IL PRETORE Sciogliendo fuori udienza la riserva, pronuncia la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale nella causa promossa da Millo Ofelia con gli avv. Diego e Ferletic contro l'I.N.P.S. con gli avv. Dolcher, Formicola e Rando, letti gli atti di causa O S S E R V A Con ricorso depositato il 16 aprile 1992 Ofelia Millo si rivolgeva a questo pretore, giudice del lavoro, esponendo di essere titolare di due pensioni erogate da parte dell'I.N.P.S. a far tempo da epoca anteriore al settembre 1983, di aver ricevuto da parte dell'ente cennato, che aveva continuato ad erogare le pensioni nelle misure adottate ed in atto al settembre 1983, richiesta di ripetizione della somma indebitamente erogatale per L. 2.739.550 richiamandosi quindi alla norma di cui all'art. 52 della legge 88/1989 nonche' a quella di cui all'art. 13 della legge n. 412/1991, la ricorrente chiedeva che questo pretore, accertata l'illegittimita' di siffatta richiesta, dichiarasse l'inesistenza di obbligo alcuno di restituzione di tali somme da parte sua e l'illegittimita' di ogni e qualsivoglia iniziativa dell'I.N.P.S. tesa al recupero degli indebiti in questione. Chiedeva inoltre l'attrice, ex art. 70 del c.p.c., che il giudicante, in considerazione del fatto che l'I.N.P.S. aveva, nelle more del procedimento iniziato a recuperare a mezzo di trattenute la somma citata e del danno grave ed irreparabile cosi arrecatole, intimasse al convenuto di continuare a pagare alla Millo l'ammontare intero delle somme dovute a titolo pensionistico sino alla definitiva pronuncia di merito. Si costituiva in giudizio, ritualmente e tempestivamente, l'I.N.P.S. nella fase urgente dello stesso che rilevava il fatto che l'indebito era venuto in essere a seguito dell'applicazione dell'art. 6 della legge n. 638/1983 e che in effetti si era recuperato parte dell'indebito a mezzo di trattenute di L. 261.260 mensili. Chiedeva quindi il convenuto la reiezione delle domande attoree tutta. Dato corso alla discussione in merito all'istanza di provvedimento urgente qui avanzato all'udienza del 15 maggio 1992 questo giudice si riservava e provvedeva come da provvedimento qui steso. Viene qui sollevata, di ufficio, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13, primo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, in riferimento agli artt. 3, 38, 101 e 104 della Costituzione; detta norma infatti troverebbe pacifica applicazione nella fattispecie, come riconosciuto dalle parti e, in particolare, dalla ricorrente. In punto rilevanza si nota che la norma di cui all'art. 13 citato sopra si presenta e si atteggia, per quel che attiene in ispecie al suo primo comma, come una norma di interpretazione autentica (vedi rubrica) e mira "le disposizioni di cui all'art. 52, secondo comma, della legge 9 marzo 1989, n. 88 si interpretano ..." come una vera e propria disposizione interpretativa idonea a valere anche per le situazioni ancora in atto, quali quella della interessata. L'interpretazione e l'applicazione del dettato dell'art. 13 della legge n. 412/1991 costituiscono elemento ineludibile ai fini delle decisioni visto che non vi e' spazio per il ricorso all'applicazione dell'art. 52, secondo comma, della legge n. 88/1989 nel suo testo originario e, come e' stato asserito sul tema, ben e' possibile il ricorso a norme interpretative aventi efficacia ex tunc e miranti a vincolare l'operato dell'interprete ad attribuire a certe norme un senso anziche' un altro. Questo, beninteso, nel caso in cui sul tema non vi sia un uniforme opera interpretativa da parte della prassi e, quindi, degli organi giudicanti in prima istanza; dunque la norma interpretativa si attagli ai casi di norme per la cui applicazione sia in atto un vivo ed acceso contrasto di orientamenti. Questo invece non pare proprio essere il caso dell'art. 52, secondo comma, della legge n. 88/1989 sull'interpretazione del quale non e' dato rinvenire contrasto di tale portata e natura; l'art. 13, primo comma, della legge n. 412/1991 citata ha in realta' la natura di un norma con diversi profili innovativi che e' tesa a far attribuire all'art. 52 cennato una portata assai differente rispetto a quella sino ad allora pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza. Infatti, rifacendosi ad autorevolissimo suffragio (vedi ordinanza n. 235/1992 della Corte di cassazione nella causa I.N.P.S./Ferrari Tenca) il lavoro interpretativo della stessa Corte suprema (vedi, in particolare, cass. 1839/1991, cass. 828/1991 e cass. 10061/1990 fra le tante citate dalla stessa Corte suprema nel sollevare la medesima questione) era orientato nel senso che l'art. 52, secondo comma, della legge n. 88/1989 citata prima si riferiva ad ogni ipotesi di errore e con riferimento ad ogni fase indistintamente dello svolgersi del rapporto previdenziale e pensionistico. Quindi ci si trovava in presenza di un orientamento giurisprudenziale del tutto costante anche con riferimento a casi del tutto simili a quello presente (ci si riferisce all'ipotesi di cui all'art. 19 della legge n. 843/1978 e di cui alle sentenze nn. 828 e 1839 del 1991 su ricordate) nel quale l'avvenuta introduzione di una normativa (nel caso specifico, l'art. 6, primo comma, del d.-l. n. 463/1983 cosi' come convertito nella legge n. 638/1983) ha determinato l'errato pagamento all'interessata di somme a lei non piu' dovute e, di conseguenza, l'indebito per cui e' lite. Ora l'art. 13 della legge n. 412/1991 ha introdotto quattro innovazioni in materia: l'esigenza che le somme siano state erogate in base a provvedimento formale e definitivo, che detto provvedimento sia stato comunicato agli interessati, che l'errore risulti dal provvedimento, che non vi sia stata omessa od incompleta segnalazione da parte dei ricorrenti di fatti incidenti sul diritto e sulla misura della pensione goduta. Mentre l'art. 52 dava rilevanza all'errore verificatosi in qualsiasi fase del rapporto pensionistico senza necessita' di provvedimento formale la nuova norma esige detto provvedimento affinche' possa operare la sanatoria di cui all'art. 52 della legge n. 88/1989 senza peraltro considerare le ipotesi assai frequenti di indebiti venuti in essere a causa di atti applicativi di nuove norme. Circoscrivere l'errore rilevante ai soli casi di formale e definitivo provvedimento significa escludere ad esempio l'errore occorso in sede di erogazione cui si rifaceva espressamente l'art. 52 citato; l'esclusione poi dalla sanatoria di tutti i casi di omessa od incompleta segnalazione di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione costituisce l'introduzione di un onere a carico degli interessati prima inesistente e anche di una presunzione generalizzata di conoscibilita' delle norme regolanti la materia che parte ingiusto ed ingeneroso creare a peso degli interessati (pensionati non certo al corrente delle, frequenti, ripetute e a volta caotiche novita' legislative sul tema). Si condivide infatti quanto sostenuto dalla Corte suprema (ordinanza n. 235/1992 citata) secondo cui si e' equiparato al dolo il silenzio dei pensionati in materia (possesso di altri redditi, titolarita' di altre pensioni ..) senza tener conto del generale principio di buona fede cui e' improntato il nostro ordinamento. Pertanto non ci troviamo di fronte ad una norma interpretativa ma a qualcosa di piu' e di diverso: non vi era incertezza veruna sul dettato dell'art. 52 della legge n. 88/1989 e la norma di cui all'art. 13 ha ampliato a dismisura la portata dell'art. 52 suddetto, per le ragioni esposte prima. Si e' cosi' sottratto agli organi giudicanti tutti, in presenza di una normativa del tutto nuova, ogni potere di interpretare la vecchia normativa di cui alla legge n. 88/1989; di qui il possibile contrasto dell'art. 13, primo comma, della legge n. 412/1991 con gli artt. 3 (principio di ragionevolezza) 101 (soggezione dei giudici alla legge soltanto) e 104 (indipendenza della Magistratura) della Costituzione. Ancora, no vi e' chi non veda la disparita' di trattamento che verrebbe in essere fra i vari tipi di indebiti, quelli derivati da un formale provvedimento viziato e quelli non derivati da tale evenienza, quali quelli che qui ci riguardano. Giova poi rammentare quanto affermato dalla stessa Consulta (vedi sent. n. 383/1990) in materia, allorche' la Corte stessa si occupo' dell'art. 52 della legge n. 88/1989 e cioe' che " .. in altri termini e' sancita la irripetibilita' delle somme erogate, sia che l'errore sia caduto sull' an sia sul quantum .. la suddetta interpretazione ..e' adeguatrice ai precetti costituzionali, ponendo su un piano di parita' il trattamento dei pensionati dell'I.N.P.S. e quello dei pensionati ex dipendenti pubblici ..": diversamente quando verrebbe di nuovo in essere la disparita' di trattamento lamentata e denunciata dal pretore di Ferrara. Il ripetere poi da persone quali i pensionati, modesti consumatori, degli importi percepiti per errori ed in buona fede, importi notoriamente impiegati dagli interessati per il proprio sostentamento e la conseguente compressione delle entrate dei pensionati stessi potrebbe far venire in essere una violazione del diritto a disporre di mezzi adeguati alle esigenze di vita rispetto agli aventi tutelati dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione. Ricordato quindi che, in merito alla rilevanza, la norma di cui all'art. 13, primo comma, della legge n. 412/1991 appare nel caso di specie di immediata applicazione laddove essa si riferisce al caso dell'omessa ed incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto a pensione .. (nel caso della ricorrente leggasi l'omessa comunicazione del reddito posseduto o della titolarita' di altra pensione, fatto emergente dagli atti di causa) e' necessario rimettere gli atti alla Corte costituzionale acche' sia risolta la questione di legittimita' qui prospettata. Il giudizio va dunque sospeso e si deve provvedere agli adempimenti di rito ex art. 23 della legge n. 87/1953.