LA CORTE D'APPELLO
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nel  procedimento  riguardante
 Montanari  Barbara  nata  a  Bologna  il  19 agosto 1975, residente a
 Casalecchio di Reno, via Porrettana, 466, appellante, da sentenza  in
 data   27   febbraio   1992  del  giudice  collegiale  per  l'udienza
 preliminare del tribunale per i minorenni, che dichiarava non luogo a
 procedere, per concessione del perdono giudiziale, per  il  reato  di
 furto, aggravato ex art. 625, nn. 2 e 4, e 61, n. 11, del c.p.;
    Ritenuto in premessa che:
      con  la  sentenza  di  cui in epigrafe il giudice collegiale per
 l'udienza   preliminare   riteneva   all'esito   di   tale   udienza,
 evidentemente  allo stato degli atti, che risultava evidente la prova
 sia della sussistenza materiale del  fatto  integrante  il  reato  in
 epigrafe,  sia  della  "colpevole commissione" di esso da parte della
 Montanari;
      il  difensore  della  Montanari  proponeva  tempestivo  appello,
 sollecitando  la  riforma della decisione, con la "assoluzione" della
 patrocinata per non  aver  commesso  il  fatto,  con  la  preliminare
 assunzione  di  varie  prove testimoniali, nonche' il vizio di omessa
 motivazione;
      pregiudizialmente  inoltre  la  difesa  dell'imputata  proponeva
 eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 32 del d.P.R. n.
 448/1988  laddove  crea  disparita'  di  trattamento  consentendo  al
 giudice in sede di u.p. la definizione, con sentenza, pur in presenza
 certa di "una sorta di minorata difesa";
    Con riguardo all'eccezione di illegittimita' costituzionale;
                      OSSERVA IN FATTO E DIRITTO
    La sentenza di non luogo a procedere per concessione  del  perdono
 giudiziale,  pur  propria  del processo minorile, e' riconducibile al
 modello normativo dell'art. 425 del c.p.p., con  la  conseguenza  che
 l'appello  dell'imputato  e' disciplinato dall'art. 428, primo comma,
 lett. b) per quanto concerne  l'ammissibilita'  del  gravame,  e  dal
 settimo  comma dello stesso articolo per quanto riguarda il contenuto
 delle  richieste  con  tale  mezzo  di  impugnazione  proponibili  e,
 correlativamente,  per  quanto  riguarda il contenuto delle possibili
 pronunce del giudice di secondo grado.
    In questo meccanismo processuale le risultanze  allo  stato  degli
 atti  assumono  definitivo  rilievo  probatorio  non  a seguito di un
 assenso delle parti, come nel giudizio abbreviato, ma per effetto  di
 una  delibazione  del  g.u.p.,  insuscettibile  di rimozione da parte
 dell'imputato, il quale rimane privo di ogni strumento per introdurre
 nel processo nuovi mezzi di prova atti a contrastare le risultanze in
 tal modo cristallizzatesi.
    D'altra  parte  per  il  detto settimo comma il giudice di appello
 puo' o confermare la sentenza di non luogo a procedere con la formula
 della quale l'appellante si duole, overo sostituire detta formula con
 quella piu' favorevole invocata: sembra che  l'una  o  l'altra  delle
 decisioni  vadano  prese allo stato degli atti, non essendo preveduto
 un ampliamento del costituito istruttorio su cui il g.u.p. ha fondato
 la propria decisione, e d'altra parte, poiche' sull'appello del  solo
 imputato  e' escluso l'esito dibattimentale, il diritto di difesa non
 si e' potuto esercitare in quello che non puo' non essere considerato
 sostanzialmente un vero e proprio giudizio di primo grado.
    Orbene, se si pone attenzione al fatto che la suddetta delibazione
 di sufficienza delle  risultanze  dovrebbe  avere  solo  la  limitata
 finalita'  di  consentire il rinvio a giudizio, e correlativamente di
 escludere l'evidenza dell'innocenza, o  l'evidente  insussistenza  di
 elementi   probatori  a  carico,  si  vede  bene  come  la  segnalata
 preclusione di attivita' probatoria per l'imputato si risolve in  una
 rilevantissima compressione del diritto di difesa.
    Tale compressione e' di decisiva rilevanza con riguardo alla norma
 dell'art.  32  pp.,  del d.P.R. n. 448/1988, in quanto la concessione
 del perdono giudiziale, non costituendo una causa di  estinzione  del
 reato,  ovvero una causa di improcedibilita', ovvero, ancora, un caso
 di irrilevanza del fatto, situazioni tutte  rispetto  alle  quali  la
 preliminare  verifica  giudiziale  in questa sede si puo' limitare al
 tema dell'astratta configurabilita' della fattispecie, presuppone  il
 positivo  accertamento  del  reato  e della sua riconducibilita' alla
 condotta   dolosa   o   colposa   dell'imputato,   tant'e'   che   e'
 dall'accertamento  del  fatto e della sua concreta configurazione, in
 funzione  della  determinazione  della  pena  irrogabile,  che   sono
 impedite o condizionate le concessioni plurime del beneficio.
    Sussistono  quindi  sufficienti  ragioni per ritenere il contrasto
 rispetto all'art. 24 della Costituzione dell'art.  32,  primo  comma,
 del  d.P.R.  n.  448/1988,  la'  dove esso prevede che il giudice per
 l'udienza preliminare possa  pronunciare  sentenza  di  non  luogo  a
 procedere per concessione del perdono giudiziale decidendo allo stato
 degli atti.
    E'  evidente  la  rilevanza  della  questione,  dal momento che in
 questo grado e' di  ufficio  rilevabile  l'insussistenza  dei  poteri
 decisori del primo giudice.