ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4 del  decreto-
 legge  9  dicembre  1986,  n.  832,  (Misure  urgenti  in  materia di
 contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso  da  quello
 di  abitazione),  convertito,  con modificazioni, in legge 6 febbraio
 1987, n. 15, promosso con ordinanza  emessa  il  3  luglio  1991  dal
 Tribunale  Amministrativo  del  Lazio sui ricorsi riuniti proposti da
 Bahbout Jacques ed altri contro il Comune di Roma, iscritta al n. 123
 del registro ordinanze 1992 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Visti  gli  atti di costituzione della S.r.l. Mc Donald's Italia e
 del Comune di Roma, nonche' l'atto di intervento del  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 16 giugno 1992 il Giudice relatore
 Francesco Greco;
    Uditi  gli avvocati Paolo Barile e Piero D'Amelio per la S.r.l. Mc
 Donald's Italia e Pietro Bonanni per il Comune di Roma  e  l'Avvocato
 di  Stato  Plinio  Sacchetto  per  il  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Il Comune di Roma, con  deliberazione  n.  3330  in  data  1›
 giugno  1987, ai sensi dell'art. 4 del decreto-legge 9 dicembre 1986,
 n. 832, convertito, con modificazioni, nella legge 6  febbraio  1987,
 n.  15, dichiarava incompatibile con le esigenze di tutela dei valori
 ambientali  di  talune  zone  nel  centro  cittadino  l'attivita'  di
 ristorazione veloce con menu' limitato e non tradizionale.
    Avverso  tale  provvedimento venivano proposti al T.A.R. Lazio due
 distinti ricorsi, l'uno da Bahbout Jacques in proprio e quale  legale
 rappresentante  della  S.p.a.  Fooditalia,  l'altro dalla societa' Mc
 Donald's Corporation nonche' dalla  S.r.l.  Ristoranti  italiani  per
 famiglie (R.I.P.F.).
    Un terzo ricorso veniva proposto dalla societa' Mc Donald's Italia
 S.r.l.  avverso  la  deliberazione  della stessa giunta municipale n.
 3925 del 15 giugno 1988, la quale, sebbene affermasse di disciplinare
 ex novo la materia e di revocare la precedente delibera n.  3330  del
 1987, ne costituiva una mera riproduzione.
    Il T.A.R., riuniti i ricorsi, dichiarava i primi due improcedibili
 per  sopravvenuta  carenza  di  interesse  e, decisi alcune eccezioni
 preliminari e taluni motivi del terzo ricorso, con  ordinanza  del  3
 luglio 1991 (pervenuta alla Corte Costituzionale il 24 febbraio 1992;
 R.O.  n.  123  del  1992),  ha  sollevato  questione  di legittimita'
 costituzionale dell'art. 4 del decreto-legge 9 dicembre 1986, n. 832,
 convertito, con modificazioni, nella legge 6 febbraio 1987, n. 15.
    Ha osservato che tale norma contrasterebbe  con  l'art.  41  della
 Costituzione in quanto consentirebbe, tra l'altro, ai Comuni, ai fini
 di  tutela  delle  tradizioni  locali  e  delle  aree  di particolare
 interesse, di precludere nel proprio territorio l'esercizio di deter-
 minate attivita' imprenditoriali, quale, nella fattispecie, quella di
 ristorazione veloce, limitando,  cosi',  la  liberta'  di  iniziativa
 economica privata.
    Ha  rilevato  che  tale liberta' puo' essere compressa per fini di
 utilita'  sociale  ma   che   deve   osservarsi   il   principio   di
 ragionevolezza,  e  cioe' di coerenza tra fine perseguito e strumenti
 normativi concretamente utilizzati.
    L'art. 4 del decreto-legge n. 832 del 1986 consentirebbe,  invece,
 ai Comuni di opporre un generalizzato divieto all'esercizio di deter-
 minate  attivita'  senza  alcuna  giustificazione  anche perche' essi
 potevano gia' dettare prescrizioni urbanistiche idonee a tutelare  le
 tradizioni locali e le aree urbane di particolare interesse e perche'
 la  legge  n.  1089  del  1939  prevede  gia'  la  tutela dei beni di
 interesse storico, artistico, archeologico ed etnografico, vietandone
 destinazioni ed usi incompatibili con il loro  carattere  o  tali  da
 pregiudicarne la conservazione e la integrita'.
    Il secondo comma del suddetto art. 4, secondo cui i Comuni possono
 vietare   lo  svolgimento  di  nuove  attivita'  ma  non  imporre  la
 cessazione di quelle gia' intraprese  prima  dell'entrata  in  vigore
 della  legge,  violerebbe  il  principio  di  liberta' di concorrenza
 desumibile dell'art. 41 e quello di uguaglianza sancito  dall'art.  3
 della Costituzione, oltre ad essere palesemente irragionevole.
    Inoltre,  risulterebbe  violato  anche  il principio di riserva di
 legge previsto dall'ultimo comma dell'art. 41 della  Costituzione  ma
 applicabile  anche alla materia regolata dal secondo comma perche' la
 norma impugnata non recherebbe i criteri  o  le  direttive  idonei  a
 contenere     in    un    ambito    rigorosamente    delimitato    la
 discrezionalita'del Comune nell'individuare le  attivita'  economiche
 da  vietare  nel  proprio  territorio  e  non  regolerebbe nemmeno il
 procedimento   attinente   all'esercizio   delle   nuove   competenze
 attribuite    ai    Comuni.    Pertanto,   non   sarebbe   assicurata
 l'imparzialita' dell'azione pubblica e, quindi, sarebbe violato anche
 l'art. 97 della Costituzione.
    2. - Nel giudizio si sono costituiti sia  la  Mc  Donald's  Italia
 S.r.l.,  che  ha  insistito  per  la  declaratoria  di illegittimita'
 costituzionale della norma denunciata, sia il Comune di Roma, che  ha
 concluso per la infondatezza della questione.
    3. - Conclusione identica ha formulato l'Avvocatura Generale dello
 Stato, intervenuta in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei
 ministri.
    Ha   rilevato   che   il  Consiglio  di  Stato  ha  gia'  ritenuto
 manifestamente infondata la medesima questione ora  sollevata  (sent.
 n. 170 del 1989) nella considerazione che:
       a)  la  legge  tutela  un  bene che non solo e' immanente nella
 coscienza  sociale  ma  che  e'  garantito  come  preminente   valore
 dall'art. 9 c.p.v. della Costituzione;
       b)  pone  limiti alla liberta' di iniziativa economica solo per
 attivita' corrispondenti a singole sub-classificazioni di voci;
       c) che  il  trattamento  differenziato  applicato  alla  stessa
 categoria di soggetti in momenti diversi nel tempo non viola l'art. 3
 della  Costituzione,  costituendo  il  fluire del tempo di per se' un
 elemento diversificatore;
       d) che non e' violato l'art. 97 della Costituzione in quanto il
 principio   del   "giusto   procedimento"   non   puo'   considerarsi
 costituzionalizzato.
    Ha,  infine,  rammentato che gia' la Corte ha avvalorato (sent. n.
 118 del 1990) la priorita' del fine perseguito con la legge in  esame
 e  ha  sostenuto  la adeguatezza del sistema all'uopo predisposto dal
 legislatore.
    4. - Nell'imminenza della  udienza  hanno  presentato  memorie  la
 difesa delle parti private e del Comune di Roma.
    4.1.  -  La societa' Mc Donald's Italia, richiamando le precedenti
 sentenze di questa Corte in materia, ha ribadito la necessita'  della
 osservanza  del principio della ragionevolezza e della coerenza nella
 imposizione delle limitazioni e  nella  determinazione  delle  misure
 apprestate  affinche'  non siano arbitrarie e palesemente incongrue e
 tali da condizionare le scelte imprenditoriali in grado cosi' elevato
 da  indurre  sostanzialmente  la  funzionalizzazione   dell'attivita'
 economica  di  cui  si  tratta,  sacrificandone le opzioni di fondo o
 restringendone in rigidi confini lo spazio o l'oggetto  delle  stesse
 scelte organizzative.
    Ha  rilevato  che  il  potere di totale preclusione dell'attivita'
 imprenditoriale de qua, attribuito all'amministrazione dalla norma in
 esame, appare palesamente irragionevole ed incoerente in quanto  gia'
 gli artt. 1 e 2 della legge n. 1089 del 1939 realizzano la tutela dei
 beni  di interesse particolarmente importante per il loro riferimento
 alla storia politica,  militare,  alla  letteratura,  all'arte,  alla
 cultura  in  genere;  e l'art. 11, secondo comma, sancisce il divieto
 della destinazione dei beni tutelati ad usi non  compatibili  con  il
 loro carattere ovvero tali da pregiudicare la loro conservazione o la
 loro integrita'.
    Inoltre,  il  previsto  divieto  di nuove attivita' economiche non
 solo  appare  generico  ed  indiscriminato  ma  e'  irragionevolmente
 disposto senza una concreta ed effettiva valutazione delle tradizioni
 storiche,  artistiche,  culturali  e  paesaggistiche  tutelate  dalla
 citata legge. E si fonda, pergiunta, su una arbitraria presunzione di
 incompatibilita'.
    Ha insistito sulla violazione del principio della riserva di legge
 poiche' la determinazione dei criteri e  delle  direttive  dirette  a
 contenere  l'esercizio sia dell'attivita' normativa secondaria sia di
 quella  particolare   di   esecuzione,   e'   demandata   al   potere
 amministrativo e non sono posti impedimenti a che esso si eserciti in
 modo assolutamente discrezionale e si compiano valutazioni fondate su
 accertamenti e criteri di scelta non tecnici. Sicche' la compressione
 del diritto d'impresa e' arbitraria.
    Inoltre,  siccome la norma denunciata preclude solo lo svolgimento
 di nuove attivita', risultano avvantaggiate quelle gia' avviate,  con
 conseguente  lesione  della  liberta'  di concorrenza che costituisce
 l'aspetto pluralistico della liberta' di impresa e la violazione  del
 principio costituzionale di uguaglianza.
    Il  fluire  del  tempo  non  cancella  la  discriminazione,  e  la
 necessita' di  tutelare  determinate  aree  del  territorio  comunale
 rispetto ad attivita' ritenute incompatibili deve valere per tutte le
 imprese che ivi operano.
    Risulta  violato anche il principio della imparzialita' ex art. 97
 della Costituzione per il legame  che  sussiste  con  gli  altri  due
 principi della riserva di legge e della uguaglianza.
    Si  confutano  anche  gli argomenti addotti del Consiglio di Stato
 per dichiarare la questione de qua manifestamente infondata (sent. n.
 170 del 1989).
    4.2. - La difesa del Comune di Roma ha osservato che la  legge  in
 esame  non  e'  viziata di irrazionalita' in quanto non vieta in modo
 generalizzato e indiscriminato tutte le attivita' comunali,  ma  solo
 quelle  che,  all'interno  di  ogni  settore,  per  la loro tipologia
 particolare, possono trovarsi in contrasto con l'esigenza di tutelare
 le tradizioni locali e le aree di particolare interesse;  che  l'art.
 41   della   Costituzione   consente   le  limitazioni  e  i  divieti
 dell'esercizio della iniziativa economica; che la legge n.  1089  del
 1939  tutela altri valori legati al pregio di singoli immobili per la
 loro consistenza estetico-strutturale,  vietando  indiscriminatamente
 le   destinazioni   di  uso  commerciale  in  senso  generale  e  non
 particolari attivita' commerciali.
    Non sussiste la violazione della liberta' di  concorrenza  perche'
 il   divieto   delle   nuove   attivita'   commerciali  deriva  dalla
 incompatibilita' con il pubblico interesse, il che  non  era  per  le
 attivita' in corso al momento del rilascio dell'autorizzazione.
    Trattandosi  di  riserva  di legge relativa, affinche' l'attivita'
 precettiva della pubblica amministrazione non si tramuti in arbitrio,
 si devono stabilire solo i principi e le direttive all'interno  delle
 quali deve potersi svolgere l'attivita' commerciale.
    E'  sufficiente  che  la legge, come nella fattispecie, stabilisca
 gli obiettivi della tutela (salvaguardia delle  tradizioni  locali  e
 delle  aree  di  particolare  interesse);  l'oggetto  dell'intervento
 autoritativo  (le  attivita'  commerciali  incompatibili   con   tali
 obiettivi)  e gli strumenti dell'intervento (tabelle merceologiche ex
 art. 37 della  legge  n.  426  del  1971,  nuove  classificazioni  di
 esercizi  pubblici,  il riconoscimento in astratto della possibilita'
 di incompatibilita' tra alcune attivita' commerciali o artigianali ed
 il pubblico interesse sottoposto a tutela),  per  poi  affidare  agli
 organi  locali  la valutazione, in relazione alle caratteristiche dei
 singoli  diversi  oggetti  di  tutela,  delle  possibili  misure   di
 protezione  da  adottare  e  la  scelta delle specifiche attivita' da
 inibire o limitare.
                        Considerato in diritto
    1. - La Corte e' chiamata a verificare se l'art.  4  del  decreto-
 legge  n. 832 del 1986, convertito, con modificazioni, in legge n. 15
 del 1987, nella parte  in  cui  consente  all'autorita'  comunale  di
 precludere   nel   proprio   territorio  l'esercizio  di  determinate
 attivita' imprenditoriali, limitatamente agli  esercizi  commerciali,
 agli esercizi pubblici e alle imprese
 artigiane,  ritenute  incompatibili  con  la finalita' di tutelare le
 tradizioni locali e le aree di particolare interesse e  di  accertare
 le  attivita' svolte nei suddetti esercizi compresi nelle aree di cui
 trattasi e di confermare le  autorizzazioni  commerciali  nei  limiti
 delle  attivita'  effettivamente  in  atto  alla data dell'entrata in
 vigore dello stesso decreto,  violi  gli  artt.  3,  41  e  97  della
 Costituzione in quanto:
       a)  irragionevolmente  sarebbe consentito ai comuni di limitare
 la liberta' di iniziativa economica privata nonostante che  potessero
 gia'  avvalersi  di  opportuni  ed  idonei  strumenti  urbanistici  e
 nonostante la gia' esistente tutela apprestata dalla  legge  n.  1089
 del  1939  ai  beni  di interesse storico, artistico, archeologico ed
 etnografico;
       b) sarebbe leso il principio della liberta' di concorrenza e si
 sarebbe creata una ingiusta discriminazione solo a  danno  di  coloro
 che  intraprendono ex novo l'attivita' di cui trattasi consentendosi,
 invece, la continuazione delle stesse attivita'  in  precedenza  gia'
 autorizzate;
       c)  sarebbe  violato  il  principio della riserva di legge, non
 ponendo  la  legge  criteri  e  direttive  specifiche  ed  idonee   e
 lasciando,  invece,  il  tutto  alla  assoluta discrezionalita' delle
 amministrazioni comunali;
       d) non sarebbe assicurata la imparzialita' dell'azione pubblica
 per effetto della inosservanza del suddetto principio.
    2. - La questione non e' fondata per quanto si dira'.
    La disposizione censurata rappresenta un ulteriore  tentativo  del
 legislatore  di  assicurare la tutela delle tradizioni locali e delle
 aree  di  particolare  interesse   site   nei   territori   comunali,
 caratterizzati  da  un  nucleo edilizio ed abitativo riconducibile al
 concetto  di  centro  storico  il  quale rappresenta l'immagine della
 citta' ed esprime anche l'essenziale della nostra  storia  civile  ed
 artistica e della nostra cultura.
    Si  e'  cercato  di  raccordare le esigenze relative alle suddette
 aree con lo sviluppo del commercio in  una  piu'  moderna  concezione
 della  cultura e degli stessi beni culturali di cui agli artt. 47, 48
 e 49 del d.P.R. n. 616 del 1977 e al cui sviluppo ed alla cui  tutela
 sono  particolarmente interessati le regioni ed i comuni. Le suddette
 finalita' si evincono chiaramente dal  testo  della  disposizione  in
 esame, oltre che dai lavori preparatori, anche se la sua collocazione
 nell'ambito della disciplina delle locazioni non puo' ritenersi molto
 felice.
    Con  essa,  quindi, si e' voluto porre freno al degrado delle aree
 di particolare  interesse  impedendo  il  moltiplicarsi  di  esercizi
 commerciali che, sostituendo quelli tradizionali, per l'attivita' che
 vi  si  svolge,  producono  effetti  dannosi  e  distorsivi  del loro
 assetto,  mentre,  invece,   meritano   protezione   le   particolari
 caratteristiche  acquisite  per  lunga  tradizione. La qualita' della
 rete commerciale e  lo  sviluppo  di  particolari  tipi  di  esercizi
 pubblici  legati  alla  possibilita'  di acquisto ed ai bisogni di un
 particolare tipo di  clientela,  la  corrispondente  soppressione  di
 negozi   con   attivita'   di   particolare   pregio  anche  di  tipo
 tradizionale, riducono indubbiamente la fruibilita' delle dette  aree
 ed in particolare dei centri storici.
    2.1  -  Gia'  con  la  legge  n. 426 del 1971 si e' valorizzata la
 considerazione che, per lo stretto collegamento tra il  commercio  ed
 il  territorio  comunale,  l'esercizio  delle  attivita'  commerciali
 costituisce  una  delle  tipiche  componenti  della  civilta'  urbana
 perche'  contribuisce,  talora  anche  in  modo decisivo, a delineare
 l'aspetto di parti rilevanti  della  citta'  ed  in  particolare  dei
 centri storici. Alla suddetta legge devesi riconoscere una dimensione
 programmatoria  dello  sviluppo commerciale. E gia' la programmazione
 del settore ha  consentito  una  progressiva  modernizzazione  di  un
 importante  comparto  economico  ed  il  mantenimento dell'equilibrio
 territoriale  e  del  raccordo  con  altri  interessi  presenti   nel
 territorio urbano.
    Nell'assetto  delle  competenze  si  e'  dato un ruolo centrale al
 comune, si sono chiariti  i  caratteri  soggettivi  dell'imprenditore
 commerciale  ed i criteri che devono sovraintendere al rilascio delle
 autorizzazioni nonche' il ruolo delle tabelle merceologiche.
    L'art. 37, secondo comma, della suddetta legge ha dato facolta' ai
 comuni di apportare alle tabelle parziali modifiche in relazione alle
 esigenze ed alle tradizioni locali,  previo  consenso  del  Ministero
 dell'industria,   del  commercio  e  dell'artigianato  e  sentite  le
 associazioni locali dei commercianti.
    Il decreto ministeriale n. 375 del 1988, che contiene le norme  di
 esecuzione  della  detta  legge  n.  426 del 1971, disciplina ex novo
 (artt. 12 e segg.) la materia dell'esercizio  del  commercio  sia  al
 minuto  che  all'ingrosso,  specie  per  quanto  riguarda  coloro che
 intendono     intraprenderlo     subordinando     la      concessione
 dell'abilitazione a determinati requisiti professionali. Prevede, poi
 (art.  30), la formazione di piani di sviluppo e di adeguamento della
 rete di distribuzione in relazione ai quali avviene il rilascio delle
 autorizzazioni. I suddetti strumenti sono diretti a decongestionare e
 a  riqualificare le aree di particolare interesse ed i centri storici
 in quanto importano una diminuzione  della  densita'  degli  esercizi
 commerciali,  rendono  piu'  adeguate  le infrastrutture di sostegno,
 arricchiscono i  contenuti  sociali  e  culturali  dell'ambiente  con
 conseguente  diminuzione  del degrado e della qualita' della vita. E'
 previsto, inoltre, uno stretto collegamento tra i detti  piani  e  la
 disciplina  urbanistica,  dovendosi  osservare  le  norme  dei  piani
 regolatori   generali   e   particolareggiati,   dei   programmi   di
 fabbricazione, dei piani territoriali di coordinamento e dei piani di
 assetto,  nonche'  le  indicazioni  programmatiche  e  di urbanistica
 commerciale approvate dai competenti organi della regione. L'art.  45
 facultizza i comuni ad assoggettare a vidimazione annuale, decorrente
 dal   giorno   del   rilascio  e  prima  della  scadenza  annuale  le
 autorizzazioni alla vendita al fine di accertare  la  permanenza  dei
 requisiti  richiesti  agli  esercenti;  l'art.  46 consente la revoca
 delle   autorizzazioni.   L'art.   58,   invece,   con    particolare
 considerazione  del  criterio  di  cui  al secondo comma dell'art. 37
 della legge n. 426  del  1971,  disciplina  il  procedimento  per  la
 modificazione  delle  tabelle  merceologiche (proposte deliberate dal
 consiglio comunale, sentite le apposite commissioni di cui agli artt.
 15 e 16 della legge n. 426 del 1971; affissione  della  deliberazione
 all'albo  comunale  per  non  meno  di  15  giorni; valutazione delle
 proposte di modifica  da  parte  del  Ministero  dell'industria,  del
 commercio e dell'artigianato, previo parere della camera di commercio
 competente  per  territorio). La deroga e' autorizzata in presenza di
 comprovate  esigenze  delle  aree  di  rilevante  interesse  e  delle
 tradizioni  locali  in  modo  che  siano  soddisfatti i bisogni della
 popolazione e le radicate consuetudini.
    Vanno anche  tenuti  presenti  gli  interventi  legislativi  delle
 regioni.  Per  quel  che  riguarda  la fattispecie, l'art. 25, ultimo
 comma, della legge regionale Lazio n. 47 del 1985, demanda alla legge
 statale la determinazione dei criteri ai quali dovranno  attenersi  i
 comuni  per  la  regolamentazione  delle  destinazioni  di  uso degli
 immobili, e la legge regionale n. 36 del 1987 dispone, poi,  che  gli
 strumenti  urbanistici  generali  devono  stabilire  le  categorie di
 destinazione di uso e che le loro modificazioni, con o senza opere  a
 cio'  destinate,  sono soggette, a seconda dei casi, a concessione od
 autorizzazione dei sindaci.
    La legge 25 agosto 1991, n. 287, che ha  aggiornato  la  normativa
 sull'insediamento  e  sull'attivita'  dei  pubblici  esercizi,  nella
 disciplina del rilascio delle autorizzazioni, ha  previsto  (art.  3,
 terzo   comma)   che,  ai  fini  dell'osservanza  della  disposizione
 denunciata, i  comuni  possono  assoggettare  a  vidimazione  annuale
 quelle  relative ad esercizi ubicati in aree di particolare interesse
 storico ed artistico.
    3. - Dall'esame della legislazione richiamata, vigente nel settore
 che  interessa,  si  deduce  anche  il  limite   dell'apporto   della
 disciplina urbanistica alla tutela delle aree di rilevante interesse.
 Non sono mancati tentativi finalizzati all'attivazione del recupero e
 del  riuso  dei  centri  storici  sia  per  esigenze  di sistemazione
 edilizia che per motivi connessi allo sviluppo sociale  ed  economico
 delle  citta'  (artt. 1 della legge urbanistica n. 1150 del 1942; 17,
 legge n. 765 del 1967; leggi n. 865 del 1971, n. 513 del 1977, n. 457
 del  1978,  d.m.  2  aprile 1968, n. 1444) ma e' del tutto mancata la
 visione organica degli interventi. Solo il titolo I della legge n. 47
 del  1985  contiene   tecniche   di   controllo   edilizio   definito
 organicamente.
    Comunque,   le   varie   leggi  urbanistiche  hanno  riguardato  e
 riguardano l'assetto fisico del  territorio  (case,  palazzi,  piazze
 ecc.)  ed,  in  particolare,  l'aspetto  esteriore degli edifici, non
 certo  la  loro  valenza  economico-sociale.  Le  norme   che   hanno
 disciplinato  la  costruzione  e  la  ristrutturazione  degli edifici
 riguardano il pregio degli immobili e la loro  consistenza  estetico-
 culturale.
    4.  - E' affidata ancora alla legge n. 1089 del 1939 la tutela dei
 beni di interesse storico, artistico, archeologico, etnografico (art.
 1), nonche' dei beni di interesse particolarmente importante  per  il
 loro   riferimento   alla   storia  politica,  militare,  letteraria,
 artistica e culturale in genere (art. 2). La loro  utilizzazione,  la
 loro  destinazione  ed  il  loro  uso  ne hanno determinato la tutela
 specifica e particolare, la quale, pero', riguarda solamente il  bene
 e  non  l'attivita'  che  vi  si svolge. Non si agisce sul diritto di
 iniziativa  economica  coperta  dalla  garanzia  dell'art.  41  della
 Costituzione   ma   sulla   proprieta',   attraverso  un  vincolo  di
 destinazione di carattere reale e non  personale.  Esso  si  inquadra
 nella  funzione  sociale  della  proprieta'. In altri termini, non si
 sancisce  l'obbligo  di  continuare  ad  esercitare  in  detti   beni
 quell'attivita'  che ne ha determinato la tutela e nemmeno il divieto
 di esercitarvi altra diversa attivita' (sent. n. 118 del 1990).
    Il bene trova la  specifica  protezione  quando  e'  culturalmente
 caratterizzato  dall'attivita'  che  vi  si  e'  svolta e non solo in
 riferimento ad attivita' di alta cultura ma pur sempre  in  relazione
 alla  storia della civilta' e del costume anche locale. Lo Stato, nel
 porsi gli obiettivi della promozione e dello sviluppo della  cultura,
 provvede  alla  tutela dei beni che ne sono testimonianza materiale e
 che assumono rilievo strumentale per il raggiungimento  dei  suddetti
 obiettivi (art. 9 della Costituzione).
    Si  e'  avuto  certamente  di recente un rilancio della legge e la
 conferma della sua idoneita' ad assicurare un  regime  di  tutela  di
 beni  di particolare interesse, anche se si avverte la necessita' del
 suo adeguamento  ai  tempi  moderni  ed  ai  precetti  costituzionali
 successivi alla sua emanazione.
    Nella  citata sentenza si e' rilevato che altre leggi disciplinano
 le attivita' commerciali e fissano limiti posti per fine di  utilita'
 sociale  alla  iniziativa economica in via generale e libera (art. 41
 della Costituzione). E si e' anche  menzionata  la  disposizione  ora
 denunciata.  Il  riferimento ad essa non costituisce un obiter dictum
 ma e' un completamento necessario  della  motivazione  perche'  nella
 fattispecie  si  controverteva  proprio  sulla  tutela dell'attivita'
 economica  svolta  nei  suddetti  beni  pregiati  e  sulla  eventuale
 possibilita'  di  vietarne  l'esercizio di altre diverse in base alla
 detta legge (n. 1089 del 1939).
    5. - La disposizione in esame introduce uno strumento che riguarda
 specificamente l'attivita' commerciale. La disciplina e' prevista  in
 riferimento all'attuazione della tutela dei caratteri tradizionali di
 alcune  aree  di  rilevante  interesse  del  territorio  comunale  in
 coerenza con quella urbanistica,  ampliando  la  sfera  dei  pubblici
 poteri e riducendo conseguentemente quella del diritto dei privati.
    I  mezzi attraverso i quali si intendono raggiungere gli obiettivi
 che si sono proposti sono:
       a)  la  determinazione   di   voci   merceologiche   specifiche
 nell'ambito   delle   tabelle   e  la  conformazione  ad  esse  delle
 autorizzazioni  che  si  rilasciano  per  l'esercizio  di   attivita'
 commerciali;
       b)  la  effettuazione  di  nuove classificazioni degli esercizi
 pubblici in deroga a quelle previste dalla legge n. 524 del 1974;
       c) e, limitatamente agli esercizi  commerciali,  agli  esercizi
 pubblici  ed  alle  imprese artigiane, la determinazione di attivita'
 incompatibili con la tutela di tradizioni  locali  e  delle  aree  di
 particolare interesse.
    E'  preso  in  considerazione  il  rapporto  diretto  che  lega la
 caratterizzazione tipologica commerciale  delle  aree  suddette  alla
 complessiva   loro  qualita'  intesa  come  somma  di  valori  socio-
 ambientali (urbanistici, storici, monumentali,  artistici,  igienico-
 sanitari).
    Gli interessi che si tutelano trovano fondamento nell'art. 9 della
 Costituzione  che impegnano la Repubblica ad assicurare, tra l'altro,
 la tutela del patrimonio  culturale  nazionale  e  dell'ambiente,  ad
 assecondare  la  formazione  culturale  dei cittadini e ad arricchire
 quella esistente, a realizzare il progresso spirituale e ad acuire la
 sensibilita' dei cittadini come persone (sent. n. 118 del 1990).
    6. - In tale situazione non risulta violato  l'art.  41,  primo  e
 secondo  comma,  della Costituzione. Esso, pur affermando la liberta'
 di iniziativa economica privata, consente l'apposizione di limiti  al
 suo  esercizio subordinandola ad una duplice condizione; richiedendo,
 cioe', sotto  l'aspetto  sostanziale,  che  essi  corrispondano  alla
 utilita'  sociale  e,  sotto  quello  formale,  che  si  effettui  la
 disciplina ad opera della legge.
    Anche  la  liberta'  di  commercio  soggiace  ai  limiti  connessi
 all'utilita'  sociale  cosi'  come  alle  sue esigenze e' subordinata
 anche la liberta' di concorrenza (sent. n. 97 del 1969).
    L'intervento del  legislatore  puo'  riguardare  anche  le  scelte
 organizzative dell'imprenditore con disposizioni non arbitrarie e non
 incongrue.  Le  misure limitative apprestate possono riguardare anche
 le  licenze  di  commercio  delle  quali  e'  possibile  limitare  il
 rilascio,  condizionandolo  alla  osservanza di determinati requisiti
 soggettivi  per  quanto  riguarda  gli  esercenti  e  a   determinati
 contenuti dell'attivita' (settori e voci merceologiche).
    6.1  -  Per  quanto  riguarda la utilita' sociale, il potere della
 Corte concerne solo  la  rilevabilita'  dell'intento  legislativo  di
 perseguire  quel  determinato  fine e la generica idoneita' dei mezzi
 predisposti per raggiungerlo (sentt. n. 63 del 1991; n. 446 del 1988;
 n. 20 del 1980).
    Nella disposizione censurata sono chiaramente indicati i  fini  di
 utilita'  sociale  da  realizzare  e  cioe'  la  tutela  di  aree  di
 particolare interesse dei territori comunali per lo sviluppo ordinato
 della  societa'  civile,   la   tutela   delle   tradizioni   locali,
 l'incremento  culturale  ai  sensi  dell'art. 9 della Costituzione. E
 sono altresi' indicati specificamente  i  mezzi  per  raggiungere  il
 suddetto risultato, come si e' gia' avuto modo di rilevare.
    6.2  -  Per  quanto  riguarda  la riserva di legge, trattandosi di
 riserva relativa, per il  rispetto  del  precetto  costituzionale  e'
 sufficiente  che  la  legge  stabilisca  i  principi  e le direttrici
 all'interno dei  quali  deve  svolgersi  l'attivita'  della  pubblica
 amministrazione  la  quale,  a sua volta, e' soggetta al principio di
 legalita' la cui osservanza puo' essere  accertata  nelle  competenti
 sedi, anche giurisdizionali.
    La   disciplina   legislativa   deve  essere  idonea  a  contenere
 nell'ambito  delineato  sia  l'esercizio   dell'attivita'   normativa
 secondaria che di quella particolare e concreta di esecuzione in modo
 da evitare che si svolgano in modo assolutamente discrezionale si' da
 concretare  un  arbitrio,  o  quanto  meno  in  modo  non  coerente e
 razionale (sent. n. 1 del 1963).
    Le determinazioni della legge, pero', possono essere diverse anche
 di contenuto, a seconda della natura dell'attivita' economica e della
 utilita' sociale da perseguire ma non possono mai mancare del  tutto.
 La  legge puo' attribuire all'autorita' amministrativa (nella specie,
 il comune) particolari poteri  di  incidenza  su  diritti  economici,
 anche  se  garantiti  dalla  Costituzione,  allorche'  si  tratti  di
 tutelare altri valori costituzionali (sentt. n. 40 del 1964;  1,  39,
 46 del 1963).
    Nella specie, il precetto costituzionale non e' violato perche' la
 disposizione   censurata   stabilisce   gli  obiettivi  della  tutela
 (salvaguardia delle tradizioni locali e  delle  aree  di  particolare
 interesse).
    L'oggetto  dell'intervento autorizzativo (le attivita' commerciali
 incompatibili con i detti obiettivi); gli  strumenti  dell'intervento
 (variazione   delle   tabelle   merceologiche   e   la   loro   nuova
 compilazione);  nuova  classificazione  degli  esercizi  commerciali;
 riconoscimento in astratto delle incompatibilita'.
    La regola enunciata dal legislatore e' necessariamente riferita ad
 ipotesi  astratte  e  le  imposizioni  concrete si effettuano a mezzo
 dell'apposito procedimento amministrativo  soggetto  alle  regole  ed
 alla  disciplina  specificamente  apprestata  dalle leggi in materia.
 Inoltre, la previsione specifica per le modifiche tabellari (art.  58
 del  d.m.  n.  375  del  1988)  e  gli interessi dei soggetti privati
 trovano  sufficiente  tutela  dell'eventuale  loro  lesione  in  sede
 giurisdizionale.
    Conseguentemente,  non sussiste la denunciata violazione dell'art.
 97 della Costituzione.
    7. - Effettuate le variazioni delle  tabelle  merceologiche  e  le
 nuove   classificazioni,   i   comuni   accertano  per  gli  esercizi
 commerciali,  gli  esercizi  pubblici  e  le  imprese  artigiane,  le
 attivita'  incompatibili  con  le  esigenze  da  tutelare. In sede di
 vidimazione annuale confermano le autorizzazioni  concesse  anzitutto
 nei  limiti  delle  attivita'  effettivamente  in  atto  alla data di
 entrata in vigore del decreto-legge (11 dicembre 1986).
    Si deve, pero', ritenere che anche per le  attivita'  gia'  svolte
 precedentemente  all'entrata  in vigore del decreto-legge, in sede di
 vidimazione delle autorizzazioni si possa  accertare  se  l'attivita'
 esercitata  sia o meno conforme alle nuove voci tabellari e negare la
 vidimazione ove se ne riscontri la difformita'.
    Invero, del  secondo  comma  dell'art.  4  censurato  deve  essere
 privilegiata     l'interpretazione     adeguatrice    dei    precetti
 costituzionali (art.  3  della  Costituzione).  Come  esattamente  ha
 rilevato la stessa parte ricorrente, deve essere garantita la parita'
 di  trattamento  nell'accesso  e  nella  permanenza  nel mercato ed i
 limiti ai quali si assoggetta la iniziativa economica  devono  valere
 per tutti perche', altrimenti, si creerebbero ingiuste ed irrazionali
 discriminazioni  tra  soggetti  che  esercitano  la  stessa attivita'
 commerciale. L'eguale trattamento e' imposto proprio dalla tutela dei
 valori  costituzionali  in  discussione   (artt.   9   e   41   della
 Costituzione). Non ha alcuna giustificazione il discrimine temporale,
 una  volta  che  si  determina  la necessita' di tutelare le aree del
 territorio nazionale di rilevante interesse in conformita' di  valori
 primari  costituzionali  (art.  9 della Costituzione) in relazione ad
 attivita' imprenditoriali considerate incompatibili con  le  esigenze
 della suddetta tutela.
    Le  incompatibilita', attesa la rilevanza dei fini da raggiungere,
 deve valere sia per le attivita' nuove sia per  quelle  preesistenti.
 Il   discrimine   temporale   non  puo'  penalizzare  irrazionalmente
 posizioni analoghe o addirittura identiche (sent. n. 105 del 1992).
    Va, peraltro, effettuato un  puntuale  e  razionale  bilanciamento
 degli interessi in gioco: di quelli che fanno capo alla collettivita'
 nazionale,  assurti  a  rango  di veri e propri valori costituzionali
 primari, e di quelli che fanno  capo  ai  singoli  soggetti  tutelati
 dalla  Costituzione ma che soffrono di limiti proprio in relazione ai
 detti valori.
    Cosi' interpretata, la disposizione  censurata  (art.  4,  secondo
 comma,  decreto-legge  n.  832  del 1986), non sussiste la violazione
 degli invocati articoli 3 e 41, ultimo comma, della Costituzione.