ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 di legittimita' costituzionale degli artt. 7 e 8 del decreto legge 16
 marzo 1991, n. 83, convertito nella legge  15  maggio  1991,  n.  154
 (recante   "Modifiche  al  decreto  legge  10  luglio  1982  n.  429,
 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982 n.  516,  in
 materia di repressione delle violazioni tributarie e disposizioni per
 definire le relative pendenze") promossi con n. 2 ordinanze emesse il
 29  ottobre  e  il  5  dicembre  1991  dal  giudice  per  le indagini
 preliminari presso il Tribunale di Firenze nei procedimenti penali  a
 carico di Bianchini Marina e Calderoni Luigi ed altra iscritte ai nn.
 188  e  190  del  registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 16,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1992;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del  1›  luglio  1992  il  Giudice
 relatore Renato Granata;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza del 29 ottobre 1991 e del 5 dicembre 1991 il
 giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Firenze  -
 nel  corso  del  procedimento  penale  a  carico di Calderoni Luigi e
 Ferrati Primetta, imputati (tra l'altro)  del  reato  previsto  dagli
 artt.  110  c.p.  e 2, secondo comma, decreto legge 10 luglio 1982 n.
 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982 n. 516,
 per  omesso  versamento  delle ritenute operate per lavoro dipendente
 negli anni 1980, 1984 e 1985 per un totale di oltre  5.000.000  -  ha
 sollevato,  in riferimento all'art. 3 Cost., questione incidentale di
 legittimita' costituzionale degli artt. 7 e 8 decreto legge 16  marzo
 1991 n. 83, convertito nella legge 15 maggio 1991 n. 154.
    Rileva  il giudice rimettente che gli imputati, dichiarati falliti
 con sentenza del tribunale  di  Firenze  dell'11  novembre  1986,  si
 trovano nell'impossibilita' economica e giuridica di regolarizzare la
 loro  posizione  fiscale  in  ordine  al  delitto  contestato  con il
 pagamento della somma  di  1.000.000  per  ciascuno  dei  periodi  di
 imposta  ai  quali si riferiscono i mancati versamenti delle ritenute
 dovute come previsto dall'art. 8 cit. in modo da rendere operante  lo
 speciale   regime   della  retroattivita'  della  norma  penale  piu'
 favorevole al reo, cosi' come previsto dal  precedente  art.  7,  con
 conseguente  disparita' di trattamento rispetto ad altri imputati del
 medesimo reato, che invece, regolarizzando la loro posizione,  vedono
 applicarsi  le piu' favorevoli nuove disposizioni in materia di reati
 tributari e, in casi analoghi a quello di specie, possono beneficiare
 della  depenalizzazione  del  reato.  Le  norme  censurate  sarebbero
 pertanto  illegittime  nella  parte in cui fanno derivare conseguenze
 penali solo perche' l'imputato non ha effettuato il pagamento di  una
 somma   di   danaro   in   sanatoria  senza  tenere  in  alcun  conto
 dell'oggettiva  impossibilita'  di  provvedere   al   pagamento   per
 l'imputato che sia stato dichiarato fallito.
    2.  -  Con  successiva  ordinanza  del 5 dicembre 1991 il medesimo
 giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Firenze  -
 nel  corso  del  procedimento  penale  a  carico di Bianchini Marina,
 imputata del reato previsto dall'art. 2, secondo comma, decreto legge
 10 luglio 1982 n. 429, convertito, con modificazioni, dalla  legge  7
 agosto  1982  n. 516 e art. 8, primo e secondo comma, legge 7 gennaio
 1929 n.  4,  per  aver  omesso  di  versare  all'erario  le  ritenute
 effettivamente  operate  (quale datore di lavoro) su somme pagate (ai
 suoi dipendenti) negli anni dal 1984  al  1988  -  ha  sollevato,  in
 riferimento  all'art.  3  Cost.,  analoga  questione  incidentale  di
 legittimita' costituzionale degli artt. 7 e 8 decreto legge 16  marzo
 1991 n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 maggio 1991
 n. 154.
    In  particolare  -  si osserva nella ordinanza di rimessione - ove
 l'imputata, dichiarata fallita con sentenza del tribunale di  Firenze
 del  6  aprile  1988, avesse potuto provvedere a regolarizzare la sua
 posizione fiscale, il reato contestatole  sarebbe  stato  derubricato
 nella  contravvenzione  prevista  dall'art.  2 della legge n. 516 del
 1982 come modificato dall'art.  3  decreto  legge  n.  83  del  1991,
 contravvenzione  peraltro  oblabile,  con  conseguente  disparita' di
 trattamento rispetto agli imputati in bonis.
    3. - In entrambi i giudizi si  e'  costituito  il  Presidente  del
 consiglio  dei  ministri sostenendo la non fondatezza della questione
 di costituzionalita', atteso che la condizione di  fallito  non  puo'
 ridondare  in un privilegio, mentre e' d'altra parte legittimo che in
 materia di violazioni tributarie i benefici (quali amnistia, condono,
 oblazione) che escludono  od  attenuano  reati  siano  subordinati  a
 regolarizzazioni che comportano il pagamento di somme di danaro.
                        Considerato in diritto
    1.  -  E'  stata  sollevata  questione incidentale di legittimita'
 costituzionale - in riferimento all'art. 3 Cost.  (sotto  il  profilo
 della sospetta violazione del principio di eguaglianza) - degli artt.
 7  e  8  del  decreto  legge  16  marzo  1991  n. 83, convertito, con
 modificazioni, dalla legge 15 maggio 1991 n. 154, (recante "Modifiche
 al  decreto  legge  10  luglio   1982   n.   429,   convertito,   con
 modificazioni,  dalla  legge  7  agosto  1982  n.  516, in materia di
 repressione delle violazioni tributarie e disposizioni  per  definire
 le  relative  pendenze")  nella  parte in cui non tengono conto della
 oggettiva impossibilita' del fallito  -  a  differenza  di  qualsiasi
 altro  imputato del medesimo reato - di provvedere al pagamento della
 somma  prevista  per  la  regolarizzazione  fiscale  con  conseguente
 impossibilita'  di  giovarsi  della retroattivita' della norma penale
 finanziaria piu' favorevole.
    2. - I  due  giudizi,  in  cui  la  medesima  questione  e'  stata
 sollevata, vanno riuniti per identita' di oggetto.
    3. - La questione di costituzionalita' e' inammissibile.
    Questa  Corte  ha gia' ripetutamente esaminato - in riferimento al
 medesimo parametro costituzionale  invocato  dal  giudice  rimettente
 (oltre  che all'art. 24 Cost.) - la posizione dell'imputato che, dopo
 aver commesso il fatto  penalmente  illecito,  sia  stato  dichiarato
 fallito e che quindi, non essendo piu' in bonis, non possa effettuare
 pagamenti  che  altrimenti avrebbero un'incidenza a lui favorevole in
 quanto idonei a  determinare  talora  l'improcedibilita'  dell'azione
 penale   (come  prevede  l'art.  11  della  legge  n.  386  del  1990
 nell'ipotesi  del  reato  di  emissione  di  assegno  bancario  senza
 provvista),  talaltra la stessa estinzione del reato (come stabilisce
 l'art. 2, comma 1› bis, del decreto legge 12 settembre 1983  n.  463,
 convertito  nella legge 11 novembre 1983 n. 638, in ipotesi di omesso
 versamento  delle  ritenute  previdenziali  ed   assistenziali).   La
 conclusione alla quale in tali fattispecie la Corte e' gia' pervenuta
 -  dichiarando  l'inammissibilita'  (con  sentenze n. 32 e n. 267 del
 1992) e la manifesta inammissibilita' (con ordinanze n. 172 e n.  240
 del  1992)  di  analoga questione di costituzionalita' - non puo' che
 essere confermata anche  in  riferimento  all'ulteriore  ipotesi  (in
 esame)  in  cui  l'indisponibilita'  del  patrimonio  non consente al
 fallito di effettuare il pagamento della somma prevista  dall'art.  8
 del decreto legge 16 marzo 1991 n. 83, convertito, con modificazioni,
 dalla  legge  15  maggio  1991  n.  154, al fine di beneficiare della
 "regolarizzazione" da  tale  norma  contemplata  (la  cui  natura  di
 speciale  misura  di  clemenza  condizionata  e'  stata,  sotto altro
 profilo, affermata da questa Corte nella sentenza n. 192 del 1992)  e
 della  conseguente  applicazione  retroattiva della norma penale piu'
 favorevole in luogo del  (piu'  rigoroso)  regime  speciale  previsto
 dall'art.  20  della  legge  n. 4 del 1929 per le disposizioni penali
 delle leggi finanziarie.
    Anche nella fattispecie in  esame  infatti  la  soluzione  in  via
 additiva,  alla  quale tende l'ordinanza del giudice rimettente nella
 parte in cui lamenta la mancanza di un regime speciale  (a  carattere
 derogatorio rispetto a quello ordinario) per l'imputato che sia stato
 dichiarato  fallito,  non si presenta come l'unica costituzionalmente
 obbligata,  ma  sarebbe  soltanto  una   delle   possibili,   essendo
 ipotizzabile  "un  intervento nella disciplina stessa della procedura
 fallimentare, che, in una visione piu' organica,  dia  nuovo  assetto
 alle   indirette  conseguenze  penalistiche  della  dichiarazione  di
 fallimento" (sent. n. 32/92 cit.).