IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Letti gli atti del procedimento contro Trippodo Antonino,  nato  a
 Palermo il 22 agosto 1957;
                             O S S E R V A
    Trippodo  Antonino  e'  stato  fermato alle ore 20,40 del giorno 9
 giugno 1992 a norma dell'art. 25 comma 2 del d.-l. 8 giugno  1992  n.
 306.
    Il fermo e' stato convalidato come da separata ordinanza.
    Indi, deve esaminarsi l'istanza con la quale il pubblico ministero
 ha chiesto disporsi la detenzione in carcere del fermato.
    Orbene,  e' necessario subito rilevare, in proposito che, seppure,
 in assenza  di  conoscenza  di  elementi  tali  da  far  ritenere  la
 sussistenza  di  collegamenti con la criminalita' organizzata, stante
 l'urgenza di intervenire, il fermo, in relazione  alla  gravita'  del
 reato  per  il  quale  il  Trippodo  era  stato  condannato, e' stato
 legittimamente eseguito (e, pertanto, e' stato convalidato), ad  oggi
 non  vi  e'  piu' ragione di ritenere che debbano essere revocate nei
 confronti del Trippodo le misure alternative alla detenzione.
    L'art. 15 del d.-l. 8 giugno 1992, n. 306, infatti per i  detenuti
 (quale  e'  il  Trippodo)  per  il  delitto di cui all'art. 575 c.p.,
 stabilisce che i benefici possono essere concessi quando non vi  sono
 elementi  tali  da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la
 criminalita' organizzata o eversiva.
    Nella  fattispecie,  tali  elementi non sussistono o, quanto meno,
 non sono stati, sin'ora, in alcun  modo  addotti  ne'  dal  Dirigente
 della Squadra Mobile che ha sollecitato il fermo, ne' dal P.M. che ha
 disposto il fermo ed ha chiesto la convalida del fermo ed, infine, la
 detenzione in carcere del fermato.
    Tuttavia,  l'art.  25  secondo  comma, d.-l. 8 giugno 1992, n. 306
 prevede che "con il provvedimento di convalida,  il  giudice  per  le
 indagini preliminari presso il tribunale del luogo in cui il fermo e'
 stato eseguito, se il pubblico ministero ne fa richiesta, dispone con
 ordinanza la detenzione o la custodia cautelare in carcere".
    Appare  del  tutto  evidente,  quindi,  alla  stregua  del  chiaro
 disposto normativo, che il  giudice  delle  indagini  preliminari  e'
 tenuto, se vi e' la richiesta del P.M., a disporre la detenzione o la
 custodia cautelare in carcere senza potere fare alcuna valutazione di
 carattere discrezionale, che, al contrario, e' rimessa esclusivamente
 al   P.M.   stesso   (il  quale,  infatti,  senza  alcun  obbligo  di
 motivazione, puo' anche non richiedere la detenzione  o  la  custodia
 cautelare in cercare).
    Orbene,  il giudicante ritiene, allora, che sia non manifestamente
 infondata la questione di legittimita' costituzionale della norma  in
 esame.
    Quest'ultima,  infatti,  assegna al giudice una funzione meramente
 "notarile" attribuendo un carattere sostanzialmente  vincolante  alla
 richiesta   (discrezionale)   del   P.M.   ed   appare   confliggere,
 conseguentemente,  tanto  con  l'art.   101   secondo   comma   della
 Costituzione  per  il  quale  "i  giudici sono soggetti soltanto alla
 legge", quanto con gli artt. 13 e 111  della  Costituzione,  i  quali
 impongono    di   motivare   tutti   (art.   111)   i   provvedimenti
 giurisdizionali e, in particolar modo (art. 13), quelli che  incidono
 sulla liberta' personale.
    Sotto tale ultimo profilo, appare, d'altra parte, evidente che non
 puo'  certamente  ritenersi  che sia motivato un provvedimento che si
 limiti a dire che vi e' stata la richiesta del P.M.
    La questione di costituzionalita', poi, e'  certamente  rilevante,
 poiche'   dalla   sua   risoluzione   deriva  la  sussistenza,  nella
 fattispecie, del potere o meno del giudice di esercitare il controllo
 sulla richiesta del pubblico ministero.
    Conseguentemente,  la  decisione  sulla  richiesta  del  P.M.   di
 disporre  la detenzione deve essere sospesa sino alla decisione della
 Corte Costituzionale cui devono essere rimessi gli atti.