IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa di previdenza in appello vertente tra il Ministero dell'interno, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso per legge dall'avvocatura distrettuale dello Stato dell'Aquila, appellante, contro Giangiulio Filippo rappresentata e difesa dall'avv. Walter De Cesare, appellato, all'udienza del giorno 8 luglio 1992. A seguito del ricorso depositato il 17 aprile 1991 il pretore di Chieti pronunciava sentenza n. 868 con la quale condannava il Ministero dell'interno al pagamento della indennita' di accompagnamento con gli interessi e la rivalutazione dell'Istat dalla data della domanda. Riconosceva, infatti, la totale inabilita' e incapacita' di compiere gli atti quotidiani della vita, come vuole la legge n. 18/1980 e n. 508/1988. La decisione veniva tempestivamente appellata dal Ministero, il quale deduceva, in primo luogo, la non debenza della indennita' di accompagnamento per l'insussistenza dei presupposti medico-legali, ed in subordine l'erroneita' della statuizione di condanna al pagamento del maggior danno da svalutazione monetaria. A tal fine cosi' argomentava: va al riguardo evidenziato che a partire dalla data del 16 dicembre 1990 il tasso legale degli interessi e' stato elevato al 10% (sic-legge 26 novembre 1990, n. 353) cosi' che a partire da tale data il credito assistenziale puo' dirsi ampiamente tutelato in riferimento alla perdita del potere di acquisto per la svalutazione. Per contro il tasso di svalutazione e' notoriamente contenuto in questi ultimi anni cosi' che anche avendo presente il precedente tasso legale degli interessi pari al 5% ne deriverebbe una perdita del potere di acquisto davvero limitata cosi' che in assenza di una prova "in concreto" del maggior danno subito dalla controparte per il ritardato pagamento non sembra possa automaticamente per intero riconoscersi il maggior danno da svalutazione. (Potendosi al piu' riconoscersi - ove del caso - la differenza tra tasso di inflazione e tasso degli interessi legali). Va inoltre in diritto osservato che la sentenza della Corte costituzionale n. 156 dell'8-12 aprile 1991 con la quale e' stata dichiarata la illegittimita' dell'art. 442 del c.p.c. nella parte in cui non prevede che quando il giudice pronuncia sentenza di condanna per crediti previdenziali debba determinare oltre gli interessi legali il maggior danno da svalutazione monetaria (cio' appunto con riguardo agli artt. 3 e 38, n. 2, della Costituzione) non sembra sia estensibile alla materia della assistenza agli invalidi. L'esplicito riferimento ai crediti relativi a prestazioni previdenziali da considerarsi legati sotto "il profilo funzionale" ai crediti di lavoro e la dichiarata illegittimita' costituzionale con riferimento al solo secondo comma dell'art. 38 della Costituzione non sembra possa consentire una interpretazione estensiva con conseguente automatica applicazione alla materia assistenziale (art. 38, n. 1, della Costituzione). Con la conseguenza che da un lato non sembra possa applicarsi la norma di cui all'art. 429 del c.p.c. alla materia assistenziale mentre dall'altro lato non avendo la norma di cui all'art. 442 del c.p.c. costituito oggetto di esame da parte della Corte costituzionale la stessa e' da ritenere operante in materia di assistenza. L'appellata si costituiva in giudizio e deduceva, quanto al primo motivo di gravame, il fondamento della propria pretesa sulla base degli accertamenti medico-legali svolti in primo grado, e, per quanto riguarda il secondo motivo di appello, la applicazione dell'art. 429, terzo comma, del c.p.c. anche alle controversie di previdenza ed assistenza obbligatoria di cui all'art. 442 del c.p.c. Concludeva, pertanto, per il rigetto dell'impugnazione. Le parti discutevano la causa all'udienza dell'8 luglio 1992. Il Tribunale pronunciava in pari data sentenza non definitiva di rigetto dell'appello principale. Per la decisione sull'impugnazione subordinata, il tribunale e' chiamato a pronunciarsi sull'applicabilita' dell'art. 429, terzo comma, del c.p.c. alle prestazioni di assistenza obbligatorie di cui all'art. 442 del c.p.c. La originaria previsione normativa, riguardante i soli crediti di lavoro, e' stata estesa in virtu' della sentenza n. 156/1991 della Corte costituzionale ai crediti relativi a prestazioni di previdenza sociale, in quanto la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 442 del c.p.c. nella parte in cui non prevede che il giudice deve determinare il maggior danno eventualmente subito dal creditore per la diminuzione di valore del credito quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro a titolo, per l'appunto, di prestazioni di previdenza sociale. Il tribunale reputa che l'art. 442 del c.p.c., quale risulta a seguito della sentenza n. 156/1991 sopra indicata, non comprenda anche i crediti per prestazioni assistenziali, quali l'indennita' di accompagnamento ex art. 1 della legge n. 18/1980; tanto il tenore letterale del dispositivo quanto la motivazione della pronuncia evidenziano come la Corte costituzionale abbia fatto riferimento al thema decidendum proposto dal giudice remittente che riguardava, in quel caso, i crediti previdenziali. Del resto, la esclusione di una diretta applicabilita' delle norme stabilite per i lavoratori assicurati con una delle forme di previdenza sociale ai destinatari della assistenza pubblica e' stata gia' affermata dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 85 del 26 luglio 1979. Da cio' discende la possibilita' di una illegittimita' costituzionale dell'art. 442 del c.p.c., come modificato dalla sentenza n. 156/1991, per contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 38, primo comma, della Costituzione. La questione, sollevata d'ufficio, e' rilevante ai fini della decisione sull'appello subordinato, l'unico che residua dopo la sentenza non definitiva, in pari data, con cui e' stato respinto l'appello principale del Ministero, e non appare manifestamente infondata. La stessa linea ragionativa seguita dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 85/1979, indica la omogeneita' delle situazioni dei destinatari della assistenza pubblica con quella dei beneficiari delle prestazioni previdenziali. Si legge, infatti, in tale pronuncia "il disegno costituzionale delineato dall'art. 38 in materia di sicurezza sociale viene realizzato per gli invalidi al lavoro attraverso l'assistenza diretta e per i lavoratori mediante il sistema della mutualita' e dell'assicurazione obbligatoria. Pur essendo diversi i mezzi e gli strumenti adoperati, comune e' la finalita' perseguita". Del resto, coerentemente con tale premessa, tutta la successiva evoluzione normativa in materia e' orientata nel senso di assicurare parita' di trattamento alle due categorie. La mancata previsione di un meccanismo automatico di adeguamento della prestazione dovuta alla perdita di valore d'acquisto della moneta per i soli crediti assistenziali si risolve, dunque, in una violazione del principio di uguaglianza, ed in una irrazionalita' dell'ordinamento. Nella sentenza n. 156/1991, la Corte ha posto in rilievo come cio' che avvicina i crediti previdenziali e quelli retributivi e' piu' che la finalita' alimentare del credito, la funzione di surrogare o integrare un reddito di lavoro cessato o ridotto a causa di uno degli eventi considerati dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione. Orbene, la medesima finalita' di sostituzione di un reddito di lavoro ontologicamente non percepibile, assiste le prestazioni e le garanzie che lo Stato deve assicurare agli inabili al lavoro, ai sensi dell'art. 38 della Costituzione. Che', anzi il dettato costituzionale parla di "mantenimento" con riferimento alle ipotesi di cui al primo comma del cit. art. 38 orbene, la nozione di "mantenimento" e' stata sempre interpretata nel diritto vivente come piu' ampia, e giammai piu' restrittiva, rispetto a quella, ad esempio, di obbligazione alimentare, e dunque certamente comprensiva di quel trattamento idoneo a soddisfare le esigenze fondamentali della vita garantito ai lavoratori dipendenti come a quelli infortunati, ammalati o invalidi. Le ragioni che hanno indotto la Corte costituzionale a dichiarare l'illegittimita' dell'art. 442 del c.p.c. nella parte in cui non prevede il ristabilimento automatico del potere di acquisto delle prestazioni previdenziali, a causa del fenomeno inflattivo, ricorrono dunque anche nei riguardi dei crediti di natura assistenziale. Ne', d'altro canto, assume rilevanza la norma introdotta dall'art. 16, sesto comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, che riguarda la disciplina in materia di rivalutazione delle prestazioni previdenziali. I dubbi di legittimita' costituzionale che possono sorgere in relazione ad una disposizione normativa che nella sostanza vanifica il giudizio di illegittimita' precedente espresso dalla Corte, di fatto reintroducendo il medesimo meccanismo di rivalutazione giudicato incostituzionale, non possono essere sottoposti in questa sede al vaglio del giudice di legittimita' delle leggi, poiche' la norma non e' applicabile al giudizio de quo. L'art. 16, sesto comma, della legge n. 412/1991, infatti, si riferisce agli "enti gestori di forme di previdenza obbligatoria", e dunque ad una categoria di soggetti e di obbligazioni diversa da quella oggetto del giudizio de quo. Una volta esclusa la diretta applicabilita' della norma, il collegio ritiene che la disposizione normativa non sia tale da vanificare il giudizio gia' espresso dalla Corte costituzionale, che si muove nell'ambito gerarchicamente superiore di tutela del corretto bilanciamento degli interessi costituzionalmente protetti. Poiche', secondo lo stesso ragionamento sviluppato dalla Corte, la norma dell'art. 429 del c.p.c. e' un modo di attuazione dell'art. 36 della Costituzione, funzionalmente collegato all'art. 38 della Costituzione, e' evidente la irrazionalita' del sistema che non estende, per il tramite dell'art. 442 del c.p.c., anche ai crediti assistenziali la regola della rivalutazione automatica oltre alla corresponsione degli interessi. Il tertium comparationis, rispetto al quale va denunciata la violazione dell'art. 3 della Costituzione, rimane cosi' rappresentato dalla disciplina relativa ai crediti di retribuzione, rispetto ai quali permane l'assimilabilita' funzionale gia' espressa dalla Corte con la sentenza n. 156/1991, anche per via del precedente giudizio di identita' dei fini (rispetto alle prestazioni previdenziali) espresso nella sentenza n. 85/1979. Il giudizio sull'impugnazione subordinata, il solo rimasto all'esame del tribunale, deve quindi essere sospeso e la questione rimessa alla Corte costituzionale.