IL TRIBUNALE
    Di Mastromatteo Maurizio veniva tratto in giudizio per  detenzione
 di  circa 19 grammi lordi di cocaina. L'imputato assumeva di detenere
 tale quantita' di sostanza perche' tossicodipendente. Tale condizione
 veniva  accertata  in  dibattimento  da  perizia  medico  e   chimico
 tossicologiche.   Poiche'   tale   situazione   secondo  la  costante
 giurisprudenza  della  cassazione,   non   puo'   essere   presa   in
 considerazione,   non  essendo  "modica"  la  quantita'  di  sostanza
 stupefacente detenuta (concetto che verra'  qui'  di  seguito  meglio
 specificato),  veniva  d'ufficio  proposta  eccezione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 73 in relazione agli artt. 3, 24,  27  e  32
 della Costituzione.
    In ordine a tale eccezione vanno fatte le seguenti osservazioni.
    La Corte costituzionale ha affrontato nella sentenza n. 333 del 10
 luglio  1991  il  problema  della quantificazione della pena prevista
 dall'art. 73 tulst, sottolineando come il criterio di  ragionevolezza
 fosse   salvaguardato   dalla  "modulazione  di  sanzione"  attuabile
 attraverso l'applicazione del quinto comma del suddetto articolo.  Su
 tale     argomento,     rispondendo     alle    eccezioni    motivate
 sull'anelasticita' di una previsione sanzionatoria sia  nel  caso  di
 uso personale della sostanza drogante sia nell'ipotesi di spaccio, la
 Corte ha individuato nell'attenuazione di pena di cui al quinto comma
 la  possibilita'  di  adeguare  la  sanzione  da irrogare in concreto
 tenendo conto della diversa finalita' della condotta dell'agente.  La
 valenza  di  tale  principio  e' per la Corte costituzionale tale che
 "anche se la detenzione di una  quantita'  di  sostanza  stupefacente
 eccede  in  misura  non  lieve la dgm puo' comunque essere ricondotta
 nell'ambito della incriminazione attenuata ove il giudice ritenga, in
 relazione  alle  circostanze  del  caso,  di  potere  valorizzare  la
 inequivoca destinazione al consumo personale".
    La   preminenza   di   una  indagine  in  ordine  all'attegiamento
 psicologico  dell'agente  appare  d'altra  parte  uno  dei   principi
 ispiratori  della suddetta sentenza che ha sottolineato la necessita'
 di una consapevolezza da parte dell'agente di tutti gli  elementi  di
 fatto  (compreso  quello relativo all'esatta quantita' della sostanza
 detenuta) costituenti l'ipotesi incriminatrice.
    La sentenza in questione ha portato quindi una completa inversione
 dei principi interpretativi che  hanno  ispirato  in  particolare  la
 giurisprudenza  di  legittimita' con una omogenea serie di pronuncie,
 in  cui  la  quantita'  della  sostanza  detenuta  e'  indicata  come
 "condizione  necessaria per l'ulteriore verifica di sussistenza delle
 caratteristiche inducente  a  un  giudizio  di  minore  potenzialita'
 offensiva  del  fatto".  Tale  tendenza giurisprudenziale ha avuto un
 autorevole avallo nella stentenza delle sezioni unite della Corte  di
 cassazione  del  31  marzo 1991 che ha sottolineato come il cosidetto
 criterio oggettivo ha la preminenza  sugli  elementi  soggettivi  del
 reato tanto da bloccare ogni indagine sulla finalita' dell'azione.
    Va  ricordato  inoltre  che la suddetta tendenza interpretativa ha
 irrigidito ancora di piu' l'applicazione dell'art. 73, riportando  la
 quantita'  suscettibile  di  una  ipotesi  lieve  di  reato, a quella
 considerata dalla giurisprudenza  come  modica  quantita'  in  regime
 dell'art. 72 della legge n. 685/1975.
    Si  e'  cosi' riproposto il criterio di indicizzazione del consumo
 riporato al fabbisogno di un tossicodipendente medio nel  periodo  di
 tre  giorni  (pari,  per  il  consumo  di cocaina, a gr 0,45). Il che
 significa che la detenzione di  cocaina  per  un  quantitativo  anche
 superiore  di  un solo milligrammo alla misura indicata e' sanzionata
 con l'ipotesi piu' grave dell'art. 73, anche se risultasse del  tutto
 evidente  che  la  droga  abbia  una  destinazione  esclusiva per uso
 personale.
    La  validita'  di  tale   indirizzo   giurisprudenziale   la   cui
 antiteticita'  rispetto  quello  affermato dalla Corte costituzionale
 appare evidente, e' stata dalla Corte di cassazione ribadita in altre
 decisioni che hanno in  particolare  affermato  che  "non  sussistono
 motivi per discostarsi da tale affermato orientamento di questa Corte
 nemmeno  dopo  la  sentenza  n.  333" (Corte di cassazione 9 dicembre
 1991, n. 1948).
    In tale sentenza la Corte di  cassazione  ha  specificato  che  la
 Corte  costituzionale non si e' occupata direttamente del problema in
 quanto  e'  stata  chiamata   a   pronunciarsi   sulla   legittimita'
 costituzionale dell'attuale discrimine tra illecito penale e illecito
 amministrativo,  ha  inoltre  osservato che il concetto di "misra non
 lieve" affermato dalla Corte costituzionale puo' essere ricondotto al
 principio di "modica quantita'"  i  cui  limiti  permettono  di  "non
 consentire  accumulazione  di  sostanze stupefacenti e di contrastare
 con la parcellizzazione il traffico dei narcotici".
    La  prima  posizione  non  puo'  che  trovare   questo   tribunale
 consenziente  in  quanto  in  effetti  la Corte costituzionale non ha
 avuto  modo  di  occuparsi  direttamente  della  differenzazione  tra
 l'ipotesi di cui l'art. 73, primo comma, e quella attenuata di cui al
 quinto comma, dello stesso articolo. Tuttavia, come si e' su riferito
 la   portata   dell'attenuante   ha   consentito  (insieme  ad  altre
 argomentazioni)  l'affermazione  di  "ragionevolezza"  e  quindi   un
 giudizio positivo di costituzionalita' dell'art. 73 tulst.
    La  valutazione  del  problema  in questione quindi e' stata senza
 dubbio  incidentale,  ma  ha  avuto  un  notevole  peso  sull'assetto
 complessivo  di  una  delle  norme  cardine del sistema sanzionatorio
 posto dal tulst. In effetti consegue all'argomentazione  della  Corte
 costituzionale  che  una  limitazione  alla  indagine  sui  requisiti
 soggettivi  che  consentono  l'applicabilita'  di  una  attenuazione,
 comporterebbe un principio di irragionevolezza dell'art. 73.
    Tale  limitazione  e' stata ribadita dalla Corte di cassazione che
 ha fissato nella misura indicata un parametro oggettivo  invalicabile
 in  quanto considerato di per se' stesso una prova insuperabile della
 finalita' di traffico.
    Nel caso in specie ne consegue che superando la quantita' detenuta
 dall'odierno imputato  la  misura  fissata  dalla  modica  quantita',
 determinata  dalla  sentenza  della Corte di cassazione, e' del tutto
 preclusa a questo  tribunale  ogni  indagine  in  ordine  agli  altri
 elementi soggettivi da cui poter desumere (o escludere) una finalita'
 di traffico nel comportamento dell'agente.
    Tale  situazione  ritiene questo tribunale venga a confliggere con
 il  principio  costituzionale  fissato  nella  sentenza  della  Corte
 costituzionale.
    In  questo senso il dubbio proposto da questo tribunale non appare
 manifestamente  infondato   e   va   quindi   proposto   alla   Corte
 costituzionale   il   quesito   della   legittimita'   costituzionale
 dell'art.73 tulst nei limiti  in  cui  non  preveda  l'applicabilita'
 dell'attenuante  di  cui al quinto comma anche nei casi di detenzione
 di sostanza stupefacente che  ecceda  in  misura  non  lieve  la  dmg
 qualora   in   relazione  alle  circostanze  del  caso  possa  essere
 riconosciuta la inequivoca destituzione al consumo personale.
    Il principio costituzionale violato e' quello previsto dall'art. 3
 della Costituzione quanto l'interpretazione della Cassazione viene  a
 determinare  una  disparita'  di trattamento con la previsione di una
 stessa sanzione per situazioni disomogenee  quali  lo  spaccio  e  il
 consumo  di  droga  e  in  quanto prevede una presunzione assoluta di
 spaccio, collegata alla quantita' di sostanza drogante detenuta.
    Tale presunzione appare menomare il diritto  di  difesa  in  qanto
 sarebbe  alla  stesssa  preclusa  la  possibilita'  di  proporre  una
 indagine in  ordine  all'atteggiamento  soggettivo  dell'agente,  con
 violazione del principio di cui all'art. 24 della Costituzione.
    Appaiono  inoltre violati i principi affermati dagli art. 32 della
 Costituzione  perche'  in  caso  di  detenzione  di  droga  per   uso
 personale,  la  comminazione  della  pena prevista dall'art. 73 prima
 parte impedirebbe l'applicazione  dei  provvedimenti  previsti  dalla
 stessa  legge  a  difesa  della  salute  del  consumatore. In effetti
 l'applicazione di sanzioni irrogate secondo l'ipotesi  non  attenuata
 dell'art.  73  del  testo unico comporta sia l'inapplicabilita' della
 sospensione dell'esecuzione della pena per consentire  al  condannato
 di  sottoporsi a un programma terapeutico (art. 90 del suddetto testo
 t.u.) con la conseguente impossibilita' di pervenire alla  estinzione
 del  reato (art. 93), sia il divieto di affidamento in prova previsto
 dall'art. 94.
    Questa  situazione  comporta  inoltre  la violazione del principio
 costituzionale che sancisce:  "le  pene  non  possono  consentire  in
 trattamenti  contrari  al  senso  di umanita' e alla rieducazione del
 condannato" (art. 27 della Costituzione).  Su  questo  punto,  appare
 fondato  il  dubbio  che  condannare  a  un  minimo  di  otto anni di
 reclusione una persona sulla base di una presunzione che non permette
 di tener conto della  situazione  soggettiva  e  in  particolare  non
 consente  di valutare la possibilita' di utilizzare a scopo personale
 di una quantita' di droga che e' tanto maggiore  "non  lieve"  quanto
 piu'  lo  stato  di  tossicodipendenza  e'  reale  e  grave, violi il
 principio di ponderatezza della pena al caso concreto e la  finalita'
 di  recupero  e  reinserimento  sociale,  che  non  solo  il  dettato
 costituzionale,  ma  lo  stesso  tulst  assumono  essere  uno   degli
 obiettivi del legislatore in aderenza all'orientamento internazionale
 in materia.
    La  rilevanza  della questione nel caso in specie appare del tutto
 evidente,  in  quanto   ove   si   ottemperasse   alla   impostazione
 giurisprudenziale della Corte di cassazione, si verrebbero a violare,
 secondo  questo  tribunale,  i  principi  sopra illustati. Dall'altra
 parte, come la Corte  costituzionale  ha  piu'  volte  affermato,  il
 contenuto  della  norma giuridica viene a prendere corpo in relazione
 all'impulso    che    viene    impresso     dalla     interpretazione
 giurisprudenziale. I connotati
 di costutuzionalita' della norma quindi vengono a formarsi attraverso
 le  decisioni  dei giudici. E' chiaro quindi che l'orientamento privo
 di una qualsiasi problematicita'  da  parte  della  giurispudenza  di
 legittimita',    l'autorevolezza    dell'orgnao   da   cui   proviene
 l'interpretazione giurisprudenziale su  citata  e  il  gia'  rilevato
 consolidarsi  della  tendenza interpretativa anche in data successiva
 alla sentenza della Corte costituzionale,  verrebbero  a  creare  dei
 forti  condizionamenti  nel  caso  in  specie ove si ritenesse di non
 ottemperare ai  principi  sanciti  dalla  giurisprudenza  su  citata.
 Poiche'  tali  condizionamenti incidono sull'applicabilita' in chiave
 costituzionale della norma, si impone una soluzione piu' precisa  nel
 caso  in specie con un ricorso alla Corte costituzionale, richiedendo
 che la stessa si pronunci in termini definitivi su una  questione  in
 cui  appare  concreto  il rischio di un irrobustimento di una lettura
 della norma in chiave incostituzionale. In tali sensi la questione va
 proposta all'attenzione della Corte costituzionale.