IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa per controversia in materia di previdenza e assistenza obbligatorie promossa con domanda depositata in data 21 marzo 1991 da Iarlori Concetta, residente in Pollutri ed elettivamente domiciliata in Lanciano presso lo studio dell'avv. Sandro Rinaldi che la rappresenta e difende per mandato in calce al ricorso, attrice, contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale (I.N.P.S.), in persona del presidente pro- tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Bruno Grappone, Giuliano Teti e Gennaro D'Avanzo per procure generali alle liti 7 novembre 1986 e 17 novembre 1987 notar Franco Lupo di Roma elettivamente domiciliato in Chieti presso la sede dell'istituto convenuto. Oggetto: integrazione al minimo di pensione di riversibilita'. F A T T O Con ricorso depositato il 21 marzo 1991, Iarlori Concetta - premesso che l'istante, titolare di pensione cat. IR n. 82025721, godeva altresi' di pensione cat. SR n. 32010635 dal 1º aprile 1983; che una domanda 20 luglio 1988 dell'istante per riconoscimento del diritto al trattamento minimo sulla pensione di riversibilita', era stata disattesa dall'I.N.P.S. di Chieti; che eguale esito avveva avuto un successivo ricorso che il diritto dell'istante andava affermato tenuto conto della sentenza 29 dicembre 1988, n. 1144 della Corte costituzionale; - chiedeva al Pretore di Lanciano in funzione di giudice della lavoro che L'I.N.P.S. fosse condannato a corrisponderle la pensione cat. SR n. 32010635 integrata al trattamento minimo ai sensi di legge, oltre i ratei scaduti, la rivalutazione o gli interessi legali, e le spese di lite di distrarsi in favore del procuratore antistatario. Il pretore, con decreto 21 marzo 1991, fissava per la discussione l'udienza del 24 maggio 1991. Ritualmente instauratosi il contraddittorio, il convenuto deduceva che: al caso di specie non era applicabile alcuna sentenza della Corte costituzionale giacche' la pensione SR, come gia' quella IR del coniuge, era stata sempre in pagamento secondo il calcolo del pro- rata (cumulo della contribuzione italiana e tedesca); inoltre, se dovuta, l'integrazione al minimo poteva spettare all'attrice solo sino al 30 settembre 1983, eccepita comunque la prescrizione decennale dei ratei maturati; non spettava la rivalutazione monetaria, attesa l'incolpevolezza dell'Istituto a fronte di un diritto escluso da norma successivamente dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale; per tale ragione gli interessi erano dovuti solo dalla data del ricorso giudiziale (in ogni caso andava eccepita la prescrizione quinquennale). Il tutto, con conpensazione delle spese. In prosieguo, dalle parti prodotti documenti vari, si aveva discussione orale: all'esito della quale, udite le conclusioni delle parti medesime, in relazione all'eccezione di incostituzionalita' della normativa vigente in punto di cristalilizzazione pensionistica il Pretore ha pronunciato ordinanza. D I R I T T O Con il ricorso introduttivo del giudizio Iarlori Concetta, titolare di pensione diretta di vecchiaia a carico dell'I.N.P.S. - fondo speciale per i coltivatori diretti, mezzadri e coloni, con il ricorso introduttivo ha chiesto riconoscersi il suo diritto all'integrazione al minimo di altra pensione di cui nel contempo fruisce, di riversibilita' a carico dell'I.N.P.S. - stessa gestione speciale. Tale pretesa, al di la' delle implicazioni recate dalle sentenze 5 maggio 1988, n. 503, e 29 dicembre 1988, n. 1144, della Corte costituzionale in riferimento al lasso temporale compreso tra il 1º aprile 1983 ed il 30 settembre 1983, e' resistita in relazione al periodo successivo dal disposto dell'art. 4, primo comma, del d.-l. 20 maggio 1992, n. 293, che cosi' recita: "L'art. 6, quinto, sesto e settimo comma, del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, si interpreta nel senso che in caso di concorso di due o piu' pensioni integrate al trattamento minimo liquidate con decorrenza anteriore alla data di entrata in vigore del predetto decreto, l'importo del trattamento minimo vigente a tale data e' conservato se una sola delle pensioni come individuata con i criteri previsti dal terzo comma, dello stesso articolo". Occorre premettere al riguardo che la Corte costituzionale, investita con ordinanza 18 marzo 1991 del tribunale di Firenze circa la questione di legittimita' costituzionale (in relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione) dell'art. 6, settimo comma, del d.-l. n. 463/1983, convertito con modificazioni in legge n. 638/1983, "laddove non contempla la conservazione dell'importo erogato alla data di cessazione del diritto all'integrazione anche per il caso di doppia integrazione al minimo", con sentenza 19 novembre 1991, n. 418, ha dichiarato non fondata la questione nei termini letterali di cui appresso. "Il quesito posto alla Corte e': se la norma impugnata, nel disporre la cosiddetta "cristallizzazione" della pensione integrata, a seguito della perdita del diritto all'integrazione, per superamento del limite di reddito, regoli anche l'ipotesi del cumulo di pensioni integrate e, in caso affermativo, consenta la possibilita' di una cristallizzazione del trattamento non piu' integrabile dopo il 1º ottobre 1983. Va innanzi tutto premesso che l'ipotesi del concorso di due o piu' pensioni appare nel terzo comma dell'art. 6 legge n. 638/1983, uscito indenne dalla verifica di costituzionalita', operata da questa Corte con sentenza n. 184/1988. Anche allora la disciplina legislativa veniva sospettata di vulnerare gli artt. 3 e 38 della Costituzione ma la Corte statui' che la norma denunciata, sancendo una regola generale in ordine alla scelta della pensione da integrare al minimo e consentendo la perequazione automatica del trattamento non integrato, non era da considerarsi illegittima in quanto collocata nel divenire di un processo tendente, dal 1º ottobre 1983, a rendere uniforme l'istituto del trattamento minimo in presenza del cumulo di piu' pensioni. La osservazione di un graduale processo di razionalizzazione della materia, decisiva per il giudizio di costituzionalita', impone una lettura storica della norma oggi impugnata. A tal fine acquista rilievo dirimente il dies a quo del 1º ottobre 1983 non solo per gli effetti temporali della disciplina dettata, ma ai fini della esatta individuazione delle fattispecie normate. Alla data della legge n. 638/1983 vigeva il divieto della integrazione al minimo di piu' pensioni, cosi' come disposto dagli art. 2, secondo comma, della legge n. 1338/1962 e 23 della legge n. 153/1969. Successivamente, con sentenza n. 314/1985, questa Corte dichiarava, per incompatibilita' con il principio generale di eguaglianza, la illegittimita' costituzionale del divieto di integrare al minimo le pensioni di riversibilita' concorrenti con le pensioni dirette, qualora fossero entrambe a carico dell'assicurazione generale obbligatoria "limitatamente al periodo non considerato dal d.-l. n. 463/1983, come conv. dalla legge n. 638 del medesimo anno". La decisione fu eseguita da una serie di statuizioni, volte ad applicare alle svariate combinazioni di trattamenti la generale regola delle illegittimita' della preclusione all'integrazione di piu' pensioni ma sempre entro l'indicato limite temporale. E' evidente dunque che non si puo' rintracciare nelle disposizioni letterali dell'art. 6 della legge n. 638/1983 la fattispecie, a quella data vietata, del cumulo di due pensioni integrate al minimo e di conseguenza nel settimo comma l'ipotesi di cristallizzazione di una di esse. Per effetto della sopravvenuta sentenza n. 314/1985, il principio dell'unica pensione integrata al minimo, affermato dal legislatore del 1983, deve intendersi validamente operante solo a partire dal 1º ottobre 1983 ma non per il periodo antecedente. Ne consegue che, successivamente alla data indicata, il titolare di due pensioni integrate al minimo conserva su un solo trattamento il diritto all'integrazione, mentre per l'altro la misura dell'integrazione stessa resta ferma all'importo percepito alla data del 30 settembre 1983 ed e' destinata ad essere gradatamente sostituita per riassorbimento, in virtu' degli aumenti che la pensione-base viene a subire per effetto della perequazione automatica. Puo' pertanto darsi risposta affermativa al quesito della utilizzabilita' dell'art. 6, settimo comma, della legge n. 638/1983 ai fini del decidere il giudizio a quo, non ricorrendo una ratio decidendi dissimile da quella che gia' condusse questa Corte a non riscontrare illegittimita' costituzionale nell'art. 6, terzo comma, della stessa legge con la richiamata sentenza n. 184/1988 e con la successiva sentenza n. 503/1988". A seguito del pronunciato della Corte costituzionale, il Parlamento, nell'approvare la legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), ha formulato l'art. 13 (Norme di interpretazione autentica) privo del primo comma dell'originario art. 11 del disegno di legge, recante una norma in termini letterali identici a quelli della disposizione impugnata dall'attrice. Ad onta di cio', il Governo della Repubbllica riprodusse la norma non introdotta nella legge finanziaria 1991 nell'art. 4, primo comma, del d.-l. 21 gennaio 1992, n. 14, quindi (non convertito in legge tale decreto) nell'art. 4, primo comma, del d.-l. 20 marzo 1992, n. 237, ed infine (non convertito neppure il secondo decreto) nell'art. 4, primo comma, del d.-l. n. 293/1992. Siffatta disposizione non appare conforme ai precetti costituzionali posti dagli artt. 3 e 38, secondo comma. Per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, onde una norma di legge possa essere qualificata come interpretativa (di altra precedente norma) non hanno valore decisivo ne' la sua intitolazione (in quel senso) ne' l'enunciazione letterale della norma stessa: deve invece farsi riferimento all'effettivo contenuto della norma. Di guisa che una disposizione di legge non puo' definirsi come interpretativa ove non si limiti a meglio specificare uno dei significati gia' (ragionevolmente) compresi nella disposizione interpretativa, ma introduca previsioni chiaramente innovative dell'ordinamento anteriore. Meglio, la qualificazione di interpretativa compete solo alla norma di legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata di quest'ultima chiarisca il contenuto ovvero venga a privilegiare una sola tra le varie interpretazioni possibili, con la conseguenza che la disciplina finale di una determinata materia e' il prodotto delle due norme successive, le quali rimangono entrambe in vigore e sono anche idonee ad essere separatamente modificate. Allora che il legislatore, oltrepassando i limiti di ragionevolezza, definisce (o comunque mostra di ritenere) interpretativa una disciplina che, invece, ha natura innovativa, viola l'art. 3 della Costituzione. Puo' aggiungersi che, al di la' della materia penale (art. 25, secondo comma della Costituzione), la Carta fondamentale non fa divieto di leggi retroattive, ma queste sono sempre soggette al generale sindacato di ragionevolezza, anche per quanto attiene all'effetto retroattivo. In altri termini, l'irretroattivita' costituisce principio generale del nostro ordinamento (art. 11 delle pre-leggi) e, se pure non elevato, fuori della materia penale, a dignita' costituzionale, rappresenta sempre una regola generale del sistema: a questa regola, salva un'effettiva causa giustificatrice, il legislatore deve "ragionevolmente" attenersi, giacche' la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillita' dei cittadini (Corte costituzionale 3 marzo 1988), n. 233; Corte costituzionale 25 maggio 1988, n. 283; Corte costituzionale 4 aprile 1990, n. 155; Corte costituzionale 31 luglio 1990, n. 380). Ora, se e' vero, come e' vero (e di cio' ne ha dato atto la Corte costituzionale nella ricordata sentenza n. 418/1991), che l'art. 6 della legge n. 638/1983 non contiene, e non puo' contenere, previsione della fattispecie del cumulo di due o piu' pensioni inte- grate al trattamento minimo (fattispecie vietata per legge alla data del 30 settembre 1983, di entrata in vigore del d.-l. n. 438/1983, tanto da indurre il giudice delle leggi a tutta una sequela di statuizioni per affermare l'illegittimita' della preclusione all'integrazione di piu' pensioni sino a quella data), non si vede come la normativa successiva (che qui ne occupa) possa definirsi "interpretativa" di alcunche' letteralmente sconosciuto alla disposizione "interpretata". Il principio di un'unica pensione da integrarsi al trattamento minimo, affermato dal legislatore del 1983, e' operante dal 1º ottobre 1983, non pure per il periodo precedente (attesa la portata delle sentenze demolitorie della Corte costituzionale in punto di integrazione al trattamento minimo e di cumulo pensionistico): e lo stesso legislatore del 1983, per materiale difetto dei necessari presupposti, non ha posto alcuna norma in tema di concorso di due o piu' pensioni integrate al minimo alla data del 30 settembre 1983, norma suscettibile di possibili, diverse significazioni, eventualmente poi da risolversi con legge di interpretazione autentica. In buona sostanza, il legislatore del 1992 non puo' pretendere di interpretare (autenticamente) una norma il cui tenore testuale prescinde totalmente da presupposti di fatto che si e' inteso (autenticamente) regolare. Dunque, con l'art. 4, primo comma del d.-l. n. 293/1992 il legislatore sotto la (dichiarata) veste di interpretazione autentica di un dato normativo letterale ha in realta' introdotto una disciplina nuova: il che non e' "ragionevole" e collide con il precetto di cui all'art. 3 della Costituzione. Del resto, non si vede come possa dirsi sostenuta a criteri di rigorosa "ragionevolezza" una disciplina di legge che, combinata la norma cosiddetta di interpretazione autentica (con tutta la sua valenza retroattiva) con quella cosidetta interpretata, neppure si pone questioni di diritto transitorio, e quindi comprime sic et simpliciter posizioni soggettive del pensionato, sia pure acquisite sulla base di sentenze della Corte costituzionale dichiarative della parziale illegittimita' di disposizioni di legge escludenti l'integrabilita' al minimo di trattamenti pensionistici in situazioni di cumulo (indiscussa portata retroattiva di tali pronunciati, con operativita' sino al 30 settembre 1983): il giudice delle leggi da anni, reiteratamente, statuisce l'immodificabilita' peggiorativa a posteriori (salve ipotesi eccezionali) di trattamenti pensionistici gia' goduti od in procinto di esserlo (del che il legislatore e' da tempo pienamente conscio, se e' vero che pone norme quali l'art. 6, settimo comma della legge n. 638/1983 in tema di cristallizzazione). Il che introduce al disposto dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione ed alla circostanza che, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale, nel regime previgente al d.-l. n. 463/1983 l'osservanza di quella norma era assicurata solo dalla integrazione al trattamento minimo delle due o piu' pensioni in godimento dell'avente diritto: la negazione della "cristallizzazione" di cui all'art. 6, settimo comma, della legge n. 638/1983, a far data dal 1º ottobre 1983, determinerebbe il calo della situazione complessiva pensionistica dell'avente diritto al di sotto della soglia minima di sufficienza garantita dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione. In definitiva, come del resto autorevolmente asserito dalla giurisprudenza di legittimita' (ordinanza 11 febbraio 1992, n. 127, in Gazzetta Ufficiale prima serie speciale n. 11 dell'11 marzo 1992, pag. 100) la Corte costituzionale ha negato nella sentenza n. 418/1991 che vi sia contrasto della disposizione dettata dall'art. 6, settimo comma, della legge n. 638/1983 con i parametri di costituzionalita' dati dagli artt. 3 e 38 della Costituzione, solo se essa sia interpretata nel senso ora disatteso dalla norma di "interpretazione autentica" in discussione. La questione di costituzionalita' sin qui enunciata, oltre che non manifestamente infondata, e' senz'altro rilevante perche' il presente giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione stessa (la normativa censurata di illegittimita' costituzionale importerebbe, con la sua applicazione, il rigetto della domanda dell'attrice.