ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  del  combinato  disposto
 degli  artt.  453,  456 e 458 del codice di procedura penale promosso
 con ordinanza emessa il 19 marzo 1992 dal  Tribunale  di  Ancona  nel
 procedimento  penale a carico di Massimo Cingolani iscritta al n. 257
 del registro ordinanze 1992 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 20, prima serie speciale dell'anno 1992;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 19 novembre  1992  il  Giudice
 relatore Enzo Cheli;
    Ritenuto  che  nel  corso  del  procedimento  penale  a  carico di
 Cingolani Massimo, il Tribunale di Ancona, con ordinanza del 19 marzo
 1992 (R.O. n. 257 del 1992), ha sollevato, in riferimento all'art. 24
 della Costituzione,  questioni  di  legittimita'  costituzionale  nei
 confronti:
       a)  degli  artt.  453, 456 e 458 c.p.p., nella parte in cui non
 prevedono  che  il  giudice   del   dibattimento   possa   dichiarare
 l'inammissibilita' del giudizio immediato, quando manchi il requisito
 dell'evidenza   della   prova  a  causa  della  carenza  di  indagini
 preliminari, nell'ipotesi in cui dall'erronea valutazione di evidenza
 della  prova  discenda  la   reiezione   dell'istanza   di   giudizio
 abbreviato, non essendo il processo definibile allo stato degli atti;
       b)  degli  artt.  453  e  456  c.p.p.,  nella  parte in cui non
 prevedono  che  il  giudice   del   dibattimento   possa   dichiarare
 l'inammissibilita'  del  giudizio  immediato,  quando la mancanza del
 requisito  dell'evidenza  della  prova,  a  causa  della  carenza  di
 indagini  preliminari,  influenzi  l'ammissibilita' dell'applicazione
 della pena ex art. 444 c.p.p.;
      che il giudice a quo rileva che, nel caso di specie, il  giudice
 per  le  indagini preliminari ha disposto nei confronti dell'imputato
 il giudizio immediato  malgrado  la  prova  non  fosse  evidente  per
 carenza  di indagini, e che - costituendo tale difetto di presupposto
 per il giudizio medesimo la ragione per la  successiva  pronuncia  di
 non  decidibilita'  allo  stato  degli  atti  con  la  quale e' stata
 rigettata  l'istanza  di  giudizio  abbreviato  -  il   giudice   del
 dibattimento  non  potrebbe,  di conseguenza, effettuare alcuna seria
 valutazione ai fini della applicazione della  riduzione  di  pena  ex
 art. 442, secondo comma, c.p.p.;
      che,  sempre  ad avviso del giudice remittente, nella situazione
 processuale  descritta,  la  proposizione  del   giudizio   immediato
 svuoterebbe  di  contenuto  l'avviso all'imputato, previsto dall'art.
 456, secondo comma, c.p.p.,  e  la  sua  facolta'  di  richiedere  il
 patteggiamento  o  l'adozione del rito abbreviato, con violazione del
 suo diritto di difesa;
      che nel  giudizio  ha  spiegato  intervento  il  Presidente  del
 Consiglio   dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 generale dello Stato, per chiedere che le questioni  sollevate  siano
 dichiarate inammissibili e comunque infondate.
    Considerato  che,  per  quanto attiene alla questione indicata sub
 a), il Tribunale remittente ritiene che dalla erronea  decisione  del
 giudice  per  le  indagini  preliminari in ordine alla evidenza della
 prova sia conseguita la reiezione dell'istanza di giudizio abbreviato
 per l'assenza del requisito della  decidibilita'  del  processo  allo
 stato degli atti;
      che  il  requisito probatorio necessario per l'instaurazione del
 giudizio immediato e quello richiesto per il giudizio abbreviato sono
 tra  loro  distinti,  dal  momento  che  la  prova  evidente,  idonea
 all'accoglimento  da  parte  del  giudice della richiesta di giudizio
 immediato, e' quella che, per la sua sufficienza ai fini del rinvio a
 giudizio, rende superflua l'effettuazione  dell'udienza  preliminare,
 mentre  la definibilita' del processo allo stato degli atti richiesta
 per disporre  il  giudizio  abbreviato  si  fonda  sulla  completezza
 dell'intero  quadro  probatorio  e  sulla  previsione  della  sua non
 modificabilita' anche ai fini della individuazione delle  circostanze
 del  reato  e  della  commisurazione  della pena (v. Cass. Sez. unite
 penali, 21 aprile 1992, n. 22);
      che nessuna disposizione del codice di procedura penale consente
 al giudice del dibattimento di sindacare la valutazione  del  giudice
 per   le  indagini  preliminari  circa  l'evidenza  della  prova  che
 giustifica  il  giudizio  immediato,  mentre   le   scelte   relative
 all'eventuale  introduzione  di  tale  sindacato  non  potrebbero non
 rientrare nella discrezionalita' del legislatore (v. sent. n. 92  del
 1992);
      che  questa  Corte  con  la  sentenza  n.  23  del  1992 ha gia'
 dichiarato l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  458,  primo  e
 secondo  comma, c.p.p. nella parte in cui non prevede che il giudice,
 all'esito del dibattimento, ove ritenga che il processo poteva essere
 definito  allo  stato  degli  atti  dal  giudice  per   le   indagini
 preliminari,  possa applicare la riduzione di pena prevista dall'art.
 442, secondo comma, dello stesso codice;
      che,  pertanto,  anche  nel  giudizio  a quo, va riconosciuto al
 Tribunale il potere di valutare, all'esito del  dibattimento,  se  il
 giudice  per  le indagini preliminari abbia fondatamente ritenuto non
 definibile il processo allo stato degli atti e rigettato la richiesta
 di  giudizio  abbreviato,  disponendo,  nell'ipotesi  di  valutazione
 negativa, la prevista riduzione di pena;
      che,   pertanto,  la  questione  indicata  sub  a)  deve  essere
 dichiarata manifestamente infondata;
      che, per quanto concerne la questione sub b),  va  rilevato  che
 l'ammissibilita'  del  patteggiamento  non dipende da una particolare
 situazione probatoria (evidenza  della  prova  o  decidibilita'  allo
 stato  degli  atti),  ma  da una valutazione di opportunita' affidata
 alle parti e soggetta alla verifica del giudice, con  la  conseguenza
 che  l'eventuale carenza di indagini non interferisce necessariamente
 sul  controllo  che  il  giudice  e'  chiamato   a   compiere   circa
 l'ammissibilita'  della  specifica  domanda  che  le  parti gli hanno
 concordemente rivolto;
      che, pertanto, anche la questione indicata sub  b)  deve  essere
 dichiarata manifestamente infondata.