IL PRETORE
    Nel  procedimento n. 9877/1991 RPM n. 1/1991 reg esec pen a carico
 di  Cristanelli  Armando,  nato  a  Lovere  l'8  febbraio  1972,  ivi
 residente via Papa Giovanni n. 40;
    Vista la richiesta in data 17 agosto 1991, colla quale il pubblico
 ministero  presso  la pretura di Bergamo trasmetteva a questo ufficio
 gli atti del procedimento  suddetto,  con  contestuale  richiesta,  a
 norma  degli  artt.  75,  dodicesimo  comma e 76 del d.P.R. 9 ottobre
 1990, n. 309, e 666 del c.p.p. di adottare  i  provvedimenti  di  cui
 all'art. 76 del d.P.R. n. 309/1990;
    Vedute le norme richiamate dal pubblico ministero;
                             O S S E R V A
    I  provvedimenti  di  cui  all'art.  76  del  d.P.R.  n. 309/1990,
 introdotti dall'art. 16 della legge 26 febbraio  1990,  n.  162  (nel
 prosieguo,  salvo diversa espressa indicazione, i riferimenti sono da
 intendersi a tale legge), comportano l'irrogazione, nei confronti del
 soggetto che per due volte abbia rifiutato o interrotto il  programma
 terapeutico   "consigliatogli"  dal  prefetto,  di  quelle  che,  con
 disinvolto e sereno quanto vago eufemismo, il  legislatore  definisce
 "misure".  A ben vedere, tuttavia, tali misure, eccettuato appunto il
 criterio definitorio, nulla di diverso rappresentano  in  realta'  se
 non sanzioni munite di afflittivita' penalmente rilevante.
    Ove  sol  si  rammenti  che, tra tali "misure" (irrogabili in modo
 cumulativo), sono ricompresi il divieto di allontanamento dal  comune
 di residenza, l'obbligo di presentarsi quotidianamente alla polizia o
 ai carabinieri, l'obbligo di attivita' lavorativa, e via "misurando",
 non  par invero disagevole pervenire necessariamente alla sussunzione
 di  tali  stesse  "misure"  fra  i  provvedimenti  restrittivi  della
 liberta'  personale.  Del  resto,  la  durata  di tali restrizioni, a
 seconda della tabella cui appartenga la sostanza illegale di  cui  ha
 fatto  uso  il  "misurando",  non e' certo di poco momento, dovendosi
 protrarre tra i tre e gli otto mesi o tra i due e i quattro.
    Sebbene  non  paiano  necessari  ulteriori   approfondimenti   per
 chiarire l'identita' fra tali "misure" ed i provvedimenti restrittivi
 della   liberta'   personale,   non   risulta   tuttavia  inopportuno
 sottolineare   che   lo   stesso   legislatore,   tenendo    presente
 evidentemente  gli artt. 13 e 111 della Costituzione ha previsto che,
 per la loro irrogazione, sia competente il giudice ordinario (pretore
 o tribunale dei minorenni) con le forme dell'incidente di  esecuzione
 penale (art. 666 del c.p.p. richiamato dall'art. 16); che il relativo
 provvedimento sia pronunciato in forma di decreto motivato (ibid.); e
 che quest'ultimo sia ricorribile per cassazione.
    Decisivo,  comunque,  e'  il  riferimento  testuale  operato nella
 lettera G del primo comma dell'art. 76 del  d.P.R.  n.  309/1990,  il
 quale  espressamente definisce come "autore del reato" il sanzionando
 ("sequestro dei veicoli, se di proprieta' dell'autore del reato,  con
 i  quali  le sostanze siano state trasportate o custodite"), tradendo
 cosi', e sia pure  solo  in  quell'inciso,  la  effettiva  dimensione
 criminale   che   attribuisce   al  detentore  di  una  quantita'  di
 stupefacente inferiore alla d.m.g.  (incidentalmente, si osserva che,
 attenendosi alla lettera della disposizione, la  sintassi  imporrebbe
 di  descrivere come reato gia' la condotta-condizione iniziale (ossia
 quella del trasporto o della detenzione della sostanza) pur essendosi
 prevista, come "misura" per essa, unicamente un "invito"  prefettizio
 ..).
    Affermatosi  dunque  che  tali  "misure"  sono null'altro che pene
 propriamente  dette,  e  che  l'accertamento  della   responsabilita'
 penale,  ex  art.  27  della  Costituzione,  in  uno stato di diritto
 presuppone sempre lo  strumento  processuale  penale,  non  puo'  che
 pervenirsi  al  non  manifestamente infondato dubbio che le norme, in
 forza delle quali il giudice dovrebbe infliggere tali "misure"  pene,
 contrastino con la vigente Costituzione.
    In  particolare,  il  procedimento,  stabilito  dall'art. 16 della
 legge n. 162/1990 e 76 del d.P.R. n. 309/1990, e in  esito  al  quale
 tali  "misure" dovrebbero essere inflitte (da questo pretore nel caso
 di specie, da cui la rilevanza della questione ai fini del decidere),
 appare illegittimo poiche':
      viola il principio  di  eguaglianza  di  cui  all'art.  3  della
 Costituzione  la  scelta  legislativa  di  sanzionare  penalmente una
 condizione soggettiva, ossia quella dell'assuntore di talune sostanze
 con effetti psicotropi, e  non  anche  la  condizione  (perfettamente
 analoga,  se  non  deteriore,  per ampio riconoscimento della scienza
 medica) di chi assuma invece altre sostanze con effetti analoghi  (ed
 anzi piu' devastanti: l'alcool, ad esempio).
    Ora,  e'  nota  al  remittente la sentenza 11 luglio 1991, n. 333,
 colla quale codesta onorevole Corte (oltre a statuire che in  realta'
 la  legge Jervolino-Vassalli punisce la condotta, e non la condizione
 personale) ha stabilito pure che la compressione  di  taluni  diritti
 costituzionalmente   garantiti   ben  puo'  giustificarsi  alla  luce
 dell'emergenza.  Rileva  tuttavia il pretore che, cosi' statuendo, la
 Corte ha anche  argomentato  (richiamando  le  proprie  sentenze  nn.
 15/1982,  171  e  132  del  1986  ed  altre)  che  solo la dimostrata
 efficacia  di  tale  compressione   rispetto   alle   finalita'   del
 legislatore,   e   sempre   che  la  compressione  non  si  protragga
 ingiustificatamente e vanamente nel tempo ((Paragrafo)(Paragrafo) 8 e
 16 della citata sentenza n. 333/1991), giustifica  il  diniego  della
 declaratoria di illegittimita' costituzionale.
    Proprio   (e,   deve   supporsi,  unicamente)  in  forza  di  tali
 contingenze e premesse, codesta onorevole Corte ha  potuto  conludere
 che  "rimane  affidato  alla  sensibilita' del legislatore il compito
 essenziale di verificare sul concreto terreno applicativo, alla  luce
 degli effetti provocati dal sistema normativo in questione, la bonta'
 delle  scelte  di  merito".  Ebbene,  posto  che  quasi  due  anni di
 applicazione della legge  sembrano  aver  dimostrato  tutt'altro  che
 l'efficacia,  almeno parziale, della normativa denunciata (almeno con
 riferimento alle norme in esame: sono in grave aumento  anzitutto  le
 morti da stupefacenti - con assoluta esclusione dei cannabinoidi, per
 i  quali non si e' mai registrato, ne' appare clinicamente possibile,
 alcun decesso - e' aumentata la circolazione di stupefacenti, sono in
 aumento - il trend e' di circa mille unita' al mese in  aumento  -  i
 detenuti  per  tale  titolo;  e  cosi'  via),  non pare fuor di luogo
 rimettere al vaglio del giudice delle leggi gli ulteriori profili qui
 enucleati in punto di stretto diritto.
    Incidentalmente si osserva che, pur  costruendosi  la  fattispecie
 come  sanzione  riservata  ad  una  condotta (quella del detentore di
 stupefacente in misura non superiore alla dmg), appare comunque arduo
 scindere  tale  condotta  dalla  mera  condizione  di  assuntore   di
 stupefacente    (che    evidentemente    presuppone    la   materiale
 disponibilita'  della  sostanza  da  assumere),  dal   che   discende
 l'ulteriore  considerazione  che  la  scelta  del  legislatore appare
 l'unica logicamente possibile per perseguire una condizione  o  stato
 personale  altrimenti  non suscettiva di assurgere a penale rilevanza
 (dacche' il principio di personalita' della  responsabilita'  penale,
 ex  art.  27/1  della Costituzione, appare difficilmente conciliabile
 con la punizione di un modo di essere del soggetto).
    Viola il principio di eguaglianza suddetto la previsione, per  una
 particolare categoria di fatto-reato (ammesso appunto che un fatto, e
 non  una  condizione  o  stato  personale,  sia  il  presupposto  del
 trattamento sanzionatorio penale in questione), e solo per  essa,  di
 uno   specialissimo   procedimento   penale,   creato   ad   hoc,   e
 irragionevolmente limitato nelle  possibilita'  di  impugnazione  (il
 decreto  -  quasi  che  fosse  un  procedimento  monitorio, col quale
 peraltro sono irrogabili solo  pene  pecuniarie,  e  mai  limitazioni
 della   liberta'  personale  -  pretorile  e'  solo  ricorribile  per
 cassazione,  e  non  anche  soggetto  ad  appello:   cfr.   sent.   C
 Costituzione  23  luglio  1991,  n.  363, con cui e' stata dichiarata
 l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  443,  secondo  comma  del
 c.p.p.,  nella parte in cui escludeva l'appellabilita' delle sentenze
 - emesse a seguito di giudizio abbreviato - di condanna  a  pena  non
 eseguibile);
      violano,  le  norme  denunziate,  il  principio di eguaglianza e
 quello di difesa ex art. 24 della  Costituzione,  poiche'  escludono,
 per  gli  imputati di una ed una sola categoria di fatto-reato, tutte
 le garanzie processuali  ordinarie  (dall'avviso  di  garanzia,  alla
 difesa tecnica - di fronte al regime di prova legale non si comprende
 quale  mai ruolo concreto possa svolgere il difensore la cui presenza
 e' pur sempre necessaria ex art. 666 comma quattro del c.p.p.  -,  al
 diritto alla prova di cui all'art. 187 e seguenti del c.p.p., e cosi'
 via);
      violano, le norme denunziate, l'art. 27 della Costituzione nella
 parte  in  cui le "misure" comminate ed irrogabili appaiono del tutto
 incongruenti rispetto alla  condotta  sanzionanda  e,  percio',  alla
 rieducazione   del   condannato  (quale  funzione  rieducativa  possa
 esplicare, in confronto dell'assuntore, la sospensione di una patente
 di guida che, sovente, ai giudicandi e' gia' stata sospesa o revocata
 in  via  amministrativa,  sfugge  completamente  all'interprete,  non
 ostante  ogni suo piu' pervicace sforzo di comprensione; si omette di
 commentare la funzione rieducativa della sospensione del  passaporto,
 ovvero  del  sequestro del veicolo usato per il trasporto di una dose
 media giornaliera, atteso che gia' la sproporzione fra la "misura" ed
 il fatto suscita sconcerto, ove sol si pensi che di fronte a fatti di
 ben maggiore e diffusa gravita' allocentrica  -  dagli  inquinamenti,
 alle  lesioni od omicidi colposi, alle criminose forme di smaltimento
 di rifiuti anche tossici e nocivi - nessuna comparabile severita'  e'
 prevista dal legislatore).
    Deve inotre sospettarsi che, attribuendo al pretore e al tribunale
 per  i monori la competenza ad esercitare la giurisdizione penale con
 forme del tutto speciali unicamente previste per  questa  fattispecie
 di  reato,  il  legislatore  abbia  introdotto  un  giudice speciale,
 ponendosi cosi' in contrasto con  l'art.  102,  sacondo  comma  della
 Costituzione.
    Il  giudicante  non  si  nasconde,  poi, che altra giurisprudenza,
 limitandosi ad infliggere le "misure" secondo  l'ibrido  procedimento
 modellato  dalla  legge qui denunziata, ha implicitamente mostrato di
 considerare   le   "misure"   stesse   alla   stregua   di   sanzioni
 amministrative.
    Soltanto  per completezza argomentativa, quindi, ci si permette di
 precisare che, anche nel caso in cui le sanzioni siano costruite come
 aventi  natura  amministrativa  (il  che  appare   decisamente   poco
 plausibile,   in   forza   delle  considerazioni  sopra  svolte),  il
 procedimento non manca di far sorgere dubbi di costituzionalita'.
    Ed infatti, osservato che l'attribuzione al pretore di  competenze
 di irrogazione di tali sanzioni appare del tutto extra ordinem, tanto
 che  ne  scaturirebbero  moltissimi  problemi sistematici; e che tale
 attribuzione comporterebbe una reciproca invasione delle sfere e  dei
 confini tra potere giudiziario e potere esecutivo, si rileva altresi'
 che:
      se  e'  pur  vero quella di configurare i reati, con la relativa
 sanzione  di  pene  principali   ed   accessorie,   appartiene   alla
 discrezionalita'  del  legislatore, non per questo puo' dirsi, pero',
 che il legislatore abbia  puranco  l'arbitrio  irragionevole  di  non
 definire  i  reati  come  reati,  e  le  pene  come pene, per potersi
 sottrarre alla necessita' di allestire  un  procedimento  penale  per
 colpire   determinate   condotte,  reputate  meritevoli  di  sanzione
 limitativa della liberta' personale del loro autore, appunto con tali
 sanzioni. Ne risulta dunque violato il principio  di  eguaglianza  di
 cui   all'art.   3   della   Costituzione,  perche',  per  situazioni
 sostanzialmente  identiche  (basti  pensare, ad esempio, all'art. 650
 del  c.p.  nel   quale   la   fattispecie   del   reiterato   rifiuto
 dell'assuntore    di   sostanze   psicotrope   sembra   perfettamente
 inquadrabile, anche per le finalita' - di igiene ed ordine pubblico e
 giustizia  -  conclamatamente   perseguite   dal   prefetto),   viene
 irragionevolmente  prevista una diversa modalita' di inflizione della
 sanzione (pur essendo le sanzioni perfettamente assimilabili,  specie
 pel  caso  in cui si dia luogo alla sostituzione della pena detentiva
 colla liberta' controllata, o addirittura con la sanzione pecuniaria,
 di cui agli art. 53 e seguenti della legge n. 689/1981).
    Insomma, pur connotandosi le "misure" per il loro  tutt'altro  che
 trascurabile   potere  afflittivo,  esse  (a  differenza  delle  pene
 comminate per i reati) possono essere  distribuite  con  procedimento
 sommario;   sarebbero   verosimilmente   soggette   ad   un   termine
 prescrizionale   corrispondente    a    quello    delle    violazioni
 amministrative,  ossia,  piu'  lungo  di  quello previsto per i reati
 contravvenzionali;   non   sarebbero   soggette   al   principio   di
 obbligatorieta'  dell'azione  penale;  non  avrebbero  necessita'  di
 divenire irrevocabili per poter  essere  eseguite  (art.  76,  quinto
 comma del d.P.R. n. 309/1990); e cosi' via.
    Ora,  non  e' difficile comprendere che la ragione, dalla quale e'
 scaturita' una tale straordinaria  (rectius  eccezionale)  disciplina
 para-processuale,  e'  eminentemente  pratica:  se  per  irrogare  le
 "misure" si dovesse allestire un  vero  processo,  con  le  correlate
 garanzie,   adempimenti  e  notifiche,  intimazioni  ai  testimoni  e
 quant'altro, si assisterebbero  presto  alla  totale  paralisi  della
 giurisdizione  penale,  a  causa  della  "non  modica  quantita'"  di
 processi che ne scaturirebbe. Ma francamente  non  pare  per  ragioni
 pratiche  di  tale  spessore  possano giustificare un'incrinatura del
 sistema costituzionale (anche a  prescindere  dall'attuale  grado  di
 funzionamento della giurisdizione penale). Piu' grave ancora, reato e
 pena  rischierebbero  di  andare  incontro  a prescrizione pressoche'
 certa (come accade alla assoluta maggioranza  delle  sostanze  penali
 pronunciate  dal  pretore),  e dunque di non svolgere alcuna funzione
 repressiva  (con  buona  pace,  per  far   solo   un   esempio,   dei
 contravventori che si rendono invece responsabili di reati assai piu'
 dannosi  ed  allarmanti  per  la collettivita', ed in particolare per
 tutte le contravvenzioni in materia ambientale, il cui minor  termine
 prescrizionale  garantisce  i  loro responsabili circa l'effettivita'
 della sanzione virtualmente irrogata in primo grado).
    Ma pure  l'art.  13  della  Costituzione  risulta  sostanzialmente
 violato  da  tale  disciplina:  infatti,  ove  si  assumesse  che  il
 procedimento   di   irrogazione   delle   "misure"    abbia    natura
 amministrativa,  diverrebbe assolutamente irrilevante che ad irrogare
 le stesse sia il pretore, in quanto tale organo agirebbe, nelle  spe-
 cie,   non   quale  autorita'  giudiziaria,  bensi'  quale  autorita'
 amministrativa (come accade  in  vari  altri  casi  della  quotidiana
 attivita'   pretorile:  dalle  verifiche  dello  stato  civile,  alla
 presidenza delle commissioni elettorali o censuarie, o alle inchieste
 per infortuni sul lavoro ..), col che verrebbe  meno  il  sostanziale
 rispetto  dell'invocata norma costituzionale, la quale, all'evidenza,
 esige che l'autorita' giudiziaria  intervenga,  per  controllo  della
 compressione  della  liberta'  personale,  col  pieno  rispetto delle
 regole procedurali ordinarie.
    Non  puo',  per  altro  verso,  sottacersi che le stesse autorita'
 amministrative, a  seguito  di  varie  recenti  pronunce  di  codesta
 onorevole   Corte,  sono  chiamate  al  rispetto  di  varie  garanzie
 difensive (e quindi di regole processual-penalistiche)  prima  ancora
 che  il processo penale sia stato iscritto nel registro delle notizie
 di reato (cfr. ad es. sentenza  n.  434  del  10  ottobre  1990),  ed
 addirittura  prima  ancora  che  vi  sia una notizia di reato. Appare
 insomma  affatto  irragionevole  che,  mentre  talune  categorie   di
 imputati  sono  assistiti  da  garanzie  difensive financo nella fase
 degli accertamenti preliminari espletati  da  organi  amministrativi,
 per  altri  imputati,  evidentemente  reputati da serie inferiore, si
 preveda che  neppure  nella  fase  avanti  al  giudice  essi  possano
 disporre dei diritti elementari dell'imputato.
    Ed  invero, nel procedimento di irrogazione delle "misure", non vi
 e' luogo per alcuna forma di istruzione  probatoria;  la  sommarieta'
 del  procedimento (il pretore provvede dopo aver assunto informazioni
 presso il servizio operativo della prefettura e  presso  il  servizio
 pubblico  per  le  tossicodipendenze)  impone di concludere che nella
 materia vige il princi'pio della prova legale sulla  sussistenza  dei
 presupposti  della  fattispecie, e persino la scelta delle "misure" e
 la  loro  dosimetria  per   rapporto   alla   durata,   non   essendo
 disciplinata, forma oggetto di sostanziale arbitrio (ad eccezione dei
 limiti correlati alle tabelle); col che non puo' non apparire violato
 il diritto alla difesa di cui all'art. 24 della Costituzione.
    Da  tale  raffronto,  poi,  emerge  come patente la violazione del
 principio di eguaglianza e di ragionevolezza, posto ad  una  condotta
 meramente  autolesiva,  quale  ad  esempio  quella  del  fumatore  di
 cannabinoidi (il quale non ponga in essere  reati,  come  ad  esempio
 quello   p.  e  p.  dall'art.  132  del  c.d.s.,  pel  quale  sarebbe
 autonomamente punibile), possono applicarsi sanzioni ben piu' pesanti
 (e meno assistite da garanzie prodomiche) rispetto a quella di  colui
 che distribuisce per il consumo alimenti pericolosi) o dannosi per la
 salute pubblica (cfr. sentenza n. 434/90 citata).
    In  conclusione, attesa la rilevanza ai fini della decisione, e la
 non  manifesta  infondatezza   della   questione,   va   sospeso   il
 procedimento in corso per l'inflizione delle sanzioni al Cristinelli,
 e gli atti rimessi alla Corte costituzionale, dopo le notificazioni e
 comunicazioni di cui al dispositivo.