Ricorso per la regione Lombardia, in persona del presidente pro tempore della giunta regionale, ing. Giuseppe Giovenzana, rappresentata e difesa, come da mandato a margine del presente atto e in virtu' di deliberazione di G.R. di autorizzazione a stare in giudizio, dagli avv. proff. Giuseppe Franco Ferrari e Giorgio Recchia, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma, corso Trieste, n. 88, per conflitto di attribuzione contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, a seguito e per effetto: della nota del Ministero della sanita', direzione generale servizi igiene pubblica, div. VI, n. 406/AG.2.6/734 del 24 giugno 1992, pervenuta alla giunta regionale Lombardia, assessorato all'industria e artigianato in data 3 luglio 1992 con n. prot. 7923, concernente "Applicazione normativa sulla utilizzazione e commercio acque minerali naturali", per la parte in cui tale atto non ritiene piu' operante l'art. 48 della l.r. 44/1980, relativo alla approvazione regionale delle etichette, a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 105/1992, attuativo della direttiva 80/777/CEE in materia di utilizzazione e commercializzazionedelle acque minerali. F A T T O 1. - Con d.P.R. 25 gennaio 1992, n. 105 (in Gazzetta Ufficiale 17 febbraio 1992, n. 39) (v. all. 1) e' stata adottata, in forza della delega conferita con l'art. 1 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, la normativa attuativa della direttiva 80/777/CEE relativa alla utilizzazione e alla commercializzazione delle acque naturali. Tale testo normativo, complessivamente rispettoso del riparto di competenze tra Stato e regione, contiene anzi tutto la definizione di acqua minerale e l'indicazione delle sue caratteristiche (art. 1), demandando (art. 2) al Ministro della sanita' la fissazione dei criteri di valutazione di tali caratteristiche nonche' dei metodi di analisi per il controllo delle caratteristiche stesse e delle modalita' di prelevamento dei campioni; assegna (artt. 2 e 4) al Ministro della sanita' la competenza al riconoscimento delle acque minerali naturali; demanda alla regione l'autorizzazione all'utilizzazione delle sorgenti (art. 5) previa determinazione delle condizioni per il rilascio (art. 6); definisce le operazioni consentite e non (artt. 7 e 8), tutela da denominazione (art. 9) e regolamenta le modalita' di utilizzazione (art. 10); della prescrizione in ordine all'etichettatura delle acque minerali, stabilendo indicazioni obbligatorie e facoltative ed enunciando divieti (art. 11). 2. - La disciplina complessivamente contenuta nel d.P.R. n. 105/1992 - come si vede - non appariva violare ne' il riparto costituzionale delle competenze in materia ne' le regole dettate in proposito dal d.P.R. 616/1977. Sulla base di tale contesto normativo, la regione si accingeva ad adottare una nuova disciplina legislativa. Neppure, alcun allarme era stato destato dalla nota ministeriale Direzione generale servizi igiene pubblica, Div. VI, 28 aprile 1992 prot. 406/AG. 2.6/320, pervenuta il 21 maggio 1992 (v. all. 2), meramente riassuntiva dei principi contenuti nel d.P.R., facendo essa intendere che fosse restato salvo il potere di controllo della Regione, successivo alle analisi, laddove chiariva che "in occasione dell'aggiornamento delle analisi, e' fatto obbligo alle ditte di trasmettere preventivamente ai competenti organi regionali le analisi stesse", evidentemente allo scopo di consentire che le regioni potessero articolare, secondo le peculiarita' delle rispettive disci- pline, controlli, anche sulle modifiche alla etichettatura, derivanti dall'esito delle analisi medesime. 3. - Va preliminarmente ricordato che la disciplina della ricerca, coltivazione e sviluppo delle acque minerali e termali era stata in precedenza adottata dalla Regione Lombardia, nel quadro dei principi contenuti negli artt. 27, lett. l) e 61 d.P.R. n. 616/1977, con L.R. 29 aprile 1980, n. 44. Tale testo normativo prevede, tra l'altro, un'autorizzazione di giunta regionale per l'apertura e l'esercizio di stabilimenti di imbottigliamento di acque minerali (art. 47), nonche' un'approvazione dell'etichetta (art. 48). 4. - Alla luce dei suesposti dati normativi, la regione Lombardia poteva a buon diritto sostenere che la propria potesta' approvativa delle etichette non fosse stata in alcun modo abrogata dalla disciplina delegata statale, proprio in quanto il comma 6 dell'art. 11 del d.P.R. 105/1992, nel porre a carico del titolare dell'autorizzazione all'utilizzo un obbligo di "previa comunicazione ai competenti organi regionali", ribadito e ragionevolmente interpretato dalla nota ministeriale di cui al precedente punto 2, pareva lasciare spazio ad una disciplina regionale ragionevolmente discrezionale delle verifiche e dei controlli da eseguirsi dopo la comunicazione delle analisi. Questa interpretazione e' invece contraddetta dall'impugnata nota ministeriale, la quale afferma infatti che la sopravvenienza del d.P.R. 105/1992 determinerebbe la caducazione sia di tutta la normativa statale previgente sia delle disposizioni regionali che comunque si richiamano a queste ultime; sicche' in particolare non sarebbe piu' applicabile l'art. 48 della L.R. 44/1980, con la conseguenza che sul titolare dell'autorizzazione non graverebbe se non un semplice obbligo di comunicazione delle nuove analisi, anziche' l'obbligo di munirsi dell'approvazione regionale per provvedere all'aggiornamento dei dati da riportare in etichetta a seguito degli esiti delle analisi stesse. Tutto cio' premesso, il ricorso della regione Lombardia merita accoglimento per le seguenti ragioni di D I R I T T O 1. - Violazione degli artt. 117 e 118 Cost.; Violazione dell'art. 61 d.P.R. 616/1977; Violazione dell'art. 10 legge 10 febbraio 1953, n. 62; Contraddittorieta' con precedenti manifestazioni. Il tenore del comma 6 dell'art. 11 del d.P.R. 105/1992 non comporta, ne' sul piano dell'interpretazione letterale, ne' su quello dell'interpretazione sistematica, la abrogazione dell'art. 48 L.R. 44/1980, e dunque giustifica l'interpretazione del riparto di competenze tra Stato e regione fatto proprio dalla nota impugnata. L'obbligo per le ditte titolari di autorizzazione di "procedere all'aggiornamento delle analisi .. almeno ogni cinque anni e di darne preventiva comunicazione ai competenti organi regionali" non implica una esplicita abrogazione della norma regionale di dettaglio previgente finalizzata alla approvazione dell'etichetta. Sempre sul piano letterale, d'altronde, e' evidente che l'obbligo di comunicazione all'amministrazione regionale ad altro non puo' essere funzionale che a consentire a quest'ultima di esplicitare controlli che la propria disciplina normativa preveda o imponga. Sul piano sistematico, tale interpretazione trova conferma se solo si consideri che i controlli - come ipotizzati gia' nell'art. 61 del d.P.R. 616/1977 - erano finalizzati non solo e non tanto a profili stricto-sensu igienico-sanitari, per i quali la mera comunicazione potrebbe forse anche essere in astratto fine a se' stessa, ma anche alla tutela della denominazione dell'acqua minerale naturale e del nome della localita' di utilizzazione. Tale ultimo interesse pubblico, esplicitato nell'art. 61 del d.P.R. 616/1977, e' con ogni evidenza localizzato nella dimensione regionale, e non si vede come potrebbe venire tutelato se l'autorita' istituzionalmente preposta venisse estromessa, con la eliminazione di un potere di assenso sulle modifiche dell'etichettatura,gia' disciplinato con legge regionale non contrastante con principi statali ancorche' sopravvenuti. D'altronde, l'interpretazione sopra prospettata del rapporto tra d.P.R. 105/1992 e L.R. 44/1980 era confermata anche dal passo sopra richiamato dalla precedente nota ministeriale 28 aprile 1992, con cui l'atto impugnato si pone in grave contraddizione. Sul piano degli effetti dell'opposta interpretazione, poi, si consideri che, se fosse fondato l'approccio ministeriale, ne deriverebbe la caducazione implicita anche dell'obbligo di presenza di un funzionario regionale ai prelievi necessari per le analisi (art. 15 L.R. 44/1980) e persino della tassa regionale relativa, attualmente da corrispondersi nell'importo di L. 1.819.000 per caso. Neppure, come pretende di fare la nota ministeriale impugnata, puo' invocarsi a sostegno dell'opposta interpretazione, l'art. 20 dello stesso d.P.R. 105/1992, che, nel disporre che "fino all'emanazione dei d.m. previsti dall'art. 2 si applicano in quanto compatibili .. le norme del r.d. 1824/1919, del d.m. 20 gennaio 1927, del d.o.g. 7 novembre 1939, n. 1856", intende senza dubbio riferirsi al rapporto con la previgente normazione statale, e non certo al rapporto con la normativa regionale anteriore. Improprio e ultroneo, poi, il richiamo, contenuto nella nota impugnata, al principio di eguaglianza, alla luce delle ovvie diversificazioni derivanti dalla diretta previsione costituzionale di una potesta' legislativa spettante alle Regioni, e delle correlate competenze amministrative. A tali attribuzioni si correla ovviamente anche la potesta' sanzionatoria appartenente alle regioni nei settori di propria competenza legislativa. Per conseguenza, a nulla rileva la considerazione, contenuta nella nota impugnata, che l'art. 18 lett. c) del d.P.R. 105/1992 "contempla l'irrogazione di una sanzione amministrativa per le etichette non conformi alle norme del decreto stesso, nulla disponendo per quelle non autorizzate in ossequio al decreto".