IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Il documento controverso tra le  parti  (alla  cui  produzione  in
 giudizio  da  parte  del  p.m.  si  e' opposta la difesa) e della cui
 ammissibilita' il pretore  deve  operare  la  valutazione  in  questo
 momento  -  e  cioe'  terminata  l'esposizione introduttiva e dovendo
 pronunciare l'ordinanza ammissiva  o  non  delle  prove  richieste  -
 consiste  in un tabulato proveniente dalla agenzia di S. Severo della
 S.I.P. ove, a detta del p.m. che lo esibisce, sono indicate le ore ed
 i giorni in cui l'utenza telefonica intestata alla persona  offesa  e
 querelante  sarebbe  stata  chiamata da altra utenza di quella citta'
 intestata o comunque nella disponibilita' dell'imputata.
    L'acquisizione  di  tale  documento  nella  fase  delle   indagini
 preliminari  non  e'  stata - come e' incontroverso - assistita dalle
 garanzie e dalle cautele stabilite dalla legge  (artt.  266  ss.  del
 c.p.p.)   in   relazione  alle  intercettazioni  di  conversazioni  o
 comunicazioni telefoniche e cioe' per la ragione che,  come  ritenuto
 dalla  giurisprudenza  anche  nel  vigore  del vecchio codice (la cui
 normativa  non  si   distacca   molto   da   quella   attuale),   per
 intercettazione   telefonica  deve  intendersi  soltanto  quella  che
 consente la registrazione o  comunque  la  presa  di  conoscenza  del
 contenuto  di  una  conversazione  tra  altre  persone (Cassazione 27
 maggio 1986, Angelillo).
    Questa essendo l'interpretazione comune che,  secondo  il  diritto
 vivente,  deve darsi della norma in questione, ritiene il pretore che
 in questo modo il  legislatore  non  abbia  puntualmente  attuato  il
 precetto    costituzionale   di   cui   all'art.   15   della   Carta
 costituzionale, dal momento  che  restano  del  tutto  sprovviste  di
 qualsiasi garanzia quelle operazioni tecniche (come quella per cui si
 controverte)  le  quali,  pur  non  comportando  l'acquisizione della
 conoscenza del contenuto di una determinata conversazione telefonica,
 comportano  tuttavia  l'acquisizione  da  parte  di  estranei   della
 conoscenza del fatto storico che tra determinate persona vi sia stata
 una  ben  individuata  conversazione telefonica ad una data ora di un
 tal giorno.
    Sembra al giudicante, infatti, che la  Carta  costituzionale,  nel
 sancire  l'inviolabilita'  della  liberta'  e  delle segretezza della
 corrispondenza, consentendone la limitazione solo per  atto  motivato
 dell'autorita'  giudiziaria e con le garanzie approntate dalla legge,
 abbia  inteso  proteggere  questa  particolare  manifestazione  della
 liberta'  civile  fondamentale della persona assicurando non solo che
 estranei  non  vengano  a  conoscenza  del  contenuto  di  una  certa
 conversazione,  ma  anche  che  resti  segreto  (salvo,  appunto,  il
 provvedimento motivato dell'autorita' giudiziaria e il rispetto delle
 garanzie  stabilite  per  le intercettazioni) il fatto stesso che una
 persona abbia voluto comunicare con altra persona in una  determinata
 occasione.
    L'interesse  della persona al rispetto di tale segreto e' evidente
 ove si pensi alle conseguenze negative che  sulla  stessa  potrebbero
 riflettersi per il solo fatto che terzi estranei (anche a prescindere
 dalle  esigenze  di  un  procedimento penale) prendano cognizione che
 essa ha effettuato una certa comunicazione con altri in una occasione
 cronologica e spaziale ben accertata.
    Questo giudice ben conosce quella parte della dottrina che  si  e'
 pronunciata  nel  senso  della  insussistenza di una simile copertura
 costituzionale del segreto, ma si permette di osservare che la stessa
 opinione ha preso a base del proprio esame prevalentemente  la  forma
 di  corrispondenza epistolare o postale in genere, nella quale invero
 la stessa forma di trasmissione del pensiero  scelta  all'interessato
 (e  cioe'  l'utilizzo  di  un documento con l'indicazione esterna del
 destinatario e destinato a transitare per le mani di numerosi addetti
 al servizio postale) esclude a priori  uno  specifico  interesse  del
 mittente  al  segreto  del  quale  si  tratta. Diversa, invece, e' la
 situazione allorche' la persona, per comunicare con altri, scelga  il
 mezzo del telefono, perche' in questo caso il mezzo tecnico adoperato
 lascia  intendere  chiaramente  che la persona voleva sicuramente che
 non soltanto il contenuto della conversazione, ma altresi'  il  fatto
 storico  di  essa  e  cioe'  dell'avvenuta  trasmissione  del proprio
 pensiero  ad  altra  persona  in  un  determinato  luogo   e   tempo,
 rimanessero   sottratti  alla  conoscenza  degli  estranei  e  dunque
 segreti.
    Se e' cosi', non si vede ragione per  escludere  tale  aspetto  di
 questa fondamentale liberta' civile della persona dalla garanzia che,
 del  resto  la Costituzione delinea in maniera anche testualmente del
 tutto generica ed ampia nell'art. 15 della Carta  costituzionale;  e,
 concludendo, appare senz'altro in contrasto con il suddetto principio
 ed  in  particolare  con  le  garanzie  offerte dal secondo comma del
 citato art. 15 della Costituzione la norma dell'art. 266  del  c.p.p.
 1988   nella   parte   in   cui   limita   alle  sole  operazioni  di
 intercettazione  vera  e  propria  del  contenuto  di   conversazioni
 telefoniche  le  garanzie  e le cautele stabilite dal capo quarto del
 titolo terzo del libro terzo del codice di procedura penale.
    La rilevanza della questione, come detto prima, deriva  dal  fatto
 che, ove la stessa dovesse essere ritenuta fondata, l'acquisizione al
 fascicolo  del  dibattimento del documento proveniente dal p.m. (e di
 cui si tratta di decidere in questo momento) dovrebbe escludersi  non
 essendo   state,   nella  formazione  di  tale  elemento  probatorio,
 rispettate le forme stabilite dalla legge (art. 191 del c.c.p.).