ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 558, secondo
 comma, e 83, quinto comma, del codice di procedura  penale,  promosso
 con  ordinanza  emessa  il  21  giugno  1991  dal Pretore di Ancona -
 Sezione distaccata di Jesi,  nel  procedimento  penale  a  carico  di
 Martinelli  Furio,  iscritta  al n. 530 del registro ordinanze 1991 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  34,  prima
 serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 19 febbraio  1992  il  Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Nel corso del processo penale a carico di Martinelli Fulvio,
 imputato  di  omicidio  colposo,  il  Pretore  di   Ancona,   Sezione
 distaccata  di  Jesi,  premesso:  che la persona offesa dal reato era
 stata resa edotta, mediante citazione notificata il 13  giugno  1991,
 della udienza dibattimentale fissata per il successivo 21 giugno; che
 il  15  giugno  1991  la  stessa  persona  offesa  aveva provveduto a
 depositare in cancelleria l'atto di costituzione di parte  civile  ed
 aveva contestualmente richiesto la citazione del responsabile civile;
 che  all'udienza  dibattimentale  -  reiterata,  "per  quanto potesse
 occorrere,  l'avvenuta  costituzione"  -  la   parte   civile   aveva
 depositato l'originale della notifica al responsabile civile, facendo
 presente  "l'impossibilita'  pratica  di procedere alla tempestivita'
 dell'adempimento, anche a fronte della genericita' del termine di cui
 alla norma'; tutto cio' premesso, ha sollevato, in  riferimento  agli
 artt.  3  e  24 della Costituzione, due questioni di legittimita', da
 ritenere  "gradatamente  rilevanti  per  questo  giudizio  in  quanto
 precludenti la possibilita' della parte civile di svolgere la propria
 attivita'   e,   conseguentemente,   la  possibilita'  difensiva  del
 responsabile civile, una volta che  ne  fosse  dichiarata  valida  la
 citazione".  La prima, eccepita dalla parte civile, avente ad oggetto
 l'art. 558, secondo comma, del  codice  di  procedura  penale,  nella
 parte  in  cui  "limita  a  soli  cinque  giorni precedenti l'udienza
 dibattimentale la citazione della persona offesa anche per  cio'  che
 concerne  la  ritualita'  della chiamata in giudizio del responsabile
 civile"; la seconda, eccepita dal responsabile civile costituitosi in
 giudizio,  deducendo  l'invalidita'  della  sua   citazione   perche'
 effettuata  prima  della  costituzione  di  parte civile, concernente
 l'art. 83, quinto comma, dello stesso codice, "nella parte in cui non
 prevede un termine congruo per la citazione del responsabile civile".
    Ravvisa il giudice a quo, anzitutto, disparita' di trattamento fra
 imputato  e  parte  civile: all'uno e' riservato un termine minimo di
 quarantacinque giorni per  la  notifica  del  decreto  di  citazione,
 mentre  il  termine  assegnato all'altra e' di soli cinque giorni; in
 secondo luogo, violazione  del  diritto  di  difesa  dell'offeso  dal
 reato,  che ha a disposizione l'"esiguo termine" di cinque giorni, da
 ritenere "vanificante, di fatto, di  quello  menzionato  e  previsto"
 dall'art. 142 del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e
 transitorie  del  codice  di procedura penale (testo approvato con il
 decreto legislativo 28  luglio  1989,  n.  271).  Osserva  ancora  il
 giudice  rimettente che la "genericita' del termine" per la citazione
 del  responsabile  civile  compromette  il  suo  diritto  di  difesa,
 imponendo  al  giudice,  "in  assenza  di  un  termine  specifico, di
 valutare arbitrariamente l'effettiva  potenziale  esplicazione  dalla
 facolta' difensiva di tale parte".
    2.  -  L'ordinanza,  ritualmente notificata e comunicata, e' stata
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  34,  prima
 serie speciale, del 1991.
    3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato,
 chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
    Con  riguardo  alla censura concernente l'art. 558, secondo comma,
 in relazione alla dedotta violazione  del  principio  di  eguaglianza
 derivante   dal   diverso   termine   rispettivamente  stabilito  per
 l'imputato  e  per  la  persona  offesa,  l'Avvocatura  richiama   la
 "struttura  'bifasica'  impressa  dal  legislatore  alla citazione in
 giudizio dinanzi al pretore",  conseguente  all'assenza  dell'udienza
 preliminare.  In  tale  quadro, la collocazione della citazione della
 persona  offesa  dopo  la  scadenza  dei  termini  per  la  citazione
 dell'imputato sarebbe da ritenere del tutto ragionevole, considerando
 che  il  primo  termine e' fissato anche in funzione della scelta dei
 riti di deflazione coinvolgenti il solo imputato. Quanto  al  termine
 assegnato alla persona offesa, la sua brevita' si giustificherebbe in
 forza  della  connaturata speditezza del procedimento davanti al pre-
 tore. Circa, poi, la pretesa violazione del diritto di  difesa  della
 parte  civile,  si  richiama  la  sentenza  n.  192  del  1991  e  la
 possibilita' per la persona offesa di far valere il  suo  diritto  al
 risarcimento del danno davanti al giudice civile.
    In  relazione,  infine,  alla denuncia dell'art. 83, quinto comma,
 del codice di procedura penale, l'Avvocatura deduce che l'assenza  di
 una   espressa   previsione   normativa   impone   all'interprete  di
 determinare -  tenuto  conto  di  fattispecie  analoghe  -  la  norma
 applicabile   in   concreto.  Norma,  nella  specie,  da  individuare
 nell'art. 558 riguardante la notifica della  citazione  alla  persona
 offesa.  Con  la  conseguente  operativita'  anche  dell'art. 465, da
 ritenere applicabile al fine di consentire la  chiamata  in  giudizio
 del responsabile civile.
                        Considerato in diritto
   1.  -  Il  giudice  a  quo dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24
 della  Costituzione,  della  legittimita'  di  due  norme,   entrambe
 riguardanti  il  procedimento  davanti  al  pretore:  per  un  verso,
 dell'art. 558, secondo comma, del codice di  procedura  penale,  "nel
 punto  in  cui  impone  un  termine di giorni cinque per la citazione
 della  persona  offesa,  e  non  un  termine  idoneo  a consentire la
 concreta esplicazione della propria facolta'" e, per un altro  verso,
 dell'art.  83, quinto comma, dello stesso codice, "nella parte in cui
 non pone, al predetto fine, un termine di notifica per la chiamata in
 giudizio del responsabile civile".
    Piu' in particolare, in relazione alla persona offesa, si denuncia
 l'esiguita' del termine stabilito dalla prima delle  norme  censurate
 "in quanto precludente la possibilita' della parte civile di svolgere
 la propria attivita'" essendo previsto in cinque giorni precedenti al
 dibattimento  il  "termine  ultimo"  per la sua citazione, un termine
 assolutamente inadeguato per predisporre la sua difesa,  sia  perche'
 tale  termine  e'  "vanificante,  di  fatto,  di  quello menzionato e
 previsto dall'art. 142 disp. att."  sia  perche',  alla  stregua  del
 disposto dell'art. 78, secondo comma, del codice di procedura penale,
 l'efficacia  della  costituzione  di parte civile e' subordinata alla
 notificazione della costituzione stessa alle parti  private:  con  la
 conseguenza che nei confronti del responsabile civile l'azione civile
 potra'  essere  esercitata  soltanto dalla parte civile costituita e,
 quindi,  dopo  la  detta  notificazione,  mediante  la  richiesta  di
 citazione del civilmente responsabile a norma dell'art. 83 del codice
 di  procedura  penale.  La  previsione  di  un  termine  cosi' esiguo
 vulnererebbe  anche   l'art.   3   della   Costituzione,   risultando
 compromesso  "il  principio di pari condizione della parte civile con
 l'imputato", cui, e',  invece,  "riservato  un  termine  di  notifica
 minimo di 45 giorni dal decreto di citazione".
    Con riguardo al responsabile civile, si denuncia - un'affermazione
 formulata  in  punto  di  rilevanza  ma  che  coinvolge  anche la non
 manifesta infondatezza della norma  censurata  -  che,  pure  ove  ne
 venisse  dichiarata valida la citazione, l'art. 83, quinto comma, nel
 prevedere un termine assolutamente generico, puo' anch'esso ledere il
 suo diritto di difesa, "imponendosi al giudicante, in assenza  di  un
 termine specifico, di valutare arbitrariamente l'effettiva potenziale
 esplicazione della facolta' difensiva di tale parte".
    2. - La prima questione e' inammissibile.
    Pur dovendo riconoscersi che nell'ambito del processo pretorile il
 termine   minimo   di   cinque  giorni  dalla  data  fissata  per  il
 dibattimento per la citazione della persona  offesa  puo'  in  taluni
 casi  vanificare,  di  fatto,  il diritto di costituirsi parte civile
 soprattutto quando sia in gioco la citazione del responsabile civile,
 l'assenza di un tertium  comparationis  ricavabile  dal  sistema  non
 consente di individuare una soluzione costituzionalmente obbligata in
 grado  di  colmare  le  conseguenze  derivanti  dall'applicazione del
 precetto di cui si censura il contrasto con le  norme  costituzionali
 invocate.
    Il  richiamo del giudice a quo al termine stabilito per l'imputato
 si rivela, infatti, non riferibile all'offeso dal reato, non solo per
 l'evidente diversita' delle posizioni poste a confronto, ma anche sul
 piu' specifico riflesso che  la  prescrizione  dell'art.  555,  terzo
 comma,  del  codice  di  procedura  penale  - nella quale si fissa un
 termine, e' opportuno ricordarlo, piu' esteso di quello previsto  per
 la citazione dell'imputato per il dibattimento davanti al tribunale e
 alla  corte  di  assise - e' strettamente collegata alla facolta' per
 l'imputato stesso di richiedere i riti alternativi di deflazione  del
 dibattimento  entro  quindici  giorni  dalla  notifica del decreto di
 citazione  (v.  art.  555,  primo  comma,  lettera e) e non e' quindi
 ragionevolmente estensibile alla persona offesa.
    Senza contare che, non rivestendo  ancora  la  persona  offesa  la
 qualita'  di  parte,  l'applicazione  ad  essa  dello  stesso termine
 assegnato all'imputato comporterebbe l'operativita'  di  un  identico
 regime rispetto a posizioni non omogenee.
    Ne'  potrebbe  utilmente  soccorrere,  sempre  al  fine di colmare
 l'ipotizzato vuoto normativo, il ricorso al termine previsto  per  la
 persona  offesa  dal  reato  nel procedimento davanti al tribunale ed
 alla corte di assise (esteso, in via interpretativa, al  responsabile
 civile dalla sentenza n. 430 del 1992) perche' tale termine finirebbe
 con   interferire,  travolgendola,  con  la  duplicita'  dei  termini
 previsti dall'art. 555, con conseguenti riverberi sull'intero assetto
 normativo collegato alla citazione delle parti nel  processo  davanti
 al pretore.
    Ne  deriva  che  poiche'  le  soluzioni possibili al fine di porre
 rimedio al regime  predisposto  dall'art.  558,  secondo  comma,  del
 codice  di  procedura  penale,  si  profilano  come discrezionali, la
 scelta del termine congruo per la citazione della persona offesa  nel
 giudizio  pretorile  non  appartiene alla competenza di questa Corte,
 dovendo essere affidata al legislatore.
    3. - Fondata e', invece, la questione  di  legittimita'  dell'art.
 83, quinto comma, del codice di procedura penale.
    L'assenza  per  il  responsabile  civile della previsione di alcun
 termine per la sua citazione, da disporre ad  opera  del  giudice  su
 richiesta  della parte civile, lede il suo diritto di difesa sotto un
 duplice profilo: in primo luogo, perche', nel  concreto,  il  termine
 fissato  dal  giudice  potrebbe  rivelarsi  incongruo  ai  fini della
 costituzione di tale parte;  in  secondo  luogo,  perche',  comunque,
 resta  affidato all'apprezzamento insindacabile del giudice stabilire
 se "il responsabile civile sia stato posto in grado di  esercitare  i
 suoi diritti" nel giudizio.
   Poiche',  peraltro,  viene  qui  in  considerazione  non un termine
 determinato ma esiguo sibbene un termine  indeterminato,  l'art.  83,
 quinto  comma,  del  codice  di  procedura  penale,  va  ritenuto non
 conforme all'art. 24 della  Costituzione,  nella  parte  in  cui  non
 prevede  per  il procedimento pretorile la determinazione del termine
 per il responsabile civile. Nel modello processuale che viene qui  in
 discorso,  d'altra  parte,  non possono essere utilmente evocate, per
 sanare l'indicata lacuna normativa,  i  rilievi  posti  a  fondamento
 della  ricordata  sentenza n. 430 del 1992, con la quale questa Corte
 ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione,  una  non
 dissimile  censura  riguardante  la  dedotta, omessa previsione di un
 termine dilatorio per la citazione del responsabile civile davanti al
 tribunale o alla corte di  assise.  Infatti,  la  mancanza  nel  rito
 pretorile  dell'udienza  preliminare  e,  dunque, di quella specifica
 fase processuale antecedente alla traslatio  iudicii  nella  quale  i
 soggetti  privati  diversi dall'imputato possono assumere la qualita'
 di parti, non consente di fare appello agli indispensabili  referenti
 normativi  offerti dall'art. 425, terzo e quarto comma, del codice di
 procedura penale e, soprattutto, dall'art. 133 del testo delle  norme
 di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura
 penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n.
 271),  dalla cui combinata lettura, iscritta nel quadro dei princip/'
 generali che assicurano l'armonia del sistema, e' possibile pervenire
 a  quella interpretazione secundum Constitutionem che questa Corte ha
 avuto modo di delineare nella sentenza appena richiamata.
    Considerato, infatti, che nello schema processuale  ordinario  che
 regola  i procedimenti devoluti alla competenza del tribunale e della
 corte di assise, tutte le parti private godono dell'identico  termine
 di  comparizione,  diviene  agevole presupporre che lo stesso termine
 valga anche per il responsabile civile che debba essere citato per la
 prima volta al dibattimento.
    Nel procedimento davanti al pretore, invece,  l'unico  termine  di
 comparizione  e'  quello  previsto per l'imputato, proprio perche' e'
 l'unica parte  che  puo'  "esistere"  all'atto  della  emissione  del
 decreto di citazione a giudizio.
    Cio'  premesso,  rimane  tuttavia il problema della individuazione
 del precetto a cui fare attualmente capo alla stregua  dei  princip/'
 costituzionali  in  attesa  di  un auspicabile intervento legislativo
 diretto a riequilibrare l'intero sistema dei termini per la citazione
 dei soggetti privati diversi dall'imputato  nel  processo  pretorile.
 Ora,  la  constatazione  che la citazione del civilmente responsabile
 segue  necessariamente  alla  costituzione  di  parte   civile,   non
 interferendo in alcun modo con la conformazione binaria della vocatio
 in iudicium dell'imputato, consente di rinvenire nell'attuale assetto
 normativo  -  anche  considerando il ruolo di civilmente responsabile
 per il fatto dell'imputato che il responsabile civile assume  -  come
 unico  termine  ad  esso riferibile quello indicato dall'art. 555. Un
 termine,  oltre  tutto,  omogeneo,  quanto  a  posizioni  soggettive,
 rivestendo  il  civilmente  responsabile, una volta citato - e pure a
 prescindere dalla sua costituzione - la qualita' di parte.
    L'art. 83, quinto comma,  del  codice  di  procedura  penale  deve
 pertanto essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte
 in  cui  non  prevede  per  la  citazione del responsabile civile nel
 procedimento pretorile il  medesimo  termine  assegnato  all'imputato
 dall'art. 555, terzo comma, dello stesso codice.