Ricorso  per  la  regione  Toscana, in persona del presidente della
 giunta regionale rappresentato e difeso per  mandato  a  margine  del
 presente  atto  dall'avv.  Alberto  Predieri  e  presso il suo studio
 elettivamente domiciliato in Roma, via G. Carducci n.  4,  contro  il
 Presidente  del  Consiglio  dei Ministri pro-tempore per conflitto di
 attribuzioni  in  relazione  alla  direttiva  della  Presidenza   del
 Consiglio dei Ministri pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 125 del
 29 maggio 1992 p. 22-23.
    1.  -  Nella Gazzetta Ufficiale n. 125 del 29 maggio 1992 e' stata
 pubblicata direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri  "ai
 sensi  della  legge 23 agosto 1988, n. 400 sulla gestine del bilancio
 dello stato e degli enti del settore pubblico  allargato  per  l'anno
 1992,  ad  integrazione della analoga direttiva emanata il 16 gennaio
 1992" pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 15 del 20 gennaio 1992.
    La direttiva stabilisce che  a  decorrere  dalla  data  della  sua
 pubblicazione  nella  Gazzetta  Ufficiale "viene sospesa" (con talune
 eccezioni indicate nel secondo comma del punto  1)  "La  facolta'  di
 impegnare  le  spese  nei  limiti dei fondi assegnati in bilancio per
 tutte le amministrazioni dello Stato e le aziende autonome, sotto  la
 diretta responsabilita' dei direttori generali".
    Per  effettive, motivate e documentate esigenze, il Presidente del
 Consiglio o, su sua delega, il Ministro del Tesoro, puo'  autorizzare
 l'assunzione   di   ulteriori  impegni  di  spesa  nell'ambito  delle
 disponibilita' di bilancio.
    Il punto 2 della direttiva stabilisce che  fino  al  30  settembre
 1992, per gli aspetti diversi dall'assunzione degli impegni di spesa,
 sono  prorogate  le  disposizioni  della  precedente direttive del 16
 gennaio 1992.
    Successivamente, lo stesso punto 2 dice che  "il  Governo  rivolge
 invito agli enti territoriali ed a tutti gli enti decentrati di spesa
 di   restringere  il  ricorso  al  finanziamento  da  parte  di  enti
 creditizi".
    Infine, il punto 3 dice che  "la  presente  direttiva  costituisce
 atto  di  indirizzo  volto al conseguimento di obiettivi di interesse
 nazionale, per la  cui  attuazione  gli  enti  del  settore  pubblico
 allargato  sono  tenuti  ad adottare atti coerenti, da emanarsi entro
 trenta giorni dalla data di pubblicazione della direttiva medesima".
    2.   -  Successivamente  alla  emanazione  e  pubblicazione  della
 direttiva, e precisamente con d.-l. 15 luglio 1992, n.  333  ("Misure
 urgenti   per  il  risanamento  della  finanza  pubblica")  e'  stata
 introdotta  una  norma  che  ripete,   salve   talune   significative
 eccezioni, che vedremo, il contenuto della direttiva;
    L'art.  4  del  d.-l. blocca la facolta' di impegnare le spese nei
 limiti dei fondi iscritti nel bilancio dello Stato  e  delle  aziende
 autonome  per  l'intero  anno  1992,  con  le  stesse  eccezioni gia'
 previste dal secondo comma del punto 1 della direttiva.
    La differenza e' costituita dal  fatto  che  il  blocco  vale  per
 l'intero  anno  1992 (e non soltanto sino al 30 settembre) e che esso
 si riferisce non gia' alla facolta' di impegnare le spese nei  limiti
 dei  fondi assegnati in bilancio) "per tutte le amministrazioni dello
 Stato e le aziende autonome" (come afferma  la  direttiva),  ma  alla
 facolta'  di  impegnare  le  spese  nei limiti dei fondi scritti "nel
 bilancio dello Stato e delle aziende autonome".
    Inoltre l'art.  4  terzo  comma  stabilisce,  in  modo  del  tutto
 identico  al  terzo comma del punto 1 della direttiva, la facolta' di
 autorizzazione dell'assunzione di ulteriori impegni di spesa da parte
 del Presidente del Consiglio o del Ministro del Tesoro.
    Manca  invece  totalmente,  nell'art.  4,  una  norma  avente   il
 contenuto  dei punti 2 e 3 della direttiva, che abbiamo in precedenza
 ricordato. Cio' non toglie che  non  vi  siano,  nel  d.-l.  n.  333,
 disposizioni che concernono anche direttamente le regioni e gli altri
 enti  territoriali  (cfr. art. 1 e 2): ma non e' dato rinvenire nella
 normativa del d.-l. n. 333 una disposizione che imponga alle  regioni
 l'adozione  di  atti  tali  da  comportare il blocco degli impegni di
 spesa per l'anno 1992 nei limiti dei fondi assegnati in  bilancio,  o
 comunque l'adozione di atti "coerenti" con la direttiva del 29 maggio
 1992, quali erano imposti dalla direttiva stessa.
    3.  - La regione Toscana considera gravemente lesive e illegittime
 le disposizioni della direttiva del 29 maggio  1992,  in  particolare
 quelle  che  le  impongono, come ente del settore pubblico allargato,
 l'adozione di atti coerenti di  emanarsi  entro  il  termine  fissato
 dalla direttiva.
    Il  fatto  che,  come abbiamo ricordato, parte del contenuto della
 direttiva sia stato ripetuto nel d.-l. n. 333 non fa venir  meno,  ad
 avviso   della  ricorrente,  l'interesse  a  sollevare  conflitto  di
 attribuzioni di fronte alla Corte sulla direttiva 29 maggio  1992:  e
 cio' sia perche' il d.-l. n. 333 non e' stato sino ad oggi convertito
 in   legge,   e  potrebbe  non  esserlo,  con  conseguente  possibile
 caducazione ex tunc delle sue norme; sia perche'  il  fatto  che  una
 norma  primaria  ripeta  il contenuto di una fonte secondaria in modo
 solo parziale non puo' significare che il legislatore ha  voluto  che
 fosse  abrogata  o  che  comunque  cessare  l'efficacia  della  fonte
 secondaria, per la parte non recepita dalla fonte primaria;  sia  in-
 fine,  perche'  comunque  l'efficacia  della direttiva 29 maggio 1992
 decorre da un termine  (quello  della  pubblicazione  nella  Gazzetta
 Ufficiale   del   29   maggio  1992)  diverso  e  anteriore  rispetto
 all'entrata in vigore del d.-l. n. 333.
    4.  - Non c'e' dubbio che, nell'ottica della direttiva, la regione
 debba considerarsi ente del settore pubblico  allargato,  e  pertanto
 destinataria della prescrizioni di cui al punto 3 della direttiva.
    Va ricordato che quest'ultima si ricollega esplicitamente a quella
 del  16  gennaio 1992 pubblicata nella Gazzetta Ufficale n. 15 del 20
 gennaio 1992.
    Quest'ultima, al punto 2 ultimo comma, conteneva una  disposizione
 dell'identico tenore di quella del punto 3 della direttiva impugnata,
 con  la  significativa precisazione che gli enti del settore pubblico
 allargato destinatari della stessa dovevano ritenersi quelli  "dotati
 di perticolare autonomia (regioni, province, comuni)".
    Non  c'e'  dubbio  che,  nell'ottica  del provvedimento impugnato,
 l'identica qualificazione soggettiva spetti ai destinatari del  punto
 3  della direttiva, anche se essi non sono specificamente individuati
 e vengano genericamente raggruppati negli enti del  settore  pubblico
 allargato:  cosicche'  tra  di essi devono ritenersi incluse anche le
 regioni.
    5. -  La  direttiva  e'  gravemente  illegittima  e  lesiva  della
 autonomia  finanziaria regionale, per se non immediatamente operativa
 per le regioni cosi' come invece lo e' per le  amministrazioni  dello
 Stato  e  le  aziende autonome, dal momento che - come detto - impone
 anche alle regioni, data la  asserita  natura  della  direttiva  come
 "atto  di  indirizzo volto al conseguimento di obiettivi di interesse
 nazionale", di adottare "atti coerenti" entro il termine di 30 giorni
 dalla data di pubblicazione della direttiva stessa.
    La direttiva deve intendersi adottata ai sensi dell'art.  5  della
 legge  n.  400/1988 che non e' citato esplicitamente, ma lo era nella
 precedente direttiva del 16 gennaio.
    Tale norma non consente l'emanazione di direttive  concernenti  le
 regioni,   cosicche'  l'imposizione  di  sospendere  la  facolta'  di
 impegnare le spese non e' ne' puo'  essere  immediatamente  operativa
 nei confronti delle regioni.
    Purtuttavia,  la  norma  non  consente  neppure  quel  particolare
 contenuto della direttiva che consiste nell'imposizione (dal  momento
 che si tratta di un vero e proprio obbligo, visti i termini in cui e'
 formulata  la  direttiva,  secondo,  la  quale  gli  enti del settore
 pubblico allargato  "sono  tenuti  ad  adottare  atti  coerenti")  di
 emanare gli atti coerenti.
    6.  -  Sotto  questo  profilo,  la  norma  viola in primo luogo la
 riserva di legge prevista dall'art. 119 della  Costituzione,  di  cui
 piu'   volte   la  Corte  ha  sottolineato  il  rilievo,  dichiarando
 l'illegittimita' costituzionale di atti amministrativi che incidevano
 sull'autonomia finanziaria regionale senza che il legislatore  avesse
 "prestabilito  in  proposito alcun limite ed alcun criterio, violando
 cosi' la riserva di legge di cui al comma 1 dell'art. 119" (sent. 162
 del 1982; nello stesso senso sent. n. 307/1983). Come si e' ricordato
 in dottrina, l'art. 119 primo comma "lungi dal  contenere  un  rinvio
 generico  o  programmatico  alla  legge,  afferma  una vera e propria
 riserva di legge, la quale deve assicurare il  coordinamento  di  una
 pluralita'  di  ordinamenti  finanziari  e  contabili e in pari tempo
 garantire lo status che la Costituzioine riserva a regioni,  privince
 e  comuni"  (Bertolissi,  L'autonomia  finanziaria regionale, Padova,
 1983  p.  27;  in  senso  analogo  Crisafulli,  lezioni  di   diritto
 costituzionale,   IV   ed.   t.   II,  1,  p.  59).  Si  e'  aggiunto
 autorevolmente (Paladin, Corte Costituzionale  ed  autonomie  locali:
 gli   orientamenti   giurisprudenziali  dell'ultimo  quinquennio.  Le
 regioni 1981, p. 1257 - 1258) che "la garanzia strumentale o formale,
 rappresentata  dalla  riserva  di  legge,  assume  una   determinante
 importanza   anche   ai   fini  della  determinazione  dell'autonomia
 finanziaria regionale, nonche' del coordinamento fra le finanze dello
 Stato e dei vari enti autonomi territoriali,  secondo  le  previsioni
 dell'art. 119 della Costituzione".
    Tale  articolo  e'  manifestamente violato, nella misura in cui la
 direttiva non e' fondata su alcuna disposizione di legge, ne' e' essa
 stessa una legge: cosicche'  impone  un  obbligo  che  non  ha  alcun
 fondamento,  e  viola  palesamente  l'art.  119  primo  comma  cost.,
 determinando - qualora la norma non fosse dichiarata incostituzionale
 - un obbligo regionale di adeguamento  privo  di  qualunque  supporto
 normativo, e quindi una lesione della autonomia finanziaria regionale
 dal lato della spesa.
    7.  -  Indipendentemente dalla peculiarita' della riserva di legge
 posta dall'art. 119 cost., l'atto in questione, che si  autoqualifica
 come  atto  di  indirizzo, e' adottato in violazione delle regole che
 presiedono al legittimo esercizio del potere statale di direttiva, di
 indirizzo e di coordinamento, e  in  particolare  in  violazione  del
 principio di legalita'.
    Piu'   volte  la  Corte  ha  affermato  che  allorche',  con  atto
 amministrativo,  viene  posta   una   disciplina   che   interferisce
 sull'autonomia  regionale,  le  relative  prescrizioni possono essere
 validamente disposte soltanto se l'atto e' adottato sulla base di una
 legge (cfr. sentt. 517 del 1991, 53, 98  e  204  del  1991,  512  del
 1990), con la conseguenza che l'assenza di una qualsivoglia copertura
 legislativa  delle  prescrizioni  di  indirizzo  e di direttiva rende
 illegittimo l'esercizio del relativo potere.
    Si tratta di un principio che, come la  Corte  ha  ribadito  nelle
 sent.   204/1991   "oltre  a  derivare  dalle  regole  costituzionali
 sull'ordine delle fonti normative, e' espressamente sancito dall'art.
 17 commi 1 lett. b), 3 l. 23 agosto 1988, n. 400".
    Ne' potrebbe essere obiettato  che  sussiste  uno  spostamento  di
 competenza a favore dello Stato in conseguenza della ricorrenza di un
 interesse  nazionale, dal momento che anche a prescindere dal rilievo
 che nel caso non sembrano  ricorre  i  requisiti  giustificativi  per
 invocare  legittimamente  l'interesse  nazionale,  risulta assorbente
 l'argomento che comunque solo il legislatore statale puo' individuare
 e definire  cio'  che  rientra  nell'interesse  nazionale:  cosicche'
 l'assenza,  gia'  constatata,  di  fondamento  della direttiva in una
 norma legislativa rileva anche ai  fini  di  evidenziare  l'ulteriore
 illegittimita'   che   comuque   sussisterebbe  per  difetto  di  una
 valutazione e  individuazione  legislativa  dell'interesse  nazionale
 (come  del resto la Corte ha gia' affermato, cfr. sentt. 284 del 1989
 e 346 del 1990).
    In questa prospettiva, piu' e piu' volte la Corte ha  sottolineato
 non  soltanto  la  necessita'  che  gli  atti  statali di indirizzo e
 coordinamento rispettino  rigorosamente  il  principio  di  legalita'
 (cfr. sentt. 150 e 307 del 1982, 245 del 1984, 195 del 1986, 64 e 304
 del 1987, 274, 474, 560 e 744 del 1988, 242, e 533 del 1989, 85 e 140
 del  1990,  49,  116  e  359  del  1991,  30  del  1992), ma ha anche
 specificato che "l'esercizio in via amministrativa del potere statale
 di  indirizzo  e  coordinamento  e'  sottoposto  alla  condizione  di
 validita'  dell'osservanza  del principio di legalita', nel senso che
 quel potere e' giustificato solo se trova  un  legittimo  e  apposito
 supporto  nella legislazione statale", precisando che la Corte, nelle
 sentenze successive alla n. 150/1982, si e' sempre  attenuta  a  tale
 orientamento  (v.  da  ultimo,  sentt.  nn. 338 del 1989, 37 e 49 del
 1991), per il semplice fatto che  il  requisito  dell'osservanza  del
 principio  di  legalita'  sostanziale  e'  strettamente  connesso  al
 fondamento e alla natura della funzione governativa  di  indirizzo  e
 coordinamento    nei   confronti   delle   autonomie   regionali   (o
 provinciali).
   Piu' precisamente, la  Corte  ha  costantemente  affermato  che  la
 predetta  funzione  non  costituisce un limite "ulteriore" rispetto a
 quelli gia' previsti dalle norme  costituzionali  sulle  attribuzioni
 regionali, ma rappresenta piuttosto il risvolto in termini positivi o
 di   articolazione   programmatica  dell'operare  in  concreto  degli
 interessi unitari sottostanti a quei medesimi  limiti  nei  confronti
 delle  funzioni  regionali  (v., ad esempio, sentt. nn. 150 del 1982,
 340 del 1983, 177 del 1986, 242 del 1989). Inoltre, la stessa  Corte,
 in  stretto  collegamento  con la precedente affermazione, ha in piu'
 occasioni precisato  che  la  funzione  governativa  di  indirizzo  e
 coordinamento  non  implica  il  riconoscimento  di  una  nuova fonte
 normativa  di  rango  sub-legislativo,  diretta  a  vincolare   o   a
 condizionare   l'esercizio  di  potesta'  legislative  regionali,  ma
 rimanda piuttosto a un particolare potere di  direttiva,  consistente
 nella  posizione  di  fini,  di  obiettivi, di criteri o di standard,
 vo'lto  a  conferire  unita'  di  indirizzo,  nella  prospettiva   di
 infrazionabili  interessi  nazionali,  al  tessuto pluralistico delle
 amministrazioni regionali (v. sentt. nn. 560 e 744 del 1988, 345  del
 1990 e 49 del 1991).
    Ebbene,   all'una   e  all'altra  enunciazione  consegue  che,  in
 relazione alle specifiche materie  sulle  quali  sono  adottati  atti
 governativi  di  indirizzo  e  coordinamento, allorche' questi ultimi
 comportano condizionamento o limiti  nei  confronti  del  legislatore
 regionale,  la  legge  dello  Stato  debba previamente determinare la
 disciplina o, quantomeno, i principi di tale disciplina, che dovranno
 fungere da base normativa sufficientemente precisa e chiara da  poter
 orientare   e   delimitare  la  discrezionalita'  del  Governo  nella
 determinazione degli indirizzi e delle misure di coordinamento.  Solo
 a  tale  condizione,  infatti,  puo'  ritenersi  rispettato  l'ordine
 complessivo  delle  fonti  normative,  poiche'  in  mancanza  di   un
 principio  di  disciplina  sostanziale  contenuto in una previa legge
 statale, si avrebbe che scelte affatto discrezionali contenute in  un
 atto  (statale)  sub-legislativo  pretenderebbero illegittimamente di
 vincolare  e  di  condizionare  decisioni  da   assumere   con   atti
 legislativi (leggi regionali o provinciali).
    8.  -  Va  aggiunto  che il principio di legalita' opera anche nei
 confronti  di  atti  amministrativi  statali  diversi  da  quelli  di
 indirizzo  e  coordinamento,  che  intervengono ad altro titolo e con
 differente contenuto nelle materie regionali. Si  possono  ricordare,
 per esempio, gli interventi statali volti ad assicurare l'uniformita'
 di  disciplina  di  particolari  oggetti,  richiesta  da  ragioni  di
 interesse nazionale o dall'adempimento di  obblighi  comunitari  (es.
 sentt.  nn.  384  del 1987; 284 del 1989; 346 del 1990; 38 del 1991),
 gli interventi statali meramente "aggiuntivi" (sent. n. 345 del 1990,
 quelli di natura normativa a carattere suppletivo (sentt. nn. 226 del
 1986, 304 del 1987, 165 del 1989), infine, gli interventi concernenti
 in vario modo materie delegate (ma in via organica o traslativa) alle
 Regioni (sentt. nn. 559 del 1988, 165 del 1989).
    9.  -  Da  tutto  cio'  consegue le illegittimita' della direttiva
 impugnativa  in  questa  sede  e   la   gravita'   della   violazione
 dell'autonomia  costituzionale garantita che essa arreca alla regione
 Toscana.
    Tale violazione e' tanto piu' rilevante in quanto la direttiva non
 si limita a ingiungere alla Regione di adottare provvedimenti che non
 spetta allo Stato imporre, ma aggiunge che tali provvedimenti debbono
 essere adottati entro un termine, per giunta estremamente  ristretto,
 fissato dalla stessa direttiva.
    Se  non  si  giustifica  il contenuto della disposizione di cui al
 punto 3 della direttiva, ancor meno si giustifica  che  l'imposizione
 di  comportamenti  lesivi  dell'autonomia finanziaria regionale venga
 pretesa entro  un  termine  prefissato  e  per  giunta  drasticamente
 ridotto.