Ricorso per la regione Umbria, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore, rappresentato e difeso per mandato a margine del presente atto dagli avv.ti Alberto Predieri e Maurizio Pedetta presso lo studio del primo dei quali in Roma, via G. Carducci n. 4, e' elettivamente domiciliata contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per conflitto di attribuzioni in relazione alle note del Ministero del tesoro, direzione generale del tesoro; div. VI, prot. n. 973145 del 15 giugno 1992 e prot. n. 973576 del 22 giugno 1992, ricevute dalla regione il 19 giugno e il 1º luglio 1992 con le quali, a fronte di richieste della regione di reintegro della cassa regionale rispettivamente per L. 57.144.000.000 e L. 31.279.000.000 e' stata comunicata l'emissione di vaglia del tesoro n. 1780 e 2024, limitati a L. 40.000.000.000 e L. 20.000.000.000. 1. - Con note del 10 e 15 giugno 1992, prot. 10209 e 11244 la regione Umbria, come previsto a seguito dell'introduzione del sistema della tesoreria unica, richiedeva al Ministero del tesoro, al fine di integrare le disponibilita' liquide determinabili presso il proprio tesoriere attualmente commisurate, ex art. 16 del d.-l. 13 maggio 1991 n. 151 (conv. nella legge 12 luglio 1991, n. 202) al 3% delle entrate previste in bilancio, il prelievo, dal conto corrente n. 22707 ad essa intestato intrattenuto presso la tesoreria centrale dello Stato, delle somma di L. 57.144.000.000 e di L. 31.279.000.000. Cio' a fronte di giacenze di cassa per L. 4.086.097.605 al 1º giugno 1992 e per L. 21.779.019.323 all'11 giugno 1991 e di un limite di giacenza calcolato a norma del citato art. 16 del decreto legge n. 151 del 1991 di L. 53.058.704.030. 2. - A tale richiesta la tesoreria centrale, in luogo di emettere il relativo mandato di pagamento (atto dovuto dal momento che, ai sensi dell'art. 1, comma 4 della legge 29 ottobre 1984, n. 720, alle regioni e' assicurata la "piena ed immediata disponibilita' in ogni momento delle somme di loro spettanza giacenti in tesoreria nelle contabilita' speciali fruttifere e infruttifere", mentre il Ministero del tesoro, ai sensi delle norme che disciplinano il sistema di tesoreria unica, non ha alcun potere di sindacare la fondatezza o congruita' della richiesta della regione) rispondeva con le note del 15 e del 22 giugno 1992, comunicando l'emissione di vaglia per L. 40.000.000.000 (n. 1780) e per L. 20.000.000.000 (n. 2024) inferiori di L. 17.144.000.000 e 11.279.000.000 alle richieste della regione. 3. - Le note in questione costituiscono l'ultimo e non accettabile elemento di una sequenza ininterrotta con cui la regione ha dovuto da tempo, suo malgrado, fare i conti subendone gravissimi danni: invero tramite le disponibilita' depositate presso il proprio tesoriere, nella misura, pur esigua, garantita dalla legge, la regione effettua la gran parte dei pagamenti nei confronti dei fornitori e per le spese di investimento. La tattica seguita dal tesoro nel trasferire alla tesoreria regionale le somme spettanti in misura sistematicamente e notevolmente inferiore a quanto dovuto - con conseguente sostanziale e surrettizio abbassamento della percentuale di disponibilita' prevista dalla legge - determina intollerabili ritardi nelle erogazioni nei confronti di creditori e, comunque, di aventi diritto, esponendo cosi' la regione ad azioni giurisdizionali e alle conseguenti responsabilita' civili, amministrative e contabili. Inoltre, la pronta e puntuale disponibilita' delle risorse e' condizione essenziale per l'attuazione dei programmi definiti dalla regione in ambito comunitario (quali, ad es. i P.I.M.) si' che la pratica del Ministero del tesoro che qui si denuncia si traduce in un ostacolo allo sviluppo e rischia di far perdere alla regione i finanziamenti della CEE pregiudicando l'effettuazione degli investimenti programmati e le possibilita' di crescita che vi sono riconnesse. In tale drammatica situazione la regione e' stata finalmente costretta a chiedere, con delibera n. 4994 dell'8 luglio 1992 (all. 21) al proprio tesoriere un'anticipazione di cassa per L. 26.000.000.000 con conseguente accollo di gravosi interessi. Come dimostrano gli atti che si depositano, altre volte in passato, e con assoluta continuita' dal novembre dello scorso anno, il tesoriere unico ha rifiutato di evadere le richieste di prelievo della regione con la necessaria precisione e corrispondenza tra il richiesto e l'erogato. Cosi', a fronte della richiesta del 14 novembre 1992 per L. 21.496.000.000, e' stato emesso vaglia di pagamento per L. 20.000.000.000 (all. 1-2); a fronte della richiesta del 29 novembre 1991 per L. 39.854.000.000 sono stati emessi vaglia del tesoro per L. 30.000.000 (all. 3-4- bis); a fronte della richiesta del 2 gennaio 1992, per L. 57.272.000.000, e' stato emesso vaglia per L. 50.000.000.000 (all. 5-6); a fronte della richiesta del 13 gennaio 1992 per L. 30.722.000.000, ne sono stati accreditati 25.000.000.000 (all. 7-8); a fronte della richiesta del 2 marzo 1992 per L. 50.492.000.000, ne sono stati accreditati 26.000.000.000 (all. 9-10); a fronte della richiesta del 9 marzo 1992 per L. 33.128.000.000 e' stato emesso vaglia per L. 22.000.000.000 (all. 11-12); a fronte della richiesta del 31 marzo 1992 per L. 57.740.000.000, ne sono stati accreditati 40.000.000.000 (all. 13-14); a fronte della richiesta del 4 maggio 1992 per L. 56.407.000.000, e' stato emesso vaglia di L. 15.000.000.000 (all. 15-16). 4. - I fatti ora ricordati e, da ultimo, le note del 15 e del 22 giugno 1992 con le quali, a fronte delle somme richieste dalla regione il Ministero del tesoro ha comunicato di aver autorizzato l'emissione di vaglia per somme ancora una volta nettamente inferiori al dovuto, configurano la piu' classica delle invasioni di una competenza che e' legislativamente e costituzionalmente garantita alla regione: quella di disporre prontamente delle proprie risorse finanziarie quando esistono necessita' di cassa. Tali note, pertanto, sia per il loro contenuto, che testimonia la non corrispondenza tra il richiesto e l'effettivamente erogato sia come atti che si inseriscono nella sequenza arbitraria e illegittima che abbiamo ricordato e documentato, non e' conforme al sistema costituzionale di riparto delle attribuzioni inerenti la potesta' finanziaria e di coordinamento della finanza statale e regionale, ed e' dunque costituzionalmente illegittima, oltre che produttiva di un evidente e grave danno alla regione, tanto dal punto di vista economico finanziario, quanto da quello politico costituzionale, avendo causato inefficienze nell'attivita' ed inadempimenti di obbligazioni precedentemente assunto e riconosciute. 5. - Appare opportuno, per evidenziare il carattere illegittimo e lesivo degli atti in relazione ai quali viene proposto il presente conflitto di attribuzione, ricordare per sommi capi i principi che la Corte ha evidenziato con riferimento al sistema della tesoreria unica. La prima occasione di contrasto fra Stato e regione e' stata originata da un invito, formulato dal Ministro del tesoro e dal Ministro del bilancio, a richiedere l'apertura di un conto corrente fruttifero presso la tesoreria centrale, in cui far affluire i versamenti effettuati dallo Stato a favore della regione stessa. Il conflitto di attribuzioni allora prospettato e dichiarato inammissibile per il carattere non lesivo dell'atto impugnato, ha consentito alla Corte di fissare alcune importanti coordinate di quello che sarebbe stato quindi il sistema normativamente dato dalla "tesoreria unica". Infatti, nella sentenza 22 dicembre 1977, n. 155, se si esclude, da un lato, che i "vistosi ritardi nei versamenti dovuti all'amministrazione regionale siano ascrivibili all'atto di invito suddetto", si precisa, d'altro lato, che "non e' pensabile che i conti correnti fruttiferi presso la tesoreria centrale .. possano legittimamente trasformarsi in anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale che si presti a venire manovrato in modo da precludere od ostacolare la disponibilita' delle somme occorrenti alle regioni stesse per l'adempimento dei loro compiti istituzionali, nelle forme, nelle misure e nei tempi variamente indicati dalla legislazione statale sulla finanza regionale, in attuazine dell'art. 119 della Costituzione". Si noti - e' questione senz'altro di rilievo - che nelle proprie difese l'avvocatura dello Stato aveva chiesto fra l'altro la dichiarazione di "infondatezza del ricorso, adducendo che da parte statale non vi sarebe stata l'intenzione di esercitare un controllo contabile sulle somme versate alla regione, ne' di ritardare i relativi versamenti". 6. - Con la successiva sentenza 8 giugno 1981, n. 94, la Corte ha stabilito che l'art. 119 della Costituzione "pur se non impone affatto che le somme spettanti alle regioni e defluenti dal bilancio dello Stato debbano essere integralmente ed immediatamente accreditate alle competenti tesorerie regionali, pur quando le regioni stesse non dimostrino di doversene servire per l'esercizio delle loro attribuzioni" implica certamente, cosi' come aveva gia' chiarito la sentenza n. 155/1977 sopra ricordata, che "i conti correnti istituiti presso la tesoreria centrale non si trasformino in un anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale" e impone senz'altro che i meccanismi suddetti non abbiano "di mira le singole misure regionali di spesa, limitandosi a regolare i ritmi di accreditamento dei fondi innanzi detti dalla tesoreria dello Stato alla tesoreria delle regioni" e a condizione che cio' avvenga "sulla base ed in conformita' alle previste esigenze ed alle accertate disponibilita' di cassa delle regioni" (la massima e' implicitamente ribadita nella sentenza 8 giugno 1991, n. 95). 7. - A breve distanza di tempo e' stata resa dalla Corte la pronuncia riguardante, fra l'altro, la legittimita' costituzionale dell'art. 35 della legge 30 marzo 1981, n. 119, contenente una serie di prescrizioni con le quali si disciplinano i modi con cui vengono finanziate le unita' sanitarie locali, le modalita' attraverso le quali esse possono usufruire dal finanziamento loro accordato e l'organizzazione del relativo servizio di tesoreria; si allude alla sentenza 22 ottobre 1982, n. 162. Con notazioni che riprendono la precedente sentenza n. 155/1977 (in coerenza con le eccezioni prospettate dalle regioni ricorrenti), la Corte puntualizza innanzitutto, sul piano delle relazioni costituzionali, il fondamento del modello organizzativo prefigurato dalla legge, che risiede nel "coordinare la finanza regionale con quella statale" in funzione di evidenti quanto indispensabili economie di spesa. Del resto, "l'aver il legislatore creato un piu' stretto coordinamento temporale fra il momento del prelievo dalla tesoreria centrale e il momento della spesa effettuata dagli organi erogatri del servizio sanitario risponde alla esigenza obiettiva, nell'interesse dell'intera comunita' nazionale, di un opportuno coordinamento del flusso della spesa sanitaria con quello delle entrate destinate a fronteggiarla. Tale coordinamento, infatti si risolve in definitiva in un minor costo per la finanza statale senza per altro apportare alcun danno al funzionamento del servizio sanitario nazionale". Quanto alle regioni, la "potesta' di gestione .. e' pienamente rispettata quando ne viene assicurata la loro piena disponibilita' nel senso di poterne effettuare l'autonoma utilizzazione quali che siano le modalita' del relativo deposito". 8. - Orbene, non vi e' dubbio che gia' a questo punto sarebbe possibile formulare alcune considerazioni di principio, dal momento che la Corte non ha mai dubitato del fatto che - ferma restando l'esigenza di coordinare la spesa dei differenti livelli di governo ex art. 119, primo comma, della Costituzione - in ogni caso la regione non puo' subire aggravi nell'esercizio delle proprie funzioni attraverso l'utilizzo di strumenti di condizionamento che incidono, ledendola, sull'autonomia finanziaria e, di riflesso, pure su quella legislativa ed amministrativa. Senonche' il punto e' stato posto in rilievo in modo definitivo dalla stessa Corte nella sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, nella quale - nell'esordio della parte in diritto - ha richiamato le precedenti menzionate pronunce e, in spe- cie, la sentenza n. 162/1982 la' dove questa - giudicando della legittimita' dell'art. 40, primo comma, della legge 30 marzo 1981, n. 119, secondo cui e' fatto divieto alla regione di mantenere presso aziende di credito disponibilita' depositate a qualunque titolo "per un importo superiore al 12% dell'ammontare delle entrate previste dal bilancio di competenza" - ha sottolineato la circostanza che simile "tetto" "non preclude alle regioni la facolta' di disporre delle proprie risorse, nel senso di valutarne discrezionalmente la congruita' rispetto alle necessita' concrete e di indirizzarle verso gli obiettivi rispondenti alle finalita' istituzionali, ma si limita a consentire il controllo del flusso delle disponibilita' di cassa". Con la sentenza n. 307/1983 sono state affrontate ulteriori questioni - poste, in particolare, dall'art. 26 del d.-l. n. 786/1981 (convertito con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 51) e dall'art. 4, quinto e sesto comma, della legge 26 aprile 1983, n. 130, rispettivamente per gli esercizi 1982 e 1983 - di indubbio rilievo perche' riguardanti non gia' il "tetto" delle disponibilita' suscettibili di essere conservate presso le aziende di credito, bensi' il "tetto" annuale per il complesso dei prelevamenti, stabilito con riguardo ai fondi regionali propri indipendentemente dalle effettive esigenze di cassa. Ebbene, per la fattispecie differente (rispetto a quella decisa con la sentenza n. 162/1982) la Corte ha ritenuto che cio' configurasse una "sicura lesione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione", oltretutto perche' il "tetto" imposto ai prelevamenti "fa riferimento a parametri .. che prescindono da qualsiasi concreto rapporto con la struttura e con la gestione del bilancio regionale di competenza per l'anno in corso, con la dimensione delle entrate e delle spese ivi previste, con l'entita' dei residui attivi e passivi". Ne' - ha obiettato il giudice - e' legittima la configurazione di un potere ministeriale di "variare le scelte legis- lative, senza prestabilire alcun limite e alcun criterio" (lo aveva gia' precisato nella sentenza n. 162/1982), ne' lo e' l'esigenza di ridurre le spese, visto che "il richiamo ad una finalita' di interesse generale, pur di cosi' precipuo e stringente rilievo, non puo' di per se' legittimare il ricorso, per il conseguimento, a misure di contenimento della spesa pubblica che incidano e vulnerino competenze ed interessi costituzionalmente garantiti" (mentre nessuna lesione dell'autonomia finanziaria regionale discende dal carattere infruttifero dei conti correnti, liberi o vincolati). 9. - Con le successive sentenze 29 ottobre 1985, nn. 242, 243 e 244 si e' ribadito quanto segue: a) la Corte ha innanzitutto confermato le massime di cui alle sentenze n. 95/1981 e n. 162/1982 (cosi' nella sentenza n. 242/1985); b) in sede di impugnazione di talune previsioni della legge 29 ottobre 1984, n. 720 (recante "Istituzione del sistema di tesoreria unica per enti ed organismi pubblici") la Corte ha rigettato ancora una volta le eccezioni presentate nei confronti di altro ma analogo dettato normativo nel presuspposto comunque - qui pure dichiarato esplicitamente - che sia escluso a danno delle regioni "il pericolo di improvvisi vuoti di cassa, che pregiudicherebbero il buon andamento dell'amministrazione e paradossalmente per fronteggiare le spese indilazionabili". Ma, rigettata l'illegittimita' della legge n. 720/1984 nel presupposto che "non si puo' affermare che il cosiddetto sistema di tesoreria unica sia di per se' stesso produttivo di conseguenze siffatte, compromettendo l'indispensabile speditezza delle erogazioni", si e' precisato che le regioni potranno sollevare nei confronti della prassi applicativa "conflitti di attribuzione" (cosi' nella sentenza n. 243/1985): conflitti che tendono ad evidenziare, quindi, il contrasto fra atti e comportamenti statali e "il principale fondamento giustificativo della legge n. 720", che "e' rappresentato dal coordinamento finanziario" (ivi sentenza n 243/1985); c) in sede di risoluzione dei conflitti di attribuzione proposti nei riguardi delle disposizioni attuative della "tesoreria unica", la Corte ha ribadito (sentenza n. 244/1985) che "spetta alle regioni .. la piena ed immediata disponibilita', in ogni momento, delle somme di loro spettanza giacenti presso le rispettive sezioni di tesoreria provinciale dello Stato", cio' in quanto il differente meccanismo contemplato dalla normativa ministeriale "e' tale da potersi ripercuotere in danno dell'autonomia regionale di spesa". Infatti - ha rilevato la Corte - "per non intralciare il ritmo delle spese regionali, compromettendo l'indispensabile velocita' di erogazione e costringendo le regioni a far ricorso - in via alternativa - ad indebitamente sia pure di breve periodo, occorre pero' che la reintegrazione delle quote dei proventi regionali depositabili presso le aziende di credito sia resa possi bile continuamente e nei modi piu' solleciti, affinche' si possa far fronte ai pagamenti imprevisti senza intaccare gravemente od esaurire del tutto le disponibilita' in questione. Viceversa, le citate prescrizioni ministeriali non tengono adeguato conto di simili necessita', ne' offrono rimedi sufficienti pur quando permettono, nel corso del mese, un ulteriore prelevamento; tanto piu' che tale operazione veniva consentita nel solo caso di esaurimento di tutte le disponibilita' comunque detenute .. e non e' ammessa tuttora al di fuori del caso in cui ricorrano indifferibili esigenze di spesa .., giudici delle quali finiscono per essere lo stesso Ministero del tesoro oppure la Banca d'Italia. Le disposizioni impugnate violano pertanto, nel medesimo tempo, l'autonomia finanziaria regionale considerata sul versante delle uscite ed il principio informatore dell'intera legge n. 720 gia' messo in evidenza dalla decisione n. 243 del presente anno - per cui la piena ed immediata disponibilita' delle somme di loro spettanza, giacenti nelle relative contabilita' speciali, deve essere garantita anche agli enti ed organismi inclusi nell'annessa tabella B quali sono appunto le regioni a statuto ordinario e speciale". Affermazioni di tal genere non sono state finora smentite: anzi, sono state confermate implicitamente dalla sentenza 2 marzo 1987, nn. 61 e 62 (che hanno sottratto al regime di "tesoreria unica" le entrate regionali proprie rispettivamente della regione Sicilia e della regione Trentino-Alto Adige) ed esplicitamente dalla sentenza 30 giugno 1988, n. 742 la quale ha ulteriormente affermato il principio per cui vanno assicurate "le esigenze e le garanzie inderogabili dell'autonomia" escludendo "anomalie strumenti di controllo sulla gestione finanziaria regionale" ed eliminando gli "ostacoli alla effettiva e pronta utilizzazione delle risorse a disposizione della regione" (in tal senso, di riflesso, vedi pure ordinanza 30 giugno 1988, n. 759). 10. - Pare indubitabile che la Corte abbia considerato le differenti fattispecie sottoposte al suo giudizio (fra l'altro, l'obbligo per le regioni di tenere le somme loro trasferite dallo Stato sui conti correnti presso il Tesoro; l'imposizione di un limite quantitativo alle disponibilita' che le regioni possono tenere presso i propri tesorieri; l'imposizione di vincoli alla entita' delle somme prelevabili dalle regioni da conti correnti, in assoluto e non piu' in correlazione col fabbisogno ne' con l'entita' delle giacenze presso il sistema bancario) ricercando un bilanciamento fra istanze statali e regionali, definito nei termini seguenti: a) "il sistema di tesoreria unica" e' espressione della potesta' di coordinamento finanziario riservata dall'art. 119 primo comma della Costituzione allo Stato; in specie, esso mira ad impedire un ristagno di liquidita' presso le regioni, causa di oneri ulteriori per la finanza pubblica, disciplinando i "ritmi di accreditamento" delle risorse regionali (vedi fra l'altro, sentenze n. 94/1981 e n. 162/1982); b) il "sistema di tesoreria unica" non deve "trasformarsi in un anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale" (sentenza n. 155/1977, sistematicamente ripresa dalla giurisprudenza successiva); c) in ogni caso, alla regione deve essere assicurata la "pronta disponibilita'" delle proprie risorse collocate presso la tesoreria dello Stato (sentenze nn. 162/1982, 243 e 244/1985) allo scopo di evitare (proprio quel che e' accaduto nel caso in esame) "il pericolo di improvvisi vuoti di cassa, che pregiudicherebbero il buon andamento dell'amministrazione e paradossalmente frustrerebbero gli intenti cui mira la legge n. 720, imponendo alle regioni di ricorrere ad onerose anticipazioni per fronteggiare le spese indilazionabili" (sentenza n. 243/1985); d) un simile esito non lo si puo' giustificare neppure con "il richiamo ad una finalita' di interesse generale", anche di "precipuo e stringente rilievo", quando si "incidano e vulnerino competenze ed interessi costituzionalmente garantiti" (sentenza n. 307/1983); e) se cio' accade, si ha una "sicura lesione degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione" (sentenza n. 307/1983). 11. - L'orientamento assunto dalla Corte in materia dimostra con tutta chiarezza la sussistenza dell'invasione di competenza realizzata dal Ministro del tesoro quando ha accreditato somme in misura ridotta rispetto alle richieste, determinando con cio' una violazione, oltre che delle disposizioni regolatrici del "sistema di tesoreria unica" (della legge 29 ottobre 1984, n. 720 e successive modificazioni e integrazioni e delle leggi da questa richiamate, esplicitamente o implicitamente) dell'art. 119 della Costituzione, che ne e' il fondamento e di riflesso, degli articoli 117 e 118 della Costituzione, dal momento che le menomazioni finanziarie reagiscono - data la loro strumentalita' - sull'esercizio delle funzioni legisla- tive e amministrative, condizionandone gli esiti: il che ha importato altresi' la lesione dell'art. 97 della Costituzione. 12. - Tutto cio' e' gia' noto alla Corte, ed e' stato recentemente ribadito nel ricorso per conflitto di attribuzioni che la regione Veneto ha proposto in relazione alla nota del Ministro del tesoro dell'8 febbraio 1992, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 20 del 13 maggio 1992, 1a serie speciale e in quello proposto dalla regione Toscana in relazione alla nota del detto Ministero del tesoro, Direzione generale del tesoro, Div. VI, prot. n. 972463 dell'8 giugno 1992. Il caso adesso sottoposto alla Corte dalla regione Umbria e' del tutto analogo: cosicche' anche per esso valgono le osservazioni svolte nei predetti ricorsi. 13. - L'art. 1, quarto comma della legge 720/1984 prevede che "il decreto ministeriale che, a norma del precedente secondo comma, stabilisce le condizioni, i criteri e le modalita' di attuazione delle discipline previste dalla presente legge deve garantire agli enti ed organismi interessati la piena ed immediata disponibilita' in ogni momento delle somme di loro spettanza giacenti in tesoreria nelle contabilita' speciali fruttifere e infruttifere". In relazione a tale norma va sottolineato che rispetto alla possibile obiezione secondo la quale, nel confronto tra la situazione degli enti sottoposti al regime dell'accentramento nel sistema di tesoreria unica (quelli della tabella A) e quella degli enti sottoposti al regime del coordinamento (quelli della tabella B), tra cui le regioni a statuto ordinario) sembrava emergere paradossalmente un trattamento piu' favorevole per i primi, almeno sotto il profilo dell'immediata spendibilita' delle somme accreditate sulle loro contabilita' speciali presso le tesorerie dello Stato, la Corte, nella sentenza n. 243/1985, ha escluso esplicitamente un pericolo di improvvisi vuoti di cassa, chiarendo che "nessuno puo' affermarsi che il sistema di tesoreria unica sia di per se stesso suscettibile di determinare improvvisi vuoti di cassa della regione, imponendole di ricorrere ad onerose anticipazioni per fronteggiare le spese indilazionabili, giacche', sebbene contenuta solo nel quarto comma dell'art. 4, con riferimento agli enti inclusi nella tabella A), la norma che garantisce la piena ed immediata disponibilita' delle somme giacenti nelle rispettive contabilita' speciali, deve ritenersi espressione di un principio generale applicabile a qualunque ente contemplato dalla legge n. 270 e quindi anche alle regioni, come precisato fin dalla sentenza n. 94 del 1981". Analogo principio la Corte ha ribadito anche di recente nella sentenza n. 24/1991, affermando che "gli organismi pubblici contemplati dalla tabella B) sono autorizzati a trattenere determinati importi in numerario con un flusso di reintegro che ne consenta la disponibilita' piena ed immediata in ogni momento" (punto 1.1 del diritto). E nella sentenza 244/1985 (con riferimento, e' vero, al piu' specifico caso dei limiti illegittimamente posti con decreto ministeriale al diritto delle regioni di effettuare prelevamenti dalle contabilita' speciali aperte presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato a reintegro dei limiti del 4% delle disponibilita' ivi giacenti, calcolato sull'ammontare delle entrate del bilancio di competenza, ma cio' che conta e' il principio che la Corte formula, e che vale anche nel caso oggetto del presente giudizio) la Corte ha affermato, con argomentazioni di carattere e portata generale, che "dato il regime introdotto dall'art. 40, primo comma, legge n. 119/1981 e mantenuto in vigore dall'art. 2, primo comma, legge n. 720/1984, le operazioni di pagamento interessanti le regioni non possono effettuarsi direttamente sulle contabilita' speciali aperte presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato (come e' invece previsto dall'art. 1, primo comma, legge n. 720 quanto agli enti ed organismi inseriti nell'annessa tabella A) ma debbono gravare sulle disponibilita' regionali depositate presso le aziende di credito tesorieri o cassieri delle regioni medesime. In questi termini statuiva gia' l'art. 4, decreto ministeriale 11 aprile 1981, che non consentiva - di regola - agli enti pubblici di cui agli articoli 25 e 31, legge n. 468/1978, se non prelevamenti mensili dai conti aperti presso la tesoreria centrale dello Stato per il reintegro delle disponibilita' comunque contenute entro il limite massimo del 12% dell'ammontare delle entrate del bilancio di competenza. E nello stesso senso dispone attualmente l'impugnato art. 5 dei decreti predetti, salvo che i provvedimenti sono divenuti quindicinali, mentre la quota da reintegrare e' stata indubbiamente ridotta - malgrado le contrarie deduzioni dell'avvocatura dello Stato - dal 12 al 4%. Per non intralciare il ritmo delle spese regionali, compromettendo l'indispensabile velocita' di erogazione e costringendo le regioni a far ricorso - in via alternativa - ad indebitamenti sia pure di breve periodo, occorre pero' che la reintegrazione delle quote dei proventi regionali depositabili presso le aziende di credito sia resa possibile continuamente e nei modi piu' solleciti, affinche' si possa fare fronte ai pagamenti imprevisti senza intaccare gravemente od esaurire del tutto le disponibilita' in questione. Viceversa, le citate prescrizioni ministeriali non tengono adeguato conto di simili necessita', ne' offrono rimedi sufficienti pur quando permettono, nel corso del mese, un ulteriore prelevamento, tanto piu' che tale operazione veniva consentita nel solo caso di esaurimento di tutte le disponibilita' comunque detenute (cfr. l'art. 5, terzo comma dei decreti ministeriali 24 aprile e 2 giugno 1984) e non e' ammessa tuttora al di fuori del caso in cui ricorrano indifferibili esigenze di spesa (cfr. l'art. 5, terzo comma del decreto ministeriale 5 novembre 1984) giudici delle quali finiscono per essere lo stesso Ministro del tesoro oppure la Banca d'Italia. Le disposizioni impugnate violano pertanto, nel medesimo tempo, l'autonomia finanziaria regionale, considerata sul versante delle uscite, ed il principio informatore dell'intera legge n. 720 - gia' messo in evidenza dalla decisione n. 243 del presente anno - per cui la piena ed immediata disponibilita' delle somme di loro spettanza, giadenti nelle relative contabilita' speciali, deve essere garantita anche agli enti ed organismi inclusi nell'annessa tabella B), quali sono appunto le regioni a statuto ordinario e speciale" (punto 2 diritto). 14. - Risulta ulteriormente confermata da tali pronunzie della Corte, l'inesistenza di un potere amministrativo statale - quale e' quello esercitato con gli atti in relazione ai quali e' stato soggevato il presente conflitto - di sindacare e rifiutare, totalmente o parzialmente o di ritardare, le richieste della regione di provvedere all'emissione dei vaglia necessari a garantire alla regione stessa la piena ed immediata disponibilita' delle somme di sua spettanza giacimenti nella relativa contabilita' speciale. La contrazione delle erogazioni disposte dal Ministero a fronte delle richieste regionali comporta il venir meno ad un atto dovuto, che determina grave violazione dell'autonomia finanziaria regionale considerata sul versante della uscite, in contrasto con gli artt. 97, 117, 118 e 119 della Costituzione. 15. - Ne' potrebbe essere obiettato che gli atti in relazione ai quali viene proposto il presente conflitto in realta' non sussistono con conseguente inammissibilita' del ricorso - dal momento che il contenuto positivo degli atti e' solo quello di garantire alla regione l'emissione di vaglia di L. 40.000.000.000 e di L. 20.000.000.000 rispetto al quale nessuna possibile lesione dell'autonomia costituzionale garantita puo' essere lamentata. In primo luogo infatti, gli atti esistono e vanno valutati - trattandosi di una risposta ad una richiesta - in relazione a quest'ultima. Le richieste erano state formulate per L. 57.144.000.000 e per L. 31.279.000.000; la risposta viene esplicitamente fornita "in relazione alla richiesta inviata alla scrivente"; per conseguenza, il significato - lesivo o meno - della determinazione finale va colto con riferimento al contenuto della richiesta: e se questa era (com'era) formulata per un dato ammontare, la risposta che si limita a disporre l'erogazione per un ammontare di gran lunga inferiore e' una risposta negativa per la differenza dovuta e sottratta, significativa, pertanto, di una autoaffermazione di un potere discrezionale del Ministero di riduzione della richiesta, in relazione al quale precisamente si configura la lesione che viene fatta valere con il presente ricorso. Il combinato della domanda e della risposta costituisce - con un congegno ben noto al diritto (basti pensare alla formazione del titolo ingiunzionale) - l'autoaffermazione del potere discrezionale che invade la sfera regionale pretendendo di sindacare la domanda regionale. Cio' che non e' consentito neppure se, invece di un rifiuto immotivato o lesivo, fosse addotta una giustificazione per un preteso coordinamento che non trova nessuna copertura legale, tanto piu' quando si consideri la riserva di legge su cui piu' volte la Corte si e' espressa. In secondo luogo, quand'anche si potesse disconoscere (e non si puo') l'esistenza di un atto formale di rifiuto o di riduzione della richiesta e affermare semplicemente l'esistenza di un comportamento ministeriale in tal senso non per questo verrebbe meno la possibilita' e l'oggetto del conflitto. Come la Corte ha ricordato nella sentenza n. 40/1977, atti idonei a provocare l'insorgenza del conflitto "sono stati ritenuti cosi' concreti provvedimenti amministrativi, come regolamenti ed altri atti generali; cosi' atti di controllo, come pronunce giurisdizionali od atti connessi con l'esercizio della funzione giurisdizionale (e poi ancora, tra gli atti amministrativi: sia atti definitivi, sia atti preparatori; sia atti formali ed esterni, sia atti interni, purche' esplicanti effetti per i terzi, ed anche comportamenti concludenti non estrinsecantisi in atti formali)" (punto 2) del diritto). Analogamente, nella sentenza n. 187/1984 la Corte ha detto che "l'attitudine a produrre un conflitto attuale di attribuzione fra Stato e regioni va riconosciuta a qualsiasi comportamento effettivamente significante dello Stato o di una regione, che possa configurare invasione dell'altrui sfera di competenza e sia tale da menomare la possibilita' di esercizio di altrui potesta'"; e in dottrina si e' sottolineato che "merita particolare attenzione l'affermazione contenuta nella sentenza n. 40/1977 la quale, dopo aver elencato i tipi di atti suscettibili di determinare il conflitto, riconosce altresi' la sufficienza di comportamenti concludenti, non estrinsecantisi in atti formali" (Zagrebelsky, "La giustizia costituzionale", Bologna, 1988 p. 344) e che "nella prassi instaurata non tanto si richiede che il conflitto sia originato da un atto giuridico vero e proprio (meno ancora da un atto esterno definitivo) quanto, piu' largamente, da un comportamento significante, posto in essere da organi statali e inversamente, regionali" (Crisafulli, "Lezioni di diritto costituzionale. L'ordinamento costituzionale italiano. Le fonti normative. La Corte costituzionale", V ed. Padova, 1984, p. 406). 16. - Sussistono pertanto, nel caso di specie, le ragioni per chiedere alla Corte di sanzionare l'atto con il quale il Ministero del tesoro ha preteso di adottare comportamenti (che non gli spettano) di riduzione o rifiuto delle richieste regionali di far fronte alle necessita' di pagamento della regione, gravemente violando l'autonomia regionale sul versante delle uscite e la stessa possibilita' per la regione di esercitare in modo corretto tutte le funzioni costituzionalmente garantitele.