IL TRIBUNALE
    Nella  causa  iscritta  al  n.  1238/89  R.G. e vertente tra Munno
 Giuseppe, Munno Anna Maria, Munno Caterina  e  Munno  Rosa,  elett.te
 dom.ti  in  Caserta  presso lo studio dell'avv. Antonio Ricciardelli,
 che li rapp.ta e difende, attori, e,  Ente  Nazionale  per  l'Energia
 Elettrica  - ENEL - compartimento di Napoli, in persona dei dirigenti
 protempore, elett.te dom.ti in Caserta C.so Trieste n. 151, presso lo
 studio dell'avv. Luigi d'Andria, che lo  rapp.ta  e  difende  in  uno
 all'avv. Enrico Ziccardi, convenuto, riservata a sentenza all'udienza
 Collegiale  del 5 novembre 1991, ha pronunziato la seguente ordinanza
 e' opportuno premettere, in punto di fatto, che il Sindaco del Comune
 di Capua, con decreto n.  1306  del  17  febbraio  1983,  richiamando
 l'ordinanza  Commissariale  n.  83  del  28  dicembre 1982 (che aveva
 autorizzato, in via provvisoria,  con  dichiarazione  di  urgenza  ed
 indifferibilita',   i   lavori   di  costruzione  degli  elettrodotti
 occorrenti per l'allacciamento alla  rete  elettrica  dell'acquedotto
 realizzato  dalla  Cassa  per il Mezzogiorno), nonche' il decreto del
 Presidente della Giunta reg. n. 8113 del 23  ottobre  1982,  che,  ai
 sensi del T.U. 11 dicembre 1933 n. 1775 (artt. 33 e 108) e del d.P.R.
 27  luglio  1977 n. 616 (artt. 79 e 87), aveva autorizzato l'E.N.E.L.
 alla costruzione dell'impianto elettrico  predetto,  dispose  che  lo
 stesso  ente nazionale occupasse, in via d'urgenza e temporaneamente,
 per la durata di anni 5 dalla immissione in  possesso  (avvenuta,  in
 data  8  aprile  1983,  in  osservanza del termine trimestrale di cui
 all'art.  20  legge  n.  865/1971)  vari  suoli  indicati  nel  piano
 particellare di esproprio, tra cui quelli di proprieta' degli attori.
    Il decreto fu, quindi, emesso  (contrariamente  a  quanto  dedotto
 dagli attori) ai sensi dell'art. 20 legge n. 865/1971, nell'esercizio
 del  relativo  potere,  devoluto  al Sindaco, per effetto dell'ultimo
 comma dell'art. 106 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, nonche' dell'art. 2
 legge regionale n. 23/1977 (richiamato dall'art.  37,  secondo  comma
 legge    regionale    comp.    n.   51/1978)   senza   determinazione
 dell'indennita' di  occupazione,  rimessa  alla  commissione  di  cui
 all'art.  16  legge  n. 865/1971 (ed in mancanza all'U.T.E.), secondo
 quanto disposto nello stesso decreto  e  dall'art.  37,  primo  comma
 legge regionale n. 51/1978.
    Quest'ultimo   norma,   infatti,  stabilisce  che  "per  tutte  le
 occupazioni  temporanee  e  di  urgenza,  la   determinazione   delle
 indennita'  provvisorie,  nonche'  per  tutti  gli  altri adempimenti
 riguardanti l'acquisizione dei beni occorrenti per  la  realizzazione
 di  opere connesse alla presente legge ed in genere per tutte le pro-
 cedure relative a materie  trasferite  o  delegate  alla  Regione  si
 applica  la  procedura  fissata  dal titolo II della legge 22 ottobre
 1971 n. 865 e successive modificaizoni ed integrazioni".
    Ne consegue che l'art. 37 cit., rinvia anche all'art.  20,  quarto
 comma  legge  865/1971,  cosi'  come modificato dall'art. 14 legge n.
 10/1977, secondo il quale, contro la  determinazione  dell'indennita'
 di occupazione, gli interessati possono "proporre opposizione davanti
 alla  Corte  di  appello  competente  per  territorio,  con  atto  di
 citazione  notificato  all'occupante,  entro  trenta   giorni   dalla
 comunizazione dell'indennita' stessa, a cura del sindaco, nelle forme
 prescritte per la notificazione degli atti processuali civili".
    Essendo  scaduto il termine (8 aprile 1988) per il quale era stata
 autorizzata l'occupazione  ed  essendo  stata  realizzata  l'opera  -
 elettrodotto  -  (circostanza pacifica in quanto non contestata), gli
 attori, proprietari  di  alcuni  terreni  occupati,  hanno  convenuto
 innanzi a questo Tribunale l'Ente Nazionale per l'Energia Elettrica -
 compartimento   di   Napoli,  per  sentirlo  codannare  al  pagamento
 dell'indennita'  da  occupazioni  legittima,  nonche'  di  quella  da
 occupazione   illegittima,   oltre  che  al  risarcimento  dei  danni
 commisurati  al  valore  dei  beni  asserviti  ed   irreversibilmente
 destinati all'opera pubblica.
    L'ente    si    e'   difeso   eccependo   l'improponibilita'   e/o
 inammissibilita' della domanda, poiche' per effetto,  delle  proroghe
 di   lege   il   termine  di  scadenza  della  occupazione  legittima
 (qualificato come presupposto processuale) e'  stato  protratto  fino
 all'8 aprile 1991.
    Rimessa   la   causa   al   Collegio  per  decidere  la  questione
 preliminare, che avrebbe potuto - se fondata - definire il  giudizio,
 il  Tribunale,  con  sentenza  in pari data, ha dichiarato la propria
 incompetenza, per materia, a determinare l'indennita' di  occupazione
 legittima,   essendo,  ai  sensi  dell'art.  20  legge  n.  865/1971,
 competente la Corte d'appello.
    La domanda di condanna al risarcimento dei danni non  puo'  invece
 essere decisa in quanto e' necessario proporre, ex officio, questione
 di costituzionalita', per violazione degli artt. 24 e 42 Cost., delle
 norme  che  hanno prorogato la scadenza dei termini delle occupazioni
 legittime.
    E'  fuor  di  dubbio  che  in pendenza del termine per il quale e'
 stata autorizzata l'occupazione, il proprietario del  suolo  occupato
 non  puo'  chiedere  il  pagamento  del  valore  dello  stesso suolo,
 poiche', essendo  il  decreto  autorizzativo  atto  del  procedimento
 espropriativo,  l'interesse  del  privato  al  ristoro dell'eventuale
 pregiudizio per l'espropriazione del bene, puo' trovare soddisfazione
 solo sull'indennita' di esproprio e, ove vi sia lesione  del  diritto
 soggettivo  alla  giusta  indennita',  l'espropriato potrebbe trovare
 tutela con l'eventuale opposizione alla stima.
    Va subito precisato che la scadenza del termine in parola non puo'
 configurarsi  come  presupposto  processuale,  ma   costituisce   una
 condizione  dell'azione  risarcitoria  e come tale e' sufficiente che
 esista al momento del provvedimento cui la domanda tende.
    Molto dibattuta e' in  dottrina  la  distinzione  tra  presupposto
 processuale  e  condizione  dell'azione,  anche se e' pacifico che il
 primo debba esistere prima o nel momento in cui si propone la domanda
 e si instaura il processo, mentre la seconda  ben  puo'  sopravvenire
 nel  corso  del  giudizio,  consentendo  una  pronuncia  comunque nel
 merito. Senza affrontare ex professo il problema, che qualche  autore
 ha  sostenuto essere di scarso rilievo pratico e, comunque, di natura
 dommatica al di fuori del diritto positivo,  soprattutto  processuale
 (nessuna  norma  fa  riferimento  alla  suddetta  distinzione),  puo'
 rilevarsi che, secondo la piu'  autorevole  dottrina,  i  presupposti
 processuali  concernono  il  rapporto processuale e ne determinano la
 validita' ed efficacia, ovvero la promuovibilita' o  proseguibilita',
 mentre le condizioni dell'azione concernono il rapporto sostanziale e
 sono  regolate  dalla  legge  sostanziale, sicche' devono esistere al
 momento della decisione e  condizionano  il  dovere  del  giudice  di
 accogliere la domanda (interesse ad agire e legittimazione).
    Ora  appare evidente che la scadenza del termini della occupazione
 legittima, determinando il trapasso dalla stessa a quella illegittima
 o senza titolo, che dal punto  di  vista  del  rapporto  sostanziale,
 dedotto   in   giudizio,   consente  l'accoglibilita'  della  domanda
 risarcitoria,  attiene  alla  fattispecie   sostanziale,   alla   cui
 insorgenza  e'  connesso  l'interesse  ad  agire del proprietario del
 fondo (illegittimamente occupato) per il risarcimento del danno.
    Pertanto, sembra evidente che la scadenza del termine  in  parola,
 costituisca   condizione  dell'azione  risarcitoria  e  che,  se  non
 sopravviene nel corso del giudizio prima della decisione, comporta il
 rigetto della domanda.
    Il convenuto ha eccepito che il termine di scadenza fissata con il
 decreto autorizzativo all'8 aprile 1988, e'  stato  prorogato  di  un
 anno,  ai  sensi  dell'art.  1,  comma quinto- bis, d.-l. 22 dicembre
 1984, n. 901, convertito in legge  1º  marzo  1985  n.  42  (Gazzetta
 Ufficiale  1º  marzo  1985,  n. 52) e, poi, di ulteriori due anni, ai
 sensi dell'art. 14 d.-l. 29 dicembre 1987 n. 534, convertito in legge
 29 febbraio 1988 n. 47.
    E' opportuno rilevare che la tesi della  proroga  ex  lege,  senza
 necessita'  di  un  formale  atto amministrativo, e' stata gia' fatta
 propria da questo Tribunale (Trib. S. Maria C.V.  14  marzo  1991  n.
 1140).
    Infatti, la giurisprudenza formatasi in relazione all'applicazione
 dell'art. 20 comma secondo, legge n. 865/1971, rilevando che la norma
 prevede  testualmente che l'occupazione "puo' essere protratta fino a
 cinque anni dalla immissione in  possesso",  coerentemente  affermava
 che,  nel  caso  in  cui  l'occupazione  fosse  stata disposta per un
 periodo inferiore ai cinque anni, la proroga del  termine  inferiore,
 dovesse  essere  disposta  dall'autorita'  amministrativa,  che aveva
 autorizzato l'originaria occupazione.
    Invece, sia l'art. 1 comma quinto-  bis,  legge  n.  42/1985,  che
 l'art.  14,  secondo  comma, legge n. 47/1988, prevedono testualmente
 che "per le occupazioni d'urgenza in corso alla data  di  entrata  in
 vigore della legge di conversione del presente decreto (art. 1, comma
 quinto-  bis,  legge  n.  42/1985), la scadenza dei termini di cui al
 secondo comma  dell'art.  20  legge  22  ottobre  1971,  n.  865,  e'
 prorogata ...".
    Non  e',  quindi  prorogato  il  termine  massimo  di  cinque anni
 previsto dal citato art. 20,  ma  e'  prolungata  "la  scadenza"  dei
 termini dell'occupazione, nel senso che viene prorogato di un anno il
 periodo  di occupazione in corso, gia' concretamente e legittimamente
 determinato dell'autorita' amministrativa.
    E' stato osservato che il riferimento al secondo  comma  dell'art.
 20 legge cit. era necessario per escludere dalla proroga i termini di
 scadenza previsti da altri testi legislativi e non per ampliare invia
 astratta  e  generale  il termine massimo di durata dell'occupazione,
 sicche' l'efficacia della proroga  e'  automatica,  indipendentemente
 dalla   circostanza   che   sia   stato  stabilito,  nel  decreto  di
 occupazione,  un  termine  minore  di  quello  massimo  quinquennale,
 perche'  oggetto di proroga e' la scadenza dei termini concreti e non
 i termini in se' e  per  se'.  Del  resto,  siffatta  interpretazione
 letterale  risponde  anche alle finalita' perseguite sistematicamente
 dal legislatore, a cominciare dalla prima proroga prevista  dall'art.
 5 della legge 29 luglio 1980 n. 385 e, cioe', da un lato, di superare
 le  difficolta' pratiche nell'attuazione della opera pubblica e nella
 emanazione  tempestiva  del  decreto  definitivo  di   esproprio   e,
 dall'altro  lato,  di  assicurare  che  l'occupazione  non  divenisse
 illegittima in attesa della promulgazione di  una  legge  sostitutiva
 delle  norme  dichiarate  illegittime  dalla Corte Cost. (la legge n.
 385/1980, pure dichiarata incostituzionale detta va,  infatti,  norme
 provvisorie sulla indennita' di espropriazione di aree edificabili).
    Nel  caso  in  esame  l'art.  1, comma quinto- bis, aggiunto dalla
 legge di conversione n. 42/1985 del d.-l. n.  901/1984,  non  essendo
 diversamente  disposto,  ai  sensi  dell'art. 73 Cost. e dell'art. 10
 disp. sulla legge in generale, e' entrato in vigore il 16 marzo  1985
 (la  legge e' stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale 1º marzo 1985 n.
 52), sicche' in quel momento l'occupazione in parola era in corso  ed
 e'  stata,  quindi,  prorogata  di  un  anno.  A  tale  proroga  deve
 aggiungersi quella di ulteriori  due  anni,  disposta  dall'art.  14,
 secondo  comma, legge n. 47/1988, per il quale "per le occupazioni di
 urgenza in corso, la scadenza del termine, di cui  al  secondo  comma
 dell'art.  20  legge  n.  865/1971,  gia' prorogato dall'art. 1 comma
 quinto- bis, d.-l. n. 901/1984, convertito con  modificazioni,  dalla
 legge  n.  42/1985,  concernente precedente proroga delle occupazioni
 d'urgenza e' ulteriormente prorogata di due anni".
    Quest'ultima disposizione, ove ve ne fosse bisogno, sembra offrire
 ulteriori elementi testuali a sostegno dell'interpretazione adottata,
 allorche' si consideri che precisa che e' la "scadenza  del  termine"
 dell'occupazione  ed essere automaticamente prorogata e che l'art. 1,
 comma quinto- bis, concerneva la proroga dell'occupazione d'urgenza".
    Quindi,  per  effetto  delle  proroghe predette, l'occupazione dei
 terreni degli attori si e' legittimamente protratta fino all'8 aprile
 1991.
    Senonche' l'art. 22 della legge 20 maggio 1971 n. 158, ha disposto
 che "per le occupazioni d'urgenza in corso, la scadenza  del  termine
 di  cui al secondo comma dell'art. 20 della legge 22 ottobre 1971, n.
 865, da ultimo prorogata dall'art. 14, secondo  comma  del  d.-l.  29
 dicembre  1987,  n. 534, covertito, con modificazioni, dalla legge 29
 febbraio 1988, n. 47, e' ulteriormente prorogata di due anni".
    Siffatta proroga si applica anche alla scadenza in parola, poiche'
 l'art. 23 della cit. legge  stabilisce  che  "le  disposizioni  della
 presente  legge  hanno  effetto  a decorrere dal 1º gennaio 1991", di
 modo che, essendo l'occupazione incorso a  detta  data  (scadeva  l'8
 aprile  1991),  la  stessa  occupazione e' stata prorogata fino all'8
 aprile 1993.
    Orbene, ritiene il collegio  che  il  meccanismo  delle  proroghe,
 ripetute  nel  tempo,  dei  termini  di  scadenza  delle  occupazioni
 autorizzate, sia incontrasto con gli artt. 24 e 42, terzo comma Cost.
    Si e' gia' detto, infatti come in  pendenza  del  termine  per  il
 quale  e'  stata disposta l'occupazione, il proprietario del bene non
 possa  adire  l'A.G.O.  per  ottenera  il  ristoro  del  pregiudizio,
 conseguente alla indisponibilita' del bene destinato (come nella spe-
 cie) ad opera pubblica.
    E'  vero  che a seguito della pronuncia della Corte costituzionale
 (sent.  22  ottobre  1990,  n.  470)  allo  stesso  proprietario   e'
 consentito  agire per ottenere l'indennita' da occupazione legittima,
 dal  momento  dell'occupazione,  ma  e'  altrettanto  vero  che  tale
 indennizzo   non   copre   l'intera  area  del  pregiudizio  sofferto
 soprattutto quanto il titolare del bene occupato, pur avendone  perso
 la   disponibilita'   per   effetto  della  realizzazione  dell'opera
 pubblica,  nel  termine   autorizzato,   continua   ad   esserne   il
 proprietario  e deve, quindi, sopportare i relativi oneri. Del resto,
 il Supremo collegio, (Sez. Un. 6 novembre 1989 n. 4619),  pur  avendo
 escluso  che  agli  impianti  di  elettrodotti, realizzati su terreni
 privati appresi sine titulo, previa autorizzazione o dichiarazione di
 pubblica  utilita',  possono  applicarsi  i   principi   della   c.d.
 occupazione  acquisitiva,  ha  ribadito  che  al  proprietario devono
 essere risarciti i danni sia in relazione alla diminuzione di  valore
 che,  per  effetto  dell'impianto e dell'esercizio dell'elettrodotto,
 subisca l'immobile, sia in  relazione  agli  oneri  ed  alle  perdite
 comunque  verificatesi nel futuro secondo serie probabilita' connesse
 alla natura del bene e ad altri elementi  oggettivi  gia'  rilevabili
 (cfr. Cass. n. 943/1986).
    Nel caso in esame, la mera proroga dei termini di occupazione, non
 consente  ai  proprietari  di conseguire l'indennizzo, poiche' non e'
 stato emanato il decreto di esproprio (cfr. Cort. Cost.  22  febbraio
 1990,  n.  67),  ne'  di  agire  per il ristoro dei danni, benche' la
 realizzazione dell'opera pubblica abbia  deteminato  la  compressione
 delle facolta' connesse alla proprieta' del bene occupato.
    Se  e' vero, come sottolineato nella relazione al disegno di legge
 governativo n. 1947/S  (annunciato  in  aula  il  14  novembre  1989,
 recante  "norme  in materia di espropriazione per pubblica utilita'")
 che la natura rigorosamente  temporanea  dell'occupazione  e'  venuta
 sensibilmente ad attenuarsi poiche' il temine di durata, gia' elevato
 da  due  a cinque anni con la legge 22 ottobre 1971, n. 865, e' stato
 piu' volte prorogato per le occupazioni in atto al momento di entrata
 in vigore delle predette disposizioni di legge, e'  altrettanto  vero
 che  in  tal  modo  il  legislatore,  incapace  di emettere norme che
 disciplinino  permanentemente  l'indennita'  di  espropriazione,   ha
 sostanzialmente  aggirato  i  moniti  del  giudice delle leggi (Corte
 cost. sent. n. 5/1980 e n. 223/1983) ed un assetto  definitivo  della
 materia,   prorogando   i   termini  di  scadenza  delle  occupazioni
 temporanee, con  l'effetto  di  impedire  al  proprietario  del  bene
 occupato,  ma  non  espropriato,  di conseguire il giusto ristoro del
 pregiudizio, effetto di quell'occupazione irreversibile.
    In effetti le norme di proroga vanno censurate anche per i  motivi
 espressi  dalla Corte Cost. con la sentenza n. 223/1983, laddove esse
 costituiscono un espediente per impedire al proprietario di  ottenere
 l'indennizzo  ex art. 42 terzo comma, Cost., per la perdita ovvero la
 compressione  delle  facolta'  inerenti  alla  proprieta'  del   bene
 irreversibilmente destinato alla opera pubblica.
    Inoltre,  il  contrasto  delle  anzidette  norme di proroga con il
 dettato dell'art. 24 Cost. e' di tutta  evidenza,  ove  si  consideri
 che,  per  effetto  della loro reiterazione, il proprietario del bene
 occupato resta, per un lungo e non definito tempo, privo di ristoro e
 paralizzato nella difesa (cfr. Cort. cost. 22 febbraio 1990, n. 67).
    Infatti, se e' vero che resta  sempre  affidato  all'insindacabile
 apprezzamento  del  legislatore  stabilire  in  che  momento  debbano
 scadere le proroghe in esame, soprattutto in relazione all'emanazione
 di una  legge  che  disciplini  compiutamente  e  definitivamente  la
 materia  delle espropriazioni, e' altrettanto vero che il termine fi-
 nale  di  efficacia  non  e'  approssimativamente  e  ragionevolmente
 determinabile  nel  "quando", allorche' si consideri che ad una prima
 proroga di un anno se ne sono aggiunte altre, che, come nel  caso  in
 esame, hanno fatto slittare di ben cinque anni detto termine finale.
    In  definitiva  gli attori, pur avendo perso la disponibilita' dei
 terreni su cui e' stata realizzata l'opera pubblica - elettrodotto  -
 da   un  lato  non  possono  agire  per  ottenere  la  determinazione
 dell'indennizzo, poiche', in mancanza  del  provvedimento  ablatorio,
 non  ne hanno perso la titolarita', dall'altro lato non possono agire
 per ottener il risarcimento dei danni, ex  art.  2043  c.c.,  poiche'
 l'occupazione  deve  considerarsi  legittima per effetto delle citate
 proroghe di legge.
    Di qui la necessita' di proporre la questione di costituzionalita'
 dell'art. 1, comma quinto- bis, aggiunto dalla legge 1º  marzo  1985,
 n.  42,  di consersione del d.-l. 22 dicembre 1984, n. 901, dell'art.
 14, secondo comma d.-l. 29 dicembre 1987, n.  534,  convertito  dalla
 legge  29  febbraio 1988, n. 47, dell'art. 22 legge 20 maggio 1991 n.
 158,  che  prorogando  i  termini  di  scadenza   delle   occupazioni
 temporanee  autorizzate  ai sensi dell'art. 20 legge 22 ottobre 1971,
 n. 865, non consentono ai proprietari dei beni occupati e  sui  quali
 e'  stata  realizzata  l'opera  pubblica, di agire in giudizio per il
 ristoro dei danni subiti, in relazione agli  artt.  24  e  42,  terzo
 comma, Cost.
    Alla  stregua  delle  considerazioni che precedono il Tribunale e'
 tenuto  a  disporre  la  sospensione  del  giudizio  in  corso  ed  a
 provvedere ai sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87.