IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale a carico di Bosio Giorgio, nato a Torino il 17 luglio 1939. Premesso che con sentenza 6 febbraio 1992, il pretore di Torino, a norma dell'art. 23, c.p.p., dichiarava la propria incompetenza per materia nel procedimento a carico del Bosio, imputato del reato di cui all'art. 582, c.p., in quanto ravvisava nei fatti il piu' grave reato di cui agli artt. 582 e 583 c.p., e ordinava la trasmissione degli atti a questo tribunale; che, ha seguito di tale decisione, il presidente di questa sezione emetteva decreto di rinnovazione della citazione a giudizio del Bosio per il piu' grave reato evidenziato dal pretore; che il p.m., in sede dibattimentale, chiedeva preliminarmente la trasmissione degli atti al suo ufficio in quanto "con la diretta trasmissione degli atti del pretore al tribunale si impedisce il corretto esercizio dell'azione penale che spetta unicamente al p.m., il quale in tal modo non ha, al contrario, nessuna rituale possibilita' di contestare la nuova violazione, comprimendosi altresi' i diritti della difesa posto che per la nuova imputazione l'imputato non e' posto nelle condizioni di chiedere il giudizio abbreviato"; che la difesa si associava a tale richiesta, sollevando dubbi di costituzionalita' sulla norma dell'art. 23, primo comma, c.p.p. O S S E R V A Prima di procedere il tribunale deve porsi il quesito circa la fondatezza della richiesta del p.m. di trasmissione degli atti al suo ufficio. Tale richiesta non appare invero conforme al dettato dell'art. 23, primo comma, c.p.p., che prevede, in ogni caso di incompetenza rilevata nel processo di primo grado (escluso quello in cui la competenza appartenga ad un giudice di competenza inferiore), che il giudice dichiari con sentenza la propria incompetenza e trasmetta gli atti al giudice competente. La normativa e' innovatrice rispetto alla disciplina prevista dal codice abrogato, e risponde ad un principio che in dottrina si e' definito di "non retrocessione" o di "non regressione" dalla fase dibattimentale a quella precedente, realizzandosi una vera e propria perpetuatio judicii. Alla luce di questa interpretazione della norma, la richiesta del p.m. di trasmissione degli atti al suo ufficio appare priva di riscontro legislativo, in quanto attraverso questo meccanismo si svuoterebbe di significato la nuova normativa e si ridurrebbe l'innovazione ad una mera apparenza. Ma proprio perche' la norma dell'art. 23, primo comma, c.p.p., di cui si tratta, impone il non ritorno degli atti all'ufficio del p.m. nel caso di dichiarazione di incompetenza di altro giudice, e comporta l'investitura diretta del giudice identificato come competente, il tribunale si deve porre il problema se la norma, di cui si chiede l'applicazione, sia conforme o meno a Costituzione. Pare infatti non manifestamente infondato il rilievo secondo cui, in tal modo, la norma contrasterebbe con l'art. 112 della Costituzione che pone in capo al p.m., ed esclusivamente a questo organo, il potere-dovere di esercizio dell'azione penale. Il principio della perpetuatio judicii appare corrette nel caso di dichiarazione di incompetenza per territorio, in quanto l'azione penale e' gia' iniziata a carico di un determinato imputato e lo spostamento da un giudice ad altro giudice del procedimento ha come presupposto l'iniziativa dell'azione penale, esercitata formalmente da un diverso p.m., ma pur sempre esercitata. Nel caso, invece, di dichiarazione di incompetenza per materia, quanto il fatto appare nel corso di un giudizio diverso o piu' grave rispetto a quello originariamente contestato, non vi e' iniziativa da parte del p.m. ben potendo il giudice rilevare di ufficio la situazione e ordinare la trasmissione diretta degli atti al giudice di competenza superiore. Cio' facendo il giudice finisce con il divenire partecipe dell'esercizio dell'azione penale, che per Costituzione gli e' precluso. Sotto altro profilo puo' evidenziarsi come il passaggio degli atti da una sede processuale di competenza inferiore ad una sede processuale di competenza superiore, viene a privare l'imputato della possibilita' di richiedere il rito abbreviato, che poteva non avere interesse a richiedere di fronte al reato di minor peso, ed avere invece interesse a richiedere di fronte ad un reato di maggior peso (non ritualmente contestatogli). Non solo, ma in tal modo si viene a privare il processo di quel vaglio costituito dall'udienza preliminare, che e' garanzia propria del procedimento di primo grado che non si svolge dinanzi al pretore. Questi due ultimi profili, ad avviso del tribunale vengono da un lato a porsi in contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, in quanto creano una situazione di disparita' di trattamento di fronte a situazioni oggettivamente eguali, diversamente trattate sol perche' in origine la competenza per materia non era stata correttamente individuata dal p.m., dall'altro lato in contrasto con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, in quanto limitano le potenzialita' difensive, eliminando di fatto l'udienza preliminare (altrimenti necessaria) e la possibilita' di introdurre il rito alternativo del giudizio abbreviato.