ha pronunciato la seguente ORDINANZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 147, secondo comma, del codice penale militare di pace, promossi con quattro ordinanze emesse il 1 aprile, il 27 maggio (n. 2 ordinanze) ed il 28 maggio 1992 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Roma nei procedimenti penali a carico di Troya Ciro, Ragozzino Massimo, Malcotti Renzo e Vicano' Alessandro, rispettivamente iscritte ai nn. 250, 360, 361 e 362 del registro ordinanze 1992 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 20 e 29, prima serie speciale, dell'anno 1992. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 21 ottobre 1992 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola; Ritenuto che nel corso di alcuni procedimenti penali per il reato di ritardata presentazione in servizio - in cui gli imputati ed il P.M. avevano richiesto l'applicazione della pena di un mese di reclusione ex art. 444 c.p.p. - il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Roma, con quattro identiche ordinanze emesse tra il 1 aprile ed il 28 maggio 1992, ha sollevato, in relazione agli artt. 3, 13, 25 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 147, secondo comma, del codice penale militare di pace, ove si sanziona penalmente la condotta del militare il quale, legittimamente assente, non si presenti senza giustificato motivo nel giorno successivo a quello prefisso; che, secondo il giudice rimettente, la norma censurata, non rintracciabile nel previgente codice penale militare del 1869, verrebbe a ledere il principio di proporzionalita' tra gravita' del fatto e conseguenze sanzionatorie, in quanto, malgrado il carattere primario dell'interesse tutelato, sarebbe evidente che il giudizio di disvalore collegato a ritardi da uno a quattro giorni nella presentazione al reparto non presenterebbe "i connotati di riprovevolezza tipici dell'illecito penale"; che, a parere del giudice a quo, risulterebbero altresi' vanificate le finalita' rieducative della pena - la quale non dovrebbe mai esplicarsi nei confronti di comportamenti, quale quello in argomento, privi del carattere di antisocialita' - ed il principio di necessaria offensivita' della condotta; che, inoltre, risalterebbe la minore gravita' - e quindi l'irragionevolezza dell'equiparazione sul piano sanzionatorio - rispetto all'ipotesi di allontanamento illecito di cui al primo comma dell'impugnato art. 147 c.p.m.p., mentre la previsione della pena detentiva sarebbe del tutto irragionevole se confrontata a reati ben piu' gravi puniti con la pena detentiva nella misura minima di un mese; che residuerebbero infine ulteriori profili di disparita' di trattamento rispetto al personale della Polizia di Stato od ai Vigili del Fuoco per i quali non sussistono ipotesi assimilabili all'impugnato art. 147, secondo comma, nonche' in confronto con l'ipotesi ( ex art. 151 c.p.m.p.) di mancanza alla chiamata in cui il ritardo penalmente rilevante e' di cinque giorni; che e' intervenuto - con atti identici in tutti i giudizi - il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, la quale ha preliminarmente osservato come la norma sia stata gia' scrutinata in positivo da questa Corte (cfr. ordinanza n. 495 del 1991), sia pure sotto la diversa ottica della richiesta del Comandante di corpo; che l'Avvocatura rileva nel merito come la norma - la cui eventuale modifica o soppressione spetterebbe sempre al legislatore - tuteli l'interesse primario alla prestazione del servizio militare obbligatorio, la cui lesione ben puo' essere sanzionata con il minimo edittale. Considerato che i giudizi, per l'identita' della questione, possono essere riuniti e decisi con un unico provvedimento; che questa Corte, anche con specifico riferimento a norme contenute nel codice penale militare di pace, ha in piu' occasioni sottolineato come le valutazioni relative alla proporzione tra la pena prevista ed il fatto contemplato rientrino nell'ambito della discrezionalita' legislativa, con il limite della ragionevolezza (sentenze n. 26 del 1979; n. 72 del 1980; n. 103 del 1982; n. 49 del 1989 e n. 299 del 1992); che nell'ipotesi de qua sono state individuate nello stesso modello di genere piu' fattispecie diverse per struttura e disvalore, attraverso una qualificazione di illecito adeguata alla tutela dell'interesse della presenza alle armi; che il trattamento sanzionatorio e' stato articolato in modo da consentire al giudice di far emergere la differenza tra le varie sottospecie graduando in concreto la pena nell'ambito dei minimi edittali (sentenza n. 285 del 1991); che il meccanismo della procedibilita' a richiesta del Comandante di corpo - ex art. 260 c.p.m.p. - assicura un'ulteriore garanzia di congruita' del sistema delle sanzioni rispetto alla specifica gravita' del fatto (ordinanza n. 495 del 1991); che la censurata previsione della reclusione militare risulta del tutto conforme al carattere proprio della pena detentiva militare, consistente in una finalita' rieducativa "funzionalizzata" al recupero al servizio e piu' in generale al dovere di difesa della Patria (sentenza n. 414 del 1991); che, infine, la specialita' dell'ordinamento militare e la peculiarita' della situazione soggettiva di chi e' tenuto alla prestazione del servizio escludono la possibilita' di richiamare quali tertia comparationis i regimi di altre categorie; che la questione e' quindi manifestamente infondata; Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;