IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha pronunciato, in camera di consiglio, la seguente ordinanza nel procedimento penale iscritto al n. 5514/91 r.g.n.r. contro Spaggiari Antonella, nata a Reggio Emilia il 27 aprile 1957, ivi residente in via Ronchi n. 2/1 e Pierfederici Roberto, nato a Reggio Emilia il 4 marzo 1954, ivi residente in via Martiti di Soweto n. 3, indagati entrambi, per il reato di cui all'art. 21, terzo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319, commesso in Reggio Emilia il 18 giugno 1991. 1) Il fatto. A seguito di articolo apparso sul quotidiano locale "La Gazzetta di Reggio" del 14 maggio 1991, il pubblico ministero presso quest'ufficio disponeva indagini su episodi di inquinamento del torrente Quaresimo, denunciati nel predetto articolo sulla base di telefonate ricevute da anonimi cittadini della zona. L'esito delle indagini affidate al Corpo forestale dello Stato, in collaborazione con il locale servizo di igiene pubblica, consentiva di appurare che i ripetuti fenomeni di inquinamento del torrente erano da ricollegarsi all'attivita' di scarico di reflui provenienti dal collettore di una fogna pubblica gestita dal comune di Reggio Emilia. In particolare, il risultato delle analisi sui prelievi eseguiti dal servizio di igiene pubblica evidenziava un superamento, da parte delle acque di scarico del collettore fognario, dei limiti di accettabilita' previsti dalle tabelle A e C allegate alla legge n. 319/1976, quanto al parametro dell'azoto ammoniacale (NH 4) e, nello stesso tempo, il rispetto dei limiti massimi contemplati, per il medesimo parametro, nelle tabelle II e III allegate alla legge regionale dell'Emilia-Romagna 29 gennaio 1983, n. 7. 2) La questione di costituzionalita' sollevata dal pubblico ministero. Sulla scorta di tali risultanze di fatto, il pubblico ministero, considerato che il fatto di inquinamento verificato dalla polizia giudiziaria era sussumibile nella previsione di due distinte fattispecie sanzionatorie, una penale, prevista dall'art. 21, terzo comma, della legge n. 319/1976, e l'altra amministrativa, prevista dal combinato disposto degli artt. 9 e 11, lett. b), n. 2, prima alinea, legge regione Emilia Romagna n. 42/1986, sollevava eccezione di incostituzionalita' di queste due ultime norme legislative regionali, deducendo, quanto al solo art. 9 della legge n. 41/1986 cit., contrasto con l'art. 117 della Costituzione e, quanto ad entrambe, contrasto con l'art. 25 cpv., della Costituzione. Sul primo punto, osservava il p.m. che la legge statale n. 319/1976 poneva uno statuto generale degli scarichi di qualsiasi tipo ed origine, valevole sull'intero territorio nazionale, imperniato su due princi'pi fondamentali: il principio della necessita' dell'autorizzazione per qualsiasi tipo di scarico, fatta eccezione per gli scarichi in pubblica fognatura degli insediamenti civili e per gli scarichi gia' in essere al momento dell'entrata in vigore della legge n. 319/1976 provenienti da insediamenti civili non recapitanti in pubblica fognatura, soggetti al solo obbligo della denuncia; il principio, inoltre, della prescrizione per tutti gli scarichi dei limiti di accettabilita' previsti nelle tabelle A e C allegate alla legge statale, nell'ambito di un'unica disciplina degli scarichi da stabilirsi sull'intero territorio nazionale. In forza, dunque, di siffatta connotazione della normativa contenuta nella legge n. 319/1976, la potesta' legislativa regionale, delineata dal legislatore nell'art. 14, secondo comma, seconda parte, e nell'art. 4, primo comma, lett. a), della stessa legge statale, in riferimento alla disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature e degli insediamenti civili non recapitanti in pubbliche fognature, doveva ritenersi una potesta' integrativa e di attuazione, ai sensi dell'art. 117 cpv., della Costituzione, con l'obbligo, in particolare, per l'ente regionale di attenersi al rispetto dei due fondamentali princi'pi sopra evidenziati e, dunque, con l'obbligo di non superare i limiti di accettabilita' dei reflui indicati nelle tabelle allegate alla legge n. 319/1976, suscettibili soltanto, di mero "abbassamento" da parte del legislatore regionale. Senonche', osservava il p.m., la regione Emilia-Romagna non si era attenuta al rispetto di siffatto obbligo, poiche', con la legge regionale n. 7/1983, aveva formulato tabelle contenenti limiti di accettabilita' degli scarichi provenienti dagli insediamenti civili in netta discordanza, per alcuni parametri, tra cui l'azoto ammoniacale, con quelli stabiliti dalle tabelle statali, in quanto, rispetto a quest'ultimi, piu' permissivi. La stessa regione poi, con l'art. 9 della legge regionale n. 42/1986, aveva esteso l'obbligo del rispetto di tali limiti di accettabilita', gia' previsti per gli insediamenti civili non recapitanti in pubbliche fognature, anche agli scarichi provenienti dalle stesse pubbliche fognature, sanzionando la violazione dell'obbligo, nel successivo art. 11, n. 2, prima alinea, con sanzioni amministrative pecuniarie. Con il risultato, dunque, ad avviso del p.m., che per gli scarichi delle pubbliche fognature si era introdotta, ad opera della legislazione regionale, una normativa di maggior favore - piu' permissiva - rispetto ai limiti sanciti dal legislatore statale e si era conseguentemente esercitata una potesta' legislativa autonoma, contrariamente a quanto previsto nei richiamati artt. 14, secondo comma, e 4 della legge n. 319/1976 e, soprattutto, in palese contrasto con il secondo comma dell'art. 117 della Costituzione. Sul secondo punto, la parte pubblica, muoveva dal presupposto che, in forza del principio, enunciato dall'art. 9 della legge n. 319/1976, della necessita' del provvedimento autorizzativo per qualsiasi tipo di scarico in uno dei corpi ricettori previsti dall'art. 1, le fattispecie contravvenzionali previste dagli artt. 21 e segg. della stessa legge dovevano ritenersi reati comuni, suscettibili di essere commessi sia dai titolari di insediamenti produttivi, sia dai titolari di insediamenti civili e anche dagli enti gestori di pubbliche fognature, equiparati sul piano normativo ai secondi in virtu' del richiamo congiunto contenuto nel secondo comma dell'art. 14. Ne derivava, in particolare, che le condotte di scarico poste in essere da titolari di insediamenti civili o di pubbliche fognature recapitanti in uno degli anzidetti corpi ricettori in difetto di preventiva autorizzazione - rectius, senza la preventiva richiesta di autorizzazione - e/o in violazione dei limiti massimi di accettabilita' stabiliti dalle tabelle statali A e C dovevano essere sanzionate penalmente dall'art. 21 della legge n. 319/1976, al primo comma, nel caso di mancanza di autorizzazione allo scarico, e al terzo comma, nella ipotesi di superamento dei limiti tabellari. La richiamata legge regionale n. 42/1986, tuttavia, aveva introdotto un autonomo sistema sanzionatorio amministrativo, esteso anche agli enti gestori delle pubbliche fognature, prevedente mere sanzioni pecuniarie sia per la effettuazione di scarichi senza la richiesta di autorizzazione sia per il mancato adeguamento ai limiti di accettabilita' previsti non dalle tabelle statali, ma da quelle II e III allegate alla legge regionale n. 7/1983. Se ne doveva pertanto trarre la conclusione, secondo il p.m., che tanto l'art. 9 della legge regionale n. 42/1986, conentente la prescrizione per gli enti gestori di pubbliche fognature di adeguarsi alle tabelle regionali teste' indicate, quanto l'art. 11, lett. b), n. 2, prima alinea, prevedente sanzione amministrativa per la inosservanza dei medesimi limiti, si ponevano in insanabile contrasto con l'art. 25 cpv., della Costituzione, "interferendo con la legge n. 319/1976 in senso riduttivo dell'ambito di applicabilita' della norma statale che sanziona penalmente tutti gli scarichi eccedenti i limiti tabellari, nei rispettivi limiti e modi di applicazione (cfr. art. 21, terzo comma, della legge n. 319/1976)". 3) L'ammissibilita' della questione sollevata dal pubblico ministero. La legge della regione Emilia-Romagna 29 gennaio 1983, n. 7, modificata ed integrata dalle leggi regionali nn. 13/1984 e 42/1986, e' stata emanata in applicazione dell'art. 14 cpv., della legge n. 319/1976 e contiene la disciplina in dettaglio degli scarichi provenienti dagli insediamenti civili che recapitano in acque superficiali, sul suolo o nel sottosuolo e degli scarichi delle pubbliche fognature. Per tali scarichi la legge ha imposto, prevedendo tempi successivi di adeguamento, il rispetto di svariati parametri analoghi, nel contenuto, a quelli indicati dalle tabelle statali, ma provvisti, in alcuni casi, di limiti massimi di accettabilita' superiori a quelli contemplati da quest'ultime per i medesimi parametri. La differenza tra detti valori si riscontra, in particolare, nella tabella regionale II per i parametri del cloruro, fosforo totale, azoto ammoniacale e tensioattivi, tutti indicati in limiti piu' ampi di quelli fatti propri dalla corrispondente tabella statale C, e, nella tabella regionale III, per i parametri di BOD, fosforo totale, azoto ammoniacale e aldeidi, a loro volta tutti superiori nei limiti massimi a quanto previsto nella corrispondente tabella statale A. La legittimita' (costituzionale) di tale discordanza, e delle norme prescrittive e sanzionatorie che vi si riconnettono (e tra di esse anche le norme legislative regionali denunciate dal p.m.), deve ricollegarsi, come ben osservato dal p.m., al tipo di rapporto esistente, nella specie, tra legge regionale e legge statale e dunque alla natura giuridica da riconoscersi alla potesta' legislativa esercitata dalla regione Emilia-Romagna in tema di disciplina degli scarichi. E' noto come, nel suo insieme, il tipo "legge regionale" si differenzia dalla legge dello Stato perche', mentre quest'ultima puo' disciplinare qualsiasi oggetto che non le sia sottratto da norme costituzionali, la sfera di competenza della legge regionale e' delimitata oltre che per territorio anche per materia, potendo essa validamente disciplinare soltanto gli oggetti elencati nell'art. 117 della Costituzione, per le regioni ad autonomia ordinaria, e nei singoli statuti costituzionali, per le regioni ad autonomia speciale, sicche' si e' detto che la legge formale dello Stato e' "fonte a competenza potenzialmente generale" mentre la legge regionale e' sempre "fonte a competenza specializzata dal duplice punto di vista, spaziale e materiale". Altrettanto noto e' che esistono nell'ambito del genere legge regionale, unitario solo sotto l'aspetto formale, varie specie di leggi regionali che si ricollegano a potesta' normative diverse e per gli oggetti a ciascuna assegnati e per i limiti a ciascuna prescritti dalle norme costituzionali di competenza. Tralasciando la figura della potesta' legislativa regionale detta "primaria" o "piena", spettante alle sole regioni ad autonomia speciale, devono prendersi in considerazione, nel caso in esame, stante l'appartenenza della regione Emilia-Romagna alle regioni ad autonomia ordinaria, la potesta' legislativa c.d. "concorrente" o "ripartita" e la potesta' legislativa "di attuazione" e "di integrazione" delle leggi statali. La prima compete alle regioni ad autonomia ordinaria nelle materie elencate dall'art. 117 della Costituzione, al primo comma, ed incontra il limite di legittimita', enunciato dalla stessa disposizione costituzionale, costituito dai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato (oltre al limite di "merito", rappresentato dal divieto di contrasto con gli interessi nazionali o con quelli di altre regioni). Dunque, i principi della disciplina di ciascuna delle materie elencate nell'art. 117, primo comma, hanno la loro fonte nella legislazione dello Stato, mentre la ulteriore normazione di sviluppo e di dettaglio e' posta dalla legislazione regionale; ed e' indifferente al riguardo che i principi delle singole materie siano esplicitamente contenuti in leggi apposite, cc.dd. leggi-quadro o leggi-cornici, ovvero siano impliciti nella legislazione statale concernente le materie stesse e da questa desumibili in via di interpretazione. La seconda potesta' normativa, invece, e' quella prevista dal secondo comma dell'art. 117 della Costituzione e puo' spettare, quanto alla sola attuazione, alle regioni ad autonomia ordinaria, se ed in quanto di volta in volta conferita da singole leggi statali. Trattasi di competenza normativa che si differenzia da quella esaminata in precedenza poiche' la preesistente disciplina dettata dalle leggi dello Stato non viene sostituita da una disciplina di fonte regionale, ma continua ad avere applicazione su tutto il territorio regionale, unitamente alle norme dettate dalla Regione per dare a quelle attuazione differenziata, venendo cosi' a svolgere una funzione quasi regolamentare. Orbene, che la legislazione regionale dell'Emilia-Romagna, rappresentata dai testi legislativi richiamati in precedenza, debba ricondursi a questo secondo tipo di potesta' normativa regionale e' considerazione ormai da tempo condivisa unanimemente in dottrina e in giurisprudenza ed e' da condividersi anche in questa sede. E' certo, infatti, che la tutela delle acque superficiali e in genere dei corpi ricettori indicati dall'art. 1 della legge n. 319/1976 non rientra tra le materie oggetto della potesta' legislativa ripartita o concorrente ed elencate nel primo comma dell'art. 117 della Costituzione. Inoltre, la stessa legge n. 319/1976, com'e' noto, non si e' limitata ad introdurre principi generali in tema di inquinamento idrico, si' da richiedere successiva normativa di dettaglio, ma ha posto una disciplina articolata degli scarichi provenienti dagli insediamenti produttivi, immediatamente precettiva e valida sull'intero territorio nazionale, senza distinzioni nell'ambito regionale. Con l'art. 14, cpv., e ancor prima, con l'art. 4, lett. a), concernente la redazione dei piani di risanamento delle acque, la legge n. 319/1976 ha delegato alle regioni, sia pure in termini obiettivamente ampi ed equivoci, il potere di emanare norme per la sua attuazione, fermo restando l'obbligo delle regioni medesime di rispettare i principi fondamentali enunciati in materia dalla stessa legge statale. Correttamente, il p.m. ha individuato tali principi in quelli, sopra illustrati, della necessita' di autorizzazione per tutti i tipi di scarichi, ad eccezione degli scarichi civili in pubbliche fognature e degli scarichi civili gia' esistenti al momento dell'entrata in vigore della legge, e del rispetto da parte degli scarichi medesimi dei limiti massimi di accettabilita' stabiliti, per i diversi parametri, nelle due tabelle allegate alla legge statale. E quest'ultimo principio trova testuale consacrazione, a parere di questo Giudice, sia nell'art. 1 della legge n. 319/1976, che alla lett. a) indica quale oggetto della normativa "gli scarichi di qualsiasi tipo, pubblici e privati, diretti e indiretti, in tutte le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, sia pubbliche che private, nonche' in fognature, sul suolo e nel sottosuolo", rendendo cosi' chiaro l'intento del legislatore di dar vita ad un vero e proprio statuto generale degli scarichi di ogni genere (e sempre su tale argomento non vanno dimenticate anche le lettere d) ed e) dello stesso art. 1, che, conformemente all'obiettivo dichiarato dalla precedente lett. a), affidano allo Stato medesimo il compito di redigere un piano generale di risanamento delle acque e di provvedere, a tal fine, al rilevamento sistematico delle caratteristiche qualitative e quantitative dei corpi idrici, compiti rispetto ai quali alle regioni e' affidata - in tale ambito, ex professo - la normativa integrativa e di attuazione), sia, e soprattutto, nell'art. 9, primo e secondo comma, il quale, collocato in apertura del titolo quarto dedicato alla regolamentazione degli scarichi, precisa, in termini inequivocabili, che in tutto il territorio nazionale viene stabilita un'unica disciplina degli scarichi, basata sulla prescrizione per gli stessi dei limiti di accettabilita' previsti nelle tabelle A e C allegate alla legge ed aggiunge che "essi", cioe' i limiti di accettabilita' (cfr. i puntuali rilievi svolti in proposito in Cass. sez. un. 31 maggio 1991, Valiante), devono applicarsi "con le modalita' e i termini di cui ai successivi articoli del presente titolo". Secondo il sistema delineato dal legislatore statale, pertanto, la concreta disciplina degli scarichi degli insediamenti produttivi viene posta direttamente dalla stessa legge n. 319/1976, la quale prevede anche i termini e le modalita' di applicazione delle due tabelle ad essa allegate, mentre la disciplina degli scarichi degli insediamenti civili non recapitanti in pubbliche fognature e delle pubbliche fognature medesime viene rimessa alle Regioni, le quali, nel provvedervi con i rispettivi piani di risanamento, devono tener conto anche dei limiti massimi di accettabilita' stabiliti dalle tabelle statali, con la facolta' di introdurvi restrizioni, ma non anche di ampliarli e renderli piu' permissivi. Con le norme legislative in esame e sopra richiamate, e, in particolare, con l'art. 9 della legge regionale n. 42/1986, oltre che, prima ancora, con la legge regionale n. 7/1983, tuttavia, la regione Emilia-Romagna non ha ottemperato all'obbligo di rispettare il fondamentale principio posto dalla legge statale ed ha travalicato i limiti della delega conferitagli da quest'ultima. La legge regionale n. 7/1983, si e' detto, ha previsto, nelle tabelle II e III, per i parametri indicati in precedenza, limiti di ammissibilita' superiori rispetto a quelli sanciti, per i medesimi parametri, dalle corrispondenti tabelle statali; l'art. 9, concernente l'autorizzazione agli scarichi delle fognature esistenti, nel subordinare il rilascio dell'autorizzazione definitiva all'avvenuto adeguamento, da parte degli scarichi delle fognature pubbliche esistenti, ai limiti di accettabilita' previsti dalla legge regionale 29 gennaio 1983, n. 7, e successive modifiche (cfr. comma terzo e quarto dell'art. 9), e non anche al rispetto dei piu' restrittivi limiti statali, ha esteso a siffatti tipi di scarichi la applicabilita' delle medesime tabelle regionali e l'ha resa obbligatoria, sanzionandola con il successivo art. 11, lett. b), n. 2, prima alinea. E' fuor di dubbio pertanto che il combinato disposto delle due norme, contenenti l'una il precetto e l'altra la sanzione, rappresenti l'espressione di una disciplina legislativa degli scarichi delle pubbliche fognature perfetta e posta in essere dal legislatore regionale nell'esercizio di una competenza normativa autonoma, anziche' di mera attuazione della norma statale, la cui portata viene sostanzialmente ampliata e resa meno rigorosa, e di conseguenza integri gli estremi di una potesta' legislativa che alla regione non compete e che e' stata esercitata in violazione dell'art. 117 cpv., della Costituzione. Ma una valutazione positiva di ammissibilita' deve farsi anche per il secondo profilo di incostituzionalita' denunciato dal pubblico ministero. In forza del gia' menzionato principio di necessita' del provvedimento di autorizzazione per tutti gli scarichi, con la sola esclusione degli scarichi civili gia' esistenti al momento dell'entrata in vigore della legge e degli scarichi in pubblica fognatura, il sistema sanzionatorio penale contenuto negli artt. 21 e segg. della legge n. 319/1976 deve ora estendersi a tutti gli insediamenti, siano essi produttivi o civili, ed anche agli enti gestori di pubbliche fognature, i quali sono equiparati, sul piano della disciplina (e dunque anche delle conseguenze sanzionatorie) agli insediamenti civili dall'art. 14 cpv., della legge n. 319/1976. La questione relativa all'assoggettabilita' degli insediamenti civili alle norme penali della legge n. 319/1976 com'e' noto, e' stata a lungo dibattuta in giurisprudenza, essendosi nel passato formati due contrapposti orientamenti. Un primo indirizzo giurisprudenziale giudicava i reati previsti dagli artt. 21 e segg. della legge cit. quali reati propri dei titolari di insediamenti produttivi, ritenendo che l'obbligo di richiedere l'autorizzazione allo scarico fosse sancito solo a carico di quest'ultimi; per i titolari di insediamenti civili, gia' esistenti o di nuova costituzione, si riteneva che vigesse solo l'obbligo della denuncia dello scarico all'autorita' amministrativa oppure che l'istanza di autorizzazione allo scarico fosse gia' inclusa in quella generale di concessione edilizia rivolta alla medesima autorita'. L'orientamento di segno opposto, invece, riteneva che l'obbligo di autorizzazione valesse per gli insediamenti produttivi e anche per gli insediamenti civili, titolari di scarichi aperti dopo l'entrata in vigore della legge n. 319/1976, sicche' l'apparato sanzionatorio penale da quest'ultima predisposto doveva indifferentemente trovare applicazione per entrambe le tipologie di insediamenti. Il contrasto giurisdizionale, peraltro, e' stato di recente risolto dalla C.S., con la sentenza a sezioni unite del 31 maggio 1991, imp. Valiante, cit., la quale, muovendo da attenta e diffusa disamina delle norme contenute nella legge n. 319/1976, e facendo leva in particolare sulla - in realta', inequivocabile - dizione dell'ultimo capoverso dell'art. 9, secondo cui "Tutti gli scarichi devono essere autorizzati" e sulla formulazione del testo degli artt. 21 e segg., applicabili a "chiunque" ponga in essere le condotte illecite ivi previste, e' pervenuta alla conclusione che l'obbligo della preventiva autorizzazione allo scarico e l'obbligo del rispetto dei limiti tabellari indicati dalla legge n. 319/1976 fanno carico a tutti i titolari di insediamenti produttivi e civili, ad esclusione delle categorie piu' volte menzionate in precedenza, i quali pertanto devono essere assoggettati alle sanzioni penali comminate per l'inosservanza di siffatti obblighi. Sicche' e' attualmente pacifico che anche i titolari di insediamenti civili cc.dd. nuovi e di enti gestori di fognature pubbliche - la cui equiparazione ai primi non va mai dimenticata e trova ragionevole giustificazione, al di la' del richiamo normativo, nella considerazione che anche gli scarichi delle pubbliche fognature recapitano i propri reflui nei corpi ricettori oggetto della tutela legislativa statale - possono rendersi autori della contravvenzione di cui all'art. 21, primo comma, della legge n. 319/1976, per il caso della effettuazione di uno scarico senza avere richiesto l'autorizzazione, e di quella prevista dal terzo comma del medesimo articolo, qualora lo scarico, munito o meno di autorizzazione, non rispetti i limiti delle tabelle A e C. Ma proprio tale conclusione evidenzia la fondatezza del dedotto profilo di incostituzionalita' degli artt. 9 e 11, lett. b), n. 2, prima alinea, della legge regionale dell'Emilia-Romagna, per contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione. E' appena il caso di ricordare che "la parola legge, quando e' adoperata nell'art. 25, secondo comma, deve essere intesa nel senso di legge dello Stato. Cio' risulta dalla natura dei diritti che da esso vengono toccati, ed e' comprovato dalla portata inequivocabile che ha la stessa parola legge quando e' adoperata negli altri due commi dell'art. 25, che trattano di materie le quali attengono a diritti fondamentali di liberta' e che percio' sicuramente rientrano nella sfera di competenza dello Stato uno e indivisibile. Nel comma primo dell'art. 25 si prescrive che nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge e nel terzo comma che nessuno puo' essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge. E se si esaminano tutti gli altri articoli della Costituzione nei quali si rinvia puramente e semplicemente alla legge la disciplina dei diritti individuali e delle funzioni e potesta' degli organi costituzionali dello Stato, si vede che essi si riferiscono sempre alla legge statale. In base, adunque, ai principi generali contenuti nelle disposizioni degli artt. 3 e 5 della Costituzione e al principio specifico dettato dall'art. 25, secondo comma, si puo' affermare che la disciplina del potere punitivo resta riservata allo Stato e che e' del tutto preclusa alle regioni, sia a quelle ad ordinamento comune, sia a quelle a statuto speciale". (Corte costituzionale, n. 21/1957). Tale riserva di legge statale in materia penale, tuttavia, pare essere stata apertamente violata dalla regione Emilia-Romagna con le norme dianzi ricordate. E' indubbio, infatti, che l'avere esteso ai titolari di scarichi di pubbliche fognature l'obbligo, il solo obbligo, di adeguarsi a limiti massimi superiori a quelli previsti dalle tabelle A e C della legge n. 319/1976 - cosi' come fa il menzionato art. 9 della legge regionale n. 42/1986 - e l'avere munito tale obbligo di sanzione amministrativa - ai sensi dell'art. 11 cit. - ha comportato una restrizione, da parte della legge regionale, dell'ambito di applicazione della norma penale dello Stato e, in ispecie, dell'art. 21, terzo comma, della legge n. 319/1976. In difetto dell'intervento legislativo regionale, la condotta dell'ente gestore di pubblica fognatura che avesse scaricato reflui in acque superficiali, o in uno degli altri corpi ricettori, in difetto di autorizzazione e/o con l'inosservanza dei limiti massimi stabiliti dalla tabella C o A, ad esempio, per l'azoto ammoniacale (come successo nel caso oggetto del presente procedimento penale) avrebbe dovuto punirsi, nell'ambito territoriale dell'Emilia-Romagna, con la sanzione penale prevista dall'art. 21, terzo comma, della legge n. 319/1976; l'emanazione degli artt. 9 e 11, lett. b), n. 2, cit. invece, ha determinato una vera e propria depenalizzazione di siffatta condotta ad opera del legislatore dell'Emilia-Romagna, in spregio alla riserva di legge enunciata nell'art. 25 della Costituzione. Ne' puo', a parere del giudicante, richiamarsi in contrario il disposto dell'art. 9 cpv., della legge 24 novembre 1981, n. 689, secondo cui "quando uno stesso fatto e' punito da una disposizione penale e da una disposizione regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano che preveda una sanzione amministrativa, si applica in ogni caso la sanzione penale, salvo che quest'ultima sia applicabile solo in mancanza di altre disposizioni penali". Nel caso in esame, infatti, non ci si trova in presenza dello stesso fatto punito tanto dalla disposizione di legge regionale, con una sanzione amministrativa, quanto dalla norma penale statale, come sarebbe accaduto qualora la legge regionale avesse espressamente previsto l'inosservanza, da parte dello scarico proveniente da pubblica fognatura, di limiti tabellari analoghi a quelli contemplati dalle tabelle statali e lo avesse autonomamente sanzionato in sede amministrativa. Si tratta, al contrario, della configurazione di un fatto diverso, per l'adozione, nelle tabelle regionali, di limiti piu' permissivi, idoneo ad incidere sull'ambito di applicazione della normativa penale, riducendone l'estensione. Sicche', in seguito all'entrata in vigore della legge regionale n. 42/1986, limitatamente al territorio dell'Emilia-Romagna, i titolari degli scarichi di pubbliche fognature sono stati autorizzati ad immettere in acque superficiali - o sul suolo o nel sottosuolo - reflui superiori, per i parametri dei cloruri, fosforo totale, azoto ammoniacale, tensioattivi ed aldeidi, ai limiti massimi di accettabilita' stabiliti dalle tabelle A e C allegate alla legge n. 319/1976, conseguendo al riguardo l'immunita' dalle sanzioni penali previste, per la medesima condotta, dall'art. 21, terzo comma, di quest'ultima legge. 4) La rilevanza della medesima questione. Sulla scorta dei suesposti rilievi, appare dunque evidente la rilevanza della prospettata questione di costituzionalita' rispetto alla decisione del caso in esame. Gia' sulla base delle indagini eseguite dal Corpo forestale dello Stato, invero, e' possibile ritenere provato il fatto della immissione nelle acque superficiali del torrente Quaresimo, da parte della fognatura gestita dal comune di Reggio Emilia, di reflui superiori, quanto al parametro dell'azoto ammoniacale, al limite massimo consentito dalla tabella A della legge n. 319/1976. In particolare, nessuna censura puo' essere mossa alle modalita' di esecuzione dei prelievi sul corpo ricettore, attuati dal servizio di igiene pubblica con il metodo c.d. medio composito nell'arco di tre ore e mezzo, e neppure a quelle di effettuazione delle analisi, per le quali e' stato dato rituale avviso al titolare dello scarico, individuato nell'attuale indagato, Spaggiari Antonella, sindaco del comune di Reggio Emilia. La notizia di reato, inoltre, e' stata iscritta dal p.m. correttamente a carico della stessa Spaggiari, nella riferita qualita', sia dell'allora assessore all'ambiente, Pierfederici Roberto, essendo in tesi riferibile ad entrambi la titolarita' dello scarico de quo ed essendo, invece, riservato all'eventuale prosieguo delle indagini l'accertamento della sussistenza o meno di una ripartizione di compiti e responsabilita' tra i due indagati in ordine alla effettiva gestione della pubblica fognatura. Accertata, peraltro, in punto di fatto la esistenza degli estremi del reato contravvenzionale contemplato dall'art. 21, terzo comma, della legge n. 319/1976, la configurabilita' della fattispecie, in diritto, resta impedita dalla presenza delle gia' esaminate norme della legge regionale n. 42/1986, essendo pacifico che la quantita' di azoto ammoniacale riscontrata nei reflui della fognatura - pari a 32,9 mg/l - pur superando i limiti delle tabella A e C (fissati rispettivamente in 30 e 15 mg/l) si mantiene nel rispetto del piu' elevato limite ammesso nella tabella regionale II (50 mg/l), alla quale la stessa fognatura risulta sottoposta, avendo un carico inferiore ai 10.000 abitanti. Siffatta discordanza, dunque, puo' essere superata solo ad opera di una pronuncia di illegittimita' della Corte costituzionale che comporti caducazione delle norme di legge regionale, non potendo di certo l'autorita' giudiziaria addivenire alla semplice disapplicazione delle stesse (dfr. al riguardo Corte costituzionale n. 285/1990). Ne', del resto, potrebbe escludersi la rilevanza della questione in esame, argomentando che, in ogni caso, una eventuale declaratoria di illegittimita' delle anzidette norme legislative non consentirebbe ugualmente il promuovimento dell'azione penale nei confronti dei due inquisiti, posto che non potrebbe ravvisarsi a loro carico la sussistenza dell'elemento psicologico richiesto per la fattispecie contravvenzionale ipotizzabile nella specie. A tale obiezione puo' replicarsi ossevando, in conformita' alle argomentazioni del p.m., che un'archiviazione in tal senso richiede pur sempre la necessita' di adottare una formula presupponente la previsione come reato del fatto in esame, altrimenti esclusa dal permanere in vigore della censurata normativa regionale. E' parere dello scrivente, infatti, che il giudizio di rilevanza previsto dall'art. 23 cpv., della legge 11 marzo 1957, n. 87 - che postula, letteralmente, l'impossibilita' di definire il giudizio indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale - non debba svolgersi in termini di netta contrapposizione, in campo processuale penale, tra proscioglimento, o assoluzione, e condanna (dipendente, quest'ultima, dall'abrogazione della norma costituzionalmente illegittima), ma debba estendersi alle diverse modalita' di definizione del procedimento, comprensive anche delle diverse formule assolutorie, che si renderebbero possibili a seguito della risoluzione della stessa questione di legittimita' costituzionale. Per le suesposte ragioni, si ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 9 e 11, lett. b), n. 2, prima alinea, della legge della regione Emilia-Romagna 28 novembre 1986, n. 42, sollevata dal pubblico ministero presso quest'Ufficio in relazione agli artt. 117, secondo comma, e 25, secondo comma, della Costituzione.