LA CORTE D'APPELLO Ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale contro Casti Francesco, in atti generalizzato imputato di falso per soppressione continuato, come in atti. Casti Francesco venne sorpreso la notte del 21 maggio 1990 mentre tentava di introdursi nei locali della pretura di Decimomannu facendo uso di un mattone per rompere il vetro di una finestra dello stabile ed in detta circostanza venne trovato in possesso di una scatola di fiammiferi che portava con se senza alcun apparente ragionevole motivo. Per tale fatto il Casti venne tratto in arresto nella flagranza dei reati di tentato danneggiamento aggravato e tentato furto aggravato e nel corso di interrogatorio reso al Procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di Cagliari lo stesso 21 maggio, secondo quanto precisato all'odierna udienza dal Procuratore Generale, dichiaro' di essere nottetempo entrato altre due volte nei locali della predetta pretura dando fuoco e del materiale cartaceo e di avere avuto la medesima intenzione anche nel frangente in cui era stato sorpreso dalla polizia giudiziaria. In conseguenza di tali dichiarazioni vennero svolte delle indagini preliminari da pare del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Cagliari riguardo alla distruzione di materiale cartaceo, realizzata appiccandovi fuoco, verificatasi nella pretura di Decimomannu in piu' circostanze a fare data dal 5 novembre 1989, fatti per i quali si procedeva all'epoca contro ignoti. Il Casti nel frattempo venne tratto a giudizio innanzi al pretore di Cagliari per rispondere dei reati di danneggiamento aggravato e di tentato furto aggravato ed in quella sede patteggio' la pena ai sensi dell'art. 444 del c.p.p. (sentenza 2 luglio 1991). Tratto a giudizio innanzi al tribunale per rispondere di soppressione di atti pubblici commessa nella pretura di Decimomannu con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso tra la notte del 5 novembre 1989 ed il 21 maggio 1990 (artt. 81 c.p.v., 490 e 476 del c.p.) il Casti, giudicato in contumacia, con sentenza in data 20 novembre 1991 venne assolto dagli addebiti per non avere commesso il fatto. Rilevo' il tribunale come mancasse del tutto la prova della commissione dei fatti ad opera dell'imputato e come non potesse, per l'esplicita opposizione della difesa, procedersi alla acquisizione, richiesta dal p.m., del verbale di interrogazione reso dal Casti innanzi al procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di Cagliari il 21 maggio 1990 nel connesso procedimento per tentato danneggiamento aggravato e tentato furto aggravato, nel quale, secondo quanto oggi esposto dal procuratore generale, sarebbero contenute esplicite ammissioni del Casti circa la commissione dei fatti illeciti di cui al presente procedimento. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Cagliari ha proposto appello avverso la sentenza ed avverso l'ordinanza che rigettava la richiesta di acquisizione del predetto verbale sostenendo che anche in presenza di opposizione della difesa era consentita, ai sensi dell'art. 513.1 del c.p.p., l'acquisizione di quel verbale. Il procuratore generale nel corso del presente giudizio di appello ha nuovamente sollecitato l'acquisizione di detto verbale, previa rinnovazione del dibattimento. Il difensore si e' opposto. TUTTO CIO' PREMESSO Ritiene la Corte che anche dopo le modifiche al c.p.p. intervenute col d.-l. 6 giugno 1992, n. 305, non sia consentita nel giudizio l'acquisizione dei verbali degli interrogatori resi innanzi al p.m. dall'imputato in un procedimento connesso e che, in riferimento alla mancata previsione di una tale possibilita', debba d'ufficio sollevarsi, per la sua rilevanza e non manifesta infondatezza, questione di legittimita' costituzionale degli artt. 238 e 513 del c.p.p. nella parte in cui non consentono l'acquisizione prima e la lettura poi di detti verbali per violazione dell'art. 3 della Costituzione. Invero l'art. 238 del c.p.p. nella formulazione derivata dal d.-l. 6 giugno 1992, n. 305, consente l'acquisizione di verbali di prove di altro procedimento penale solo se si tratta di prove assunte nell'incidente probatorio o nel giudizio ovvero di verbali di cui e' stata data lettura nello stesso. Inoltre il quarto comma dello stesso articolo, nella sua nuova formulazione, non consente piu', come invece in precedenza, la utilizzabilita' di prove assunte in altro procedimento penale e di- verse da quelle di cui al primo comma, ai fini delle contestazioni ai sensi degli artt. 500.3 e 503 del c.p.p. D'altro canto l'art. 513 del c.p.p. mentre consente, al primo comma, la lettura delle dichiarazioni rese dall'imputato contumace nel corso dello stesso procedimento, nonche', al secondo comma, la lettura delle dichiarazioni rese da persona imputata in un procedimento connesso nei confronti della quale si sia proceduto separatamente, qualora detta persona si avvalga nel giudizio della facolta' di non rispondere, non prevede invece la possibilita' di dare lettura anche delle dichiarazioni rese dallo stesso imputato in un procedimento connesso. Di talche' tale lettura deve ritenersi vietata ai sensi dell'art. 514 del c.p.p. Ritiene la Corte che possa ravvisarsi una irragionevole disparita' di trattamento all'interno dello stesso art. 513 del c.p.p. - e dunque una violazione dell'art. 3 della Costituzione - tra l'ipotesi di dichiarazioni rese da altra persona in procedimeno connesso (art. 210 del c.p.p.) e delle quali e' consentito dare lettura qualora detta persona si avvalga della facolta' di non rispondere e l'ipotesi di dichiarazioni rese dallo stesso imputato in procedimento connesso delle quali non e' prevista la possibilita' di dare lettura (fuor dalle ipotesi di cui all'art. 238.1 del c.p.p.), lettura che, come detto, conseguentemente deve ritenersi vietata ai sensi degli artt. 238.1 del c.p.p. e 514 del c.p.p. Irragionevolezza della disparita' di trattamento che la Corte costituzionale con la sentenza n. 254/1992 ha rilevato in relazione a dichiarazioni rese da persone imputate di reati connessi sottolineando come "in tutti i casi in cui si e' in pesenza di procedimenti che - per le relazioni esistenti tra i reati contestati - la legge qualifica connessi o collegati, e quindi potenzialmente soggetti a trattazione cumulativa, la circostanza che al simultaneus processus non si addivenga per qualsiasi causa non puo' ragionevolmente mutare il regime di leggibilita' in dibattimento delle dichiarazioni rese dagli imputati di detti procedimenti" e che questa Corte ritiene possa valere anche con riferimento alle dichiarazioni rese dallo stesso imputato nel procedimento connesso che, per ipotesi, abbia avuto una trattazione separata. Nel caso specifico, in cio' volendosi sottolineare la rilevanza della qustione, il Casti rese dichiarazioni confessorie quanto alla imputazione elevatagli nel presente giudizio in un procedimento che ebbe una trattazione separata pur ricorrendo una ipotesi di connessione ai sensi dell'art. 12, lett. b), del c.p.p. La mancata acquisizione del verbale di interrogatorio contenente tali dichiarazioni incise sulla decisione assolutoria del giudice di primo grado e l'impugnazione e' relativa all'acquisibilita' del verbale di interrogatorio in questione. Da cio' risulta evidente la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale delle norme che non consentono l'acquisibilita' e la lettura delle dichiarazioni rese dal Casti nel procedimento connesso, dichiarazioni che avrebbero un rilevante peso ai fini del giudizio (vertendo l'appello del p.m. su tale specifico punto) che non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale.