ha pronunciato la seguente ORDINANZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 6 del decreto- legge 29 marzo 1991, n. 103 (Disposizioni urgenti in materia previdenziale), convertito nella legge 1 giugno 1991, n. 166 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103, recante disposizioni urgenti in materia previdenziale), promossi con ordinanze emesse il 25 novembre 1991 dal Pretore di Chieti, il 9 e l'11 dicembre 1991 dal Pretore di Parma, il 29 gennaio 1992 dal Pretore di Paola, il 2 e il 9 dicembre (n. 2 ordinanze) 1991 dal Pretore di Parma, rispettivamente iscritte ai nn. 79, 88, 141, 180, 181, 199 e 200 del registro ordinanze 1992 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 10, 13, 16 e 18, prima serie speciale, dell'anno 1992; Visti gli atti di costituzione di Maria Domenica Acciavatti, di Ebe Cavaglieri, di Annina Carnevale, di Rina Morandi ed altre e di Bruno e Bruna Boselli, nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 17 giugno 1992 il Giudice relatore Gabriele Pescatore; Ritenuto che il Pretore di Chieti, con ordinanza 25 novembre 1991 (R.O. n. 79 del 1992), ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6 del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103, conv. nella legge 1 giugno 1991, n. 166, il quale prevede: a) al primo comma, che i termini stabiliti dall'art. 47, commi secondo e terzo, del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, sono posti a pena di decadenza per l'esercizio del diritto alle prestazioni previdenziali; la decadenza determina l'estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e l'inammissibilita' della relativa domanda giudiziale; in caso di mancata proposizione di ricorso amministrativo, i termini decorrono dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei; b) al secondo comma, che le disposizioni di cui al primo comma hanno efficacia retroattiva, ma non si applicano ai processi che sono in corso alla data della sua entrata in vigore; che il giudice a quo ne ha dedotto il contrasto con l'art. 38 Cost., in quanto inciderebbe sul diritto alla prestazione previdenziale; con gli artt. 24, 25, 101, 102 e 104 Cost., in quanto qualificandosi come norma d'interpretazione autentica interferirebbe sull'autonomia della funzione giurisdizionale del potere giudiziario; con l'art. 3 Cost., trattando ingiustificatamente in maniera diversa chi, al momento della sua entrata in vigore, abbia gia' proposto l'azione giudiziaria da chi abbia proposto la sola domanda amministrativa, nonche' modificando sfavorevolmente, in modo irragionevole, la disciplina dei rapporti di durata; Ritenuto che il Pretore di Parma, con ordinanze 2 dicembre 1991 (R.O. n. 181 del 1992), 9 dicembre 1991 (R.O. nn. 88, 199 e 200 del 1992) e 11 dicembre 1991 (R.O. n. 141 del 1992), ha parimenti sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6 del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103 suddetto, conv. nella legge 1 giugno 1991, n. 166, deducendone il contrasto con gli artt. 3, 38 e 136 Cost., in quanto tratterebbe in maniera ingiustificatamente diversa chi al momento della sua entrata in vigore abbia proposto l'azione giudiziaria da chi non l'abbia proposta, ricollegando irrazionalmente, con effetto retroattivo, la perdita di diritti previdenziali a tale mancata proposizione, modificando irragionevolmente, in modo sfavorevole, il relativo trattamento pensionistico, ed escludendo l'efficacia retroattiva delle sentenze della Corte costituzionale relative all'integrazione al minimo; Ritenuto che il Pretore di Paola, con ordinanza 29 gennaio 1992 (R.O. n. 180 del 1992), ha a sua volta sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6 del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103 suddetto, conv. nella legge 1 giugno 1991, n. 166, deducendone il contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto tratterebbe in maniera ingiustificatamente diversa chi al momento della sua entrata in vigore abbia proposto l'azione giudiziaria da chi non l'abbia proposta; con l'art. 38 Cost., avendo assoggettato a decadenza il diritto a pensione; con l'art. 101 Cost., avendo interferito illegittimamente sulla funzione giudiziaria; Considerato che i giudizi cosi' promossi riguardano la stessa norma e sollevano questioni in parte analoghe, cosicche' vanno riuniti; che questa Corte, con la sentenza n. 246 del 1992, ha gia' dichiarato non fondate le questioni riguardanti i profili relativi alle dedotte violazioni degli artt. 3 e 38 Cost.; che le norme d'interpretazione autentica non interferiscono sull'autonomia della funzione giudiziaria (Sentenze n. 6 e n. 123 del 1988; n. 167 del 1986), ne' violano gli artt. 24 e 25 Cost. (da ultimo cfr. la sentenza n. 155 del 1990), cosicche' i profili inerenti alla dedotta violazione degli artt. 24, 25, 101, 102 e 104 Cost. sono manifestamente infondati; che neppure e' violato l'art. 136 Cost., in quanto tale disposizione prevede che, quando la Corte costituzionale dichiara l'illegittimita' di una legge (o atto equiparato), la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, mentre l'art. 6 del d.-l. n. 103 del 1991, non ha ripristinato alcuna disposizione dichiarata illegittima, essendosi limitato - in relazione all'indirizzo giurisprudenziale prevalso nella giurisprudenza della Corte di cassazione dopo le declaratorie d'illegittimita' costituzionale alle quali si riferiscono le ordinanze di rimessione - a sancire legislativamente che il termine previsto dall'art. 47, secondo comma, del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, e' un termine di decadenza sostanziale, cosi' come era stato affermato precedentemente da una parte della giurisprudenza; che, pertanto, le questioni sollevate vanno dichiarate manifestamente infondate; Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.