IL TRIBUNALE Sulle eccezioni sollevate dalle parti, osserva quanto segue: con sentenza emessa in dibattimento in data 28 marzo 1991, il pretore di Potenza dichiarava la propria incompetenza per materia e disponeva la trasmissione degli atti a questo tribunale a norma dell'art. 23, primo comma, del c.p.p. Incardinatasi la competenza presso questo tribunale, all'odierno debattimento, nel corso delle fasi di apertura, la difesa ha dedotto la illegittimita' costituzionale della norma citata nella parte in cui, prevedendo la trasmissione degli atti - come nel caso di specie - dal pretore, che dichiari la propria incompetenza, al tribunale - interdendosi per tale giudice competente - comporta che il giudizio innanzi a detto giudice si instauri senza la preventiva udienza preliminare, con perdita, da parte dell'imputato, di un grado di giurisdizione o, il che e' lo stesso, della possibilita' di definire in quella sede il giudizio; e cio', con evidente limitazione del diritto di difesa (art. 24, secondo comma della Costituzione) e con disparita' di trattamento con cui, per la stessa imputazione, possa avvalersi dell'udienza preliminare prima del rinvio a giudizio innanzi al giudice del dibattimento (art. 3 della Costituzione). Il p.m. ha fatto sua la richiesta del difensore dell'imputato, indicando un ulteriore profilo di illegittimita' della norma, in relazione all'art. 112 della Costituzione: invero, ha sostenuto il p.m., consentendo la trasmissione degli atti dal pretore al tribunale, ai sensi dell'art. 23 cit., si priverebbe il p.m. competente dei suoi poteri di iniziativa, che non si potrebbero ritenere validamente esercitati dal p.m. presso il giudice dichiaratosi incompetente. Analoga questione e' stata ritenuta non manifestamente infondata dal tribunale di Roma con ordinanza del 16 marzo 1992. Entrambi i profili indicati appaiono non manifestamente infondati. Le disposizioni che il codice ha introdotto per disciplinare la declaratoria di incompetenza nel dibattimento di primo grado si muovono nella identica prospettiva coltivata dal codice del 1930, di consentire la retrocessione degli atti al pubblico ministero, ogni volta che il reato si presenta diverso da quello contestato, o che nel corso del dibattimento emergano fatti nuovi, circostanze aggravanti o reati concorrenti da contestare, mantenendo immodificato il principio della non regredibilita' del processo allorche' sia lo stesso giudice incompetente a ritenere e ad assegnare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nella imputazione. In tale ipotesi, se il reato diversamente ritenuto non eccede la competenza del giudice investito, o viceversa, se l'incompetenza non e' eccepita tempestivamente, questi - ai sensi dell'art. 521, primo comma del c.p.p. -, puo' dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata. Quando invece il reato ritenuto e' di competenza per c.d. superiore, dichiara con sentenza la propria incompetenza e ordina la trasmissione degli atti al giudice competente. E che, in tale ultima ipotesi, non si dia luogo a regressione, nel senso su visto, emerge non solo dal chiaro disposto della norma dell'art. 23 cit., ma altresi' dalla circostanza che l'art. 521, comma secondo, del c.p.p. limita la trasmissione degli atti al p.m. alla sola ipotesi in cui "il fatto e' diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio". D'altronde, quando il legislatore ha voluto indicare altro destinatario, lo ha espressamente previsto, come nell'ipotesi di cui all'art. 22, terzo comma del c.p.p.;, che disciplina, con la trasmissione degli atti al p.m., l'ipotesi dell'incompetenza riconosciuta dal giudice delle indagini preliminari. Peraltro, il principio della non regredibilita' del processo ad una fase antecedente, nel caso di diversa qualificazione giuridica del fatto, da parte di un giudice di competenza inferiore, se aveva un suo logico fondamento sotto il vigore del codice abrogato, muovendosi nel sostanziale rispetto del diritto di difesa, che si riteneva pienamente esercitato purche' tutti gli elementi dell'accusa fossero previamente conosciuti; al di la' del nomen juris attribuito al fatto-reato, non altrettanto e' a dirsi con il codice vigente che - oltre ai limiti imposti dal corretto contraddittorio fra le parti - appare caratterizzato altresi', per i reati di competenza superiore, dall'introduzione di una fase di giudizio, quella dell'udienza preliminare, sconosciuta al vecchio codice. Il sistema introdotto dal nuovo codice priverebbe l'imputato della facolta' di avvalersi dell'udienza preliminare, nella quale difendersi, evitando il rinvio a giudizio, ed il pubblico dibattimento, come quella di utilizzare riti alternativi (per ipotesi il giudizio abbreviato), non esercitata per il reato di competenza inferiore, ma che intenda utilizzare, per valutazioni riferite alla diversa entita' del reato ritenuto, in tale fase; cio', a meno di non voler ritenere che l'indicazione di "giudice competente" contenuta nell'art. 23 cit. debba intendersi riferita al giudice per le indagini preliminari, e che, per l'effetto, nel caso di specie, il pretore avrebbe dovuto trasmettere gli atti al g.i.p. per la fissazione dell'udienza preliminare. Una simile regressione, peraltro estranea al sistema del nuovo codice, nella parte in cui disciplina l'udienza preliminare, non tiene pero' conto che "la formulazione del capo di imputazione relativo al reato emerso nel corso del dibattimento di primo grado spetta al p.m. presso il giudice competente .." (Cass. pen., sez. 1, 27 novembre 1990, n. 3507), tantoppiu' ove si consideri che il giudice per le indagini preliminari non ha poteri di iniziativa, ma agisce soltanto su impulso del pubblico ministero e, in particolare, del pubblico ministero competente dal quale deve provenirgli la richiesta di rinvio a giudizio.