IL PRETORE Con ricorso depositato il 31 gennaio 1991 da Ferrari Rino, esperito senza esito il procedimento contenzioso amministrativo, chiedeva venisse accertato il suo diritto alla rendita per inabilita' permanente parziale conseguente a malattia professionale (dermatite da contatto n. 41). Esponeva il ricorrente di svolgere fin dal 1957, quale artigiano in proprio, attivita' di calzolaio, nel corso della quale era costretto a far uso di adesivi per l'incollaggio di cuoio, gomma, pelle e sughero. In data 13 dicembre 1988 aveva denunciato all'I.N.A.I.L. l'esistenza di malattia professionale (dermatite allergica individuata come m.p. 41 da sensibilizzazione a resina fenolformaldeica). L'I.N.A.I.L. aveva rigettato la domanda con nota datata 21 giugno 1989, sostenendo la insussistenza di tecnopatia. Proposto ricorso amministrativo, nell'ambito della collegiale medica veniva accertata l'esistenza di m.p. 41 da sensibilizzazione a resine fenolformaldeiche, escludendo pero' che vi fossero postumi di carattere permanente. Il ricorrente affermava di non condividere le conclusioni della collegiale medica. Costituendosi in giudizio, l'I.N.A.I.L. chiedeva il rigetto della domanda. Pur ammettendo l'esistenza di una malattia professionale da sensibilizzazione cutanea a resine formaldeidiche, escludeva che la tecnopatia avesse determinato una diminuzione permanente dell'attitudine al lavoro ex art. 74 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, incidendo soltanto sulla capacita' di lavoro specifica e non su quella generica in quanto nessun ostacolo aveva creato all'esercizio di attivita' nelle quali e' escluso il contatto con le resine formaldeidiche. Precisava che solo ai fini dell'indennita' per l'inabilita' temporanea il d.P.R. 1965/1124 prende in considerazione l'incapacita' assoluta' di lavoro specifica. Nelle note conclusive il ricorrente, richiamandosi alla pronuncia della cassazione 1º febbraio 1990, n. 684, affermava che la tutela assicurativa non poteva essere esclusa per il solo fatto che lo stato di sensibilizzazione cutanea a resine formaldeidiche ridurebbe solo la capacita' di lavoro specifica e non anche quella generica. Dal canto suo l'I.N.A.I.L. nelle proprie note conclusive, precisava che nella valutazione dell'inabilita' permanente non si deve tener conto ne' della capacita' di lavoro specifica (ossia quella rapportata al particolare lavoro svolto dall'assicurato al momento dell'infortunio o della malattia professionale) ne' dalla capacita' di lavoro attitudinale (ossia quella confacente alle attitudini dell'assicurato), ma soltanto della capacita' lavorativa generica (ossia la capacita' di svolgere qualunque lavoro manuale medio). Con sentenza non definitiva n. 396 datata 23 luglio 1991 veniva accertato che il ricorrente era affetto da malattia professionale n. 41 e che le conseguenze di tale tecnopatia sull'attitudine al lavoro dovevano essere verificate con riferimento alla capacita' di lavoro generico, intesa come capacita' di svolgere un qualunque lavoro manuale medio. Due erano le questioni esaminate in detta decisione. In primo luogo occorreva stabilire se lo stato di sensibilizzazione cutanea a resine formaldeidiche fosse rilevante al fine di stabilire la sussistenza dell'inabilita' permanente ex art. 74 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124. In caso affermativo andava poi accertato concretamente in quale misura vi fosse una diminuzione dell'attitudine al lavoro, chiarendo se con tale espressione il legislatore si fosse voluto riferire alla capacita' di lavoro generico od anche a quella specifica. Tale precisazione preliminare si rendeva necessaria alla luce di quanto dedotto dalle parti. Il ricorrente, a fronte dell'assunto dell'I.N.A.I.L., secondo cui lo stato di sensibilizzazione alle resine formaldeidiche, determinando una diminuzione della sola capacita' di lavoro specifica e non anche di quella generica, non fa sorgere alcun diritto a rendita di inabilita', si richiamava a quel recente indirizzo giurisprudenziale (cassazione 17 ottobre 1988, n. 5647; cassazione 1º febbraio 1990, n. 684) per il quale la inabilita' permanente indennizzabile dall'I.N.A.I.L. non presuppone una malattia in atto, ma soltanto l'attuale permanente "conseguenza" di una malattia passata, di talche' uno stato di sensibilizzazione allergica a date sostanze, il quale determini l'impossibilita' di libera esplicazione di ogni attivita' lavorativa, causa gia' di per se' un'inabilita' permanente parziale ex art. 74 del d.P.R. 1965/1124, incidendo sull'attitudine al lavoro (per comprendere la novita' dell'indirizzo deve ricordarsi che in passato lo stato di sensibilizzazione era rilevante solo a condizione che desse luogo ad una malattia ossia ad una manifestazione patologica cronica ed indipendente dal contatto con l'agente nocivo). Il richiamo fatto dal ricorrente era corretto, ma funzionale solo in parte alla tesi da lui sostenuta: se il nuovo indirizzo consente in via di principio di configurare in capo al ricorrente un'inabilita' permanente, non risolve pero' la questione se sorga diritto all'indennita' qualora risulti diminuita la sola capacita' di lavoro specifica e non anche quella generica. E' significativo - si osserva nella sentenza - rilevare come nella motivazione di cassazione 1º febbraio 1990, n. 684 (ossia di una delle due pronunce che hanno inaugurato il nuovo indirizzo) si precisi, una volta affermato il principio di cui sopra, che "dovra' essere il giudice di merito, nel suo prudente apprezzamento, a valutare in concreto se realmente lo stato di sensibilizzazione riduca nel caso concreto l'attitudine al lavoro e, in caso affermativo di quanto". Anche la posizione assunta dall'I.N.A.I.L. suscitava qualche perplessita'. Nella memoria di costituzione ammetteva "la regolarita' del caso come malattia professionale da sensibilizzazione cutanea a resine formaldeidiche" (negando la sussistenza di postumi permanenti, essendovi una riduzione della sola capacita' di lavoro specifica). Invece nelle note conclusive richiamava il risalente indirizzo giurisprudenziale per cui l'invalidita' permanente indennizzabile ai fini I.N.A.I.L. presuppone non solo uno stato di sensibilizzazione allergica, ma una manifestazione patologica cronica ed indipendente dal contatto con l'agente nocivo e sensibilizzante. Palese era la contraddizione in cui l'I.N.A.I.L. era caduto: se da un lato il ricorrente e' affetto da malattia, inutile e' il riconoscimento alla giurisprudenza che esclude l'indennizzabilita' degli stati di sensibilizzazione che non si manifestano in malattia; dall'altro se il ricorrente si trova soltanto in uno stato di sensibilizzazione, che non determina una manifestazione patologica e cronica indipendente dal contatto con l'agente nocivo, non si comprende come l'I.N.A.I.L. che sembra condividere la predetta giurisprudenza, abbia potuto riconoscere la sussistenza di una malattia professionale (M.P. 41), come richiamato nella memoria di costituzione. Delle due questioni ricordate all'inizio la prima veniva risolta senza ulteriori indagini. Avendo l'I.N.A.I.L. ritenuto (v. memoria di costituzione e collegiale concorde datata 15 giugno 1990) che lo stato di sensibilizzazionecutanea a resine formaldeidiche fosse sufficiente a configurare una malattia professionale (mp 41), non vi era dubbio che le sue conseguenze potevano essere valutate ai fini dell'inabilita' permanente indennizzabile dall'I.N.A.I.L. Occorreva, quindi, procedere ad accertare se la malattia professionale riconosciuta dall'I.N.A.I.L. avesse tolto, in tutto od in parte, al ricorrente l'attitudine al lavoro ex art. 74 del d.P.R. 1965/1124. Prima di esaminare il merito (per il quale con separata ordinanza ex art. 279, secondo comma del c.p.c. veniva disposta C.T.U.) si riteneva necessario stabilire se la riduzione dell'attitudine al lavoro dovesse essere verificata con riferimento alla capacita' di lavoro specifica o quella generica. La questione era ed e' di grande rilevanza costituendo il vero punto di contrasto tra le parti. La suprema Corte ormai da tempo afferma (cassazione 24 luglio 1990, n. 7495 con riferimento ad un analogo caso di dermatosi allergica; cassazione 24 maggio 1988, n. 3595; cassazione 29 gennaio 1988; cassazione 9 aprile 1987, n. 3520; cassazione 23 ottobre 1985, n. 5218; cassazione 14 aprile 1982) che l'inabilita' permanente come conseguenza di infortunio sul lavoro o di malattia professionale, quale prevista dall'art. 74 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, si riferisce non gia' alla capacita' di lavoro specifica (quella rapportata al particolare lavoro svolto dall'assicurato al momento dell'infortunio o della malattia professionale) ne' alla capacita' di lavoro attitudinale (che tiene conto delle attivita' lavorative confacenti alle attitudini dell'assicurato e che viene presa in considerazione in tema pensione di invalidita'), ma alla capacita' di lavoro generica, che e' quella di svolgere un qualunque lavoro normale medio. Ritiene la suprema Corte che il principio e' desumibile dalle percentuali tabellari delle menomazioni (tabella n. 1 allegata al d.P.R. n. 1965/1124) che sono determinate con riferimento esclusivo al tipo di menomazione e senza alcuna considerazione del rapporto tra quest'ultima e l'attivita' concretamente esercitata dal singolo assicurato. Sempre la suprema Corte (cassazione 9 aprile 1987, n. 3520; cassazione 14 aprile 1982, n. 2239) ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 74 del d.P.R. n. 1965/1124 nella parte in cui considera, ai fini del diritto alla rendita per inabilita' conseguente da infortunio sul lavoro o malattia professionale, la riduzione della capacita' di lavoro generica e non anche della capacita' di lavoro specifica. Nella sentenza non definitiva veniva condiviso il consolidamento e pacifico orientamento della Corte di cassazione. Alla prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza non definitiva entrambe le parti facevano riserva di appello ai sensi dell'art. 340 del c.p.c. Nella prima parte dell'elaborato il C.T.U. accertato che il ricorrente e' affetto (il che costituisce un dato pacifico tra le parti) da uno stato di sensibilizzazione e resina fenolformaldeidica (sostanza contenuta nei collanti utilizzati per l'incollaggio del cuoio, della gomma, della pelle e del sughero), esponeva le ragioni medico-legali che lo inducevano a condividere il recente orientamento della suprema Corte, che ritiene lo stato di sensibilizzazione una condizione morbosa permanente. Nella seconda parte dell'elaborato il c.t.u. definiva come "estremamente artificioso ed anacronistico" il riferimento al criterio della "capacita' lavorativa generica" in quanto "le innumerevoli lavorazioni che afferiscono all'attivita' umana hanno progressivamente perduto i connotati del dispendio di forza o di energia muscolare per assumere invece caratteristiche di specializzazione fondata su prerogative individuali che informano ed impongono la personalita' e che contribuiscono alla realizzazione della vita lavorativa, preliminarmente favorendo l'occupazione e, quindi, constantemente confrontando il rendimento, la validita' e la produttivita' del singolo e/o dell'equipe". A detta del C.T.U. il danno a persona di rilievo infortunistico non puo' estendersi "fino a comprendere pregiudizi non meramente energetici, ma piu' compiutamente inerenti l'attitudine al lavoro e le condizioni economico-produttive del soggetto minorato. Ricordava il C.T.U. la recente pronuncia (Corte costituzionale 28 gennaio 1991, n. 87) in cui, pur ritenendosi inammissibile la questione sollevata, si e' ritenuto che "l'esclusione dell'intervento pubblico per la riparazione del danno alla salute patito dal lavoratore in conseguenza di eventi connessi alla propria attivita' lavorativa non puo' dirsi in sintonia con la garanzia della salute come diritto fondamentale dell'individuo ed interesse della collettivita' (art. 32) e, ad un tempo, con la tutela privilegiata che la Corte costituzionale riconosce al lavoro come valore fondante della nostra forma di Stato (artt. 1, primo, quarto, trentacinquesimo e trentottesimo comma), nel quadro dei piu' generali principi di solidarieta' (art. 2 della Costituzione) e di eguaglianza, anche sostanziale (art. 3 della Costituzione). Affermava il C.T.U. di non poter fornire un'adeguata risposta al quesito assegnatogli in quanto "articolare e tradurre le conseguenze della malattia professionale accertata sul ricorrente in una cifra percentuale riferita alla capacita' di lavoro generico corrisponda ad artefatto tecnico e sia operazione non rispondente al metodo e all'oggettivita' richiesti al medico-legale". Si chiedeva il C.T.U. come si puo' parlare di capacita' di lavoro generica in un individuo ormai cinquantenne, il quale ha maturato tutte le sue esperienze lavorative in una ben precisa attivita' di lavoro - quella di calzolaio - esercitata dal 1957 fino a tutt'oggi e per il quale, quindi, e' improponibile, a causa dello specifico bagaglio tecnico-conoscitivo, un cambiamento di mansioni lavorative in altre attivita' non a rischio di scatenare la dermatite allergica. Nelle note finali autorizzate e depositate in data 29 maggio 1992 la difesa del ricorrente sollevata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 74 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 "nella parte in cui fa riferimento per la tutela alla capacita' lavorativa generica, il tutto per evidente violazione dell'art. 38 della Costituzione che assicura ai lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia invalidita', vecchiaia, disoccupazione involontaria. RITENUTO IN DIRITTO La questione di legittimita' da sollevarsi nel caso di specie deve essere precisata nel senso che viziate sono le disposizioni ex art. 74 primo e secondo comma del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 qualora, in violazione dell'art. 38, secondo comma della Costituzione, l'espressione "attitudine al lavoro", cui il legislatore ricorre per definire l'inabilita' permanente assoluta (co. 1) e l'inabilita' permanente parziale (co. 2), venga interpretata (conformemente al consolidato orientamento della suprema Corte) come "capacita' di lavoro generica" (ossica con riferimento a qualunque lavoro manuale medio) anziche' come "capacita' di lavoro attitudinale" (ossia con riferimento al lavoro confacente alle attitudini dello assicurato). Sulla rilevanza nel giudizio a quo; il giudizio in corso non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale. Applicando la norma impugnata, secondo l'interpretazione della suprema Corte, la domanda proposta dal ricorrente dovrebbe essere rigettata e comunque potrebbe trovare un accoglimento solo parziale. Come gia' visto, il C.T.U. ha accertato che il ricorrente e' affetto da uno stato di sensibilizzazione a resina fenalformaldeidica (sostanza contenuta nei collanti utilizzati per l'incollaggio del cuoio, della gomma, delle pelle e del sughero), che non gli consente assolutamente di svolgere l'attivita', da lui esercitata fin dal 1957, di calzolaio. Seguendo il criterio della "capacita' di lavoro generica", la diminuzione dell'attitudine al lavoro dovrebbe essere quantificata tenendo presente che il ricorrente non puo' esercitare tra le attivita' lavorative manuali quelle in cui potrebbe venire a contatto con la resina formaldeidica. Seguendo, invece, il criterio della "capacita' di lavoro attitudinale" la misura dell'inabilita' permanente dovrebbe essere stabilita tenendo presente che il ricorrente si trova nell'impossibilita' di esercitare l'attivita' di calzolaio. Infatti appare evidente che per un soggetto, il quale nel corso della sua vita (nel caso di specie fin dall'eta' di 14 anni) ha svolto sempre lo stesso mestiere, l'attivita' lavorativa confacente alle sue attitudini non puo' che identificarsi in quel mestiere. Il presupposto della rilevanza non viene meno per il fatto che con sentenza non definitiva si e' statuito che nel caso di specie le conseguenze della malattia, di cui il ricorrente e' affetto, devono essere verificate con riferimento alla capacita' di lavoro generica. Infatti entrambe le parti hanno formulato tempestivamente riserva di appello ex art. 340 del c.p.c., per la sentenza non definitiva non e' passata in giudicato ed il rapporto non puo' considerarsi esaurito. Sulla non manifesta infondatezza; la questione di legittimita' costituzionale, sollevata dal ricorrente e come sopra precisata, non e' manifestamente infondata. L'art. 38, secondo comma, della Costituzione e' disposizione immediatamente precettiva, che, attribuendo valore di principio fondamentale al diritto dei lavoratori a "che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita, in caso di infortunio, malattia, invalidita' e vecchiaia, disoccupazione involontaria", costituisce l'attuale criterio in base al quale deve essere esercitato il sindacato di costituzionalita' sulle leggi ordinarie (Corte costituzionale 26 aprile 1971, n. 80; Corte costituzionale 20 febbraio 1969, n. 22; Corte costituzionale 9 marzo 1967, n. 22). Secondo l'opinione consolidata l'assicurazione gestita dall'I.N.A.I.L. e' diretta ad indennizzare il lavoratore della perdita economica subita per effetto dell'inabilita' prodotta dall'infortunio o dalla malattia professionale. Deve trattarsi, in forza del precetto costituzionale gia' ricordato, di un indennizzo "adeguato" alle esigenze di vita del lavoratore; cio' significa che la sua situazione economica non dovrebbe risentire di alcun pregiudizio o deterioramento a seguito dell'evento lesivo subito a causa dell'attivita' lavorativa esercitata. L'assunto e' ancora piu' condivisibile dopo che la Corte costituzionale (sent. 28 gennaio 1991, n. 87), superando una prospettiva strettamente economica, ha "auspicato" l'estensione della tutela I.N.A.I.L. anche al danno biologico ossia al danno emergente costituito dalla lesione all'integrita' personale indipendente da ogni riflesso produttivo. Al contrario il riferimento ad un astratto concetto di "capacita' di lavoro generica" (il quale, come si evince dalle puntuali osservazioni del C.T.U., non ha piu' neppure un riscontro fattuale) appare inadeguato in quei casi (come quello in esame) in cui un cambiamento di mesterie non e' in concreto possibile in relazione alla attitudini (e quindi all'eta', alla preparazione professionale ed alle esperienze pregresse) del lavoratore. In dette ipotesi la quantificazione dell'inabilita' permanente secondo il parametro della "capacita' di lavoro generica" presenta un'evidente contraddizione: si dovrebbe tener conto dell'astratta possibilita' del lavoratore infortunato (o ammalato) di svolgere altre attivita' manuali, che tuttavia, in concreto, non e' in grado di esercitare. Sotto il profilo strettamente ermeneutico e' sufficiente rilevare che l'attitudine al lavoro e' etimologicamente un'altra categoria rispetto alla capacita' di lavoro generica. E' vero che le tabelle n. 1 e n. 2 allegate al d.P.R. 1965/114 (e richiamate rispettivamente dall'art. 78 e dall'art. 214 stesso del d.P.R.) contengono delle valutazioni del grado percentuale di inabilita' permanente compiute, in relazione alle lesioni, in modo identico per tutti gli infortunati, senza tener conto delle specifiche attitudini lavorative individuali. Tali valutazioni non perderebbero comunque di valore potento ben essere utilizzate dal medico legale per la formulazione del giudizio sullo stato psico-fisico del lavoratore. Spettera' poi al giudice (in caso di controversia) accertare se l'assicurato, nonostante la menomazione, sia in grado, in relazione alle sue attitudini, di svolgere un lavoro egualmente remunerativo. Infine non puo' preoccupare la circostanza che un accoglimento dell'eccezione comporterebbe un allineamento, sotto il profilo dell'evento protetto, della disciplina ex d.P.R. 1965/1124 a quella ex legge 12 giugno 1984, n. 222 relativa all'invalidita' pensionabile (in cui si ricorre al concetto di "capacita' di lavoro in occupazioni confacenti alle attitudini". Infatti la dottrina medico-legale gia' da tempo auspica un'armonizzazione tra i vari settori previdenziali del concetto di "invalidita'".