IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Letti  tutti  gli  atti  di  causa,  premesso e considerato quanto
 segue.
    1. - In data 27 novembre 1990, tale M. P. V. D. H.,
 residente  in  Massa,  depositava  atto  di querela nei confronti del
 dott. R. B., per il reato di lesioni.
    Ad esito delle indagini preliminari, in data 22  maggio  1991,  il
 p.m.  in sede formulava richiesta di archiviazione per l'infondatezza
 della notizia di reato.
    Il giudice ritiene che l'art. 508 del c.p.p. del 1988,  richiamato
 dall'art.  554  dello  stesso  codice  non  sia  conforme ai principi
 costituzionali di cui all'art. 3 della Costituzione, nella  parte  in
 cui  non  obbliga  il  giudice  a pronunziare condanna alle spese del
 querelante nei casi di archiviazione per infondatezza  della  notizia
 di reato.
    2. - In punto di rilevanza, si osserva quanto segue.
    2-  a). La persona offesa ha proposto rituale e tempestivo atto di
 querela, esponendo: di essersi sottoposta alle cure del dott. R.
 B., il quale, nel  mese  di  agosto  dell'anno  1990,  l'aveva
 sottoposta  ad  una  serie  di  trattamenti  al  volto consistenti in
 iniezioni sottocutanee di collagene;
      che, dopo circa un mese dall'ultimo trattamento, verso  la  fine
 del  mese  di  settembre  avevano  cominciato a manifestarsi le prime
 cisti  in  corrispondenza  delle  zone  della  faccia  sottoposte   a
 trattamento con il collagene (intorno agli occhi e alla bocca), cisti
 che   erano   rapidamente   aumentate  di  numero,  determinando  una
 deturpazione del volto;
      che, decisamente allarmata dall'insorgenza  delle  cisti  ed  al
 conseguente  danno  estetico  al  volto,  essa  era tornata dal dott.
 B., che aveva iniziato a curarla con cortisonici;
      che, dopo oltre un mese di cura, verso  la  meta'  di  novembre,
 posto che non si notava alcun miglioramento, il dott. B. aveva
 proposto  di  passare  a  cure  piu' drastiche, ovverosia intervenire
 chirurgicamente sulle cisti insorte;
      che la donna, profondamente turbata per  l'aspetto  del  proprio
 volto,  dovuto al manifestarsi delle cisti tutto intorno agli occhi e
 alla bocca, e preoccupata di  sottoporsi  alle  cure  piu'  drastiche
 suggerite  dal  dott.  B.,  aveva  deciso di rivolgersi ad uno
 specialista dermatologo, il quale, dopo averla visitata, in  data  17
 novembre 1990, aveva diagnosticato la presenza di "lesioni nodulari a
 tipo  granuloma  da corpo estraneo in regione periorbitale bilaterale
 molto piu' accentuate  a  sinistra"  (veniva  allegata  alla  querela
 documentazione medica);
      che  l'esponente,  al momento della presentazione della querela,
 era ancora in cura dermatologica, essendo ancora  presenti  le  cisti
 manifestatesi a seguito del trattamento con il collagene;
      che  la  malattia  ancora  affliggeva  la  donna,  con  evidenti
 implicazioni negative sia sul piano  psicologico  personale,  che  su
 quello della vita sociale, stante l'aspetto deturpato del volto.
    2-b).  -  Visto  il  contenuto della querela, il procuratore della
 Repubblica in sede dava corso alle indagini  preliminari,  conferendo
 incarico  ad  un consulente tecnico, il quale, ad esito dell'incarico
 ricevuto, ha concluso per l'insussistenza di una malattia  dipendente
 dall'operato del dott. B..
    Infatti,  il  consulente  del p.m., nella sua relazione in data 23
 febbraio 1991, ha riferito:
      che il trattamento estetico richiesto dalla querelante era stato
 praticato con iniezioni di collagene bovino  purificato  sterile  per
 impianti intradermici, in regolare commercio;
      che  era  stato  eseguito  un test intradermico sull'avambraccio
 destro al fine di accertare eventuali reazioni allergiche;
      che non si era verificata alcuna reazione  allergica,  per  cui,
 dopo  una settimana circa, erano iniziate le infiltrazioni nella zona
 periboccale e nella glabella;
      che, nei giorni successivi, era seguita  una  reazione  di  tipo
 edematoso   della   glabella,  trattato  con  una  crema  cortisonica
 (Legederm);
      che, in tale sede  non  erano  state  piu'  eseguite  successive
 infiltrazioni;
      che  erano  state  eseguite  infiltrazioni nella seconda e terza
 seduta, che  erano  avvenute  con  cadenza  settimanale,  nella  zona
 periboccale ed anche nel mento;
      che,  nell'ultima  seduta,  la  quarta, effettuata intorno al 10
 settembre 1990 circa, erano state eseguite infiltrazioni nelle  rughe
 perioculari   e   nelle   palpebre  inferiori,  (da  venti  a  trenta
 infiltrazioni);
      che  la  persona  offesa ha riferito al c.t., che durante e dopo
 tale trattamento, si era esposta al  sole  ed  aveva  sempre  portato
 occhiali protettivi;
      che,  alla  fine  di  settembre  si  era manifestato un notevole
 rigonfiamento delle  palpebre  inferiori  e  delle  zone  perioculari
 lateralmente  e  si  apprezzavano palpatoriamente delle formazioni di
 tipo "cistico" ai lati degli occhi e nelle palpebre inferiori;
      che,  nei  mesi  successivi   continuava   a   manifestarsi   il
 rigonfiamento  delle  palpebre  con fasi alterne di riacutizzazione e
 remissione, trattate sempre con Lyederm crema;
      che, nel mese di  ottobre,  consultato  uno  specialista,  aveva
 assunto antistaminici, cortisone e antiflogistici;
      che,  dopo  altri  quindici  giorni  aveva  consultato  un altro
 specialista, che le aveva fatto delle fotografie e le aveva detto che
 sembrava fosse stato usato il silicone.
    Circa la situazione del volto della persona offesa, il  consulente
 ha riferito:
      che, alle ispezioni del volto, si nota un lieve arrossamento per
 un  piccolo  tratto  di circa un centimetro delle palpebre inferiori,
 che non si presentano tumefatte e sono morfologicamente normali;
      che non si nota nulla nelle zone periboccali e nel mento;
      che non si nota nulla nella glabella;
      che,  alla  palpazione,  si  apprezza  una  piccola   formazione
 nodulare  ai  lati di entrambi gli occhi delle dimensioni di un grano
 di miglio o poco piu' e soprattutto  due  formazioni  nodulari  nelle
 regioni palpebrali inferiori di forma allungata in senso orizzontale,
 delle dimensioni di circa un centimetro e dello spessore di circa tre
 mm, con lieve arrossamento della cute sovrastante, senza edema;
      che  tali  formazioni  sono  di  consistenza dura e sono situate
 nell'ipoderma;
      che non si nota nulla alla palpazione della glabella e del mento
 e della zona periboccale.
    La sig.a M. P. V. D. H. ha riferito al consulente  che
 tali  formazioni  nodulari  erano  attualmente ridotte del 60% circa,
 rispetto al volume  iniziale  dopo  le  infiltrazioni.  Terminata  la
 discussione  del caso, il c.t. ha emesso il parere che qui di seguito
 viene integralmente riportato.
    "Parere  medico  legale:  sulla  scorta  dei  dati  anamnestici  e
 dell'esame  obiettico,  ritengo che le infiltrazioni con il collagene
 sono state eseguite correttamente nella zona periorale, nel  mento  e
 nella  glabella;  mentre  nella  zona perioculare e soprattutto nelle
 palpabre inferiori, dove la cute e' piu'  sottile,  il  collagene  ha
 superato  il derma accumulandosi nell'ipoderma in quantita' eccessiva
 per cui le formazioni nodulari che si apprezzano alla palpazione  non
 sono  altro  che  accumuli di collagene piu' infiltrazioni di cellule
 mononucleari. Ora, visto che  il  collagene  iniettato  non  ha  dato
 reazioni  di  ipersensibilita'  al  test  intradermico eseguito prima
 delle sedute, dato che si  possono  avere  reazioni  nei  trattamenti
 successivi con eritema, indurimento e prurito, che tali reazioni sono
 molto variabili nel tempo (con durata media di quattro mesi), dopo di
 che  il collagene e' degradato dall'organismo, il problema e' solo di
 ordine estetico e
 percio' il paziente deve essere avvertito ed aiutato a mascherare  la
 reazione  fino  a  quando  il  collagene  e' riassorbito. Pertanto le
 reazioni nelle zone di infiltrazioni si  possono  verificare,  ma  e'
 pure  innegabile  che  nelle  palpebre  inferiori tale reazione possa
 essere  stata  superiore  alla norma per la tecnica non corretta e la
 eccessiva quantita' di collagene usato. Ritengo che  tali  formazioni
 nodulari, gia' ridotte peraltro del 60%, siano destinate a scomparire
 completamente  nei  mesi  successivi  venendo  riassorbite da cellule
 mononucleari macrofagi e  linfociti,  deputate  alla  fagocitosi  del
 collagene.
    In  conclusione,  il  danno e' stato limitato alle zone palpebrali
 inferiori  dovute  alla  forse  eccessiva  quantita'   di   collagene
 iniettato troppo profondamente e tale danno, gia' molto diminuito, e'
 destinato a scomparire nei mesi successivi.
    Escludo  che  sia stato usato silicone in quanto non sarebbe stato
 riassorbito e le formazioni nodulari non sarebbero diminuite di  vol-
 ume".
    2-c).  -  Ad esito delle indagini, il p.m. formulava una richiesta
 di archiviazione, con la  seguente  motivazione:  "Ritenuto  che  nei
 fatti  esposti  non  siano  ravvisabili,  alla  luce della consulenza
 tecnica esperita, estremi di reato per  le  seguenti  considerazioni:
 gli inconvenienti lamentati dalla querelante non possono qualificarsi
 come  lesioni in senso proprio, essendo limitate a complicanze il cui
 rischio  e'  connesso  all'intervento  medico  attuato  ed   il   cui
 verificarsi,  nei  limiti  riscontrati  in  perizia,  non  inficia la
 correttezza tecnica dell'intervento stesso.
    Si e' trattato, quindi, di un danno estetico valutabile sul  piano
 civilistico  sotto  il  profilo risarcitorio, ma non riconducibile ad
 una colpa professionale dell'operatore, non avendo superato i  limiti
 di rischio comunemente accettati in ogni intervento medico chirurgo".
    2-d). - Ad avviso del giudice, la richiesta del p.m. e' certamente
 da condividersi.
    Invero,  perche'  si  possa ritenere integrato il reato di lesioni
 deve  riscontrarsi  una  vera  e  propria   malattia,   intesa   come
 alterazione  dello  stato  di salute dell'offeso. Nel caso di specie,
 l'alterazione dello  stato  di  salute,  se  c'e'  stata,  e'  quella
 normalmente  riferibile ad un intervento del tipo di quello richiesto
 dalla paziente, la quale ha evidentemente proposto la querela perche'
 scontenta  della  riuscita  del   trattamento   estetico   richiesto.
 Peraltro,  dalla relazione del c.t., che sembra fondata su dati certi
 ed obbiettivi ed immune da  vizi  logici,  si  evince  che  non  puo'
 sostenersi  neppure  che  il  trattamento  estetico richiesto non sia
 riuscito appieno; ma si evince,  piuttosto,  che,  pur  dopo  qualche
 correttivo  farmacologico,  il trattamento e' riuscito con un decorso
 maggiore di quanto non si pensasse  al  momento  dell'intervento  del
 dott. B..
    Gli  elementi  acquisiti alle indagini si presentano, quindi, come
 assolutamente inidonei a  sostenere  un'accusa  in  giudizio.  In  un
 eventuale   successivo   giudizio   e',   infatti,   assai  probabile
 l'assoluzione purche' il fatto non sussiste.
    3. - A  questo  punto,  il  giudice  osserva  che,  per  principio
 generale,  chi  abbia  proposto  una  querela  infondata, deve essere
 condannato al pagamento  delle  spese  processuali  anticipate  dallo
 Stato. Tale principio, che era gia' presente nell'impianto del codice
 abrogato,   trova,  nell'attuale  codificazione,  la  sua  traduzione
 normativa nell'art. 427, che impone, nella sentenza di  non  luogo  a
 procedere,  la  condanna  alle  spese del querelante nelle ipotesi di
 assoluzione  del querelato perche' il fatto non sussiste o l'imputato
 non la ha  commesso;  lo  stesso  codice  del  1988,  nell'art.  542,
 disciplinando    le   medesime   ipotesi   riferite   all'assoluzione
 dibattimentale  del  querelato,  opera  un  rinvio  ricettizio   alla
 disciplina di cui all'art. 427.
    Ma nulla e' disposto circa le ipotesi di assoluzione del querelato
 per la infondatezza della notizia di reato; ed, in particolare, nulla
 e' disposto circa le ipotesi di infondatezza manifesta, e cioe' circa
 le  ipotesi  di  cui,  al termine delle indagini, si sia acquisita la
 ragionevole certezza dell'insussistenza degli elementi essenziali del
 reato lamentato.
    Ne consegue che, in vicende giudiziarie  come  quella  di  specie,
 nella  quale  l'imprudente  prospettazione  dei  fatti  offerta dalla
 querelante ha determinato il p.m. a conferire un incarico tecnico che
 ha importato una spesa per l'erario, non e' possibile -  in  mancanza
 di un'espressa disposizione al riguardo - condannare la querelante al
 pagamento delle spese processuali anticipate dallo Stato.
    4.  -  Ritiene  il  giudicante  che, gli artt. 554, 408, 125 delle
 disp. att., 427 e 542 del c.p.p. del  1988,  non  siano  conformi  al
 principio  costituzionale  di  uguaglianza  nella  parte  in  cui non
 prevedono che il querelante debba essere condannato, con  il  decreto
 che  dispone  l'archiviazione,  al  pagamento  delle spese anticipate
 dallo Stato, nei casi in cui gli  elementi  giudicati  non  idonei  a
 sostenere  l'accusa  in giudizio investano la sussistenza del fatto o
 la commissione dello stesso da parte del querelato.
    L'omissione di una tale previsione, e', ad avviso del  giudicante,
 foriera di una grave disparita' di trattamento.
    Infatti,   il  proscioglimento  avvenuto  a  seguito  dell'udienza
 preliminare o addirittura a seguito del dibattimento, presuppone  che
 sia  gia'  superato  il  passaggio  logico  relativo alla prognosi di
 sostenibilita' di cui all'art. 125 delle disp.  att., del c.p.p.  Con
 la  conseguenza che, nei casi nei quali la querela si possa ritenere,
 ai fini delle determinazioni circa l'esercizio dell'azione penale, di
 una certa fondatezza, il querelante  viene  condannato  al  pagamento
 delle  spese  processuali,  quando  l'ipotesi  accusatoria  non abbia
 ricevuto il sufficiente conforto  dalle  sopravvenienze  processuali.
 Nel  caso  dell'archiviazione,  invece, che presuppone l'infondatezza
 della querela anche ai soli fini delle positive determinazioni  circa
 l'esercizio  dell'azione  penale, il querelante, la cui imprudenza si
 presenta certamente piu' grave, non e'  condannato  al  pagamento  di
 alcuna spesa.
    Tale  disparita'  di  trattamento  non  sembra  giustificata  alla
 stregua  del  parametro  della  ragionevolezza,  perche'  e'  appunto
 irragionevole   che,   a   situazioni   ugualmente   diverse  (quelle
 dell'ipotesi di proscioglimento nel corso dell'udienza preliminare  o
 di   assoluzione   dibattimentale   e  quelle  di  archiviazione  per
 infondatezza della  notizia  di  reato)  corrisponda  un  trattamento
 profondamente  differenziato;  e  senza  che cio' trovi una razionale
 giustificazione.
    Ed e' proprio sull'assenza di una razionale giustificazione che si
 appuntano le ultime considerazioni di questo  giudice.  Al  riguardo,
 va,  infatti,  osservato  che  la  mancata  previsione della quale il
 giudice  oggi  lamenta  l'illegittimita'  costituzionale  non  sembra
 giustificarsi  neppure  con  riferimento  alla particolare natura del
 decreto di archiviazione. Sono, infatti, frequentissimi i casi in cui
 il   decreto   di  archiviazione  contiene  pronunzie  accessorie  di
 condanna, come, per esempio, quella della confisca  di  cui  all'art.
 240,  secondo comma, del c.p. o quello della condanna del querelante-
 remittente al pagamento delle spese processuali ((e cio' ex art.  340
 del  c.p.p.,  che non fa distinzione alcuna circa la fase processuale
 nella quale la remissione viene fatta ed impone, quindi, la  condanna
 nel  decreto  di  archiviazione). Il condannato che, in tali ipotesi,
 abbia a dolersi del  provvedimento  puo'  ben  promuovere  contro  lo
 stesso  un  incidente  di esecuzione (Cass., II, 30 aprile 1991 (c.c.
 27 marzo 1991) n. 2237, in Mass. uff. Cass. m. 187011).