IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Franchi  Piero Francesco e' stato tratto a giudizio per rispondere
 del reato di cui all'art. 13 L. 474/1957 ed in particolare per  avere
 esercitato,  nella qualita' di amministratore della Foam Back S.r.l.,
 un deposito di olii minerali senza  avere  effettuato  la  prescritta
 denuncia all'U.T.I.F.
    Nel   corso   dell'istruttoria   dibattimentale,   imperniata   su
 acquisizioni documentali e sulla deposizione del sottufficiale  della
 G.d.F. che effettuo' l'accertamento, emergeva che:
       a)  la  Foam  Back  S.r.l.  e' provvista di un deposito di olii
 minerali costituito da una cisterna della capienza di 24 metri  cubi,
 per  l'olio combustibile, e da una cisterna della capienza di 4 metri
 cubi per l'olio lubrificante;
       b) nessuna  denuncia  all'U.T.I.F.  era  stata  effettuata  per
 l'esercizio di detto deposito;
       c)  nel  corso  dei  cinque  anni  precedenti all'accesso della
 polizia tributaria presso la ditta  suddetta,  erano  transitati  nel
 deposito  complessivamente kg. 662.155 di olio combustibile e 1.137,9
 di olio lubrificante;
       d)   l'imposta   relativa   a    detti    prodotti    ammontava
 complessivamente a L. 66.719.834.
    All'esito dell'istruttoria dibattimentale, la difesa dell'imputato
 sollevava   questione  di  legittimita'  costituzionale  della  norma
 incriminatrice  di  cui  all'art.  13  comma  primo  L.  474/57,  per
 contrasto  con l'art. 27 comma terzo della Costituzione, in quanto il
 meccanismo di  determinazione  della  pena  (dal  doppio  al  decuplo
 dell'imposta  relativa  ai prodotti trovati nel deposito) genererebbe
 una  sproporzione  enorme  tra  fatto  e  sanzione,  con  conseguente
 violazione   del   precetto   costituzionale  relativo  al  finalismo
 rieducativo della sanzione criminale.
    Ai fini della valutazione della questione  proposta  dalla  difesa
 occorre  prendere  le  mosse  dal  nuovo assetto interpretativo della
 norma costituzionale invocata, assetto interpretativo scaturito dalla
 recente sentenza della Corte costituzionale n. 313 del 2 luglio 1990.
    Tale pronuncia, recependo ed  articolando  le  acquisizioni  della
 dottrina  piu'  consapevole  ed  evoluta  ha  chiarito in termini non
 equivocabili come " .. la necessita' costituzionale che la pena debba
 tendere a  rieducare,  lungi  dal  rappresentare  una  mera  generica
 tendenza  riferita  al  solo  trattamento,  indica invece proprio una
 delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano la  pena  nel
 suo   contenuto   ontologico,   e  l'accompagnano  da  quando  nasce,
 nell'astratta previsione normativa, fino  a  quando  in  concreto  si
 estingue".
    La  pronuncia  in  esame  ribadisce  quindi  con forza che " .. il
 precetto di cui al terzo comma dell'art. 27 Cost. vale tanto  per  il
 legislatore  quanto per i giudici della cognizione .." trattandosi di
 " .. un principio che, seppure  variamente  profilato,  e'  ormai  da
 tempo   diventato   patrimonio   della   cultura  giuridica  europea,
 particolarmente  per  il  suo  collegamento  con  il   principio   di
 proporzione fra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, ed
 offesa, dall'altra".
    L'applicazione  delle  suddette enunciazioni al caso di specie non
 puo' che portare alla dichiarazione  di  non  manifesta  infondatezza
 della questione in discorso.
    Occorre  in  proposito  evidenziare  (in  punto di rilevanza della
 questione nel presente processo) che,  alla  stregua  della  sentenza
 della  Corte  costituzionale n. 887 del 26 luglio 1987, l'espressione
 "prodotti trovati nel  deposito"  contenuta  nell'art.  13  cit.,  si
 riferisce  a  tutti  i  prodotti  ivi immessi e non soltanto a quelli
 esistenti al momento dell'accertamento del reato.
    Proprio su tali basi interpretative (recepite tanto dall'autorita'
 di polizia giudiziaria che  dall'odierno  giudicante)  fu  effettuato
 l'accertamento  che  diede  origine  al presente processo e fu quindi
 evidenziata la quantita' di olii minerali  transitati  nel  deposito,
 nella misura specificata nella narrativa che precede.
    L'esito  dell'opzione  interpretativa suddetta e dell'accertamento
 da essa dipendente porterebbe ad individuare il minimo della pena per
 il reato in discorso (relativamente  all'intero  quinquennio),  nella
 somma  di  L.  133.439.668  (il doppio cioe' dell'imposta relativa ai
 prodotti "trovati" nel deposito e  corrispondente  a  complessive  L.
 66.719.834).
    La  conformita'  di  un  tale trattamento sanzionatorio (di cui e'
 stata specificata solo l'entita' minima) al  precetto  costituzionale
 in discorso ed in particolare al principio di proporzionalita' cui si
 e' fatto cenno, appare quanto meno dubbia.
    Ne'  detto  dubbio  viene  dissipato  dall'ordinanza  della  Corte
 costituzionale  18-27  dicembre  1991  n.  427,  dichiarativa   della
 manifesta  infondatezza  della questione di legittimita' del ripetuto
 art. 13 d.l.n. 271/57, in relazione all'art. 27 della Cost., sotto il
 profilo della sproporzione della sanzione, calcolata in relazione  al
 prodotto  movimentato, "rispetto all'ipotesi in cui il deposito abbia
 una capacita' solo di poco superiore alla soglia dei 10 metri cubi".
    In detta ordinanza si precisa infatti che "a  nulla  rileva  -  al
 fine  di  censurare  il  relativo  trattamento  sanzionatorio, sia in
 riferimento all'art. 3  che  all'art.  27  della  Costituzione  -  la
 circostanza che in concreto la soglia di capacita' del deposito possa
 esser  superata di poco o di molto". Ma, cio' precisato, la Corte non
 si pronuncia, perche' non chiamata a farlo  dal  giudice  remittente,
 sulla  compatibilita' tra la la finalita' rieducativa della pena e la
 fissazione del  relativo  minimo  edittale  nel  doppio  dell'imposta
 relativa ai prodotti immessi nel deposito.
    Occorre  al  proposito  evidenziare  fra  l'altro  come  la  norma
 incriminatrice di cui all'art. 13  comma  primo  cit.  individui  una
 violazione  formale,  di  mero  pericolo, collocata - nella relazione
 alla legge di conversione del d.-l. n. 271/57  -  fra  le  infrazioni
 "meno pericolose".
    Su   tali  basi  e'  quindi  agevole  desumere  la  non  manifesta
 infondatezza della questione  in  discorso,  solo  che  si  consideri
 l'enorme  sproporzione  sussistente nel caso di specie fra il modesto
 disvalore del  fatto  (la  norma  non  sanziona  alcuna  evasione  di
 imposta) e la sanzione per esso prevista nel minimo.
    La  detta sproporzione impedisce di individuare, in un trattamento
 sanzionatorio  cosi'  congegnato,  alcuna   traccia   del   finalismo
 rieducativo  imposto  dalla  norma  costituzionale  in  discorso come
 contenuto ontologico della pena.