Ricorso per regolamento di competenza del Presidente del  Consiglio
 dei  Ministri,  rappresentato e difeso dall'avvocatura generale dello
 Stato presso i cui uffici in Roma,  via  dei  Portoghesi  n.  12,  e'
 domiciliato contro il presidente della giunta della regione Sardegna,
 in  relazione  e per l'annullamento del d.p.g.r. 8 settembre 1992, n.
 212 (in boll. uff., suppl. straord. n. 40  del  14  ottobre  1992)  -
 recante  "norme  risultanti  dalla  disciplina  prevista dall'accordo
 contrattuale  per  il  triennio  1991-1993  relativo   al   personale
 dell'amministrazione  regionale  della Sardegna e degli enti pubblici
 strumentali della regione" -  siccome  emanato  in  violazione  degli
 artt. 3, 97 e 116 della Costituzione; 3, lett. a), e 27 dello statuto
 speciale,  in riferimento agli artt. 1 e 13 della legge 29 marzo 1983
 n. 83 (legge-quadro sul pubblico impiego) nonche' agli artt. 2, terzo
 comma e 3 della legge regionale 25 giugno 1984, n. 33.
    1.  -  Per  contenere  il  disavanzo  pubblico e fronteggiare, con
 interventi  adeguati,  l'attuale,  grave   situazione   economica   e
 finanziaria,  il  d.l.  19  settembre 1992, n. 384 ha - tra le altre
 misure  -  dettato  incisive  disposizioni  in  materia  di  pubblico
 impiego,  risolventisi  in  un sostanziale "congelamento", fino al 31
 dicembre 1993, del  trattamento  economico  dei  dipendenti  pubblici
 appartenenti  ai  comparti  di cui alla legge-quadro n. 93/1983 (alla
 quale la regione Sardegna ha dato attuazione con legge  regionale  25
 giugno 1984, n. 33).
    In particolare, l'art. 7 del citato d.l. 384/1992 ha stabilito:
      al  primo  comma,  (ed  in deroga implicita all'art. 13, primo e
 secondo  comma,  legge  n.  93/1983)  l'ultrattivita'  della  vigente
 disciplina  emanata  sulla  base  degli  accordi  di comparto (tenuta
 "ferma" sino al 31 dicembre 1993), al tempo stesso fissando al  primo
 gennaio 1994, gli effetti dei "nuovi" accordi;
      al  secondo  e  terzo  comma,  il blocco per tutto il 1993 degli
 incrementi retributivi, dipendenti da automatismi stipendiali;
      al quarto comma, il contenimento - per tutto il 1993 - dei fondi
 di incentivazione e per il miglioramento dell'efficienza dei  servizi
 in  ammontare  non  superiore ai correlativi stanziamenti di bilancio
 per il 1991;
      al quinto comma, l'invarianza, rispetto alle  misure  del  1992,
 delle indennita', compensi, gratifiche ecc., comprensivi di una quota
 d'indennita' integrativa speciale;
      al sesto comma, nei limiti del tasso programmato d'inflazione le
 variazioni   consentite   delle   indennita'   di   missione   e   di
 trasferimento, nonche' di quelle aventi natura di rimborso spese.
   Le  riferite  misure  (che  riprendono  e  sviluppano  quelle  gia'
 adottate  con  l'art.  2, terzo, quinto e sesto comma, del precedente
 d.l. 11 luglio 1992 n. 333) sono state dichiarate "applicabili nelle
 regioni a statuto speciale e nelle  province  autonome  di  Trento  e
 Bolzano"  con  la  legge  di  conversione 14 novembre 1992, n. 438 la
 quale ha aggiunto al d.l. n. 438/1992, in questione, un art. 13- ter
 evidentemente destinato a costituire  quella  "diversa  disposizione"
 cui  ha  riguardo  l'art.  15, quinto comma, legge 23 agosto 1988, n.
 400, agli effetti dell'entrata in vigore delle modifiche apportate ad
 un  decreto-legge  all'atto  della  sua  conversione.  Per   la   sua
 formulazione  letterale, oltre che per la sua incontrovertibile ratio
 (intesa ad assicurare  la  generale  perequazione  delle  gia'  viste
 misure  di  "congelamento",  dettate dalla straodinaria necessita' ed
 urgenza di contenere il disavanzo pubblico), il citato art.  13-  ter
 ha  dunque comortato - per l'essenziale - che gia' a decorrere dal 19
 settembre 1992 dovesse  riconoscersi  eccezionalmente  derogata,  con
 effetto   pure   nelle   regioni   a   statuto  speciale,  la  regola
 dell'efficacia triennale degli accordi, dettata  dall'art.  13  della
 legge-quadro  n.  93/1983  ed  avente valore di norma fondamentale di
 riforma economico-sociale (come  tale  recepita,  in  particolare,  e
 letteralmente  riprodotta  dall'ultimo  comma dell'art. 4 della legge
 regionale Sardegna 25 giugno 1984, n. 33).
    2. - Alla ripetura data del 19 settembre 1992 risultava emanato  -
 ma  non  ancora  efficace, nelle more della registrazione della Corte
 dei conti che sarebbe  intervenuta  il  successivo  8  ottobre  -  il
 decreto 8 settembre 1992, n. 212 col quale il presidente della giunta
 regionale  della  Sardegna  ha  conferito  natura  regolamentare alla
 disciplina  risultante  dall'accordo  contrattuale,  per  il triennio
 1991-1993, relativo al  personale  dell'amministrazione  regionale  e
 degli enti pubblici strumentali della regione.
    L'iter  destinato  a rendere operante il menzionato accordo si e',
 quindi,  concluso  con  la  pubblicazione  del  d.p.g.r.   cit.   nel
 bollettino ufficiale del 14 ottobre 1992.
    In  tale  accordo  figurano,  peraltro,  alcune  norme  in  palese
 contrasto con le misure  come  sopra  adottate  e  tali,  quindi,  da
 compromettere  insieme  ai  princip/'  di cui agli artt. 3 e 97 della
 Costituzione  l'attuazione  di  punti   essenziali   della   politica
 economica nazionale.
    Risultano,   in   particolare,  incompatibili  con  l'esigenza  di
 contenimento della spesa pubblica  nel  settore  de  quo:  l'art.  7,
 quarto  comma, dell'accordo recepito, che ne fissa al 1½ gennaio 1991
 la decorrenza degli effetti giuridici ed economici;  l'art.  10,  che
 stabilisce le nuove misure del trattamento economico per il personale
 delle  varie  qualifiche;  l'art.  11  che  porta  le nuove misure di
 indennita' varie - in particolare di trasferimento e  di  missione  -
 applicabili  dal  1½  gennaio 1993; l'art. 12 che, sempre con effetto
 dal 1½ gennaio 1993,  attribuisce  una  indennita'  di  coordinamento
 (generale,  di  servizio  e  di  settore) parametrata sullo stipendio
 iniziale di ciascuna qualifica funzionale apicale.
    Tali norme invero confliggono, insieme al complesso della recepita
 disciplina contrattuale, con la disposta ultrattivita' degli  accordi
 di  comparto  in  vigore  (per il periodo 1988-1990) e con l'espresso
 differimento al 1½ gennaio 1994 degli  effetti  dei  "nuovi"  accordi
 (art. 7, primo comma, del d.l. n. 384/1992); e contrastano altresi',
 per  quanto  attiene ai rispettivi contenuti specifici, con i "tetti"
 imposti alla misura  delle  indennita',  compensi  ed  emolumenti  in
 genere  nonche' delle indennita' di missione e di trasferimento (art.
 7 citato, quinto e sesto comma).
    Per tal modo il decreto del presidente della giunta,  destinato  a
 rendere   operanti   le   commentate   norme  dell'accordo,  si  pone
 oggettivamente in contrasto con gli "interessi nazionali"  e  con  la
 deroga  eccezionalmente  apportata,  in  via temporanea, al principio
 espresso dall'art. 13 legge-quadro n. 93/1983,  violando  cosi'  quei
 limiti  che,  imposti  alla  stessa  competenza legislativa regionale
 (art. 3 dello statuto speciale),  non  possono  non  essere  osserati
 nella  produzione  di atti di normazione secondaria (o regolamentare)
 qual e' il provvedimento presidenziale all'esame.
    3. - In ragione di cio' e della gia' rilevata  compromissione  che
 l'atto  inquestione  e'  idoneo ad arrecare alle linee generali della
 politica economica nazionale, quali fissate dagli organi statali,  il
 deducente  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri - in conformita'
 della assunta delibera  governativa  -  ricorre  per  regolamento  di
 competenza  avverso il decreto in epigrafe, che si appalesa viziato -
 in  via  derivata  -  per  l'illegittimita'   del   procedimento   di
 approvazione dell'accordo contrattuale de quo, nel corso del quale si
 e'  fatta  applicaizone  dell'ultimo  comma  dell'art.  3 della legge
 regionale  25  giugno  1984,  n.  33,  che   e'   norma   chiaramente
 incostituzionale   nella   parte  in  cui  stabilisce  che  le  norme
 risultanti dalla disciplina prevista dagli accordi sono emanate  "con
 decreto  del  presidente  della  giunta,  previa  deliberazione della
 giunta  regionale",  cui  cosi'  e'  -  in  definitiva  -   demandata
 l'approvazione    dell'accordo    (ad   esito   della   verifica   di
 compatibilita' finanziaria condotta sulla base di apposita  relazione
 dei competenti assessori).
    Evidente,  allora, il contrasto del riferito dettato normativo con
 l'art. 27 dello statuto d'autonomia (legge costituzionale 26 febbraio
 1948, n. 3) che riserva  al  consiglio  regionale  di  esercitare  le
 "funzioni  legislative  e  regolamentari"  attribuite  alla  regione,
 essendo  -  del  pari  -  fuor  di  dubbio  che  il  procedimento  di
 approvazione  ed il conclusivo decreto di emanazione sono - appunto -
 destinati  a   conferire   natura   di   normazione   secondaria   (o
 regolamentare) alle clausole degli accordi contrattuali in parola.
    E'   palese,  d'altro  canto,  la  rilevanza  che  la  prospettata
 questione di legittimita' riveste agli effetti  della  pronuncia  sul
 presente  ricorso,  una volta che dalla disapplicazione - che dovesse
 farsi - del denunciato art. 3, ultimo comma, della legge regionale 25
 giugno 1984, n.  33,  conseguirebbero  l'illegittimita'  del  decreto
 presidenziale impugnato e la rimozione - quindi - della turbativa con
 lo  stesso  arrecata  alle commentate attribuzioni statali in tema di
 politica economica generale e di contenimento del  disavanzo.  Quanto
 alla  "non  manifesta  infondatezza  della  questione"  appare,  qui,
 sufficiente richiamare i princip/' gia' enunciati  dalla  Corte,  con
 riguardo  all'art.  27  dello  statuto  speciale,  nella  sentenza n.
 371/1985 ed osservare che, anche a termini dell'art. 3 dello  statuto
 citato,  certamente  e'  da  attribuire  alla  regione la funzione di
 normazione secondaria nella  quale  si  risolve  la  ricezione  degli
 accordi contrattuali.