IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi nn. 786/91 e 1157/91 proposti da Usai Cecilia rappresentata e difesa dall'avv. GiovanniMaria Lauro, presso il cui studio in Cagliari, via Salaris n. 29, e' elettivamente domiciliata contro l'unita' sanitaria locale n. 20 della Sardegna in persona dell'amministratore straordinario, legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Andrea Pettinau, presso il cui studio in Cagliari, piazza Gramsci n. 18 e' elettivamente domiciliata; il presidente in carica, del comitato di gestione dell'U.S.L. n. 20 e/o l'amministratore straordinario che l'ha sostituito, non costituito in giudizio; per l'annullamento del provvedimento implicato e contenuto nella nota prot. n. 6219, datata 22 aprile 1991 a firma del presidente della U.S.L. n. 20, con cui e' stata respinta l'istanza di trattenimento in servizio della ricorrente fino al compimento del 70º anno di eta'; nonche' di tutti gli atti presupposti e conseguenziali (ric. n. 786/91); e per l'annullamento della deliberazione n. 1734, del 12 giugno 1991 del comitato di gestione della U.S.L. n. 20, con la quale e' stato disposto l'esonero dal servizio della ricorrente e il suo collocamento in quiescenza a decorrere dal 27 ottobre 1991; nonche' degli atti presupposti e conseguenziali, tra cui il provvedimento di cui alla nota prot. n. 6219, del 22 aprile 1991 a firma del presidente della U.S.L. n. 20 (ricorso n. 1157/91); Visti i ricorsi con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione della U.S.L. n. 20 in entrambi i giudizi; Visti i motivi aggiunti al ricorso n. 1157/1991, notificati in data 27 e 28 novembre 1991; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Udito alla pubblica udienza del 25 marzo 1992 il relatore dott. Marco Lensi e uditi altresi', l'avv. P. Loi, per delega dell'avv. G.M. Lauro, per la ricorrente e l'avv. A. Pettinau per l'amministrazione resistente; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: F A T T O La ricorrente, che riveste la qualifica in ruolo, di dirittore del servizio di farmacia presso la U.S.L. n. 20, poiche' al conferimento del 65º anno non avrebbe raggiunto il massimo della pensione, con istanza del 19 marzo 1991 chiese il trattenimento in servizio fino a 70 anni, ai sensi della legge 19 febbraio 1991 n. 50. Avendole il Presidente della U.S.L. n. 20 comunicato risposta negativa, la ricorrente ha impugnato la nota del 22 aprile 1991, indicata in epigrfe, col ricorso n. 786/91, per i seguenti motivi: 1) incompetenza del presidente della U.S.L., posto che ai sensi dell'art. 18 della legge regionale 16 marzo 1981, n. 13 la competenza e' del comitato di gestione, non sussistendo, altresi', le condizioni per l'applicazione dell'art. 19 della stessa legge; 2) travisamento dei fatti. Erroneamente la U.S.L. ha interpretato l'istanza della ricorrente come richiesta di applicazione del terzo comma, dell'art. 1, della legge n. 50/1991, anziche' del primo comma dello stesso articolo; 3) violazione dell'art. 1 della legge n. 50/1991, nonche' del principio di equiparazione tra farmacisti e medici di cui all'art. 39, secondo comma, della legge 12 febbraio 1968, n. 132, all'art. 1, secondo comma, del d.P.R. 27 marzo 1990, n. 130, nonche' dell'art. 25, terzo comma, lett. c), e quinto comma, della legge regionale n. 13/1981; Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge n. 50/1991 per violazione dell'art. 3 della Costituzione. Conclude per l'accoglimento del ricorso. Successivamente la ricorrente, avendo avuto notizia che con deliberazione n. 1734, in data 12 giugno 1991 del comitato di gestione della U.S.L. e' stato disposto il collocamento a riposo d'ufficio della medesima per raggiunti limiti di eta', a decorrere dal 27 ottobre 1991, ha impugnato, con ricorso n. 1157/1991, la citata deliberazione, lamentando, in primo luogo, gli stessi motivi e le stesse censure di legittimita' gia' avanzate col precedente ricorso. La ricorrente ribadisce, altresi', l'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge n. 50/1991, avanzata in subordine, sia per violazione dell'art. 3, che dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione. Conclude per l'accoglimento del ricorso. Si e' costituita la U.S.L. n. 20 in entrambi i giudizi, sostenendo l'inammissibilita' e infondatezza dei due ricorsi in esame. A seguito del deposito in giudizio da parte della U.S.L. della deliberazione n. 1734/1991, impugnata, la ricorrente ha avanzato motivi aggiunti al ricorso n. 1157/1991, notificati in data 27 e 28 novembre 1991, lamentando l'eccesso di potere per difetto e falsita' del presupposto, data l'assenza di un provvedimento esplicito sull'istanza della ricorrente di trattamento in servizio, qualora non si riconosca valore provvedimentale alla nota del presidente della U.S.L. impugnata col ricorso n. 786/1991. Si lamenta anche l'eccesso di potere per difetto o insufficienza di motivazione, se la delibera n. 1734/1991 puo' intendersi come rigetto implicito della citata istanza del 19 marzo 1991. Si ribadiscono, infine, i motivi di violazione di legge e di illegittimita' costituzionale gia' dedotti. La ricorrente conclude insistendo per l'accoglimento del ricorso. Con ordinanza n. 278 dell'8 ottobre 1991 questo tribunale ha raccolto la domanda di sospensione dell'esecuzione della delibera n. 1734 del 12 giugno 1991, impugnata con ricorso n. 1157/1991. Con successive memorie le parti hanno approfondito le proprie argomentazioni, insistendo per le contrapposte conclusioni. In particolare, la ricorrente ha approfondito e illustrato le censure di illegittimita' costituzionale delle norme di cui alla legge 19 febbraio 1991, n. 50, per violazione degli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione. Alla pubblica udienza del 25 marzo 1992, su richiesta delle parti, entrambe le cause sono state trattenute in decisione. D I R I T T O Occorre, in primo luogo, disporre la riunione dei ricorsi in esame stante l'evidente connessione oggettiva e soggettiva. Ritiene il collegio, che, ai fini della decisione delle cause in esame, rilievo decisivo ed assorbente debba essere riconosciuto alla disciplina normativa dettato in materia dell'art. 53 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 e dall'art. 1 della legge 19 febbraio 1991, n. 50. Si osserva, altresi', che la citata legge 19 febbraio 1991, n. 50, recando espresse disposizioni sul collocamento a riposo di certo personale sanitario dipendente, ha indirettamente confermato l'esclusione della categoria da pregresse normative di analogo contenuto afferenti a diversi rami del pubblico impiego. Ne consegue che, a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 50/1991, ogni questione e rilievo di ingiusto trattamento nei confronti del restante personale sanitario apicale, escluso dai benefici riservati ai soli primari di ruolo, deve essere ora trasposto, esaminato e definito all'interno e alla luce delle menzionate disposizioni di cui alla legge n. 50/1991. Il primo comma dell'art. 1 statuisce che "I primari ospedalieri di ruolo che non abbiano raggiunto il numero di anni di servizio effettivo necessario per conseguire il massimo della funzione possono chiedere di essere trattenuti in servizio fino al raggiungimento di tale anzianita' e, comunque, non oltre il settantesimo anno di eta'", mentre l'art. 3, primo comma, delimita l'applicabilita' dei benefici in questione " ... ai primari ospedalieri di ruolo non collocati a riposo alla data di entrata in vigore della presente legge" (20 febbraio 1991). Premesso che, stante la formulazione delle norme citate, non appare consentita un'interpretazione estensiva delle stesse in favore di un dipendente che, pur ricompreso nel ruolo sanitario, non riveste la qualifica di primario ospedaliero di ruolo (espressamente indicata dalla norma), non essendo, altresi', incluso nel profilo professionale di cui alla tabella A medici, bensi' in quello alla tabella B farmacisti, di cui al d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, deve, quindi, ritenersi che le citate disposizioni non consentano utilita' specifiche nella sfera giuridica della ricorrente, riferendosi ai soli primari ospedalieri di ruolo, con esclusione, pertanto, degli altri medici di vertice e delle residue figure sanitarie apicali (in specie, farmacista dirigente). Il collegio, tuttavia, sospetta circa la conformta' alla Costituzione di dette norme, nella parte in cui il beneficio del massimo pensionabile a mezzo di mantenimento in servizio oltre i sessantacinque e non oltre i settanta anni di eta' viene limitato ai soli primari, con esclusione di alcune delle restanti figure sanitarie apicali e, avuto riguardo al caso di specie, in particolare del farmacista dirigente. La violazione sospettata riguarda l'art. 3 della Costituzione. In primo luogo, deve ritenersi rilevante ai fini del giudizio, la menzionata questione di legittimita' costituzionale, posto che la ricorrente non ha raggiunto il numero di anni di servizio effettivo necessario per conseguire il massimo della pensione, non puo' godere, altresi', del beneficio del trattenimento in servizio ai sensi del terzo comma dell'art. 1 della legge n. 50/1991, ne' tale beneficio puo' esserle riconosciuto in via di mera interpretazione estensiva ne' del primo comma dell'art. 1 stessa legge n. 50/1991, ne' di altre normative di analogo contenuto afferenti a diversi rami del pubblico impiego, per come sopra evidenziato. Cio' premesso, il collegio ritiene necessario procedere ad alcune precisazioni in ordine alla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale della norma sopra riportata per possibile violazione dell'art. 3 della Costituzione. E' noto al collegio che anche recentemente (ordinanza n. 193 del 13-22 aprile 1992) la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 3 della legge 19 febbraio 1991, n. 50, in riferimento agli artt. 3, 4, 38, secondo comma, 51, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, sollevate dal T.A.R. Calabria - Catanzaro e dal T.A.R. Puglia - Lecce, con riferimento al mantenimento in servizio rispettivamente di un dirigente sanitario e di un veterinario dirigente. La Corte, richiamando le considerazioni gia' svolte per analoga questione nella sentenza n. 440/1991, ha ribadito il principio per cui, nel vigente quadro di riferimento normativo, non e' configurabile una regola generale, per tutti i pubblici dipendenti, di collocamento a riposo oltre il limite del sessantacinquesimo anno per il conseguimento del massimo trattamento pensionistico, ma solo la sussistenza di deroghe a favore di determinate categorie, disposte dal legislatore in virtu' di discrezionale apprezzamento delle ragioni varie e diverse che di volta in volta si presentano per ciascuna di esse. In ossequio ai menzionati principi espressi dalla Corte costituzionale, deve ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle norme in questione (artt. 1 e 3 della legge n. 50/1991) per violazione dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione, pure avanzata dalla ricorrente nei ricorsi in esame, ritenendo, altresi, la manifesta infondatezza della medesima questione in riferimento all'art. 97, primo comma, della Costituzione, in assenza di argomentazioni ulteriori e diverse da quelle prospettate dai citati tribunali amministrativi e disattese dalla Corte costituzionale. Per quanto attiene, invece, alla possibile violazione da parte delle norme in questione dell'art. 3 della Costituzione, ritiene il collegio che sussistano dei profili di possibile disparita' di trattamento finora non esplicitamente evidenziati e considerati. Premesso, infatti, che e' demandata al discrezionale apprezzamento del legislatore la possibilita' di disporre deroghe alla regola generale del collocamento a riposo al sessantacinquesimo anno di eta' in favore di determinate categorie, per cui una diversa categoria non puo' lamentare alcuna disparita' di trattamento al riguardo, stante il menzionato discrezionale apprezzamento del legislatore delle ragioni varie e diverse che di volta in volta si presentano per ciascuna categoria al fine di disporre o meno la deroga in questione, occorre - tuttavia - considerare che fino all'entrata in vigore della legge n. 50/1991 il legislatore ha considerato e disciplinato unitariamente, ai fini delle deroghe del collocamento a riposo di cui all'art. 6 della legge 10 maggio 1964, n. 336, confermate dall'art. 5 del d.-l. 2 luglio 1982, n. 402, convertito in legge 3 settembre 1982, n. 627 "i sovraintendenti sanitari, i direttori sanitari, i direttori di farmacia e i primari", considerandoli, quindi, a tali specifici fini, sostanzialmente un'unica categoria, per cui, sotto i menzionati profili, appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 3 della legge n. 50/1991, per possibile violazione dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della disparita' di trattamento per la mancata estensione della deroga in questione anche agli altri soggetti (sovrintendenti sanitari, direttori sanitari e direttori di farmacia) che, fino ad oggi, sono stati beneficiari - assieme ai primari - di analoghe deroghe nel collocamento a riposo, essendo stati tutti quanti considerati e disciplinati unitariamente, a tali fini, dal legislatore. In tale prospettiva, puo' essere utile ricordare che la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 134 del 4-9 gennaio 1986, nell'esaminare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6 della legge n. 336/1964 e dell'art. 5 del d.-l. n. 402/1982 nella parte in cui tali norme non hanno esteso il beneficio del pensionamento a settanta anni di eta' ai sanitari divenuti primari dopo l'entrata in vigore della legge n. 336/1964, ma gia' di ruolo anteriormente, ha precisato che, poiche', l'art. 6 della legge n. 336/1964, richiamato in vigore dall'art. 5 del d.-l. n. 402/1982, non riguarda soltanto i primari, ma anche i sovrintendenti sanitari, i direttori sanitari ed i direttori di farmacia "la deroga invocata dagli allora ricorrenti (primari) non potrebbe non estendersi anche agli altri soggetti sopramenzionati". Considerato, pertanto, che il complesso normativo in questione, costituito dall'art. 6 della legge 10 maggio 1964, n. 336, dell'art. 5 del d.-l. 2 luglio 1982, n. 402, convertito in legge 3 settembre 1982, n. 627, nonche' dell'art. 66 della legge 12 febbraio 1968, n. 132, ha preso in considerazione unitariamente sia i primari che i sovrintendenti, direttori sanitari ed i farmacisti dirigenti ai fini delle deroghe del collocamento a riposo ivi previste, non appare in alcun modo comprensibile su quale ratio correlata a specifiche e peculiari esigenze da soddisfare per singole qualifiche, in precedenza accomunate, si fondi la limitazione della nuova deroga legislativa contenuta nella legge n. 50/1991 ai soli primari ospedalieri. Ben potrebbe ritenersi, quindi, che quest'ultima legge abbia irragionevolmente discriminato una figura dalle altre nell'ambito di una medesima categoria (i menzionati apicali del ruolo sanitario degli enti ospedalieri) che in passato, e fino a tale data, era stata sempre considerata in maniera unitaria ai fini che interessano. Ne', si sottolinea, nel caso di specie, si controverte in ordine alla mancata estensione delle norme derogatorie in questione in favore di altre categorie, bensi', in ordine alla limitazione, nell'ambito della medesima categoria cosi' come in precedenza considerata (articolata in piu' figure professionali), ad una sola specifica qualifica di un piu' ampio ma analogo beneficio ad altro a suo tempo concesso in via transitoria al personale in servizio ad una certa data (elevazione del limita di eta' ad anni 70) beneficio quest'ultimo espressamente mantenuto fermo dalla stessa legge n. 50/1991 che espressamente al terzo comma dell'art. 1 fa salvo il diritto al trattenimento in servizio fino al settantesimo anno di eta', acquisito ai sensi dell'art. 6 della legge 10 maggio 1964, n. 336, e del d.-l. 2 luglio 1982, n. 402, convertito con modificazioni nella legge 3 settembre 1982, n. 627. Sussistendo, quindi, a giudizio del collegio, la rilevanza e non manifesta infondatezza della prospettata questione di legittimita' costituzionale, deve essere disposta la sospensione dei presenti giudizi e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ricorrendone i presupposti normativi.