ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma
 quarto-quinquies,   del  decreto-legge  27  dicembre  1989,  n.  413,
 (Disposizioni  urgenti  in  materia  di  trattamento  economico   dei
 dirigenti  dello  Stato e delle categorie ad essi equiparate, nonche'
 in materia di pubblico impiego), convertito, con modificazioni, nella
 legge 28 febbraio 1990, n. 37, promosso con  ordinanza  emessa  il  3
 giugno  1991  dal  Tribunale  Amministrativo  Regionale del Lazio sui
 ricorsi riuniti proposti da Scartozzi Franco contro il Ministero  del
 Lavoro  e  della  Previdenza Sociale ed altri, iscritta al n. 158 del
 registro  ordinanze  1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Visti  gli  atti   di   costituzione   di   Scartozzi   Franco   e
 dell'E.N.P.A.I.A.  nonche'  l'atto  di  intervento del Presidente del
 Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 30 giugno 1992 il Giudice relatore
 Francesco Greco;
    Uditi  l'avvocato  Alessandro  Pace   per   Scartozzi   Franco   e
 l'E.N.P.A.I.A.  e  l'Avvocato  dello  Stato  Sergio  Laporta  per  il
 Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Il T.A.R. del Lazio, sui ricorsi riuniti proposti  dal  dott.
 Franco  Scartozzi  avverso  due  successive  note  con  le  quali  il
 Ministero del Lavoro e della  Previdenza  sociale  non  approvava  le
 delibere   del   Consiglio  di  Amministrazione  dell'Ente  Nazionale
 Previdenza e Assistenza Impiegati  dell'Agricoltura  -  E.N.P.A.I.A.,
 che  confermavano  il  ricorrente  nella carica di direttore generale
 dell'Ente per il quinquennio 1990-1995, successivamente al compimento
 del 65› anno di eta', con ordinanza del 3 giugno 1991, pervenuta alla
 Corte Costituzionale il 17 marzo 1992 (R.O.  n.  158  del  1992),  ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
 quarto-quinquies,   del  decreto-legge  27  dicembre  1989,  n.  413,
 convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1990,  n.  37,
 nella  parte  in cui non estende anche ai dirigenti degli enti di cui
 alla legge 20 marzo 1975, n. 70, le disposizioni di cui all'art.  15,
 secondo  e terzo comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477 e all'art.
 10,  sesto  comma,  del  decreto-legge  6  novembre  1989,  n.   357,
 convertito, con modificazioni, nella legge 27 dicembre 1989, n. 417.
    Tale  disposizione  contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione
 operando  una  irragionevole  discriminazione,  ai  soli   fini   del
 collocamento  a  riposo,  tra  i dirigenti dello Stato e quelli degli
 enti di cui alla  legge  20  marzo  1975,  n.  70,  tra  cui  rientra
 l'E.N.P.A.I.A., ad essi equiparati in via generale in base all'art. 2
 della  legge  8  marzo  1985,  n. 72, per il trattamento giuridico ed
 economico.
    Il giudice a quo ha  osservato  che  la  questione  e'  ugualmente
 rilevante  anche  se  si  segue  la tesi del Ministero secondo cui la
 suddetta equiparazione sarebbe stata stabilita solo per  i  dirigenti
 di cui all'art. 18 della legge n. 70 del 1975, mentre sarebbe escluso
 il  direttore  generale,  il  cui  stato  giuridico  ed  economico e'
 disciplinato da altre norme  della  legge  stessa  (artt.  5  e  20),
 perche'   l'art.   5  del  regolamento  approvato  dal  Consiglio  di
 Amministrazione dell'E.N.P.A.I.A. in data 28 settembre 1978,  prevede
 che  per  tutti  i casi non contemplati dalla legge n. 70 del 1975 si
 applicano al direttore generale le  norme  vigenti  per  il  restante
 personale,  ivi  comprese  quelle  sul  limite massimo di eta' per la
 permanenza in servizio.
    2. -  Nel  giudizio  si  sono  costituiti  il  dott.  Scartozzi  e
 l'E.N.P.A.I.A.  Hanno  osservato  che  non  e'  accoglibile  la  tesi
 eseguita  dal  T.A.R.  secondo  cui  la  disposizione  impugnata   e'
 applicabile   solo  ai  dirigenti  civili  dello  Stato,  perche'  il
 legislatore quando ha voluto la estensione lo ha detto espressamente,
 in quanto detta volonta' non  risulta  in  alcun  modo  e,  comunque,
 l'interprete  deve  preferire la interpretazione sistematica la quale
 rende  possibile  la  estensione  ai  dirigenti  del  parastato ed in
 particolare al dirigente generale dell'E.N.P.A.I.A.
    In tal modo  risulterebbe  sanata  la  violazione  dell'art.  3  e
 valorizzato  l'intento di attuare nell'ambito del pubblico impiego la
 estensione  maggiormente  possibile  del  diritto  a  raggiungere  il
 massimo  della  pensione.  Anche  se  l'espressione "dirigenti civili
 dello Stato" contenuta nella norma impugnata si intendesse  in  senso
 ristretto,  si  potrebbe  ugualmente  ritenere  l'applicabilita'  del
 beneficio di cui trattasi ai dirigenti del parastato e  al  direttore
 generale  dell'E.N.P.A.I.A.  per  effetto  dell'equiparazione operata
 dall'art. 20 della legge n. 70 del 1975.
    In subordine hanno concluso per la declaratoria di  illegittimita'
 costituzionale  della norma denunciata, perche' si sarebbe discostata
 in modo contraddittorio ed immotivato dall'intento gia' perseguito ed
 esplicitato di equiparare le due categorie dei dirigenti dello  Stato
 e dei dirigenti degli enti di cui alla legge n. 70 del 1975.
    3.  - Nel giudizio e', altresi', intervenuta l'Avvocatura Generale
 dello Stato, in  rappresentanza  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri,  che  ha  concluso  per  la  infondatezza  della  questione
 richiamando la giurisprudenza della Corte Costituzionale  secondo  la
 quale  il collocamento a riposo al compimento del 65› anno di eta' e'
 la regola, e il prolungamento di detta eta' a 70 anni e' una deroga e
 come tale non puo' essere invocata  come  tertium  comparationis  nel
 giudizio di legittimita' costituzionale.
    4.  -  Nella  imminenza  dell'udienza  la difesa dello Scartozzi e
 dell'E.N.P.A.I.A. ha presentato memoria illustrativa.
    Ha  insistito  anzitutto  sull'applicabilita'  della  disposizione
 denunciata  anche  ai dirigenti del parastato e al direttore generale
 dell'E.N.P.A.I.A.,  per  la  sussistenza  dell'equiparazione  con   i
 dirigenti  civili dello Stato sia in via diretta (art. 20 della legge
 n. 70 del 1975), che in via indiretta (regolamento organico dell'ente
 di appartenenza ai sensi dell'art. 2 della legge n. 72 del 1985).
    Ha poi rilevato che la conferma della  identificazione  delle  due
 categorie si trae anche dalla espressa previsione legislativa (art. 2
 della  legge  8  marzo 1985, n. 72, che ha disposto che dal 1› luglio
 1985 e fino alla riforma della dirigenza statale e degli  altri  enti
 pubblici  istituzionali e territoriali, si applicano ai dirigenti del
 parastato le misure e la disciplina  del  trattamento  economico  dei
 dirigenti  statali;  l'art.  9  della  legge  17  aprile 1984, n. 79,
 secondo cui, con decorrenza 1› gennaio 1985, lo stato giuridico e  il
 trattamento  economico  dei  dirigenti  degli enti disciplinati dalla
 legge 20 marzo 1975, n. 70 sono stati  resi  omogenei  a  quelli  dei
 dirigenti  statali); che la volonta' del legislatore di effettuare la
 detta equiparazione si evince anche dai lavori preparatori.
    E' stata confutata la tesi del Ministero del lavoro e si e'  anche
 rilevato che e' possibile il sindacato della scelta discrezionale del
 legislatore  a  favore  dei  dirigenti  civili dello Stato in base ai
 principi della razionalita', della ragionevolezza  e  della  coerenza
 dell'ordinamento;  che  non  sono chiare le ragioni per le quali solo
 per  il  collocamento  a  riposo  si  sia   voluta   effettuare   una
 discriminazione  tra  le  due categorie di dirigenti; che sussiste la
 esigenza di ripristinare la coerenza dell'ordinamento con una  scelta
 univoca  ed  obbligata  a  favore  di  una categoria persistentemente
 equiparata a quella statale; che le precedenti sentenze  della  Corte
 (sentt. nn. 490 del 1991 e 461 del 1989) non trovano applicazione per
 la   peculiarita'   della  fattispecie;  che,  infine,  la  pronuncia
 richiesta non comporterebbe alcun pregiudizio per il  bilancio  dello
 Stato,  ma,  al  contrario,  una  riduzione  degli  impegni  di spesa
 relativi agli aspetti pensionistici, oltre al vantaggio,  in  termini
 di   efficienza   della  pubblica  amministrazione,  derivante  dalla
 permanenza in servizio di  personale  di  elevata  qualificazione  ed
 esperienza.
                        Considerato in diritto
    1. - La Corte deve verificare se l'art. 1, comma quarto-quinquies,
 del   decreto-legge   27  dicembre  1989,  n.  413,  convertito,  con
 modificazioni, in legge n. 37 del 1990, nella parte in cui limita  ai
 soli dirigenti civili dello Stato, con esclusione dei dirigenti degli
 enti  di  cui  alla  legge  n.  70  del  1975,  la facolta' di essere
 trattenuti in servizio oltre  il  compimento  del  sessantacinquesimo
 anno  di  eta'  e  fino  al settantesimo, allo scopo di conseguire il
 diritto al massimo trattamento pensionistico, violi  l'art.  3  della
 Costituzione, perche' creerebbe una irragionevole discriminazione tra
 due  categorie  di  dirigenti,  equiparate  in  via  generale in base
 all'art. 2 della legge n. 72 del 1985 per il trattamento giuridico ed
 economico,  ed,   in   particolare,   con   il   direttore   generale
 dell'E.N.P.A.I.A.  per il quale trovano applicazione le norme vigenti
 per i dirigenti, tra cui quelle che prevedono il  limite  massimo  di
 sessantacinque anni per la permanenza in servizio.
    2. - La questione non e' fondata.
    La legge 20 marzo 1975, n. 70, contiene una particolare disciplina
 per  la  dirigenza  generale degli enti pubblici (art. 20) rispetto a
 quella dei dirigenti (art. 18) per  quanto  riguarda  la  nomina,  il
 trattamento  economico  ed  il  rapporto di impiego. Per il direttore
 generale il rapporto  e'  a  tempo  determinato;  la  sua  durata  e'
 prevista in anni cinque con possibilita' di rinnovo. L'art. 5, ultima
 parte,  della  detta  legge  stabilisce  che  la scelta del direttore
 generale puo' avvenire tra i funzionari dell'ente e che  l'assunzione
 e'  fatta  con contratto a tempo determinato. La stessa disciplina e'
 prevista per il direttore generale dell'E.N.P.A.I.A dall'art.  1  del
 regolamento dell'Ente approvato nella seduta del 28 settembre 1978.
    La   rinnovazione   dell'incarico   ovviamente  e'  affidata  alla
 discrezionalita' dell'Ente.
    2.1 - Dalla richiamata disciplina normativa e regolamentare si de-
 duce che quello di direttore generale e'  piuttosto  un  incarico  di
 durata  limitata  nel  tempo (cinque anni), con facolta' dell'ente di
 non rinnovarlo fin dalla scadenza del primo quinquennio.
    La invocata estensione della disciplina legislativa  del  rapporto
 dei  dirigenti  sia  se  appartenenti  al  cosiddetto  parastato  che
 all'amministrazione  statale  e  che  riguarda   rapporti   a   tempo
 indeterminato,   trova   un   serio   ostacolo   nella  temporaneita'
 dell'incarico del direttore generale degli enti suddetti, limitato  a
 cinque anni con rinnovo affidato alla discrezionalita' dell'Ente.
    2.2  -  Ne'  ai  fini  dell'assimilazione  integrale  tra  le  due
 categorie rileva la situazione del ricorrente,  il  cui  incarico  di
 direttore  generale  sembra essere stato piu' volte rinnovato in modo
 tale che l'ultimo rinnovo importa il superamento del limite  di  eta'
 dei  sessantacinque  anni. La situazione peculiare del ricorrente non
 puo' essere assunta a regola generale valida per  tutti  i  direttori
 generali degli enti del parastato.
    3. - Ma anche a considerare i direttori generali come appartenenti
 alla  piu'  vasta  categoria dei dirigenti del parastato, non si puo'
 estendere ad essi la disciplina dettata dalla disposizione  censurata
 per i soli dirigenti civili dello Stato.
    Come  piu' volte affermato da questa Corte (sent. n. 440 del 1991;
 ordd. nn. 96, 170, 193 del 1992), la  regola  generale  per  tutti  i
 pubblici  dipendenti  rimane  quella  del  collocamento  a  riposo  a
 sessantacinque anni di eta' nonostante le varie deroghe apportate per
 singole   categorie.   La   loro   previsione   e'   affidata    alla
 discrezionalita'   del   legislatore   a   seguito   e   per  effetto
 dell'apprezzamento delle ragioni che la legittimano e  la  fondano  e
 che si concretizzano in esigenze differenti per le varie categorie di
 pubblici  dipendenti.  Tra  esse  la  necessita'  di  non privarsi di
 particolari esperienze e capacita' che assicurano il  buon  andamento
 dell'amministrazione  statale.  L'esercizio  del  relativo potere del
 legislatore, siccome sorretto da ragionevoli motivi, non  costituisce
 un  mero  arbitrio e si sottrae, quindi, al sindacato di legittimita'
 costituzionale.
    3.1 - Ne' la deroga puo'  essere  estesa  ad  altre  categorie  di
 dirigenti  con sentenza cosiddetta additiva. La norma invocata non e'
 dotata di una forza espansiva tale da rendere logicamente possibile e
 necessitata una sua automatica applicazione anche ad altre  categorie
 di  dirigenti  oltre  quelli  dello  Stato,  proprio perche' concreta
 l'esercizio di un potere discrezionale del legislatore (sent. n.  491
 del 1991). Al suddetto fine non e' rilevante la dedotta equiparazione
 dei   dirigenti  del  parastato  ai  dirigenti  dello  Stato  per  il
 trattamento giuridico ed economico.