ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi riuniti di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2, 4, 5, commi 1 e 2, e 6, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 175 ("Norme in materia di pubblicita' sanitaria e di repressione dell'esercizio abusivo delle professioni sanitarie"), promossi con ricorsi della Regione Lombardia e della Provincia autonoma di Trento, notificati rispettivamente il 27 e 30 marzo 1992, depositati in cancelleria, il primo, il 2 aprile 1992 ed il secondo il 7 aprile successivo ed iscritti ai nn. 35 e 37 del registro ricorsi 1992; Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 6 ottobre 1992 il Giudice relatore Francesco Guizzi; Uditi gli avvocati Giuseppe Franco Ferrari per la Regione Lombardia e Valerio Onida per la Provincia autonoma di Trento e l'avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Regione Lombardia ha impugnato l'art. 5, commi 1 e 2, della legge 5 febbraio 1992, n. 175, che pone norme in materia di pubblicita' sanitaria e di repressione dell'esercizio abusivo delle professioni sanitarie. La ricorrente ricorda che la materia dell'assistenza sanitaria e ospedaliera appartiene alla competenza legislativa regionale, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. La legge di riforma sanitaria (23 dicembre 1978, n. 833), in attuazione del riparto costituzionale di competenze tra Stato e regioni, ha assegnato allo Stato (art. 6, lett. s) le funzioni amministrative concernenti gli ordini e i collegi professionali, riservando alle regioni l'autorizzazione e la vigilanza sulle istituzioni sanitarie di carattere privato (art. 43). Anche ad ammettere che la pubblicita' inerente all'attivita' di singoli professionisti vada ricondotta alla disciplina degli ordini e dei collegi professionali (e la relativa autorizzazione per la pubblicita' sia demandata dalla legge statale ai comuni), e' del tutto evidente che il funzionamento delle istituzioni sanitarie non ha attinenza con la materia degli ordini professionali, ma rientra nelle attribuzioni che la legge di riforma sanitaria ha assegnato alle regioni (art. 43 della legge n. 833 del 1978, citata). La legge impugnata finisce per equiparare la regione (quanto all'autorizzazione prevista per la pubblicita' di case di cura, gabinetti ed ambulatori) al comune (competente ad autorizzare la pubblicita' dei singoli sanitari). Cio' che risulta dalla simmetria dei pareri prescritti e dal rinvio ai regolamenti ministeriali per la disciplina delle modalita' di concessione dell'autorizzazione regionale. Il legislatore statale ha, in tal modo, conferito alla regione una sorta di delega di funzioni amministrative in una materia nella quale essa risulta invece titolare di potesta' legislativa concorrente, ed ha previsto un regolamento ministeriale palesemente illegittimo, anche alla luce dell'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, che esclude espressamente il ricorso ai regolamenti statali nelle materie riservate a competenza regionale, laddove si tratti di attuare e integrare leggi e decreti legislativi. Osserva infine la ricorrente che il legislatore poteva prevedere, al massimo, un atto di indirizzo e coordinamento, non gia' un regolamento, nella forma del decreto ministeriale. 2. - La Provincia autonoma di Trento, con ricorso regolarmente notificato e depositato, ha impugnato gli artt. 1, 2, 4, 5 (commi 1 e 2) e 6 (comma 3) della citata legge n. 175 del 1992, per violazione dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige e, in particolare, degli artt. 8, nn. 5 e 6; 9, n. 10; 16. Dall'esame degli atti di trasferimento delle funzioni alle regioni ordinarie e, specificamente alla Provincia di Trento, risulta che la pubblicita' concernente l'esercizio delle professioni sanitarie nonche' delle case di cura e simili, e' di competenza della Provincia autonoma, salvo per quanto attenga agli ordini professionali (v. il d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4, art. 1; il d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474; il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616; il d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526). Si duole poi la Provincia autonoma che la legge presenti carattere eccessivamente dettagliato, con riguardo ai mezzi e al contenuto della pubblicita'. Anch'essa reputa illegittima l'attribuzione al Ministro della sanita' del potere - definito regolamentare - di determinare le caratteristiche estetiche delle targhe ed inserzioni. 3. - Si e' costituito, con riferimento a entrambi i ricorsi, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato. Con riguardo al ricorso della Regione Lombardia fa presente che la disciplina impugnata attiene all'esercizio delle professioni sanitarie: la pubblicita' tocca non tanto i luoghi di per se' considerati, quanto le sedi di esercizio dell'attivita' professionale. Non a caso, le sanzioni comminate per l'inosservanza della pubblicita', anche quando questa concerna i luoghi, sono tipiche sanzioni disciplinari nei confronti dei professionisti (v. l'art. 5, comma 4, e l'art. 8, comma 1, della legge n. 175 del 1992). Si tratta dunque di materia che riguarda l'esercizio della professione e, specificamente, i compiti degli ordini professionali (che formano oggetto di riserva di attribuzione statale), al cui intervento gli artt. 4 e 5 della legge affidano un ruolo determinante nella procedura di rilascio dell'autorizzazione. Le regioni non avrebbero alcuna competenza da rivendicare in materia di pubblicita' delle professioni sanitarie, che riguarderebbe esclusivamente "profili ordinistici". Il rinvio al regolamento ministeriale per la definizione delle caratteristiche estetiche dei mezzi pubblicitari, di cui all'art. 2 della legge, risponde all'interesse generale al corretto esercizio delle professioni sanitarie. Esigenze di uniformita' giustificano anche la disposizione introdotta dal comma 2 dell'art. 5, che lascia pur sempre alle regioni il potere di dettare norme procedimentali integrative. Per quanto concerne poi il ricorso della Provincia autonoma di Trento, non sarebbero pertinenti le norme invocate. L'art. 1, secondo comma, lettera f) del d.P.R. n. 4 del 1972 non giustifica la rivendicazione di competenza prospettata con riguardo alle disposizioni introdotte dagli artt. 1, 2 e 3 della legge impugnata. Per altro verso, tutto quanto inerisce all'esercizio della professione medica e di quella sanitaria e' materia riservata allo Stato (artt. 6 del d.P.R. n. 4 del 1972; 3, n. 9, del d.P.R. n. 474 del 1975; 30 del d.P.R. n. 616 del 1977 e 6 della legge n. 833 del 1978). La pubblicita' cui ha riguardo il denunciato art. 1 della legge n. 175 del 1992 concerne, allo stesso tempo, l'esercizio della professione e l'organizzazione degli appartenenti alla categoria, profili per i quali rileva l'autogoverno delle categorie interessate. Quanto al regolamento ministeriale che dovra' definire le caratteristiche estetiche dei mezzi pubblicitari, di cui all'art. 2 della legge, si ribadisce che esso trova fondamento nell'interesse generale al corretto esercizio delle professioni sanitarie. 4. - Con atto notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 12 settembre 1992, la Provincia autonoma di Trento ha rinunziato al ricorso (n. 37), non avendo il Consiglio provinciale ratificato la deliberazione della Giunta circa l'impugnazione della citata legge n. 175. Considerato in diritto 1. - La questione sottoposta alla Corte riguarda la legittimita' costituzionale dell'art. 5, commi 1 e 2, della legge 5 febbraio 1992, n. 175, che pone norme in materia di pubblicita' sanitaria e di repressione dell'esercizio abusivo delle professioni sanitarie. Tali disposizioni, secondo la Regione Lombardia, violano la competenza regionale in materia di autorizzazione e vigilanza sulle istituzioni sanitarie di carattere privato. Palese sarebbe, in particolare, l'illegittimita' del comma 2, che prevede l'adozione di un regolamento ministeriale per stabilire le modalita' del rilascio dell'autorizzazione regionale. 2. - Analizzando il contenuto dei due commi impugnati, e' agevole constatare che essi rispondono a logiche del tutto distinte. Il comma 1 dell'art. 5 individua la regione come autorita' amministrativa competente ad autorizzare la pubblicita' di case di cura private, gabinetti ed ambulatori mono o polispecialistici. Nel procedimento, e' previsto il parere degli ordini o dei collegi professionali per acquisire le necessarie valutazioni tecniche tipizzate dalla stessa legge: accertamento del possesso e della validita' dei titoli accademici e scientifici; rispondenza della targa, insegna o inserzione alle caratteristiche stabilite dal regolamento emanato dal Ministro della sanita', sentiti il Consiglio superiore di sanita' nonche' gli ordini o i collegi professionali (art. 2, comma 3, della legge n. 175 del 1992). Tale regolamento pone norme tecniche, dirette agli ordini e ai collegi professionali, per l'esercizio delle competenze loro riconosciute nell'ambito del procedimento amministrativo di autorizzazione; esso non tocca scelte di indirizzo politico- amministrativo della regione e non vulnera l'ambito delle sue attribuzioni, costituzionalmente protetto (v., da ultimo, la sentenza di questa Corte n. 483 del 1991). La questione non e' dunque fondata, relativamente al comma 1 dell'art. 5. 3. - Deve invece essere accolta la censura mossa al comma 2 dello stesso articolo. L'indubbio rilievo che va riconosciuto, nella materia in esame, agli ordini e ai collegi professionali non toglie che e' la regione ad avere la titolarita' dei poteri di vigilanza e di autorizzazione sulle istituzioni sanitarie di carattere privato, stante il chiaro dettato dell'art. 43 della legge 23 dicembre 1978, n. 833. Fra siffatti poteri, rientra certamente quello di autorizzare la pubblicita' concernente tali istituzioni sanitarie. Questa Corte ha piu' volte affermato (v., da ultimo, le sentenze nn. 391, 204, 49 del 1991) il principio secondo cui un regolamento ministeriale di esecuzione e di attuazione di una legge statale non puo' porre norme volte a limitare la sfera delle competenze delle regioni in materie loro attribuite. Detto principio deriva dalle regole costituzionali relative all'ordine delle fonti normative, ed e' stato espressamente sancito dall'art. 17, commi 1, lett. b, e 3, della legge n. 400 del 1988, che circoscrive la potesta' regolamentare ministeriale alle sole materie di competenza del Ministro o di autorita' a lui sottordinate. Esiste, d'altronde, una connessione naturale tra la disciplina del procedimento e la materia dell'organizzazione: la regolamentazione, da parte della regione, dei procedimenti amministrativi di propria spettanza e' un corollario della competenza in materia di ordinamento degli uffici, quale espressione della sua potesta' di autorganizzazione (cfr., da ultimo, la sent. n. 465 del 1991). Risulta dunque evidente l'illegittimita' costituzionale del comma 2 dell'art. 5, che peraltro era gia' stata rilevata, in sede di parere alla commissione di merito, dalla prima commissione (affari costituzionali) del Senato. 4. - Quanto al ricorso presentato dalla provincia autonoma di Trento, considerato che la Provincia stessa ha rinunciato al ricorso con atto notificato il 12 settembre 1992 al Presidente del Consiglio dei ministri, il processo va dichiarato estinto, ai sensi dell'art. 25 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.