ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale della legge della Regione
 Abruzzo riapprovata il 18 giugno 1992 dal Consiglio regionale, avente
 per  oggetto:  "Ricostituzione  dei  comuni  di Arischia e Paganica",
 promosso con ricorso  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 notificato   l'8   luglio  1992,  depositato  in  cancelleria  il  16
 successivo ed iscritto al n. 57 del registro ricorsi 1992;
    Visto l'atto di costituzione della Regione Abruzzo;
    Udito nell'udienza  pubblica  del  1›  dicembre  1992  il  Giudice
 relatore Enzo Cheli;
    Uditi  l'Avvocato  dello Stato Franco Favara, per il ricorrente, e
 l'Avv. Gustavo Romanelli per la Regione;
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con ricorso notificato in data 8 luglio 1992 il Presidente del
 Consiglio  dei  ministri  ha  sollevato  questione  di   legittimita'
 costituzionale  nei  confronti  della  legge  della  Regione  Abruzzo
 riapprovata dal  Consiglio  regionale  il  18  giugno  1992,  recante
 "Ricostituzione  dei  Comuni  di Arischia e Paganica", per violazione
 dell'art. 117 della Costituzione, in relazione agli  artt.  1,  primo
 comma,  e 11, primo comma secondo periodo, della legge 8 giugno 1990,
 n. 142 (Ordinamento delle autonomie  locali).  Con  questa  legge  la
 Regione  Abruzzo ha disposto - ai sensi della legge 15 febbraio 1953,
 n. 71 (Ricostituzione di Comuni soppressi in regime  fascista)  ed  a
 seguito   dell'esito   di   referendum  consultivi  svoltisi  tra  le
 popolazioni interessate il 10 giugno 1990  -  la  ricostituzione  dei
 Comuni  di  Arischia  e  Paganica, attualmente frazioni del Comune de
 L'Aquila in conseguenza del declassamento operato durante  il  regime
 fascista.
    Secondo  il  ricorrente  la  legge  impugnata,  per  il  fatto  di
 prevedere  la  istituzione  di  due  Comuni   aventi   ciascuno   una
 popolazione  inferiore  a 10.000 abitanti, avrebbe violato l'art. 117
 della Costituzione (dove risulta prevista la  competenza  legislativa
 concorrente   delle  Regioni  ordinarie  in  tema  di  circoscrizioni
 comunali) in relazione ai limiti di cui agli artt. 1, primo comma,  e
 11, primo comma secondo periodo, della legge n. 142 del 1990, dove si
 fa  divieto  di  istituire  nuovi Comuni con popolazione inferiore ai
 10.000 abitanti o la cui costituzione comporti come  conseguenza  che
 altri Comuni scendano sotto tale limite.
    Queste  norme  -  a  giudizio  della  Presidenza  del  Consiglio -
 stabilirebbero, infatti, con il limite indicato, un  nuovo  principio
 fondamentale  in  materia  di ordinamento delle autonomie locali, non
 superabile da disposizioni derogatorie ne' statali ne' regionali.  In
 particolare  le stesse norme - integrate dall'art. 64, secondo comma,
 della legge n. 142 del 1990  -  avrebbero  determinato  un  implicito
 effetto  abrogativo  della  legge  15  febbraio  1953, n. 71, che, in
 correlazione ad un determinato periodo  storico  da  ritenersi  ormai
 concluso, aveva previsto la possibilita' di ricostituire i Comuni che
 erano    stati   forzosamente   soppressi   nel   periodo   fascista.
 Illegittimamente, pertanto, la Regione avrebbe fatto  riferimento  ad
 una  normativa statale ormai abrogata o comunque superata, al fine di
 aggirare il limite posto dalla nuova legge che ha definito i principi
 fondamentali della materia.
    2. - Si e' costituita in giudizio la Regione Abruzzo deducendo che
 le disposizioni della legge n. 142 del 1990, invocate dall'Avvocatura
 dello Stato,  non  troverebbero  applicazione  nel  caso  di  specie,
 essendo  esse  riferite esclusivamente all'ipotesi della costituzione
 ex novo di Comuni e non alla diversa fattispecie della ricostituzione
 di Comuni gia' esistenti prima del 28 ottobre 1922 e  successivamente
 declassati in frazioni dal regime fascista.
    Quest'ultima  ipotesi  continuerebbe, pertanto, ad essere regolata
 dalla normativa speciale di cui alla legge n. 71  del  1953  e  dalla
 procedura  in  essa  stabilita,  che prevede la richiesta da parte di
 almeno  tre  quinti  degli  elettori.  Pertanto,  ai  sensi  di  tale
 normativa, la Regione Abruzzo ha fatto precedere l'approvazione della
 legge  ora  impugnata  da referendum popolari consultivi, svoltisi in
 data 10 giugno 1990, nei quali le  popolazioni  interessate  si  sono
 pronunciate  a  grandissima maggioranza per la ricostituzione dei due
 Comuni.
    Ne' sarebbe sostenibile - secondo la Regione -  la  tesi  avanzata
 nel  ricorso  di una avvenuta abrogazione implicita della legge n. 71
 del 1953 da parte della legge  n.  142  del  1990  che,  per  il  suo
 carattere  di  norma  generale  ancorche'  posteriore,  non  potrebbe
 abrogare, se  non  espressamente,  una  preesistente  norma  speciale
 riferita ad una fattispecie determinata. Cosi' come non avrebbe alcun
 rilievo  il  richiamo,  operato dal ricorrente, al decorso del tempo,
 stante la mancanza di un termine finale per la vigenza della legge n.
 71 del 1953.
    3. - In prossimita' dell'udienza il Presidente  del  Consiglio  ha
 presentato una memoria, insistendo per l'accoglimento del ricorso. In
 essa  si  afferma che la volonta' di abrogare la legge n. 71 del 1953
 risulterebbe con chiarezza dall'art. 1, primo comma, della  legge  n.
 142  del  1990,  che qualifica la stessa legge come diretta a porre i
 principi  per  l'intero ordinamento delle autonomie locali: una legge
 siffatta, per la sua organicita', non tollererebbe  la  sopravvivenza
 di  norme  contrastanti, sia pure "speciali", che vanificherebbero la
 portata della riforma voluta dal legislatore. Pertanto, la  legge  n.
 71   del  1953  dovrebbe  necessariamente  ritenersi  compresa  nella
 generale formula di abrogazione di cui all'art.  64,  secondo  comma,
 della legge n. 142.
    4.  -  Anche  la  Regione  Abruzzo ha presentato una memoria nella
 quale,  dopo  aver  richiamato  le  ragioni   di   opportunita'   che
 sorreggerebbero  la decisione di ricostituire i due Comuni nonche' la
 volonta'  plebiscitaria  in  tal  senso  espressa  dalle  popolazioni
 interessate,  riafferma  le  motivazioni  di diritto a sostegno della
 richiesta di  reiezione  del  ricorso,  gia'  espresse  nell'atto  di
 costituzione in giudizio.
    La  Regione  sottolinea anche che il procedimento di consultazione
 popolare per la ricostituzione dei due Comuni e' stato  espletato  in
 data  antecedente a quella della entrata in vigore della legge n. 142
 del 1990.
                        Considerato in diritto
    1. - Forma oggetto di impugnativa  da  parte  del  Presidente  del
 Consiglio  dei  ministri la legge della Regione Abruzzo approvata, in
 seconda lettura, il 18 giugno  1992  e  recante  "Ricostituzione  dei
 Comuni di Arischia e Paganica".
    Con tale legge la Regione ha disposto la ricostituzione dei Comuni
 di  Arischia  e  di  Paganica, che furono soppressi durante il regime
 fascista  (R.D.  29  luglio  1927  n.  1564)  e   che   costituiscono
 attualmente  due  frazioni del Comune de L'Aquila. Tale statuizione -
 secondo quanto precisato nell'art.  1  della  stessa  legge  -  viene
 fondata,  oltre  che  sull'esito  dei  referendum consultivi svoltisi
 presso le popolazioni interessate il 10  giugno  1990,  sull'articolo
 unico  della legge 15 febbraio 1953 n. 71, dove risulta sanzionata la
 possibilita' di ricostituire i Comuni soppressi dopo  il  28  ottobre
 1922  "ancorche' la loro popolazione sia inferiore ai 3.000 abitanti,
 quando la ricostituzione sia  chiesta  da  almeno  tre  quinti  degli
 elettori".
    Ad avviso del Presidente del Consiglio la legge in questione - dal
 momento  che  le  due frazioni elevate a Comuni non dispongono di una
 popolazione superiore ai 10.000 abitanti - si porrebbe  in  contrasto
 con  l'art.  117 della Costituzione, per aver disposto una disciplina
 in tema di circoscrizioni  comunali  contrastante  con  un  principio
 fondamentale  in tema di ordinamento dei Comuni quale quello indicato
 nell'art. 11, secondo comma, della legge 8 giugno 1990 n.  142,  dove
 si  stabilisce  che  "salvo  i  casi  di fusione tra piu' Comuni, non
 possono essere istituiti nuovi Comuni  con  popolazione  inferiore  a
 10.000 abitanti o la cui costituzione comporti, come conseguenza, che
 altri Comuni scendano sotto tale limite".
    Ne'  contro  tale  norma  potrebbe essere fatto valere - sempre ad
 avviso del ricorrente  -  il  richiamo,  operato  dalla  Regione,  al
 carattere speciale della disciplina posta dalla legge n. 71 del 1953,
 dal  momento  che  tale  disciplina  -  dettata  in  relazione ad una
 particolare congiuntura storica ormai superata - si presenterebbe pur
 sempre incompatibile con i principi enunciati dalla legge n. 142  del
 1990  e,  di  conseguenza,  sarebbe stata da quest'ultima tacitamente
 abrogata.
    2. - La questione e' fondata.
    La  legge  8  giugno  1990 n. 142 ha formulato la nuova disciplina
 delle autonomie locali statuendo, ai sensi  dell'art.  128  Cost.,  i
 principi relativi all'ordinamento dei Comuni e delle Province, con la
 conseguente  determinazione delle funzioni agli stessi enti assegnate
 (art. 1, primo comma). Al quadro  dei  nuovi  principi  organizzativi
 delle  autonomie  locali  va  ricondotta  anche  la previsione di cui
 all'art. 11, primo comma, della legge n. 142, dove - proprio al  fine
 di   evitare  la  eccessiva  "polverizzazione"  delle  circoscrizioni
 comunali e  delle  relative  rappresentanze  -  viene  sanzionato  il
 divieto di istituire "nuovi Comuni con popolazione inferiore a 10.000
 abitanti  o la cui costituzione comporti, come conseguenza, che altri
 Comuni scendano sotto tale limite".
    Tale disposizione, per il fatto di risultare espressa in una legge
 che ha regolato  in  termini  organici  la  materia  delle  autonomie
 locali,  non  puo'  non  aver  determinato l'abrogazione implicita di
 tutte le norme anteriori incompatibili incluse nella stessa  materia,
 ivi  comprese  quelle  enunciate  in  leggi di carattere speciale non
 espressamente preservate dalla nuova normativa. Conseguenza,  questa,
 che   puo'   essere  desunta  sia  dall'art.  15  delle  disposizioni
 preliminari al codice civile, con riferimento al fatto che  la  nuova
 legge  ha  disciplinato  l'intera  materia nel cui ambito si veniva a
 collocare anche la legge n. 71;  sia  dall'art.  64,  secondo  comma,
 della  legge  n.  142,  dove, con formula generale di chiusura, viene
 prevista l'abrogazione, insieme  con  le  disposizioni  espressamente
 elencate   al   primo   comma,   di   "tutte  le  altre  disposizioni
 incompatibili" con la stessa legge.
    Con riferimento a tale quadro normativo l'incompatibilita' - e  la
 conseguente abrogazione - va, pertanto, affermata anche nei confronti
 della  disciplina  posta  dalla  legge  15  febbraio  1953  n. 71 con
 riferimento  ai  Comuni  soppressi  in  regime   fascista,   la   cui
 ricostituzione veniva dalla stessa legge svincolata dal limite minimo
 dei  3.000  abitanti,  gia'  fissato,  ai  fini della costituzione di
 borgate o frazioni di Comuni in Comuni  distinti,  dall'art.  33  del
 R.D. 3 marzo 1934 n. 383.
    Detta  incompatibilita',  suscettibile di condurre all'abrogazione
 della norma anteriore, non puo' essere, d'altro canto, superata,  per
 quanto  concerne  la fattispecie in esame, ne' attraverso il richiamo
 alla specialita' della normazione posta con la legge n. 71 del  1953,
 dal  momento  che  tale specialita' - anche per il fatto di risultare
 fondata  su  un  intento  riparatorio  connesso  ad  una  particolare
 congiuntura  storica  -  non  appare idonea a contrastare gli effetti
 abrogativi  conseguenti  da  una  nuova  disciplina  organica   della
 materia;   ne'   attraverso   la   valorizzazione  della  distinzione
 concettuale tra  "ricostituzione"  di  Comuni  soppressi  durante  il
 fascismo,  di cui alla legge n. 71 del 1953, e "istituzione" di nuovi
 Comuni, di cui all'art. 11 della legge n. 142 del 1990,  dal  momento
 che,  rispetto  allo  stato delle cose assunto ad oggetto della nuova
 disciplina di  principio,  anche  l'ipotesi  di  "ricostituzione"  di
 Comuni soppressi fin dal lontano 1927 non puo' non ritenersi compresa
 nella dizione generale adottata dallo stesso art. 11.
    La  conseguenza cui si perviene in ordine all'avvenuta abrogazione
 della legge n. 71 del 1953 ad opera dell'art. 11 della legge  n.  142
 del  1990,  risulta, d'altro canto, confermata dai lavori preparatori
 relativi a quest'ultima norma. Da tali lavori si desume, infatti, che
 un  emendamento  allo  stesso  art. 11 presentato dal sen. Franchi al
 fine di escludere dal limite minimo dei 10.000 abitanti i  Comuni  di
 cui alla legge 15 febbraio 1953 n. 71 veniva respinto sia dalla prima
 Commissione  del  Senato,  nella seduta del 1› aprile 1990, sia dalla
 stesso Senato in aula, nella seduta  del  18  aprile  1990:  con  una
 chiara  indicazione  negativa  in  ordine  alla  sopravvivenza  della
 disciplina speciale a  suo  tempo  dettata  per  i  Comuni  soppressi
 durante il regime fascista.
    La  conclusione  e',  dunque, nel senso che la legge della Regione
 Abruzzo  che  forma  oggetto  d'impugnativa  ha  assunto  a   proprio
 presupposto  una  disciplina quale quella posta dalla legge n. 71 del
 1953 oggi non piu' operante, mentre ha trascurato di  considerare  il
 limite  sanzionato  dall'art. 11, primo comma, della legge n. 142 del
 1990 come uno dei principi regolatori del nuovo ordinamento comunale.
 Dal che la conseguente violazione dell'art. 117 Cost. denunciata  nel
 ricorso.