ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4 del decreto- legge 9 dicembre 1986, n. 832, (Misure urgenti in materia di contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione), convertito, con modificazioni, in legge 6 febbraio 1987, n. 15, promosso con ordinanza emessa il 3 luglio 1991 dal Tribunale Amministrativo del Lazio sui ricorsi riuniti proposti da Bahbout Jacques ed altri contro il Comune di Roma, iscritta al n. 123 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1992; Visti gli atti di costituzione della S.r.l. Mc Donald's Italia e del Comune di Roma, nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 16 giugno 1992 il Giudice relatore Francesco Greco; Uditi gli avvocati Paolo Barile e Piero D'Amelio per la S.r.l. Mc Donald's Italia e Pietro Bonanni per il Comune di Roma e l'Avvocato di Stato Plinio Sacchetto per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Il Comune di Roma, con deliberazione n. 3330 in data 1 giugno 1987, ai sensi dell'art. 4 del decreto-legge 9 dicembre 1986, n. 832, convertito, con modificazioni, nella legge 6 febbraio 1987, n. 15, dichiarava incompatibile con le esigenze di tutela dei valori ambientali di talune zone nel centro cittadino l'attivita' di ristorazione veloce con menu' limitato e non tradizionale. Avverso tale provvedimento venivano proposti al T.A.R. Lazio due distinti ricorsi, l'uno da Bahbout Jacques in proprio e quale legale rappresentante della S.p.a. Fooditalia, l'altro dalla societa' Mc Donald's Corporation nonche' dalla S.r.l. Ristoranti italiani per famiglie (R.I.P.F.). Un terzo ricorso veniva proposto dalla societa' Mc Donald's Italia S.r.l. avverso la deliberazione della stessa giunta municipale n. 3925 del 15 giugno 1988, la quale, sebbene affermasse di disciplinare ex novo la materia e di revocare la precedente delibera n. 3330 del 1987, ne costituiva una mera riproduzione. Il T.A.R., riuniti i ricorsi, dichiarava i primi due improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse e, decisi alcune eccezioni preliminari e taluni motivi del terzo ricorso, con ordinanza del 3 luglio 1991 (pervenuta alla Corte Costituzionale il 24 febbraio 1992; R.O. n. 123 del 1992), ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 del decreto-legge 9 dicembre 1986, n. 832, convertito, con modificazioni, nella legge 6 febbraio 1987, n. 15. Ha osservato che tale norma contrasterebbe con l'art. 41 della Costituzione in quanto consentirebbe, tra l'altro, ai Comuni, ai fini di tutela delle tradizioni locali e delle aree di particolare interesse, di precludere nel proprio territorio l'esercizio di deter- minate attivita' imprenditoriali, quale, nella fattispecie, quella di ristorazione veloce, limitando, cosi', la liberta' di iniziativa economica privata. Ha rilevato che tale liberta' puo' essere compressa per fini di utilita' sociale ma che deve osservarsi il principio di ragionevolezza, e cioe' di coerenza tra fine perseguito e strumenti normativi concretamente utilizzati. L'art. 4 del decreto-legge n. 832 del 1986 consentirebbe, invece, ai Comuni di opporre un generalizzato divieto all'esercizio di deter- minate attivita' senza alcuna giustificazione anche perche' essi potevano gia' dettare prescrizioni urbanistiche idonee a tutelare le tradizioni locali e le aree urbane di particolare interesse e perche' la legge n. 1089 del 1939 prevede gia' la tutela dei beni di interesse storico, artistico, archeologico ed etnografico, vietandone destinazioni ed usi incompatibili con il loro carattere o tali da pregiudicarne la conservazione e la integrita'. Il secondo comma del suddetto art. 4, secondo cui i Comuni possono vietare lo svolgimento di nuove attivita' ma non imporre la cessazione di quelle gia' intraprese prima dell'entrata in vigore della legge, violerebbe il principio di liberta' di concorrenza desumibile dell'art. 41 e quello di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, oltre ad essere palesemente irragionevole. Inoltre, risulterebbe violato anche il principio di riserva di legge previsto dall'ultimo comma dell'art. 41 della Costituzione ma applicabile anche alla materia regolata dal secondo comma perche' la norma impugnata non recherebbe i criteri o le direttive idonei a contenere in un ambito rigorosamente delimitato la discrezionalita'del Comune nell'individuare le attivita' economiche da vietare nel proprio territorio e non regolerebbe nemmeno il procedimento attinente all'esercizio delle nuove competenze attribuite ai Comuni. Pertanto, non sarebbe assicurata l'imparzialita' dell'azione pubblica e, quindi, sarebbe violato anche l'art. 97 della Costituzione. 2. - Nel giudizio si sono costituiti sia la Mc Donald's Italia S.r.l., che ha insistito per la declaratoria di illegittimita' costituzionale della norma denunciata, sia il Comune di Roma, che ha concluso per la infondatezza della questione. 3. - Conclusione identica ha formulato l'Avvocatura Generale dello Stato, intervenuta in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri. Ha rilevato che il Consiglio di Stato ha gia' ritenuto manifestamente infondata la medesima questione ora sollevata (sent. n. 170 del 1989) nella considerazione che: a) la legge tutela un bene che non solo e' immanente nella coscienza sociale ma che e' garantito come preminente valore dall'art. 9 c.p.v. della Costituzione; b) pone limiti alla liberta' di iniziativa economica solo per attivita' corrispondenti a singole sub-classificazioni di voci; c) che il trattamento differenziato applicato alla stessa categoria di soggetti in momenti diversi nel tempo non viola l'art. 3 della Costituzione, costituendo il fluire del tempo di per se' un elemento diversificatore; d) che non e' violato l'art. 97 della Costituzione in quanto il principio del "giusto procedimento" non puo' considerarsi costituzionalizzato. Ha, infine, rammentato che gia' la Corte ha avvalorato (sent. n. 118 del 1990) la priorita' del fine perseguito con la legge in esame e ha sostenuto la adeguatezza del sistema all'uopo predisposto dal legislatore. 4. - Nell'imminenza della udienza hanno presentato memorie la difesa delle parti private e del Comune di Roma. 4.1. - La societa' Mc Donald's Italia, richiamando le precedenti sentenze di questa Corte in materia, ha ribadito la necessita' della osservanza del principio della ragionevolezza e della coerenza nella imposizione delle limitazioni e nella determinazione delle misure apprestate affinche' non siano arbitrarie e palesemente incongrue e tali da condizionare le scelte imprenditoriali in grado cosi' elevato da indurre sostanzialmente la funzionalizzazione dell'attivita' economica di cui si tratta, sacrificandone le opzioni di fondo o restringendone in rigidi confini lo spazio o l'oggetto delle stesse scelte organizzative. Ha rilevato che il potere di totale preclusione dell'attivita' imprenditoriale de qua, attribuito all'amministrazione dalla norma in esame, appare palesamente irragionevole ed incoerente in quanto gia' gli artt. 1 e 2 della legge n. 1089 del 1939 realizzano la tutela dei beni di interesse particolarmente importante per il loro riferimento alla storia politica, militare, alla letteratura, all'arte, alla cultura in genere; e l'art. 11, secondo comma, sancisce il divieto della destinazione dei beni tutelati ad usi non compatibili con il loro carattere ovvero tali da pregiudicare la loro conservazione o la loro integrita'. Inoltre, il previsto divieto di nuove attivita' economiche non solo appare generico ed indiscriminato ma e' irragionevolmente disposto senza una concreta ed effettiva valutazione delle tradizioni storiche, artistiche, culturali e paesaggistiche tutelate dalla citata legge. E si fonda, pergiunta, su una arbitraria presunzione di incompatibilita'. Ha insistito sulla violazione del principio della riserva di legge poiche' la determinazione dei criteri e delle direttive dirette a contenere l'esercizio sia dell'attivita' normativa secondaria sia di quella particolare di esecuzione, e' demandata al potere amministrativo e non sono posti impedimenti a che esso si eserciti in modo assolutamente discrezionale e si compiano valutazioni fondate su accertamenti e criteri di scelta non tecnici. Sicche' la compressione del diritto d'impresa e' arbitraria. Inoltre, siccome la norma denunciata preclude solo lo svolgimento di nuove attivita', risultano avvantaggiate quelle gia' avviate, con conseguente lesione della liberta' di concorrenza che costituisce l'aspetto pluralistico della liberta' di impresa e la violazione del principio costituzionale di uguaglianza. Il fluire del tempo non cancella la discriminazione, e la necessita' di tutelare determinate aree del territorio comunale rispetto ad attivita' ritenute incompatibili deve valere per tutte le imprese che ivi operano. Risulta violato anche il principio della imparzialita' ex art. 97 della Costituzione per il legame che sussiste con gli altri due principi della riserva di legge e della uguaglianza. Si confutano anche gli argomenti addotti del Consiglio di Stato per dichiarare la questione de qua manifestamente infondata (sent. n. 170 del 1989). 4.2. - La difesa del Comune di Roma ha osservato che la legge in esame non e' viziata di irrazionalita' in quanto non vieta in modo generalizzato e indiscriminato tutte le attivita' comunali, ma solo quelle che, all'interno di ogni settore, per la loro tipologia particolare, possono trovarsi in contrasto con l'esigenza di tutelare le tradizioni locali e le aree di particolare interesse; che l'art. 41 della Costituzione consente le limitazioni e i divieti dell'esercizio della iniziativa economica; che la legge n. 1089 del 1939 tutela altri valori legati al pregio di singoli immobili per la loro consistenza estetico-strutturale, vietando indiscriminatamente le destinazioni di uso commerciale in senso generale e non particolari attivita' commerciali. Non sussiste la violazione della liberta' di concorrenza perche' il divieto delle nuove attivita' commerciali deriva dalla incompatibilita' con il pubblico interesse, il che non era per le attivita' in corso al momento del rilascio dell'autorizzazione. Trattandosi di riserva di legge relativa, affinche' l'attivita' precettiva della pubblica amministrazione non si tramuti in arbitrio, si devono stabilire solo i principi e le direttive all'interno delle quali deve potersi svolgere l'attivita' commerciale. E' sufficiente che la legge, come nella fattispecie, stabilisca gli obiettivi della tutela (salvaguardia delle tradizioni locali e delle aree di particolare interesse); l'oggetto dell'intervento autoritativo (le attivita' commerciali incompatibili con tali obiettivi) e gli strumenti dell'intervento (tabelle merceologiche ex art. 37 della legge n. 426 del 1971, nuove classificazioni di esercizi pubblici, il riconoscimento in astratto della possibilita' di incompatibilita' tra alcune attivita' commerciali o artigianali ed il pubblico interesse sottoposto a tutela), per poi affidare agli organi locali la valutazione, in relazione alle caratteristiche dei singoli diversi oggetti di tutela, delle possibili misure di protezione da adottare e la scelta delle specifiche attivita' da inibire o limitare. Considerato in diritto 1. - La Corte e' chiamata a verificare se l'art. 4 del decreto- legge n. 832 del 1986, convertito, con modificazioni, in legge n. 15 del 1987, nella parte in cui consente all'autorita' comunale di precludere nel proprio territorio l'esercizio di determinate attivita' imprenditoriali, limitatamente agli esercizi commerciali, agli esercizi pubblici e alle imprese artigiane, ritenute incompatibili con la finalita' di tutelare le tradizioni locali e le aree di particolare interesse e di accertare le attivita' svolte nei suddetti esercizi compresi nelle aree di cui trattasi e di confermare le autorizzazioni commerciali nei limiti delle attivita' effettivamente in atto alla data dell'entrata in vigore dello stesso decreto, violi gli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione in quanto: a) irragionevolmente sarebbe consentito ai comuni di limitare la liberta' di iniziativa economica privata nonostante che potessero gia' avvalersi di opportuni ed idonei strumenti urbanistici e nonostante la gia' esistente tutela apprestata dalla legge n. 1089 del 1939 ai beni di interesse storico, artistico, archeologico ed etnografico; b) sarebbe leso il principio della liberta' di concorrenza e si sarebbe creata una ingiusta discriminazione solo a danno di coloro che intraprendono ex novo l'attivita' di cui trattasi consentendosi, invece, la continuazione delle stesse attivita' in precedenza gia' autorizzate; c) sarebbe violato il principio della riserva di legge, non ponendo la legge criteri e direttive specifiche ed idonee e lasciando, invece, il tutto alla assoluta discrezionalita' delle amministrazioni comunali; d) non sarebbe assicurata la imparzialita' dell'azione pubblica per effetto della inosservanza del suddetto principio. 2. - La questione non e' fondata per quanto si dira'. La disposizione censurata rappresenta un ulteriore tentativo del legislatore di assicurare la tutela delle tradizioni locali e delle aree di particolare interesse site nei territori comunali, caratterizzati da un nucleo edilizio ed abitativo riconducibile al concetto di centro storico il quale rappresenta l'immagine della citta' ed esprime anche l'essenziale della nostra storia civile ed artistica e della nostra cultura. Si e' cercato di raccordare le esigenze relative alle suddette aree con lo sviluppo del commercio in una piu' moderna concezione della cultura e degli stessi beni culturali di cui agli artt. 47, 48 e 49 del d.P.R. n. 616 del 1977 e al cui sviluppo ed alla cui tutela sono particolarmente interessati le regioni ed i comuni. Le suddette finalita' si evincono chiaramente dal testo della disposizione in esame, oltre che dai lavori preparatori, anche se la sua collocazione nell'ambito della disciplina delle locazioni non puo' ritenersi molto felice. Con essa, quindi, si e' voluto porre freno al degrado delle aree di particolare interesse impedendo il moltiplicarsi di esercizi commerciali che, sostituendo quelli tradizionali, per l'attivita' che vi si svolge, producono effetti dannosi e distorsivi del loro assetto, mentre, invece, meritano protezione le particolari caratteristiche acquisite per lunga tradizione. La qualita' della rete commerciale e lo sviluppo di particolari tipi di esercizi pubblici legati alla possibilita' di acquisto ed ai bisogni di un particolare tipo di clientela, la corrispondente soppressione di negozi con attivita' di particolare pregio anche di tipo tradizionale, riducono indubbiamente la fruibilita' delle dette aree ed in particolare dei centri storici. 2.1 - Gia' con la legge n. 426 del 1971 si e' valorizzata la considerazione che, per lo stretto collegamento tra il commercio ed il territorio comunale, l'esercizio delle attivita' commerciali costituisce una delle tipiche componenti della civilta' urbana perche' contribuisce, talora anche in modo decisivo, a delineare l'aspetto di parti rilevanti della citta' ed in particolare dei centri storici. Alla suddetta legge devesi riconoscere una dimensione programmatoria dello sviluppo commerciale. E gia' la programmazione del settore ha consentito una progressiva modernizzazione di un importante comparto economico ed il mantenimento dell'equilibrio territoriale e del raccordo con altri interessi presenti nel territorio urbano. Nell'assetto delle competenze si e' dato un ruolo centrale al comune, si sono chiariti i caratteri soggettivi dell'imprenditore commerciale ed i criteri che devono sovraintendere al rilascio delle autorizzazioni nonche' il ruolo delle tabelle merceologiche. L'art. 37, secondo comma, della suddetta legge ha dato facolta' ai comuni di apportare alle tabelle parziali modifiche in relazione alle esigenze ed alle tradizioni locali, previo consenso del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato e sentite le associazioni locali dei commercianti. Il decreto ministeriale n. 375 del 1988, che contiene le norme di esecuzione della detta legge n. 426 del 1971, disciplina ex novo (artt. 12 e segg.) la materia dell'esercizio del commercio sia al minuto che all'ingrosso, specie per quanto riguarda coloro che intendono intraprenderlo subordinando la concessione dell'abilitazione a determinati requisiti professionali. Prevede, poi (art. 30), la formazione di piani di sviluppo e di adeguamento della rete di distribuzione in relazione ai quali avviene il rilascio delle autorizzazioni. I suddetti strumenti sono diretti a decongestionare e a riqualificare le aree di particolare interesse ed i centri storici in quanto importano una diminuzione della densita' degli esercizi commerciali, rendono piu' adeguate le infrastrutture di sostegno, arricchiscono i contenuti sociali e culturali dell'ambiente con conseguente diminuzione del degrado e della qualita' della vita. E' previsto, inoltre, uno stretto collegamento tra i detti piani e la disciplina urbanistica, dovendosi osservare le norme dei piani regolatori generali e particolareggiati, dei programmi di fabbricazione, dei piani territoriali di coordinamento e dei piani di assetto, nonche' le indicazioni programmatiche e di urbanistica commerciale approvate dai competenti organi della regione. L'art. 45 facultizza i comuni ad assoggettare a vidimazione annuale, decorrente dal giorno del rilascio e prima della scadenza annuale le autorizzazioni alla vendita al fine di accertare la permanenza dei requisiti richiesti agli esercenti; l'art. 46 consente la revoca delle autorizzazioni. L'art. 58, invece, con particolare considerazione del criterio di cui al secondo comma dell'art. 37 della legge n. 426 del 1971, disciplina il procedimento per la modificazione delle tabelle merceologiche (proposte deliberate dal consiglio comunale, sentite le apposite commissioni di cui agli artt. 15 e 16 della legge n. 426 del 1971; affissione della deliberazione all'albo comunale per non meno di 15 giorni; valutazione delle proposte di modifica da parte del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, previo parere della camera di commercio competente per territorio). La deroga e' autorizzata in presenza di comprovate esigenze delle aree di rilevante interesse e delle tradizioni locali in modo che siano soddisfatti i bisogni della popolazione e le radicate consuetudini. Vanno anche tenuti presenti gli interventi legislativi delle regioni. Per quel che riguarda la fattispecie, l'art. 25, ultimo comma, della legge regionale Lazio n. 47 del 1985, demanda alla legge statale la determinazione dei criteri ai quali dovranno attenersi i comuni per la regolamentazione delle destinazioni di uso degli immobili, e la legge regionale n. 36 del 1987 dispone, poi, che gli strumenti urbanistici generali devono stabilire le categorie di destinazione di uso e che le loro modificazioni, con o senza opere a cio' destinate, sono soggette, a seconda dei casi, a concessione od autorizzazione dei sindaci. La legge 25 agosto 1991, n. 287, che ha aggiornato la normativa sull'insediamento e sull'attivita' dei pubblici esercizi, nella disciplina del rilascio delle autorizzazioni, ha previsto (art. 3, terzo comma) che, ai fini dell'osservanza della disposizione denunciata, i comuni possono assoggettare a vidimazione annuale quelle relative ad esercizi ubicati in aree di particolare interesse storico ed artistico. 3. - Dall'esame della legislazione richiamata, vigente nel settore che interessa, si deduce anche il limite dell'apporto della disciplina urbanistica alla tutela delle aree di rilevante interesse. Non sono mancati tentativi finalizzati all'attivazione del recupero e del riuso dei centri storici sia per esigenze di sistemazione edilizia che per motivi connessi allo sviluppo sociale ed economico delle citta' (artt. 1 della legge urbanistica n. 1150 del 1942; 17, legge n. 765 del 1967; leggi n. 865 del 1971, n. 513 del 1977, n. 457 del 1978, d.m. 2 aprile 1968, n. 1444) ma e' del tutto mancata la visione organica degli interventi. Solo il titolo I della legge n. 47 del 1985 contiene tecniche di controllo edilizio definito organicamente. Comunque, le varie leggi urbanistiche hanno riguardato e riguardano l'assetto fisico del territorio (case, palazzi, piazze ecc.) ed, in particolare, l'aspetto esteriore degli edifici, non certo la loro valenza economico-sociale. Le norme che hanno disciplinato la costruzione e la ristrutturazione degli edifici riguardano il pregio degli immobili e la loro consistenza estetico- culturale. 4. - E' affidata ancora alla legge n. 1089 del 1939 la tutela dei beni di interesse storico, artistico, archeologico, etnografico (art. 1), nonche' dei beni di interesse particolarmente importante per il loro riferimento alla storia politica, militare, letteraria, artistica e culturale in genere (art. 2). La loro utilizzazione, la loro destinazione ed il loro uso ne hanno determinato la tutela specifica e particolare, la quale, pero', riguarda solamente il bene e non l'attivita' che vi si svolge. Non si agisce sul diritto di iniziativa economica coperta dalla garanzia dell'art. 41 della Costituzione ma sulla proprieta', attraverso un vincolo di destinazione di carattere reale e non personale. Esso si inquadra nella funzione sociale della proprieta'. In altri termini, non si sancisce l'obbligo di continuare ad esercitare in detti beni quell'attivita' che ne ha determinato la tutela e nemmeno il divieto di esercitarvi altra diversa attivita' (sent. n. 118 del 1990). Il bene trova la specifica protezione quando e' culturalmente caratterizzato dall'attivita' che vi si e' svolta e non solo in riferimento ad attivita' di alta cultura ma pur sempre in relazione alla storia della civilta' e del costume anche locale. Lo Stato, nel porsi gli obiettivi della promozione e dello sviluppo della cultura, provvede alla tutela dei beni che ne sono testimonianza materiale e che assumono rilievo strumentale per il raggiungimento dei suddetti obiettivi (art. 9 della Costituzione). Si e' avuto certamente di recente un rilancio della legge e la conferma della sua idoneita' ad assicurare un regime di tutela di beni di particolare interesse, anche se si avverte la necessita' del suo adeguamento ai tempi moderni ed ai precetti costituzionali successivi alla sua emanazione. Nella citata sentenza si e' rilevato che altre leggi disciplinano le attivita' commerciali e fissano limiti posti per fine di utilita' sociale alla iniziativa economica in via generale e libera (art. 41 della Costituzione). E si e' anche menzionata la disposizione ora denunciata. Il riferimento ad essa non costituisce un obiter dictum ma e' un completamento necessario della motivazione perche' nella fattispecie si controverteva proprio sulla tutela dell'attivita' economica svolta nei suddetti beni pregiati e sulla eventuale possibilita' di vietarne l'esercizio di altre diverse in base alla detta legge (n. 1089 del 1939). 5. - La disposizione in esame introduce uno strumento che riguarda specificamente l'attivita' commerciale. La disciplina e' prevista in riferimento all'attuazione della tutela dei caratteri tradizionali di alcune aree di rilevante interesse del territorio comunale in coerenza con quella urbanistica, ampliando la sfera dei pubblici poteri e riducendo conseguentemente quella del diritto dei privati. I mezzi attraverso i quali si intendono raggiungere gli obiettivi che si sono proposti sono: a) la determinazione di voci merceologiche specifiche nell'ambito delle tabelle e la conformazione ad esse delle autorizzazioni che si rilasciano per l'esercizio di attivita' commerciali; b) la effettuazione di nuove classificazioni degli esercizi pubblici in deroga a quelle previste dalla legge n. 524 del 1974; c) e, limitatamente agli esercizi commerciali, agli esercizi pubblici ed alle imprese artigiane, la determinazione di attivita' incompatibili con la tutela di tradizioni locali e delle aree di particolare interesse. E' preso in considerazione il rapporto diretto che lega la caratterizzazione tipologica commerciale delle aree suddette alla complessiva loro qualita' intesa come somma di valori socio- ambientali (urbanistici, storici, monumentali, artistici, igienico- sanitari). Gli interessi che si tutelano trovano fondamento nell'art. 9 della Costituzione che impegnano la Repubblica ad assicurare, tra l'altro, la tutela del patrimonio culturale nazionale e dell'ambiente, ad assecondare la formazione culturale dei cittadini e ad arricchire quella esistente, a realizzare il progresso spirituale e ad acuire la sensibilita' dei cittadini come persone (sent. n. 118 del 1990). 6. - In tale situazione non risulta violato l'art. 41, primo e secondo comma, della Costituzione. Esso, pur affermando la liberta' di iniziativa economica privata, consente l'apposizione di limiti al suo esercizio subordinandola ad una duplice condizione; richiedendo, cioe', sotto l'aspetto sostanziale, che essi corrispondano alla utilita' sociale e, sotto quello formale, che si effettui la disciplina ad opera della legge. Anche la liberta' di commercio soggiace ai limiti connessi all'utilita' sociale cosi' come alle sue esigenze e' subordinata anche la liberta' di concorrenza (sent. n. 97 del 1969). L'intervento del legislatore puo' riguardare anche le scelte organizzative dell'imprenditore con disposizioni non arbitrarie e non incongrue. Le misure limitative apprestate possono riguardare anche le licenze di commercio delle quali e' possibile limitare il rilascio, condizionandolo alla osservanza di determinati requisiti soggettivi per quanto riguarda gli esercenti e a determinati contenuti dell'attivita' (settori e voci merceologiche). 6.1 - Per quanto riguarda la utilita' sociale, il potere della Corte concerne solo la rilevabilita' dell'intento legislativo di perseguire quel determinato fine e la generica idoneita' dei mezzi predisposti per raggiungerlo (sentt. n. 63 del 1991; n. 446 del 1988; n. 20 del 1980). Nella disposizione censurata sono chiaramente indicati i fini di utilita' sociale da realizzare e cioe' la tutela di aree di particolare interesse dei territori comunali per lo sviluppo ordinato della societa' civile, la tutela delle tradizioni locali, l'incremento culturale ai sensi dell'art. 9 della Costituzione. E sono altresi' indicati specificamente i mezzi per raggiungere il suddetto risultato, come si e' gia' avuto modo di rilevare. 6.2 - Per quanto riguarda la riserva di legge, trattandosi di riserva relativa, per il rispetto del precetto costituzionale e' sufficiente che la legge stabilisca i principi e le direttrici all'interno dei quali deve svolgersi l'attivita' della pubblica amministrazione la quale, a sua volta, e' soggetta al principio di legalita' la cui osservanza puo' essere accertata nelle competenti sedi, anche giurisdizionali. La disciplina legislativa deve essere idonea a contenere nell'ambito delineato sia l'esercizio dell'attivita' normativa secondaria che di quella particolare e concreta di esecuzione in modo da evitare che si svolgano in modo assolutamente discrezionale si' da concretare un arbitrio, o quanto meno in modo non coerente e razionale (sent. n. 1 del 1963). Le determinazioni della legge, pero', possono essere diverse anche di contenuto, a seconda della natura dell'attivita' economica e della utilita' sociale da perseguire ma non possono mai mancare del tutto. La legge puo' attribuire all'autorita' amministrativa (nella specie, il comune) particolari poteri di incidenza su diritti economici, anche se garantiti dalla Costituzione, allorche' si tratti di tutelare altri valori costituzionali (sentt. n. 40 del 1964; 1, 39, 46 del 1963). Nella specie, il precetto costituzionale non e' violato perche' la disposizione censurata stabilisce gli obiettivi della tutela (salvaguardia delle tradizioni locali e delle aree di particolare interesse). L'oggetto dell'intervento autorizzativo (le attivita' commerciali incompatibili con i detti obiettivi); gli strumenti dell'intervento (variazione delle tabelle merceologiche e la loro nuova compilazione); nuova classificazione degli esercizi commerciali; riconoscimento in astratto delle incompatibilita'. La regola enunciata dal legislatore e' necessariamente riferita ad ipotesi astratte e le imposizioni concrete si effettuano a mezzo dell'apposito procedimento amministrativo soggetto alle regole ed alla disciplina specificamente apprestata dalle leggi in materia. Inoltre, la previsione specifica per le modifiche tabellari (art. 58 del d.m. n. 375 del 1988) e gli interessi dei soggetti privati trovano sufficiente tutela dell'eventuale loro lesione in sede giurisdizionale. Conseguentemente, non sussiste la denunciata violazione dell'art. 97 della Costituzione. 7. - Effettuate le variazioni delle tabelle merceologiche e le nuove classificazioni, i comuni accertano per gli esercizi commerciali, gli esercizi pubblici e le imprese artigiane, le attivita' incompatibili con le esigenze da tutelare. In sede di vidimazione annuale confermano le autorizzazioni concesse anzitutto nei limiti delle attivita' effettivamente in atto alla data di entrata in vigore del decreto-legge (11 dicembre 1986). Si deve, pero', ritenere che anche per le attivita' gia' svolte precedentemente all'entrata in vigore del decreto-legge, in sede di vidimazione delle autorizzazioni si possa accertare se l'attivita' esercitata sia o meno conforme alle nuove voci tabellari e negare la vidimazione ove se ne riscontri la difformita'. Invero, del secondo comma dell'art. 4 censurato deve essere privilegiata l'interpretazione adeguatrice dei precetti costituzionali (art. 3 della Costituzione). Come esattamente ha rilevato la stessa parte ricorrente, deve essere garantita la parita' di trattamento nell'accesso e nella permanenza nel mercato ed i limiti ai quali si assoggetta la iniziativa economica devono valere per tutti perche', altrimenti, si creerebbero ingiuste ed irrazionali discriminazioni tra soggetti che esercitano la stessa attivita' commerciale. L'eguale trattamento e' imposto proprio dalla tutela dei valori costituzionali in discussione (artt. 9 e 41 della Costituzione). Non ha alcuna giustificazione il discrimine temporale, una volta che si determina la necessita' di tutelare le aree del territorio nazionale di rilevante interesse in conformita' di valori primari costituzionali (art. 9 della Costituzione) in relazione ad attivita' imprenditoriali considerate incompatibili con le esigenze della suddetta tutela. Le incompatibilita', attesa la rilevanza dei fini da raggiungere, deve valere sia per le attivita' nuove sia per quelle preesistenti. Il discrimine temporale non puo' penalizzare irrazionalmente posizioni analoghe o addirittura identiche (sent. n. 105 del 1992). Va, peraltro, effettuato un puntuale e razionale bilanciamento degli interessi in gioco: di quelli che fanno capo alla collettivita' nazionale, assurti a rango di veri e propri valori costituzionali primari, e di quelli che fanno capo ai singoli soggetti tutelati dalla Costituzione ma che soffrono di limiti proprio in relazione ai detti valori. Cosi' interpretata, la disposizione censurata (art. 4, secondo comma, decreto-legge n. 832 del 1986), non sussiste la violazione degli invocati articoli 3 e 41, ultimo comma, della Costituzione.