977, n. 903, e
 della legge 10 aprile 1991, n. 125, della sua esclusione, solamente a
 causa della sua statura inferiore di m 1,65, dalla partecipazione  al
 concorso  indetto dalla provincia autonoma di Trento per la copertura
 di un posto di funzionario per il servizio  antincendi,  VII  livello
 funzionale-retributivo,  chiedendo  vengano  dichiarati inefficaci il
 relativo  bando  dd.  16  luglio  1991  e  gli  altri  atti  compiuti
 successivamente.
    Tuttavia,  come  ha ben osservato la difesa di parte convenuta, la
 censurata clausola del bando di concorso non  e'  il  frutto  di  una
 scelta  propria,  discrezionale, dell'amministrazione provinciale, ma
 costituisce, al contrario la fedele e pedissequa applicazione di  una
 specifica  ed  espressa  norma  di legge (che si identifica in quella
 oggetto della questione qui sollevata).
    Si e', quindi, di fronte non ad  un  provvedimento  amministrativo
 illegittimo  (e  suscettibile, come tale, di disapplicazione da parte
 del giudice ordinario), ma ad un atto emanato in conformita'  ad  una
 norma di legge, di cui si sospetta l'incostituzionalita'.
    E'  noto  che  nel  nostro  ordinamento  il contrasto tra precetto
 costituzionale e norma  di  legge  ordinaria  (anche  di  fronte  non
 statale)  non puo' essere superato autonomamente dal giudice mediante
 disapplicazione "che e' potere esercitabile  solo  nei  confronti  di
 provvedimenti   amministrativi  illegittimi)  della  norma  di  legge
 ordinaria.
    Cosi' facendo il giudice violerebbe i precetti ex art. 137,  primo
 comma,  della  Costituzione,  ed  ex  l.c. 9 febbraio 1948, n. 1, che
 impongono  al  giudice  di  rinviare  alla  Corte  costituzionale  le
 questioni  di  legittimita'  costituzionale  delle leggi e degli atti
 aventi forza di legge.   Allo stesso  modo  deve  essere  risolto  il
 contrasto tra le disposizioni dello statuto speciale di autonomia per
 il   Trentino-alto   Adige,   che,   ai  sensi  dell'art.  116  della
 Costituzione, ha valore di legge costituzionale, e le  leggi  emanate
 dalla  provincia autonoma di Trento nell'esercizio della sua potesta'
 legislativa.
    Non e', quindi, fondato l'assunto delle ricorrenti, secondo cui la
 norma  provinciale  applicata  nel  caso  di  specie  sia  "priva  di
 efficacia"  in quanto emanata in contrasto con le norme dello statuto
 speciale di autonomia.  L'inefficacia della stessa norma  provinciale
 (e,  quindi, il potere-dovere del giudice di non applicarla) non puo'
 discendere neppure dall'art. 19  della  legge  n.  903/1977,  che  ha
 abrogato "tutte le disposizioni legislative in contrasto con le norme
 della presente legge".
    Convincenti  sono  sul  punto  le  deduzioni  di  parte convenuta,
 secondo cui la pretesa abrogazione, da  parte  della  norma  statale,
 della  norma  provinciale,  e'  esclusa  sia dall'insussistenza di un
 rapporto gerarchico tra le due norme sia dall'anteriorita'  temporale
 della   norma   (assertamente)   abrogatrice   rispetto   alla  norma
 (assertamento) abrogata.
    Il contrasto tra i precetti costituzionali in limine richiamati  e
 la  norma provinciale censurata non puo' neppure essere risolto, come
 invece sostengono le ricorrenti, in via  interpretativa,  attribuendo
 alla seconda un significato compatibile con i primi. Infatti l'art. 4
 della  l.p. n. 3/1980 non e' suscettibile di piu' interpretazioni (in
 claris   non   fit   interpretatio)   laddove   richiede,   in   modo
 indifferenziato per i due sessi, il requisito della statura minima di
 m  1,65. Ne consegue che, qualsiasi sia il supporto argomentativo, il
 ritenere che detta legge non preveda anche per le aspiranti donna  il
 requisito  della  statura  non  inferiore  a  m  1,65 equivarrebbe ad
 un'effettiva disapplicazione della legge stessa, il che, come  si  e'
 gia'   visto,  non  e'  ammissibile  nel  nostro  ordinamento  (fatta
 eccezione per i casi di contrasto tra legge ordinaria  e  regolamento
 comunitario  - v. la fondamentale Corte costituzionale 8 giugno 1984,
 n. 170).   La proposta questione di  legittimita'  costituzionale  e'
 rilevante  nel giudizio a quo anche perche' e' infondata l'eccezione,
 sollevata  dalla  provincia  autonoma  di  Trento,  del  difetto   di
 giurisdizione del pretore sulla presente controversia.
    L'ente convenuto sostiene la cognizione dell'autorita' giudiziaria
 amministrativa  quale giudice esclusivo del pubblico impiego, essendo
 consolidato nella giurisprudenza della suprema  Corte  l'orientamento
 che "sottolinea l'omnicomprensivita' della giurisdizione in relazione
 ad  ogni e qualsiasi aspetto del rapporto di lavoro, compresa la fase
 di  selezione  e di accesso, concentrandola unitariamente nell'organo
 fornito di giurisdizione sul rapporto stesso".
    L'assunto non puo' essere condiviso.
    E' vero che l'art. 15,  ultimo  comma,  della  legge  n.  903/1977
 conferma  la  giurisdizione  esclusiva  del giudice amministrativo in
 materia di  pubblico  impiego  (art.  29,  testo  unico,  del  c.d.s.
 richiamato  dall'art.  7  cpv. della legge del t.a.r.) stabilendo che
 "ove le violazioni  di  cui  al  primo  comma  riguardino  dipendenti
 pubblici  si  applicano  le  norme previste in materia di sospensione
 dell'atto dell'art. 21, ultimo comma, della legge 6 dicembre 1971, n.
 1034".
    Tuttavia e' consolidata  in  dottrina  la  tesi,  secondo  cui  la
 giurisdizione  esclusiva  del  giudice amministrativo, riguardando le
 controversie relative al rapporto di pubblico impiego, presuppone che
 quel rapporto sia stato gia' costituito.
    La  stessa  dottrina  ne  desume  che  rimangono   estranee   alla
 giurisdizione  esclusiva le controversie relative alla formazione del
 rapporto di pubblico impiego, ivi comprese quelle attinenti le proce-
 dure di concorso.
    Non e', quindi, esatto affermare che la presente  controversia  e'
 di  cognizione del giudice amministrativo in quanto rientra nella sua
 giurisdizione esclusiva.
    Tuttavia da cio' non discende necessariamente la giurisdizione del
 giudice ordinario. Si tratta, invece, di verificare se  la  posizione
 soggettiva,  che le ricorrenti hanno inteso far valere, rientri nella
 categoria dei diritti soggettivi (con conseguente  giurisdizione  del
 giudice  ordinario)  od  in  quella  degli  interessi  legittimi (con
 conseguente giurisdizione del giudice amministrativo).
    Tale verifica deve essere condotta (in questo sensi Cass. s.u.  28
 novembre  1990,  n.  11461) con riferimento non solo alle conclusioni
 formulate nel ricorso introduttivo ed ai provvedimenti  richiesti  al
 giudice  adito,  ma  anche  alle  ragioni  poste  a  fondamento della
 domanda.
    Sono note le definizioni del diritto soggettivo quale  pretesa  di
 tenere  (o  far  tenere)  un comportamento per la soddisfazione di un
 interesse tutelato dalla norma giuridica e  dell'interesse  legittimo
 quale pretesa alla legittimita' dell'atto amministrativo riconosciuto
 a  quel  soggetto  che  si trovi, rispetto all'esercizio di un potere
 discrezionale della p.a., in una particolare posizione legittimante.
    Pure noti sono i  criteri  di  distinzione  delle  due  situazioni
 soggettive  fondati  sui  binomi  norme di relazione-norme di azione,
 provvedimento  vincolato-provvedimento  discrezionale,   carenza   di
 potere-cattivo uso di potere.
    Nel  caso  di  specie le ricorrenti non contestano la legittimita'
 della condotta dell'amministrazione  provinciale  perche'  questa  ha
 ritenuto  necessario  che  il  posto  di  funzionario  per  i servizi
 antincendio sia coperto da persona di statura non inferiore a m 1,65,
 ma   affermano   la    natura    discriminatoria    della    condotta
 dell'Amministrazione  laddove  ha  richiesto, in modo indifferenziato
 per i due sessi, l'identica statura minima, senza tener  conto  della
 diversa struttura fisica media dell'uomo e della donna.
    Nella prima ipotesi sarebbe in discussione il potere discrezionale
 della  p.a.  di  ritenere  idonei  allo svolgimento delle mansioni di
 funzionario per i servizi  antincendio  solo  coloro  che  hanno  una
 statura di almeno m 1,65.
    Nell'ipotesi  in esame, invece, le ricorrenti contestano il potere
 dell'amministrazione provinciale  (e  prima  ancora  del  legislatore
 provinciale) di adottare un criterio di ammissione al concorso che e'
 oggettivamente  svantaggioso  per  gli aspiranti donna.  Se nel primo
 caso vi sarebbe da dubitare persino sulla sussistenza di un interesse
 tutelabile in via giurisdizionale  (salvo  un  possibile  profilo  di
 irragionevolezza  della  norma),  nell'ipotesi  in esame la posizione
 fatta valere  dalle  ricorrenti  e'  riconducibile  alla  figura  del
 diritto  soggettivo: viene, infatti, azionato il diritto alla parita'
 di trattamento cui e' correlato l'obbligo della p.a. a non effettuare
 discriminazioni fondate esclusivamente sul sesso.
    La norma che le ricorrenti  affermano  violate  non  attiene  alla
 disciplina  dei  poteri  degli  organi  amministrativi,  ma  concerne
 l'obbligo, che la provincia autonoma di Trento (come qualsiasi  altro
 datore  di  lavoro  sia  pubblico  che  privato) ha nei confronti dei
 lavoratori,  di  non  adottare  criteri  che  svantaggino   in   modo
 proporzionalmente  maggiore  i lavoratori dell'uno o dell'altro sesso
 (in questo senso si esprime l'art. 4, secondo comma, della  legge  n.
 125/1991, definendo le cd. discriminazioni indirette).
    A fronte del diritto costituzionale alla parita' di trattamento in
 materia  di  lavoro non vi e' alcun potere discrezionale in capo alla
 p.a., ma soltanto il divieto di tenere comportamenti che si  rivelino
 discriminatori in ragione del sesso.
    Alla  luce  di  queste  considerazioni  deve  essere  affermata la
 giurisdizione  del  giudice  ordinario  (pretore  del  lavoro)  sulla
 controversia  in  esame  (in  questo  senso in riferimento ad un caso
 analogo anche pret. Milano, 16 agosto 1991, est. Turri).
    Non  puo'  essere  accolta  l'interpretazione  letterale,  che  la
 convenuta offre del disposto ex art. 15, ultimo comma, della legge n.
 903/1977.
    Secondo  la provincia autonoma di Trento la cognizione del giudice
 amministrativo ivi prevista dovrebbe riguardare anche le controversie
 concernenti l'accesso al rapporto di pubblico impiego  in  quanto  la
 norma  richiama  le  violazioni  di  cui  all'art. 15 primo comma, il
 quale, a sua volta, richiama, oltre all'art. 5, il quale attiene alle
 discriminazioni compiute nel corso del rapporto, anche l'art.  1,  il
 quale   si   riferisce  alle  discriminazioni  consumate  nella  fase
 dell'accesso al lavoro.
    La tesi, sebbene acuta, non e' condivisibile in quanto  porterebbe
 ad    un'estensione   in   via   interpretativa   dell'ambito   della
 giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la quale, invece,
 per opinione consolidata, presuppone la costituzione del rapporto  di
 pubblico impiego.
    Va  poi aggiunto ad abundantiam che il tema dell'accesso al lavoro
 non si esaurisce in quello dei concorsi  di  primo  livello,  potendo
 riguardare  anche  i  concorsi  cd.  interni  riservati  a coloro che
 rivestono gia' la qualita' di pubblico impiegato.
    Il terzo argomento, su cui si fonda l'eccezione di  giurisdizione,
 concerne  il  petitum:  chiedendo la dichiarazione di inefficacia del
 bando di concorso e di tutti gli atti  compiuti  successivamente,  le
 ricorrenti proporrebbero una domanda inammissibile, stante il divieto
 ex art. 4, secondo comma, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E,
 di   intervento   sull'atto   amministrativo  ad  opera  del  giudice
 ordinario.
    Anche questo assunto non e' condivisibile.
    Recentemente  la  suprema  Corte  (Cass. s.u. 28 novembre 1990, n.
 11461) ha ribadito la tesi (Cass. 26 luglio 1984, n. 4390;  Cass.  26
 luglio  1984,  n. 441), secondo cui la particolare tutela dei diritti
 soggettivi delle organizzazioni sindacali,  apprestata  dall'art.  28
 dello   st.  lav.,  non  trova  ostacolo  nella  circostanza  che  il
 comportamento addebitato all'ente pubblico si sostanzi in un  formale
 provvedimento amministrativo, che per la sua intrinseca essenza o per
 il  suo  modo  di  manifestarsi  sia  tale  da  assumere carattere di
 antisindacalita'.
   Sono evidenti le analogie, sotto il profilo  del  petitum,  tra  il
 rimedio  ex  art.  28 dello st. lav. contro la condotta antisindacale
 del datore di lavoro ed il rimedio ex art. 15 della legge n. 907/1977
 contro la condotta discriminatoria del datore di lavoro  fondata  sul
 sesso.
    Cio'  vale  anche  dopo  la  novella  dell'art.  28 dello st. lav.
 introdotta dall'art. 6 della legge 12 giugno 1990: una volta  esclusa
 la   giurisdizione   del   giudice   amministrativo   in   quanto  il
 comportamento della p.a. (la antisindacale, qui discriminatorio), non
 e' lesivo di situazioni soggettive inerenti al rapporto  di  pubblico
 impiego,  non sono ammissibili restrizioni della tutela in ragione di
 asseriti limiti dei poteri del giudice ordinario.
    Va, infine, ricordato  che  la  giurisprudenza  di  merito  (pret.
 Milano,  16  agosto  1991,  est. Turri) ha gia' affermato, proprio in
 riferimento all'art. 15 della legge n. 903/1977, che "il noto  limite
 del potere dell'a.g.o. nei confronti della p.a. e dei suoi atti e' un
 feticcio secolare, ma non e' un vincolo di rango costituzionale e ben
 piu' puo' essere rimosso dal legislatore ordinario".
    D'altra  parte,  diversamente  opinando,  nell'ipotesi  in  esame,
 esclusa,  come  si   e'   visto,   la   giurisdizione   del   giudice
 amministrativo  (la  cui sussistenza non puo' che essere decisa sulla
 base della causa petendi, ossia della situazione fatta valere  e  non
 del  petitum,  ossia del contenuto della domanda), la tutela prevista
 dall'art. 15 della legge n. 903/1977 dovrebbe necessariamente  essere
 negata   in  quanto  l'atto  discriminatorio  si  concretizza  in  un
 provvedimento amministrativo. Si tratterebbe, pero', di una negazione
 illegittima, non rinvenendosi nella norma un limite in tal senso.
 Sulla non manifesta infondatezza
    La  questione  di  legittimita'  costituzionale,   qui   sollevata
 d'ufficio, non e' manifestamente infondata.
    L'ipotesi  in  esame  si  configura  come  un esempio di scuola di
 "discriminazione indiretta", fattispecie questa  descritta  dall'art.
 4,    secondo   comma   della   legge   n.   125/1991   ("Costituisce
 discriminazione   indiretta    ogni    trattamento    pregiudizievole
 conseguente   all'adozione   di   criteri  che  svantaggino  in  modo
 proporzionalmente maggiore i lavoratori dell'uno o dell'altro sesso e
 riguardino requisiti non essenziali allo  svolgimento  dell'attivita'
 lavorativa").
    Come  emerge dalla documentazione prodotta dalle ricorrenti (e non
 contestata  dalla  convenuta),  e'  considerata,  secondo   parametri
 medico-statistici  riconosciuti  a  livello  internazionale (curve di
 Tanner-Whitehouse), altezza "normale" femminile quella  compresa  tra
 il  m  1,51  ed  il  m  1,73,  mentre l'altezza "normale" maschile si
 colloca tra il m 1,63 ed il m 1,87.
    La  norma  censurata  richiede,  in modo indifferenziato per i due
 sessi, quale requisito per l'ammissione al  concorso  di  funzionario
 per i servizi antincendio, settimo livello funzionale-retributivo, la
 statura minima di m 1,65.
    Come  ben  sostenuto dalle ricorrenti, cosi' facendo, la norma, se
 da un lato consente l'ammissione  al  concorso  di  quasi  tutti  gli
 uomini di altezza "normale" (ne rimangono esclusi soltanto quelli tra
 il  m  1,63  ed  il  m  1,65), nega la possibilita' di partecipare al
 concorso addirittura a tutte le  donne  di  altezza  "normale-media",
 corrispondente a m 1,62 (1,73 - 1,51 = 22 quindi 1,51 + 11 = 1,62).
    Per  evidenziare il conflitto tra la norma provinciale e gli artt.
 3, primo comma, 3, secondo comma, e 37,  primo  comma,  prima  parte,
 della Costituzione sarebbe sufficiente ricordare che le norme statali
 ordinarie  (legge  n.  903/1977,  e  legge  n.  125/1991)  dirette  a
 sanzionare discriminazioni del tipo di quella  prevista  dalla  norma
 provinciale  sono  considerate  i  principali  momenti  di attuazione
 proprio di quei precetti costituzionali ritenuti in contrasto con  la
 norma   impugnata.     Piu'  specificamente,  quest'ultima  viola  il
 principio di eguaglianza formale ex art. 3, primo comma, ed  ex  art.
 37,  primo  comma, prima parte (il quale ribadisce il principio della
 parita' di trattamento in una materia, quale quella  del  lavoro,  in
 cui in larga parte nel passato era stata posta sul piano normativo la
 diseguaglianza tra i due sessi) in quanto disciplina in modo omogeneo
 situazioni, la cui eterogeneita' e' connessa alla naturale diversita'
 di  struttura fisica dell'uomo e della donna. La Corte costituzionale
 da tempo  (ex  plurimis  sentenza  31  marzo  1961,  n.  21)  ritiene
 illegittime  le  norme  che disciplinano in materia uguale situazioni
 diverse.
    D'altro canto la mancata considerazione  di  questo  ineliminabile
 elemento  di  diversita' viola il criterio di ragionevolezza (in base
 al  quale  la  Consulta,  ormai  tradizionalmente,  esercita  il  suo
 sindacato di legittimita' sulle leggi ordinarie al fine di verificare
 la   compatibilita'   tra  l'interesse  all'eguaglianza  paritaria  e
 l'interesse sostanziale perseguito dalla legge nello specifico  caso)
 poiche'  non  appare giustificata dalla particolarita' delle mansioni
 proprie del posto, cui aspira l'ing. Ceschini.
    E' significativo, a questo proposito, osservare che  nel  presente
 giudizio  la  provincia autonoma di Trento si e' limitata a sollevare
 il   difetto   di   giurisdizione   del   pretore   del   lavoro    e
 l'inammissibilita'  della  domanda,  mentre non ha neppure tentato di
 dimostrare  il   carattere   non   discriminatorio   della   condotta
 addebitatale.
    Il  fatto  e'  tanto  piu' rilevante se si considera che sull'ente
 convenuto incombeva, ai sensi dell'art. 4, quinto comma, della  legge
 n.    125/1991,    l'onere    di    provare   l'insussistenza   della
 discriminazione, avendo le  ricorrenti  fornito  elementi  di  fatto,
 fondati su dati di carattere statistico, idonei a fondare (come si e'
 gia'  visto),  in  termini  precisi  e  concordanti,  la  presunzione
 dell'esistenza di una discriminazione in ragione del sesso.
    L'irrilevanza di una statura minima di m. 1,65, a prescindere  dal
 sesso,  si  desume anche dall'art. 1 della legge 13 dicembre 1986, n.
 874, secondo cui "l'altezza  delle  persone  non  costituisce  motivo
 alcuno  di discriminazione per la partecipazione ai concorsi pubblici
 indetti   dalle   pubbliche   amministrazioni,   comprese  quelle  ad
 ordinamento autonomo, e dagli enti pubblici ..".
    E' vero che il  successivo  art.  2  consente  al  presidente  del
 consiglio   dei  ministri  di  stabilire,  attraverso  una  complessa
 procedura, "le mansioni e le qualifiche speciali,  per  le  quali  e'
 necessario  definire  un  limite  di  altezza  e  la  misura di detto
 limite". Con d.p.c.m. 22 luglio 1987 sono stati  stabiliti  specifici
 limiti di altezza per la partecipazione a taluni concorsi pubblici.
    In  effetti tra questi e' previsto quello per la nomina ad allievo
 permanente del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
    Tuttavia non  puo'  sfuggire  la  profonda  diversita',  sotto  il
 profilo  delle  mansioni,  tra  i componenti del corpo permanente dei
 vigili  del  fuoco  e  coloro  che  sono  inquadrati  nelle  carriere
 direttive e di concetto del ruolo tecnico dei servizi antincendio.
    La tabella allegata alla l.p. 22 agosto 1988, n. 26, e concernente
 la  dotazione  organica  del  Corpo  permanente  dei vigili del fuoco
 distingue nettamente tra "personale tecnico dei servizi  antincendio"
 e "vigili del fuoco".
    Inoltre  per  comprendere  senza  difficolta'  perche' una statura
 inferiore a m 1,65 e' compatibile con lo svolgimento  delle  mansioni
 proprie  del posto cui l'ing. Ceschini aspira, occorre tener presente
 che  la  declaratoria  del  settimo  livello  funzionale-retributivo,
 prevista  dall'allegato  a)  alla  l.p.  26 maggio 1980, n. 13, cosi'
 recita: "Attivita' professionali comportanti o preposizioni a uffici,
 servizi o altre unita' organiche non aventi  rilevanza  esterna,  con
 margini  valutativi per il perseguimento dei risultati, e facolta' di
 decisione  e  proposta  nell'ambito  di  direttive  generali;  ovvero
 attivita'  di  collaborazione  istruttoria  o  di  studio,  nel campo
 amministrativo e tecnico, richiedente specializzazione e preparazione
 professionale di settore a livello universitario. La  preposizione  a
 unita'  organiche  comporta  piena responsabilita' per le direttive o
 istruzioni impartite nell'attivita' di indirizzo  e  coordinamento  e
 per  i  risultati  conseguiti.  Attivita' di insegnamento a carattere
 teorico". Agevole e'  poi  evidenziare  il  contrasto  tra  la  norma
 impugnata ed il principio di eguaglianza sostanziale (art. 3, secondo
 comma,  della  Costituzione):  richiedere, ai fini dell'ammissione al
 concorso, un identico requisito  fisico,  il  quale,  a  causa  della
 naturale diversita' di struttura fisica dei due sessi, si rivela piu'
 rigoroso   per   la  donna,  significa  frapporre  un  ostacolo  alla
 partecipazione delle donne alla vita economica e  sociale  del  Paese
 (la  quale  ha  nel  lavoro  il  suo principale momento) in stridente
 antitesi con  il  suddetto  precetto  costituzionale  (il  quale,  al
 contrario, giustifica trattamenti piu' favorevoli nei confronti della
 donna,   se   diretti   a   rimuovere  le  cause  della  tradizionale
 diseguaglianza di fatto tra i sessi).
    Infine la norma ex art. 4 della l.p. n. 3/1980, viola il  disposto
 dell'art. 4 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R.
 31  agosto  1972,  n.  670),  il  quale, ai sensi dell'art. 116 della
 Costituzione, ha valore di legge costituzionale.
    La norma impugnata  e'  stata  emanata  nell'esercizio  della  sua
 potesta'  legislativa primaria in materia di ordinamento degli uffici
 provinciali e del personale ad essi addetto  (art.  8  dello  statuto
 autonomo).
    Tuttavia  tale  esercizio  deve  avvenire  con  il  rispetto,  tra
 l'altro, delle norme  fondamentali  delle  riforme  economico-sociali
 della  Repubblica (art. 4 dello statuto autonomo richiamato dall'art.
 8 dello statuto autonomo). Non puo' seriamente dubitarsi che le leggi
 n. 903/1977 e 125/1991 rientrino in questa categoria di norme, se  e'
 vero  che  costituiscono  i  principali  momenti  di  attuazione  dei
 precetti costituzionali ex artt. 3 e 37 della Costituzione.
    Il contrasto tra le leggi  emanate  dallo  Stato  per  attuare  la
 parita'  di  trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro e la
 norma qui impugnata risultava evidente da quanto gia' detto  in  tema
 di discriminazione indiretta ex art. 4, secondo comma, della legge n.
 125/1991.