IL PRETORE Sciogliendo la riserva formulata nell'udienza del 20 maggio 1992 nella causa Ruscelli contro Ente Ferrovie dello Stato, ha pronunciato la seguente ordinanza; Rilevato: che con ricorso depositato in data 28 giugno 1991 Marcello Ruscelli ha affermato di aver prestato servizio militare dal 15 giugno 1967 al 27 agosto 1968 e di essere stato successivamente assunto dall'odierno Ente Ferrovie dello Stato e conseguentemente ha chiesto che fosse accertato il proprio diritto al riconoscimento del periodo predetto ai fini dell'inquadramento economico e della progressione di carriera, secondo quanto previsto dall'art. 20 della legge 24 dicembre 1986, n. 958, il quale recita: "il periodo di servizio militare e' valido a tutti gli effetti per l'inquadramento economico e per la determinazione dell'anzianita' lavorativa ai fini del trattamento previdenziale del settore pubblico"; che il resistente Ente Ferrovie dello Stato ha contestato nel merito la domanda; che il successivo art. 7 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, ha disposto che "il servizio militare valutabile agli effetti dell'art. 20 della legge n. 958/1986 e' esclusivamente quello prestato alla data di entrata in vigore della predetta legge, nonche' quello prestato successivamente"; che conseguentemente la difesa del Ruscelli ha invocato la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale ai fini del giudizio di costituzionalita' della norma sopra richiamata per contrasto con gli artt. 3 e 52 della Costituzione; O S S E R V A 1. - Preliminare rispetto alla verifica della sussistenza dei parametri della rilevanza e della non manifesta infondatezza appare l'accertamento della portata soggettiva della norma la cui applicazione e' invocata in giudizio dal ricorrente: difatti, l'eventuale riconoscimento dell'inapplicabilita', in giudizio, dell'art. 20 della legge n. 958/1986 renderebbe evidentemente priva di qualsiasi rilievo la deliberazione circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza della norma recata dall'art. 7 della legge n. 412/1991, che circoscrive - illegittimamente, secondo la prospettazione del ricorrente - gli effetti della prima e che, pertanto, necessariamente presuppone. L'art. 20 della legge n. 958/1986 prevede che "il periodo di servizio militare e' valido a tutti gli effetti per l'inquadramento economico e per la determinazione dell'anzianita' lavorativa ai fini del trattamento previdenziale del settore pubblico". Tale risultando la lettera della legge, si prospetta il problema dell'estensione soggettiva del beneficio da esso disposto, e cio' con particolare riferimento proprio al personale dipendente dell'Ente Ferrovie dello Stato che, e' si' ente pubblico economico, ma i cui rapporti di lavoro sono, come e' noto, regolati dal diritto comune (artt. 21 e 23 della legge 17 maggio 1985, n. 210) ed affidati alla giurisdizione del giudice ordinario. Sul punto, appare innanzitutto significativa la circostanza che il legislatore ha utilizzato la locuzione "settore pubblico" in luogo di quella, certo piu' puntuale, ma al contempo piu' restrittiva, di "impiego pubblico". Poiche' si deve ritenere che la scelta letterale sottenda una corrispondente ratio, si puo' fondatamente dedurre che il riconoscimento del beneficio in questione risulti svincolato dalla qualificazione giuridica del rapporto - restando cioe' irrilevante, a questi effetti, la natura del rapporto di lavoro - e, al contrario, risulti piuttosto condizionato dalla attrazione dell'attivita' svolta in adempimento dell'obbligo lavorativo alla sfera - in senso quanto mai lato - del pubblico potere. La ratio della norma appare quella di evitare che lo svolgimento di una prestazione personale imposta dal dettato costituzionale, come il servizio militare, da un lato precluda, o renda piu' gravosa la ricerca di una occupazione, dall'altro ponga il dipendente in una condizione giuridicamente deteriore rispetto al personale che, a vario titolo (donne, militesenti) ne e' esonerato. Cio' si realizza, appunto, anche attraverso il riconoscimento del periodo di servizio militare prestato anteriormente alla costituzione del rapporto lavorativo ai fini dell'inquadramento economico iniziale e della determinazione dell'anzianita' lavorativa agli effetti previdenziali (sotto forma di contribuzione figurativa). Resta invece preclusa l'estensibilita' di tale beneficio a quegli istituti che presuppongono l'effettivo svolgimento di attivita' lavorativa, come, ad esempio, l'avanzamento in carriera. Si tratta pertanto di un'esigenza generalizzata, tendenzialmente comune sia al personale dipendente il cui rapporto di lavoro e' disciplinato dal diritto comune, sia del pubblico impiegato, il che suggerisce, sotto il profilo teleologico, di attribuire il massimo significato utile all'espressione "settore pubblico", e in ogni caso di escluderne la perfetta sovrapponibilita' con l'area di applicazione dell'impiego pubblico. 2. - Tanto premesso, si deve tuttavia cercare di definirne i confini, quantomeno con riguardo al caso di specie. Va innanzitutto osservato che una simile nozione, proprio perche' non espressa dal legislatore in termini giuridico-formali, si presta piuttosto ad essere interpretata in chiave economico-sostanziale, e puo' valere, sia pure in via di prima approssimazione, a definire quell'insieme di attivita' organizzate, economiche e non, sottoposte al controllo del pubblico potere in quanto destinate a realizzare un fine di interesse pubblico. In questi termini, a nulla rileva la configurazione pubblicistica o privatistica del soggetto, ne', tantomeno, la circostanza che il rapporto di lavoro del personale sia retto dal diritto comune o si tratti di un rapporto di pubblico impiego. Cio' che rileva, invece, e' l'esistenza di un controllo pubblico funzionale alla verifica della realizzazione dell'interesse pubblico allo svolgimento di una determinata attivita'. E tale controllo puo' svolgersi non soltanto nelle forme tradizionali (vale a dire come controllo sugli atti, sugli organi, sul personale dipendente, sui finanziamenti), ma anche in forme compatibili con la connotazione imprenditoriale o addirittura con la natura privatistica del soggetto, come ad esempio attraverso l'istituto della concessione di pubblico servizio o di costruzione di opera pubblica (in questo senso appare significativa Cass. 29 dicembre 1990, n. 12221, che ha sancito il principio della giurisdizione del giudice amministrativo su taluni atti del concessionario di opere pubbliche ancorche' questi sia un soggetto privato). Tra le attivita' appartenenti al "settore pubblico", cosi' come definito, appartiene senz'altro il servizio ferroviario, che va considerato, in forza dei suoi caratteri intrinseci, pubblico servizio in senso oggettivo (cfr. l'art. 1, secondo comma, lett. b) della legge 12 giugno 1990, n. 146, in tema di disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, che considera tale il servizio di trasporto ferroviario, nonche' l'art. 358 del c.p. a mente del quale e' da considerarsi pubblico servizio "un'attivita' disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale"). Ne', in contrario, puo' rilevare l'obiezione secondo cui, a seguito della trasformazione dell'azienda autonoma delle ferrovie dello Stato in ente pubblico economico - cosi' come e' da considerarsi per pacifica interpretazione giurisprudenziale - operata con legge n. 210/1985, l'esercizio ferroviario si sia trasformato in attivita' di gestione di carattere privatistico, regolata unicamente dalle leggi di mercato. Infatti, il mutamento della forma organizzativa della gestione in senso imprenditoriale non incide sulla qualificazione del servizio reso, che e' e resta servizio pubblico, soggetto ad un controllo pubblico inteso alla verifica dell'attuazione dell'interesse pubblico al suo concreto svolgimento; ne' comporta una privatizzazione del servizio, che si avrebbe, invece, laddove l'autorita' statale assentisse ad una dismissione vera e propria del servizio ed al suo contestuale affidamento all'impresa privata. Discende da cio' che la scelta del ricorso ad un ente pubblico economico, quale l'ente Ferrovie dello Stato, si giustifica unicamente con l'esigenza di assicurare una particolare flessibilita' gestionale ed una corrispondente autonomia economico-finanziaria alla struttura incaricata della gestione del servizio (cfr., infatti, l'art. 2093 del c.c.): in questo senso trovano verosimilmente giustificazione gli artt. 21 e 23 della legge istitutiva i quali estendono al personale dipendente la disciplina privatistica del rapporto di lavoro. Ma anche a voler tenere nel dovuto conto i predetti dati normativi, l'esame della legge n. 210/1985 rileva che, in realta', la pretesa connotazione imprenditoriale dell'ente ferrovie dello Stato e', sotto certi aspetti, piu' virtuale che reale, in quanto nel disegno organizzativo del legislatore sussistono momenti di forte dipendenza pubblicistica: basti considerare, ad esempio, l'art. 18, che prevede la possibilita' di rideterminare i c.d. obblighi di pubblico servizio; l'art. 19, che assoggetta al controllo continuativo della Corte dei conti la gestione economica dell'ente; l'art. 20 che predetermina - sottranendoli quindi al potere di autoregolamentazione dell'Ente - i criteri direttivi di organizzazione dell'Ente medesimo; l'art. 24, che estende all'Ente il patrocinio legale dell'Avvocatura dello Stato (art. 43, primo comma del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611). Dalle considerazioni che precedono si ricavano dunque elementi, sia pure indiziari, ma sufficientemente univoci per ritenere l'appartenenza dell'ente ferrovie dello Stato al "settore pubblico", quantomeno agli effetti dell'applicazione dell'art. 20 della legge n. 958/1986. 3. - Cio', d'altra parte, risolve positivamente anche il problema della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale sollevata da parte ricorrente. Difatti, l'entrata in vigore dell'art. 7 della legge n. 412/1991 incide restrittivamente sugli effetti di una norma, l'art. 20 della legge n. 958/1986, che, come si e' dimostrato, ben potrebbe essere applicabile al caso di specie, vale a dire alla domanda di riconoscimento del servizio militare prestato prima della data di assunzione da un dipendente dell'ente ferrovie dello Stato. Diversa infatti sarebbe stata l'ipotesi in cui fosse chiesto il riconoscimento del servizio prestato, ancorche' in data anteriore all'entrata in vigore della legge n. 958/1986, in costanza di rapporto, essendo questa fattispecie espressamente prevista dall'art. 95, primo e terzo comma, della legge 26 marzo 1958, n. 425, e, in termini piu' generali, dall'art. 67 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, laddove il servizio militare prestato viene computato anche ai fini della progressione in carriera. 4. - Per quanto attiene al requisito della non manifesta infondatezza, va premesso che dal coordinamento della norma citata con l'art. 20 della legge n. 958/1986, si evince che il riconoscimento del periodo di servizio militare agli effetti previsti da quest'ultima disposizione risulta limitato a quello prestato al momento della data di entrata in vigore della predetta legge (il 30 gennaio 1987) nonche' successivamente. Tale limitazione appare invero di dubbia legittimita' costituzionale sotto diversi aspetti. Innanzitutto, la restrizione della valutabilita' el periodo di servizio militare prestato anteriormente all'assunzione (poiche' altrimenti, laddove fosse stato prestato in costanza di rapporto il problema troverebbe soluzione nell'art. 95, primo e terzo comma, della legge 26 marzo 1958, n. 425) si fonda su un mero dato cronologico - la circostanza cioe' che il servizio sia stato o meno prestato prima del 30 gennaio 1987 - che appare affatto inconferente con le finalita' della norma. Dette finalita' come del resto gia' accennato, risultano quelle di consentire un piu' agevole ingresso nel mondo lavorativo a coloro che siano chiamati ope legis a svolgere un servizio di carattere obbligatorio, attraverso il riconoscimento del periodo di servizio agli effetti dell'inquadramento economico iniziale e delle prestazioni previdenziali. Il riconoscimento di un simile beneficio resta invero una scelta di politica legislativa, e quindi discrezionale; tanto premesso, si deve tuttavia ritenere che, una volta stabilito il principio, la norma tenda ad una sostanziale parificazione della situazione giuridica di coloro che hanno prestato il servizio militare a quelli che ne sono, a diverso titolo, esonerati, e non, certo, ad operare discriminazioni tra coloro che appartengono alla stessa categoria tutelata. Ne', d'altronde, puo' affermarsi che il mero referente cronologico costituisca elemento qualificante tale da giustificare una differente disciplina, agli effetti che qui si considerano, del periodo di servizio militare. D'altra parte, non puo' neppure essere accolta la tesi, fatta propria dall'ente resistente, secondo cui il preteso riconoscimento del periodo di servizio militare prestato anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 958/1986 finirebbe per attribuire a quest'ultima natura retroattiva, in contrasto con l'art. 11 delle disp. prel. del cod. civ. In realta' va chiarito che si tratta di una retroattivita' soltanto apparente. Difatti, il legislatore si e' limitato a disciplinare, per l'avvenire, una situazione giuridica che trova in un evento anteriore soltanto il mero presupposto di fatto, per cui la concessione del beneficio - vale a dire l'esplicazione degli effetti della norma - e' estesa unicamente a coloro che, legittimati, ne abbiano fatto domanda successivamente all'entrata in vigore della legge, non prima. In questo senso si e' espresso, tra l'altro, il giudice contabile (Corte dei conti, sez. controllo, 29 dicembre 1988, n. 2049). D'altra parte appare inconferente anche il richiamo alla natura interpretativa dell'art. 7 della legge n. 412/1990, del resto espressamente affermata dall'ultimo comma della disposizione citata. Prescindendo infatti dalla considerazione che l'espressione usata dal legislatore non sempre vincola l'interprete, il quale deve procedere ad un'attenta verifica in concreto, si deve comunque escludere che la norma dia un'interpretazione autentica dell'art. 20 della legge n. 958/1986, dal momento che quest'ultimo opera un generico riferimento all'istituto del servizio militare, senza altra qualificazione, mentre, all'opposto, la prima, ne circoscrive gli effetti facendoli discendere da un presupposto che essa stessa individua. Tano basta, si deve ritenere, a far seriamente dubitare della natura interpretativa dell'art. 7. D'altra parte, non e' certo possibile ritenere che il servizio militare disciplinato dalla legge n. 958/1986 sia qualcosa di ontologicamente diverso da quello disciplinato dal d.P.R. 14 febbraio 1967, n. 237, e tale quindi da giustificare eventualmente una diversa incidenza sotto il profilo retributivo-previdenziale. Trattandosi dunque di una disposizione di legge che inroduce una disparita' di trattamento irragionevole tra soggetti che si trovano in una medesima situazione di fatto - l'avere cioe' svolto, prima della costituzione del rapporto lavorativo con un soggetto facente parte del "settore pubblico" e prima del 30 gennaio 1987 - si profila una possibile violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione. 5. - La disposizione in esame sembra inoltre in contrasto con l'art. 52 della Costituzione, che, qualificando la difesa della Patria come "sacro dovere", esclude, al suo secondo comma, che l'adempimento possa pregiudicare la posizione del cittadino lavoratore che adempia tali obblighi. E' ben vero che la valutazione del servizio militare che qui si invoca e' comunque quella inerente ad una prestazione resa prima della costituzione del rapporto (per cui, a stretto rigore, non potrebbe dirsi pregiudicare la "posizione di lavoro" del cittadino). Tuttavia non si puo' fare a meno di osservare che il riconoscimento o meno del servizio militare prestato incide sulla estensione applicativa di istituti, quali ad esempio l'inquadramento economico iniziale e l'anzianita' lavorativa ai fini del trattamento previdenziale, che costituiscono aspetti decisivi nella conformazione del rapporto lavorativo. Risulta pertanto impossibile non ravvisare una diretta ed immediata rilevanza sul rapporto di lavoro della valutazione del servizio militare prestato. In tal modo la norma dell'art. 7 della legge n. 412/1991, anziche' conformarsi al dettato costituzionale che vieta che l'adempimento di un dovere particolarmente significativo quale la difesa della Patria incida in modo pregiudizievole sulla disciplina del singolo rapporto lavorativo, in sostanza lo elude, poiche' individua una sfera di soggetti per i quali la prestazione del servizio militare - che richiede il continuativo ed esclusivo impegno di chi vi e' tenuto - non solo costituisce un impedimento nella ricerca di un'occupazione e la conseguente remunerazione della propria capacita' lavorativa, ma si traduce altresi' in un trattamento deteriore dal punto di vista della disciplina del rapporto lavorativo, dal momento che il pregresso servizio non verrebbe valutato in alcun modo. Di conseguenza, l'esclusione del riconoscimento del servizio militare agli effetti dell'art. 20 della legge n. 958/1986 laddove sia stato prestato (prima della costituzione del rapporto ed anteriormente al 30 gennaio 1987) appare in contrasto anche con l'art. 52 della Costituzione. Si deve ritenere pertanto non manifestamente infondata, ed oggettivamente rilevante ai fini della decisione della causa di merito, la prospettata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, primo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, per possibile contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 52, secondo comma, della Costituzione. Il presente giudizio va dunque sospeso, con trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, mentre la presente ordinanza deve essere, a cura della cancelleria, notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.