IL PRETORE Ordinanza fuori udienza pronunciata dal pretore di Ferrara in funzione di giudice del lavoro nella controversia iscritta al n. 648/92 r.g.lav. promossa da: S.r.l. Distillerie Moccia (avv. G. Lopez) contro Apostolico Luigi, contumace; A scioglimento della riserva, O S S E R V A 1. - Con ricorso depositato in data 2 aprile 1992 la S.r.l. Distillerie Moccia conveniva in giudizio Apostolico Luigi per sentirlo condannare al pagamento della somma di L. 1.832.347 con rivalutazione ed interessi dalla data di maturazione del diritto al saldo. Assumeva la societa' ricorrente che l'Apostolico, agente di commercio senza deposito con quattro distinti mandati, due per la promozione della vendita dei prodotti attinenti alla linea Moccia e due per la promozione della vendita dei prodotti della linea Villa Massichiara, conferiti il 9 febbraio 1990, per la zona di Salerno citta' e provincia nord e il 15 gennaio 1991 per la zona di Salerno 2 e provincia sud, tutti risolti tra il 21 marzo 1991 e il 22 marzo 1991 per inadempimento dell'agente, doveva la predetta somma in parte per star del credere e in parte per spese di trasporto per merce resa da un cliente cui l'agente non aveva fatto sottoscrivere l'ordine relativo. All'udienza del 2 ottobre 1992, accertata la ritualita' della notifica del ricorso e del decreto di fissazione udienza, veniva dichiarata la contumacia del convenuto non costituitosi in giudizio. Alla medesima udienza il pretore rilevava d'ufficio l'incompetenza per territorio dell'adita' autorita' ai sensi della legge 11 febbraio 1992, n. 128, avendo l'agente domicilio in Battipaglia (Salerno). Il procuratore della societa' ricorrente sollevava, tuttavia, la questione di legittimita' costituzionale della legge 11 febbraio 1992, n. 128, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Il Pretore riservava la decisione. 2. - L'art. 1 della legge 11 febbraio 1992, n. 128 cosi' testualmente stabilisce: All'art. 413 del c.p.c. dopo il terzo comma e' inserito il seguente: "Competente per territorio per le controversie previste dal numero 3) dell'art. 409 e' il giudice nella cui circoscrizione si trova il domicilio dell'agente, del rappresentante di commercio ovvero del titolare degli altri rapporti di collaborazione di cui al predetto numero 3) dell'art. 409". La legge in argomento, sovrapponendosi alla interpretazione giurisprudenziale, oramai consolidata, formatasi sull'art. 413 del c.p.c. in relazione ai rapporti di cui all'art. 409 n. 3, del c.p.c. (fra le tante Cass. 7 dicembre 1989, n. 5450; 26 ottobre 1983, n. 6331), ha profondamente innovato la disciplina della competenza territoriale per le controversie relative ai richiamati rapporti rientranti nell'ampia previsione di cui all'art. 409, n. 3 del c.p.c. Secondo la previgente normativa la competenza territoriale per questo tipo di cause era fissata sulla base di due fori alternativi e concorrenti fra di loro, che potevano essere indifferentemente aditi a scelta della parte attrice: il foro del luogo ove era sorto il rapporto e il foro del luogo ove si trovava l'azienda. A seguito della legge n. 128/1992, invece, la competenza per territorio deve essere determinata soltanto sulla base del criterio di collegamento del luogo di domicilio dell'agente, del rappresentante di commercio o del titolare dei rapporti di collaborazione "parasubordinata". In sostanza la legge n. 128/1992 non solo ha introdotto un nuovo criterio di collegamento non previsto dalla precedente normativa (quello del luogo del domicilio dell'agente o del titolare del rapporto di parasubordinazione), ma lo ha anche imposto come foro esclusivo. Siffata conclusione puo' essere agevolmente ricavata dalla formulazione letterale della disposizione e dalla tecnica di costruzione della norma utilizzata dal legislatore. Sotto il profilo della interpretazione letterale non possono sussistere dubbi sulla portata della legge attesa la particolare chiarezza della medesima; sotto l'altro aspetto merita di essere evidenziata l'intenzione del legislatore di creare una disciplina specifica innovativa per la determinazione della competenza territoriale nelle controversie rientranti nella previsione dell'art. 409 n. 3 del c.p.c. Il legislatore, infatti, non ha interpolato il testo del secondo comma dell'art. 413 del c.p.c. (che, come noto, contiene l'elencazione dei criteri di collegamento primari per la determinazione della competenza per territorio nello speciale rito del lavoro), ma ha aggiunto un ulteriore comma, da inserire dopo il terzo comma dell'art. 413 del citato, nel quale ha dettato la nuova disciplina della competenza territoriale per i rapporti di cui all'art. 409, n. 3). In tal modo risulta evidente che il legislatore, per questo tipo di rapporti, ha inteso svincolare la disciplina della competenza per territorio dalla previsione del secondo comma dell'art. 413 del c.p.c. e fissare una normativa specifica. Poiche' il domicilio consiste nel luogo ove un soggetto ha stabilito la sede principale dei suoi affari o interessi (art. 43 del c.c.), con la normativa in esame il legislatore ha voluto che il lavoratore autonomo parasubordinato venisse chiamato in giudizio o potesse agire in giudizio nei confronti della sua controparte, sempre e soltanto nel luogo ove il medesimo ha stabilito il centro dei suoi affari. 3. - Applicando la disciplina della legge n. 128/1992 al caso in esame, dovrebbe essere dichiarata l'incompetenza per territorio dell'adito pretore, dal momento che risulta pacificamente dagli atti che l'Apostolico, gia' agente di commercio della societa' ricorrente, ha domiciliato in Battipaglia (Salerno) e non a Ferrara, luogo quest'ultimo ove ha invece sede l'azienda mandante. Appare, quindi, rilevante la questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla difesa della societa' ricorrente, perche', secondo la norma censurata, deve essere esclusa la competenza territoriale dell'adito giudice, pur se competente secondo la previgente normativa. 4. - La questione di legittimita' costituzionale appare, altresi', non manifestamente infondata in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione. Anche procedendo dal presupposto che debba essere riconosciuta al legislatore un'ampia discrezionalita' nella determinazione delle regole sulla competenza, deve rilevarsi, in relazione all'articolo 3 della Costituzione, che la legge n. 128/1992 sembra censurabile per la violazione del principio di eguaglianza e per difetto di ragionevolezza. A tale proposito si osserva che, secondo i principi generali in materia desumibili dagli artt. 18 e 19 del c.p.c., la competenza per territorio viene ad essere di regola determinata in base al luogo di residenza o domicilio del convenuto. Nello speciale rito del lavoro, pero', tale regola assume un valore meramente residuale rispetto alla disciplina prevista dall'art. 413 del c.p.c. Nello speciale rito del lavoro, infatti, la scelta dei criteri di collegamento per la determinazione della competenza territoriale e' stata orientata in modo tale da attribuire la competenza al giudice che si trova il piu' vicino possibile al luogo ove trova svolgimento il rapporto di lavoro, dove si sono verificati i fatti e dove e' piu' facile reperire i documenti e citare i testimoni. Nel caso del rapporto di agenzia e degli altri rapporti di collaborazione parasubordinata, la legge n. 128/1992 ha inteso attribuire la competenza proprio al giudice del luogo ove viene ad essere posta in essere l'attivita' di lavoro autonomo, identificato nel luogo di domicilio dell'agente o del titolare del rapporto. La scelta del legislatore, se puo' trovare giustificazione nella parte in cui comporta l'introduzione del nuovo criterio di collegamento del luogo di domicilio dell'agente o del titolare del rapporto di collaborazione parasubordinata, sembra essere irragionevole nella parte in cui stabilisce in via esclusiva la competenza del foro del domicilio, sopprimendo la concorrenza di altri fori. La legge n. 128/1992 attribuisce, infatti, ai lavoratori autonomi parasubordinati un particolare privilegio processuale che li pone in una situazione di maggior favore rispetto ai lavoratori subordinati, ed in particolare di quelli a domicilio, e che del tutto sacrifica senza una apprezzabile ragione gli interessi dell'altra parte del rapporto di collaborazione. Al riguardo si osserva che l'art. 413 del c.p.c. non elargisce alcun privilegio del genere ai lavoratori subordinati, anche a domicilio, e ai titolari dei rapporti previsti nei numeri 2) 4) e 5) dell'art. 409. Anzi la giurisprudenza ha riconosciuto il diritto del datore di lavoro attore di radicare la controversia di lavoro davanti al giudice di un foro diverso, pur se rientrante tra quelli alternativi previsti dall'art. 413 del c.p.c., rispetto a quello in cui in concreto viene svolta la prestazione di lavoro (cassazione 23 maggio 1991, n. 5797; 13 giugno 1991, n. 6659) e la stessa Corte costituzionale, nella sentenza 21 dicembre 1985, n. 362, ha ammesso la fondatezza costituzionale della disciplina prevista dall'art. 413 secondo comma del c.p.c. La legge n. 128/1992 ha, dunque, l'effetto riflesso di penalizzare i lavoratori subordinati, ai cui rapporti di lavoro rimane applicabile la competenza alternativa di tre fori tra loro concorrenti che possono essere aditi a scelta della parte attrice, e di favorire il lavoro autonomo parasubordinato senza alcuna apprezzabile giustificazione. La disparita' di trattamento appare evidente considerando che nel lavoro subordinato a domicilio (ipotesi questa assimilabile alle forme di collaborazione parasubordinata di cui al n. 3) dell'art. 409) il prestatore puo' essere citato o puo' agire in giudizio nei tre fori alternativi e concorrenti di cui al secondo comma, dell'art. 413 del c.p.c., che possono anche non coincidere con il luogo del suo domicilio, mentre il lavoratore autonomo parasubordinato ha riconosciuto il privilegio di utilizzare il foro esclusivo del luogo del suo domicilio. La norma censurata appare, altresi', irrazionale nel momento in cui, imponendo il foro esclusivo del domicilio dell'agente o del titolare del rapporto di parasubordinazione, trascura il luogo ove ha sede la mandante o il destinatario della prestazione. A parte il rilievo di mero fatto che nella vasta gamma di rapporti rientranti nell'ampia previsione di cui al n. 3 dell'art. 409 del c.p.c. possono essere riscontrate ipotesi in cui la prestazione parasubordinata viene resa presso la sede della azienda o del destinatario della prestazione o, addirittura, con riferimento a luoghi diversi da quello del domicilio del lavoratore autonomo parasubordinato, si deve, al proposito, osservare che una particolare importanza assume anche il luogo ove ha sede la mandante o il destinatario della prestazione nell'ambito delle vicende relative al rapporto di collaborazione. Non puo' essere, infatti, dimenticato, volendo riferirsi ad esempio al contratto di agenzia, che l'agente, pur prestando la sua attivita' nella zona di competenza, e' spesso chiamato presso la sede della mandante per incontri di aggiornamento, per ricevere istruzioni, per ritirare materiale promozionale o altro; che presso la sede della mandante e' accentrata la gestione amministrativa e contabile del rapporto ed e' custodita parte della documentazione relativa al rapporto. Del resto nei rapporti di parasubordinazione l'attivita' del prestatore di lavoro, ancorche' autonoma, deve essere coordinata, cioe' inserita in quella del preponente dalla quale non puo' essere del tutto avulsa. Ne consegue, allora, che puo' assumere rilevanza, nell'ambito dei rapporti fra le parti, sia il luogo ove viene svolta la prestazione sia il luogo ove tale prestazione viene in qualunque modo utilizzata dal destinatario. La normativa in esame appare, quindi, irrazionale perche', ai fini della competenza per territorio, non prende in nessuna considerazione dei criteri di collegamento relativi a dei luoghi, diversi da quello del domicilio del lavoratore autonomo parasubordinato, ove puo' sussistere un obiettivo interesse di una delle parti a radicare la controversia. Ne' il sacrificio di questo interesse sembra poter trovare giustificazione nel favor legislativo nei confronti della c.d. parte piu' debole del rapporto, giacche' la disciplina legislativa in esame tutela in modo particolare solo le categorie dei prestatori di lavoro autonomo parasubordinato e non anche i lavoratori subordinati, come si e' gia' per altro ampiamente sottolineato. 5. - La norma censurata sembra anche confliggere con i principi sanciti dall'art. 24 della Costituzione in forza dei quali tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e la difesa e' un diritto inviolabile in ogni fase e stato del procedimento. La legge n. 128/1992, infatti, rende particolarmente gravoso l'esercizio sia del diritto di difesa sia del diritto di azione all'imprenditore o, piu' in generale, alla parte che si e' avvalsa della collaborazione parasubordinata. In senso contrario si potrebbe obiettare che la violazione del diritto di difesa dovrebbe essere esclusa giacche' ogni criterio che radichi la competenza in un luogo che presenti un collegamento con una delle parti necessariamente sacrifica l'interesse, che sarebbe di mero fatto, della controparte che con tale luogo non abbia collegamento alcuno. Tale assunto non sembra, tuttavia, condivisibile con riguardo alla previsione della legge n. 128/1992 perche' l'imposizione del foro esclusivo del luogo del domicilio di una delle parti, anche se di quella piu' debole, comporta l'attrazione di tutte le controversie nel foro previsto dalla legge con conseguente limitazione del diritto di difesa dell'altra parte del rapporto. La violazione del diritto di difesa deve, cioe', essere individuata nella previsione legislativa di un foro esclusivo, la quale determina sempre e comunque un grave pregiudizio processuale per una delle parti. Infatti la normativa censurata, nell'obbligare una delle parti a utilizzare soltanto il foro del domicilio dell'altra, comporta per questa parte un continuo sacrificio del suo interesse. Del resto la previsione della legge n. 128/1992 puo' determinare a carico delle aziende un ingiustificato aggravio nei costi per l'esercizio del diritto di azione e di difesa. A tale proposito e' sufficiente osservare che nella realta' quotidiana molte aziende, come appunto la societa' odierna ricorrente, si servono per la commercializzazione dei loro prodotti di una rete di agenti capillarmente diffusa sul territorio nazionale, con rappresentanti disseminati in tutte le provincie. Per tutte queste aziende l'imposizione del foro esclusivo del domicilio dell'altra parte comporta la polverizzazione di tutte le controversie, con conseguente aggravio di costi e maggiore difficolta' di difesa. In tale contesto, oltre a diventare antieconomico il recupero dei crediti per importi non rilevanti che, di fatto, verrebbero abbonati all'altra parte, finisce per essere fatto rientrare nel rischio di impresa anche l'esercizio del diritto di azione o di quello di difesa. In sostanza per queste aziende il diritto di azione e il diritto di difesa sarebbero pesantemente condizionati non tanto o non solo dalla naturale incertezza della singola controversia ma anche dai maggiori oneri economici che dovrebbero essere sostenuti per radicare la controversia nel domicilio della controparte (questo, ovviamente, con riferimento non ad una singola controversia ma all'insieme delle possibili controversie che ciascuna azienda dovrebbe sostenere con i suoi collaboratori autonomi). D'altra parte, se si considera che gli agenti, come la gran parte dei titolari degli altri rapporti di collaborazione parasubordinata, sono anch'essi degli autonomi imprenditori, soggetti al rischio di impresa, la scelta legislativa di radicare in via esclusiva le controversie con la controparte presso il domicilio di costoro evidenzia una oggettiva disparita' tra le parti del processo ed un ostacolo ad agire in giudizio, che trarrebbe la sua giustificazione soltanto dalla presunta maggiore forza economica di una delle parti. In realta' la previsione di cui all'art. 24 della Costituzione non sembra debba essere considerata in astratto, ma i principi costituzionali enunciati dall'articolo citato devono trovare concreta applicazione. La legge n. 128/1992 sembra aver accordato alla c.d. parte piu' debole del rapporto una garanzia processuale molto intensa che contrasta, tuttavia, con il diritto di difesa della controparte, il quale comunque deve essere in concreto salvaguardato dalla legge. Ne' l'obiettivo sacrificio del diritto di difesa di una parte puo' trovare giustificazione nell'interesse generale di avvicinare tendenzialmente il processo al luogo ove trovasi la documentazione rilevante, giacche', come si e' gia' visto, nei rapporti di agenzia e negli altri rapporti di collaborazione parasubordinata, assume un'importanza non inferiore a quella del domicilio del lavoratore autonomo parasubordinato anche il luogo ove ha sede l'azienda. In tale contesto il riequilibrio dei rapporti fra le parti avrebbe dovuto essere eseguito dal legislatore con l'aggiunta agli altri fori gia' previsti dall'art. 413 secondo comma del c.p.c., quello della sede della azienda o del luogo in cui e' sorto il rapporto, del foro del luogo del domicilio, mantenendo il principio della alternativita' fra i tre fori concorrenti e riservando alla parte attrice la scelta. L'imposizione, del foro del domicilio come foro esclusivo sembra aver invece privilegiato in modo assoluto una parte, ancorche' la piu' debole, sull'altra, rendendo per quest'ultima l'esercizio del diritto di difesa e del diritto di azione particolarmente gravoso.