IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1690/1991, proposto da Marte Domenico Antonio, rappresentato e difeso dall'avv. Alberto Panuccio ed elettivamente domiciliato in Catanzaro, via Milelli n. 42, presso lo studio dell'avv. Mario Garofalo contro il Ministero delle finanze, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avvocatura distrettuale dello Stato per l'annullamento: del provvedimento del Ministero delle finanze, dir. generale del demanio, del 6 novembre 1990, n. 15721, con il quale non e' stata accolta la domanda del ricorrente di trattenimento in servizio fino al settantesimo anno di eta', e della relativa nota dell'intendenza di finanza di Reggio Calabria datata 13 novembre 1990, n. 11077, comunicata il 25 settembre 1991; del provvedimento del Ministero delle finanze di collocamento del ricorrente in quiescenza a decorrere dal 1º dicembre 1991, e della relativa nota dell'intendente di finanza di Reggio Calabria dell'8 ottobre 1991, n. 8573; del provvedimento di collocamento in quiescenza in corso di registrazione, sempre con la stessa data di decorrenza del 1º dicembre 1991, e della relativa nota dell'intendente di finanza di Reggio Calabria del 6 novembre 1991 prot. n. 9391/4; di ogni altro atto e provvedimento preordinato e conseguenziale; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione resistente; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Designato alla camera di consiglio del 19 dicembre 1991 il rettore, dott. Roberto Politi ed uditi, altresi', l'avv. Garofalo, in sostituzione dell'avv. Panuccio per il ricorrente e l'avv. dello Stato Scaramuzzino per l'amministrazione resistente; Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue: F A T T O Espone il ricorrente di essere stato assunto, in qualita' di invalido civile, alle dipendenze del Ministero delle finanze, con la qualifica di addetto ai servizi di portierato e di custodia. Proposta (in data 12 ottobre 1990) istanza di mantenimento in servizio fino al compimento del settantesimo anno di eta', reiterava tale richiesta con nota del 25 settembre 1991; ricevendo peraltro negativo riscontro in relazione all'asserita carenza di disposizioni idonee a consentire il trattenimento in servizio oltre il sessantacinquesimo anno di eta'. Nell'evidenziare l'intervenuta comunicazione del collocamento a riposo a far tempo dal 1º dicembre 1991, deduce avverso gli impugnati provvedimenti i seguenti profili di doglianza: 1) erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 4 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092; eccesso di potere per difetto di motivazione. L'epigrafata norma, lungi dal determinare con carattere di fissita' la regola del colocamento a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di eta', imporrebbe all'amministrazione la valutazione di un complesso di circostanze (anzianita' di servizio, raggiungimento del diritto a pensione, misura della stessa, idoneita' del soggetto al persistente espletamento delle mansioni, appartenenza ad una categoria protetta), che nella fattispecie risulta essere stata omessa; 2) illegittimita' costituzionale dell'art. 4 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, in relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione. Evidenzia in argomento il ricorrente come la materia dei limiti di eta' per il pensionamento sia stata recentemente oggetto di una rilevante evoluzione giurisprudenziale, tra l'altro contrassegnata dalla sentenza n. 444 del 26 settembre-12 ottobre 1990 resa alla Corte costituzionale (con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' dell'art. 15, terzo comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477) e dalla successiva pronunzia n. 282 del 3-18 giugno 1991. Tale ultima sentenza, che testimonia lo sviluppo di una tendenza volta al superamento dell'intangibilita' del limite del sessantacinquesimo anno, in un quadro di valorizzazione dei principi di tutela previdenziale costituzionalmente sanciti (e di correlativa compressione degli ambiti di discrezionale apprezzamento rimessi al legislatore), ha in particolare dichiarato l'illegittimita' della norma in epigrafe con riferimento alla situazione dei soggetti nei confronti dei quali sia stata per legge disposta l'elevazione a cinquantacinque anni del limite massimo di eta' per l'accesso all'impiego. Nell'evidenziare, a conforto della propugnata tesi, lo sviluppo normativo recante per talune categorie di pubblici dipendenti l'elevazione del limite per il collocamento a riposo (legge n. 37/1990 per i dirigenti civili dello Stato; legge n. 50/1991 per i primari ospedalieri), viene affermato che il mantenimento del limite del sessantacinquesimo anno di eta' integrerebbe profili di discriminazione (per disparita' di trattamento) fra classi di soggetti; tale circostanza riceve, peraltro, un piu' significativo rilievo ove si abbia riguardo alla situazione di soggetti, appartenenti alle c.d. "categorie protette", che, per effetto del ricordato innalzamento del limite di eta' per l'assunzione, subirebbero negative conseguenze sul diritto alla pensione per effetto della contestata fissita' al sessantacinquesimo anno del limite per il collocamento a riposo. Nel rammentare come il contestato principio sia stato, negli ultimi tempi, oggetto di numerose ordinanze di rimessine alla Corte costituzionale, conclude il ricorrente per l'accoglimento della proposta impugnativa; in subordine invocando la sospensione del giudizio e la proposizione, dinanzi alla Corte, della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 del d.P.R. n. 1092/1973 per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione. Nel sottolineare come sia stata altresi' dal ricorrente chiesta la sospensione, in via incidentale, dell'efficacia degli impugnati provvedimenti, si evidenzia altresi' che la resistente amministrazione, costituitasi a mezzo dell'avvocatura distrettuale dello Stato, ha invocato la reiezione del ricorso in esame. La deliberazione dell'istanza cautelare de qua e' intervenuta alla camera di consiglio del 19 dicembre 1991, nella quale e' stata sospesa l'efficacia degli atti impugnati. D I R I T T O 1. - L'infondatezza del primo motivo di gravame sottolinea la rilevanza integrata, ai fini del decidere, dalla valutazione del rimanente profilo di doglianza, con la quale e' stata sollevata l'esposta questione di legittimita' costituzionale. Si rileva infatti che l'invocata norma - rappresentata dall'art. 4 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 - non appare consentire quegli ampliati margini di valutazione, dal ricorrente postulati, con riferimento ad un complesso di circostanze (tutte relative alla posizione di servizio del soggetto interessato) diverse dalla mera considerazione del raggiungimento del previsto limite di eta'. Recita infatti il primo comma del citato art. 4 che "gli impiegati civili di ruolo e non di ruolo sono collocati a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di eta'"; mentre al terzo comma leggesi che "continuano ad applicarsi le norme vigenti che stabiliscono limiti fissi di eta' per il collocamento a riposo di dipendenti civili dello Stato che appartengono a particolari categorie ..". La lettura di tali disposizioni non autorizza ad ammettere giuridico pregio alla prospettazione dalla parte ricorrente dedotta con il sintetizzato primo motivo di ricorso, rilevato come l'ipotesi parzialmente derogatoria delineata al terzo comma stabilisca un peculiare e diverso trattamento per determinate categorie di soggetti (art. 5 del r.d. 31 maggio 1946, n. 511, per i magistrati; artt. 18 e 24 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, nonche' art. 6 della legge 9 dicembre 1985, n. 705, per i docenti universitari; art. 15 della legge 30 luglio 1973, n. 477, per gli insegnanti delle scuole elementari; art. 4-quinquies della legge 28 febbraio 1990, n. 37, per i dirigenti civili dello Stato; art. 1 della legge 19 febbraio 1991, n. 50, per i primari) e non individui, invece, percorsi di discrezionale valutabilita' delle singole posizioni soggettive. Anzi, la potesta' in subiecta materia rimessa alla pubblica amministrazione pare involgere un ambito di vincolato apprezzamento, risultando precluso l'esercizio di poteri determinativi coincidente con lo svolgimento di valutazioni discrezionali, la collocabilita' a riposo risultando legittimamente individuabile al solo ricorrere degli elementi identificativi, dalla pertinente normativa fissati in relazione all'esclusivo presupposto del conseguimento del relativo limite di eta'. Discorso diverso, intuitivamente, va svolto per gli ambiti di ampliata e diversificata valenza contenutistica ricongiungibili alla portata dell'art. 4 ove il dettato di tale norma venga ridisegnato dall'intervento della Corte costituzionale, come infra si avra' modo di sottolineare compiutamente; diversamente dovendosi opinare per l'operativita' delle previsioni - derogatorie - di cui al terzo comma per tipologie di destinatari e non per singole posizioni soggettive: per l'effetto non rilevando come attributario di giuridico pregio il primo profilo di doglianza con il presente ricorso fatto valere. 2. - E' invece non manifestamente infondata - e rilevante ai fini del decidere - la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 del d.P.R. n. 1092/1973 con riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione. 2.1. - Per quanto concerne l'indagine relativa alla rilevanza della questione - rimessa al giudice a quo, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - si evidenzia che, alla stregua di quanto evidenziato sub 1), la definizione della pendente controversia non appare suscettibile di intervenire indipendentemente dall'esame della conformita' alla disciplina costituzionale - appunto dettata agli artt. 3 e 38 - dell'art. 4 del d.P.R. n. 1092/1973. Se infatti una applicazione strettamente letterale di tale disposizione appare precludere - allo stato - la giuridica percorribilita' di un irinerario logico-argomentativo volto ad ammettere fondatezza alla pretesa dal ricorrente fatta valere in giudizio (possibilita' di permanere in servizio oltre il sessantacinquesimo anno di eta' e fino al compimento del settantesimo), diversamente potrebbe atteggiarsi la comprensione dell'applicabile disciplina ove di essa potesse fornirsi una lettura idonea a conferire alla stessa un ampliato ambito di operativita', in un quadro di piu' aderente conformita' alla evocata postulazione costituzionale riveniente dagli artt. 3 e 38 sopra richiamati. Dalle svolte considerazioni emerge la ritenuta rilevanza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 in discorso, i cui profili di non manifesta infondatezza saranno infra evidenziati. 2.2. - Va in primo luogo richiamata la pronunzia con la quale la Corte costituzionale (27 luglio 1989, n. 461) ebbe a ritenere l'inesistenza di una regola generale idonea a consentire il mantenimento in servizio del dipendente ultrasessantacinquenne fino alla maturazione dell'anzianita' minima necessaria per il conseguimento della pensione; per l'effetto non ritenendosi sussistere il contrasto fra l'art. 4 del d.P.R. n. 1092/1973 e l'art. 3 della Costituzione, appunto nell'ambito dispositivo da tale norma recato con valenza preclusiva al trattenimento in servizio di dipendenti statali fino alla maturazione dell'anzianita' occorrente per conseguire la pensione. In tale ottica, ritenne anche la Corte che la situazione di coloro che provengano all'eta' per il collocamento a riposo senza aver maturato il diritto a pensione fosse stata dal legislatore tenuta presente in relazione alla previsione, per tale classe di soggetti, di un'indennita' una tantum (per tale profilo, valutandosi l'assenza di contrasto con la previsione ex art. 38 della Costituzione). Nell'ottica di tale pronunzia, appare con ogni evidenza la profilabile - ed opponibile - inammissibilita' di una nuova ordinanza di rimessione recante, nella predetta prospettazione, censure all'art. 4 del d.P.R. n. 1092/1973 in relazione al dispositivo degli artt. 3 e 38 della Costituzione. 2.3. - Peraltro, non puo' il tribunale rimettente esimersi dal valutare il rapido e profondo sviluppo evolutivo della giurisprudenza della Corte appalesato alla stregua della successiva, recente pronunzia n. 282 del 3-18 giugno 1991. Sollevata dal t.a.r. Toscana questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, primo comma, del d.P.R. n. 1092/1973 (per la parte in cui non risultava previsto il diritto al trattamento in servizio del personale statale ultrasessantacinquenne che non avesse ancora maturato l'anzianita' di servizio minima per il conseguimento del diritto a pensione) si e' pervenuto ad un dictum della Consulta che ha profondamente inciso - in un quadro di generale rilevanza, non settorialmente limitato a particolare categorie di pubblici dipendenti - il generale principio del collocamento a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di eta'. Va in argomento rilevato come il collegio toscano avesse sottolineato l'evoluzione della giurisprudenza della Corte testimoniata dalla sentenza 26 settembre-12 ottobre 1990, n. 444 (peraltro significativamente inquadrata in un ambito di progressivo sviluppo legislativo, rappresentato dal d.-l. 6 novembre 1989, n. 357, convertito in legge 27 dicembre 1989, n. 417 e dalla legge 28 marzo 1990, n. 37), che, nel dichiarare l'illegittimita' dell'art. 15, terzo comma, della legge 30 luglio 1977, n. 477, ebbe espressamente a rinvenire, nell'estensione ad altre categorie delle norme derogatorie dettate per il personale della scuola, un'"evoluzione legislativa tendente a quella piu' compiuta attuazione dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione, auspicata da questa Corte". Il t.a.r. Toscana, alla luce di tali osservazioni, ha dunque nuovamente rimesso alla Corte costituzionale la questione circa "la irrazionalita' del cennato art. 4 rispetto alla legge 2 aprile 1968, n. 482, atteso che mentre quest'ultima consente .. l'assunzione .. degli invalidi, appartenenti alle categorie protette, fino all'eta' di cinquantacinque anni, il primo, nel negare il trattamento in servizio per il conseguimento del diritto a pensione, viene a neutralizzare la posizione di favore di tali categorie, giusto nel momento in cui, con l'abbandono del lavoro, ne hanno maggiore bisogno". In relazione alla predetta ordinanza di rimessione, la Corte ha dichiarato, con la citata sentenza n. 282/1991, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4, primo comma, del d.P.R. n. 1092/1973, "nella parte in cui non consente al personale ivi contemplato che al raggiungimento del limite d'esta' per il collocamento a riposo non abbia compiuto il numero di anni richiesto per ottenere il minimo della pensione, di rimanere in servizio su richiesta fino al conseguimento di tale anzianita' minima, e comunque non oltre il settantesimo anno di eta'". Da tale pronuncia rileva il collegio taluni spunti argomentativi di precipuo interesse per l'enunciazione di un ulteriore profilo di non manifesta infondatezza circa la dubitata rispondenza ai principi ex artt. 3 e 38 della Costituzione della norma di cui al ripetuto art. 4. Si osserva infatti: che la Corte ha significativamente ridimensionato il ruolo svolto dagli ambiti di discrezionalita' legislativa (altrimenti preclusivi, argomentandosi cio' dalla richiamata sentenza n. 461/1989) nel bilanciamento dell'interesse del lavoratore al conseguimento del diritto a pensione con altri interessi costituzionalmente rilevanti: discrezionalita' che si porrebbe in un'ottica di constatata insufficienza, valutata alla stregua di un'osservata tendenza a rendere possibile il prolungamento dell'eta' lavorativa, in coincidenza con l'innalzamento dell'eta' media della popolazione (sia pure in una prospettazione eminentemente circoscritta, invero, al tempo strettamente necessario per il raggiungimento dell'eta' minima per il diritto a pensione); che, in ogni caso, la rigidita' del principio del collocamento a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' e' idonea a rivestire un "rincarato" rilievo di incostituzionalita' in presenza di una normativa - ex legge n. 482/1968 - ponentesi in un'ottica "protezionistica" di talune categorie di soggetti (ritenute meritevoli di particolari benefici) per le quali viene consentita l'elevazione (a cinquantacinque anni) del limite massimo di eta' per l'accesso all'impiego. 2.4. - Ritiene questo tribunale che l'intrapresa linea di sviluppo ermeneutico - che ha condotto alla declaratoria di incostituzionalita' onde trattasi - possa essere suscettibile di ulteriori impulsi evolutivi, in un quadro di accentuata sensibilita' verso una complessiva sintonizzazione della normativa de qua alle postulazioni costituzionali poste a presidio dell'effettiva eguaglianza dei cittadini relativamente al diritto al trattamento previdenziale. Se infatti e' vero che le categorie di invalidi contemplate dalla legge n. 482/1968 godono di un innalzamento fino al cinquantacinquesimo anno di eta' del limite massimo per l'inserimento lavorativo, ritiene questo tribunale che consentirne la permanenza in servizio fino al settantesimo anno di eta' per il conseguimento dell'anzianita' minima per il diritto a pensione costituisca il solo movimento iniziale verso una compiuta parificazione con la rimanente generalita' di soggetti lavorativi che, risultando assoggettati ad un piu' basso limite di eta' per l'accesso ai pubblici impieghi, necessariamente conseguono (o comunque, ben possono conseguire) al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' una maggiore anzianita' di servizio, idonea a riverberare effetti economicamente piu' vantaggiosi sullo spettante trattamento pensionistico. Se dunque va considerato espunto dall'ordinamento il limite addirittura preclusivo al conseguimento stesso del minimo pensionistico (in relazione alla ripetuta pronunzia n. 282/1991), va favorevolmente considerata la possibilita' di un'approfondita lettura evolutiva della vigente normativa che accentui il processo di tendenziale omogeneizzazione fra "categorie protette" e rimanente personale pubblico, alle prime consentendo, anche in presenza di una conseguita anzianita' minima per il diritto a pensione, una protratta permanenza in servizio al fine di incrementare l'anzianita' utile onde accrescere la base retributiva per il calcolo del trattamento di quiescenza, in relazione alla prevista possibilita' di tardiva assunzione in servizio. Che l'innalzamento del limite di eta', a questi fini, al cinquantacinquesimo anno di eta' non costituisca un principio irragionevole, ma rappresenti anzi la posizione di un'apprezzabile intento a "favore" verso quei soggetti il cui inserimento occupazionale presenti, in ragione di constatate condizioni di menomazione psico-fisica, profili di problematica attuazione, non e' certo revocabile in dubbio; e quindi, in una lettura di tale disegno di carattere condivisibilmente solidaristico, appare a questo tribunale non sfornito di ragionevolezza il dubbio circa la costituzionalita' di disposizioni - quali ad esempio integrate dal richiamato art. 4 del d.P.R. n. 1092/1973 - che, in un quadro di omogeneizzazione parificatrice di diversificate classi soggeti, non tengano in adeguata considerazione l'esigenza di garantire a chi ha assunto la qualita' di pubblico dipendente in eta' posteriore a quella consentita alla generalita' dei soggetti (per valutazioni dal legislatore assunte in un quadro di protezione di classi di individui invalidi o menomati), una protratta presenza in servizio utile a garantire un accrescimento della base retributiva e, conseguentemente, un migliore trattamento pensionistico. Nell'ovvio rilievo che un siffatto opinamento trova matrici contenutistiche nel principio di eguaglianza sostanziale propugnato dall'art. 3 della Costituzione, osserva questo tribunale che la propugnata tesi incontra un significativo riscontro proprio nella tendenza evolutiva che ha contraddistinto la lettura dalla Corte costituzionale fornita al secondo comma dell'art. 38 della Costituzione, laddove all'adeguatezza dei mezzi idonei al soddisfacimento delle esigenze vitali, integranti il trattamento di quiescenza, ha fatto riscontro una sempre piu' accentuata e sollecita attenzione per l'effettivita' di tutela che, in subiecta materia, e' stata reiteratamente affermato non esere sufficientemente presidiata da previsioni normative contemplanti una generalizzata fissazione del sessantacinquesimo anno di eta' per il collocamento a riposo. 2.5. - Del resto, la meritevolezza di considerazione - dalla Corte affermata nella richiamata sentenza n. 461/1989 - verso l'interesse del lavoratore ad essere trattenuto in servizio per il tempo necessario al conseguimento della pensione ha gia' ricevuto riscontro nella valutazione che la presunzione secondo cui al compimento dei sessantacinque anni si pervenga ad una diminuita disponibilita' di energie lavorative incompatibile con la prosecuzione del rapporto "e' destinata ad essere vieppiu' inficiata dai riflessi positivi del generale miglioramento delle condizioni di vita e di salute dei lavoratori nella loro capacita' di lavoro": in tale quadro ravvisandosi l'irragionevolezza della perdurante esistenza di un limite - posta al sessantacinquesimo anno di eta' - per il collocamento a riposo, ove permanga la ritenuta idoneita' lavorativa e, conseguentemente, la persistente possibilita' di adibizione operativa in seno all'amministrazione pubblica. Alla stregua del superamento del risvolto "fisiologico" che precluderebbe per gli ultrasessantacinquenni una protratta permanenza in servizio fino al compimento del settantesimo anno di eta', tornano ad acquisire preminente rilievo le svolte considerazioni circa i profili di irragionevole discriminazione verso quelle "categorie di soggetti meritevoli di particolari benefici" (che la Corte ha ritenuto illegittimo sottoporre a deteriore trattamento, ove ad essi non fosse consentito il conseguimento del minimo della pensione) rivenienti da una fissazione omogenea del limite dei sessantacinque anni - di cui sopra - che in realta' consuma un'evidente collocazione in peius rispetto alla generalita' dei pubblici dipendenti, in considerazione della rilevata possibilita' per gli invalidi appartenenti alle categorie protette di accedere ai pubblici uffici fino al compimento dei cinquantacinque anni di eta' e, conseguentemente, di maturare - a parita' di eta' per il collocamento a riposo - un'inferiore anzianita' di servizio che espone tali soggetti, sia pur nella consentita ( ex sentenza n. 282/1991) opportunita' di conseguire il minimo, alla maturazione di un trattamento pensionistico economicamente inferiore.